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Autore: Hoshi no Destiny    11/06/2012    2 recensioni
La vita è dura e non va mai come vorresti. Per quanto ti sforzi, rischi sempre di essere sconfitto e, quando cadi, non è mai facile riuscire a rialzarsi.
Quanto tempo si può continuare a riprovare, prima di darsi per vinti?
Selene è sempre stata lasciata indietro e, ormai, ha smesso di combattere. Le parole di una sconosciuta che consolazione potrebbero mai darle?
La vide prendere in mano il pennello e ricominciare a dipingere. Sospirò. Non riusciva a spiegarselo, ma stava bene. Si sentiva leggera, come se si fosse liberata da un peso che la opprimeva. Quella ragazza, incontrata per caso, le aveva fatto dimenticare tutti i pensieri e le preoccupazioni che la tormentavano; passato il disagio iniziale, dopo aver parlato con lei, aveva iniziato a non interessarsi più di cosa avrebbero potuto pensare i suoi conoscenti se avessero saputo che stava posando nuda per un quadro. Era una sua scelta, nessuno poteva impedirle di farlo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Originale.
Rating: Verde.
Tipologia: One-shot.
Lunghezza: 4529 parole, 7 pagine, 1 capitolo.
Avvertimenti: Femslash, one-shot.
Genere: Introspettivo, malinconico, sentimentale.
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: Le citazioni presenti nella storia sono prese rispettivamente da Pane e tempesta di Stefano Benni e dai componimenti di Alda Merini; tali citazioni erano presenti nel pacchetto “bucaneve” del contest.
Note dell'Autore: Oh, non so proprio cosa dire, nonostante tutto ciò a cui pensavo mentre scrivevo la storia. Mi sono impegnata nella sua stesura ma, ciononostante, non riesco a dire se sia bella o faccia schifo, ma immagino che deciderlo spetti ai lettori.
Introduzione alla Fanfiction: La vita è dura e non va mai come vorresti. Per quanto ti sforzi, rischi sempre di essere sconfitto e, quando cadi, non è mai facile riuscire a rialzarsi.
Quanto tempo si può continuare a riprovare, prima di darsi per vinti?
Selene è sempre stata lasciata indietro e, ormai, ha smesso di combattere. Le parole di una sconosciuta che consolazione potrebbero mai darle?

§

Come un bucaneve




La ragazza si passò la lingua sulle labbra, si schiarì la voce e iniziò a stropicciare la fodera del cuscino che teneva stretto fra le braccia. I suoi occhi vagavano per la stanza, incapaci di calmarsi.
– Su, cerca di stare tranquilla, Selene. – disse un uomo di mezza età, seduto accanto a lei.
Trasalì e si strinse nelle spalle; nonostante lo conoscesse da tempo e quella situazione si ripetesse ogni giovedì pomeriggio da quasi un anno ormai, proprio non riusciva a sentirsi a suo agio. Incrociò le gambe sul lettino e abbassò la testa, fino ad appoggiare il mento sulle scapole.
L’uomo si sistemò gli occhiali sul naso e riordinò alcune carte sparse su un tavolino.
– Allora, come stai? È successo qualcosa di cui vorresti parlarmi questa settimana? – la sua voce pacata risuonava come un mantra nella mente di Selene. Ogni volta iniziavano così e ogni volta rispondeva allo stesso modo, ripetendo gli stessi gesti.
– Bene, grazie. No, nulla in particolare.
Ormai era un rito, se fosse cambiato qualcosa, anche un solo piccolo particolare, avrebbe perso il controllo della situazione e non avrebbe più saputo che fare. Sarebbe stato il panico per lei.
Il dottore sospirò, era sempre la stessa storia. Prese un taccuino, tirò fuori una penna dal proprio taschino e iniziò a scrivere.
– Hai avuto attacchi di panico questa settimana, Selene?
– No, questi giorni sono stati abbastanza tranquilli… – biascicò. Era doloroso parlare di quella cosa; avrebbe tanto voluto non essere costretta a farlo, ma nessuno sembrava capire quanto le facesse male.
Chiuse gli occhi e girò la testa dalla parte opposta, per non incontrare lo sguardo del suo interlocutore. Odiava le persone, la terrorizzavano; nessuno pensava mai ai sentimenti altrui, tutti non facevano che badare a loro stessi e, quando guardavano gli altri, giudicavano ogni loro singola azione e li catalogavano sotto pesanti etichette, senza dar loro nessuna possibilità di dimostrare che si stavano sbagliando.
Lo psichiatra parlava, ripeteva i soliti ammonimenti: doveva stare tranquilla, cercare di essere più spontanea, di non avere paura di tutto, di aprirsi di più. Ma quelle parole non toccavano la ragazza. Non voleva più ascoltarle, le aveva sentite talmente tante volte da darle il voltastomaco e, nemmeno per un istante, l’avevano consolata o fatta stare meglio. Nascose il viso fra le mani e rimase in silenzio, ad ascoltare rassegnata e mormorando qualche monosillabo in risposta.
L’uomo sospirò, diede un’occhiata all’orologio e ripose il taccuino. – Puoi andare, la seduta è finita. Ci vediamo la settimana prossima.
Selene si alzò e andò a prendere il suo giubbotto, si avviò verso la porta e fece un cenno di saluto allo psichiatra.
– Riguardati.
– Sì… grazie. E arrivederci.
Scese le scale in fretta e furia, non vedeva l’ora di uscire, lasciò che il portone del palazzo si chiudesse alle sue spalle e vi si appoggiò; fece un profondo respiro, assaporando l’aria gelida di quel giorno. Alzò appena lo sguardo ad osservare il sole e iniziò a camminare; i suoi occhi vagavano distratti per le strade della città, mentre nella sua mente si affollavano pensieri senza capo né coda, l’importante era allontanarsi il più possibile dai suoi problemi.
Rallentò il passo e diede un’occhiata ad un bar, dalle vetrate poteva vedere la gente seduta ai tavoli davanti a invitanti tazze di cioccolata o pasticcini. Si portò una mano alle labbra, non le sarebbe dispiaciuto fermarsi a mangiare qualcosa. Spinse la maniglia ed entrò nel locale, avvertì l’odore del cibo e il calore della stanza sulla sua pelle; socchiuse gli occhi, era davvero una sensazione piacevole. Si accomodò in un angolo abbastanza isolato dal brusio degli altri clienti, appoggiò la borsa ai suoi piedi e si guardò attorno. Non era mai stata lì prima di quel giorno, ma doveva ammettere che era un bel posto e aveva un’atmosfera molto accogliente. Si appoggiò allo schienale della sedia e fece un lungo sospiro.
Notò una cameriera muoversi fra i tavoli per prendere le ordinazioni; la guardò: era bella, davvero molto bella. Era poco più alta di lei, aveva i capelli neri, lunghi, gli occhi grandi, leggermente a mandorla, di un caldo marrone; era un po’ in carne e con un bel seno prosperoso. Era decisamente il suo tipo.
Abbozzò un sorriso, mentre la osservava passare accanto a lei. Per un momento le sembrò che ricambiasse il suo sguardo; scosse la testa, era impossibile, doveva esserselo immaginato. Alzò il viso, qualcuno era venuto a prendere la sua ordinazione. Sgranò gli occhi e dischiuse le labbra, davanti a lei c’era la ragazza che aveva appena notato e le stava rivolgendo un radioso sorriso.
– Posso portarti qualcosa? – le chiese.
Selene deglutì e fece cenno di sì con la testa. – Una cioccolata, per favore… – rispose incerta; doveva ammetterlo, non se lo aspettava.
La cameriera le diede le spalle e tornò al bancone. L’altra non le staccò gli occhi di dosso per tutto il tempo, fino a quando tornò da lei con la tazza fumante in mano. La appoggiò sul tavolo e le fece l’occhiolino, la ragazza arrossì e si voltò dalla parte opposta per nascondere l’imbarazzo. Sentì il rumore di una sedia che veniva spostata, alzò lo sguardo e la vide accomodarsi di fronte a lei.
– Come ti chiami? – sorrise. La guardava con aria curiosa, come se la stesse analizzando.
– Selene… – mormorò. Teneva lo sguardo fisso sul dolce che teneva fra le mani, era troppo intimidita per alzare lo sguardo. Non poteva fare a meno di chiedersi perché fosse lì.
– È davvero un bel nome, era la dea greca della luna piena, se non sbaglio. E poi ha un suono molto dolce. – inclinò la testa e si scostò una ciocca di capelli dal viso. – Dimenticavo: io sono Morrighan.
Che nome curioso. Credeva che fosse orientale, probabilmente era un soprannome o qualcosa del genere.
– Piacere di conoscerti. – sorrise. In realtà avrebbe voluto scappare: non si era mai trovata in una situazione del genere e non sapeva cosa fare; le sembrava strano che qualcuno provasse interesse nei suoi confronti, doveva esserci qualcosa sotto.
Le tese una mano e attese che l’altra la stringesse. Si morse il labbro e iniziò a sorseggiare la cioccolata.
– Tu… non sei di queste parti, vero? – chiese.
– No, sono venuta qui per proseguire gli studi.
– Oh, fai l’università? – alzò il viso verso di lei, credeva avesse la sua età.
L’altra rise, doveva aver capito il motivo del suo stupore. – L’accademia delle belle arti. – precisò.
Gli occhi di Selene si illuminarono. Aveva sempre amato l’arte nelle sue forme più disparate, dalla musica ai dipinti. Quando era bambina voleva diventare una pittrice, ma le sue scarse capacità glielo avevano impedito. La voglia e la passione, però, le erano rimaste; per questo era così entusiasta all’idea di aver conosciuto una persona che stava realizzando il sogno che per lei era andato in frantumi.
Morrighan inarcò un sopracciglio, stupita da quell’improvviso cambio di umore, poi si sciolse in un dolce sorriso. Si sporse in avanti e appoggiò il viso sul palmo di una mano; seguiva con lo sguardo ogni movimento dell’altra.
– Faccio arti visive da un paio d’anni – disse e, intanto, giocherellava con una ciocca dei suoi capelli – ma sono qui solo da pochi mesi.
Selene annuì e appoggiò sul tavolino la tazza ormai vuota. – Beata te! – rise. – io invece sono solo in terza superiore.
– Non dire così. Hai ancora tutto il tempo che vuoi per crescere. Non avere fretta e goditi la vita!
La ragazza si morse un labbro. Aveva fatto un passo falso, adesso l’avrebbe presa per una ragazzina superficiale che non vedeva l’ora di essere maggiorenne per poter fare tutto quello che voleva. Lei non era così, non aveva mai pensato a nulla del genere, stava bene così.
No, dire che “stava bene” non era molto azzeccato, vista la sua situazione, ma non aveva mai voluto forzare i tempi.
Tuttavia, quelle parole la incuriosirono; suonavano strane dette da una ragazza così giovane. Forse aveva avuto un’infanzia difficile o qualche altra brutta esperienza. Scosse la testa e si diede mentalmente della stupida. Molto più probabilmente era solo una frase di circostanza, detta per portare avanti la conversazione.
Alzò lo sguardo, l’altra si lisciava i capelli con le dita e fissava il vuoto, assorta nei suoi pensieri. Ecco, lo sapeva. Perché non pensava prima di aprire la bocca? Però era strano: guardando meglio, non sembrava se la fosse presa per qualcosa che aveva detto, anzi, sembrava concentrata su tutt’altro.
– Qualcosa non va?
L’altra si girò verso di lei e la guardò per un istante, appoggiò il mento sul dorso della mano e sorrise.
– No, nulla.
Selene inarcò un sopracciglio. C’era qualcosa di strano nel suo atteggiamento, era impaziente, sembrava che stesse aspettando il momento giusto per fare qualcosa. Si appoggiò allo schienale della sedia e si passò una mano fra i capelli. Quella situazione cominciava a non piacerle per niente: fra le due era calato un silenzio imbarazzante e non sapeva come venirne fuori. Deglutì, forse era il caso che le chiedesse una qualche stupidaggine, ad esempio come si trovava lì o da dove veniva.
Aprì la bocca, ma le parole le morirono in gola. Morrighan le aveva preso una mano e la stava guardando negli occhi. La ragazza trasalì, cosa le era preso così all’improvviso? Sentì i battiti che acceleravano, i brividi correrle lungo la schiena.
– Senti, posso chiederti un favore? – disse; l’altra avvampò e fece cenno di sì con la testa. Quella si passò una mano fra i capelli e si sporse in avanti. – È una cosa molto importante per me, sai… e ho bisogno del tuo aiuto.
Selene seguì i movimenti della mano di quella che accarezzavano la sua e salivano verso il polso. Lo sapeva, lo sapeva. Aveva finito col mettersi nei guai, perché le aveva dato retta? Chissà cosa le avrebbe chiesto ora!
– Potresti farmi da modella per un quadro?
La ragazza spalancò le labbra e la guardò con gli occhi sgranati. – Cosa? – biascicò a metà fra lo sconvolto e il sorpreso.
– È per la scuola, devo fare un dipinto e ho bisogno che qualcuno posi per me.
– Ma perché proprio io? – era già assurdo chiedere una cosa del genere ad una persona appena incontrata, ma a lei per di più! Non era un granché, anzi, a dirla tutta si considerava parecchio bruttina.
Gli occhi di Morrighan si illuminarono di una luce nuova. Si alzò in piedi e prese le mani della ragazza fra le proprie. – Perché tu sei perfetta! Posa per me, ti prego!
Selene si morse il labbro e abbassò lo sguardo, cercava di evitare il contatto visivo. – No.
L’entusiasmo dell’altra si spense. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e si sedette di nuovo. Appoggiò i gomiti sul tavolino e mise le mani a coppa sotto il proprio mento.
– Perché? – chiese, con le labbra piegate in una smorfia scocciata.
La più giovane si strinse nelle spalle e iniziò a stropicciare fra le dita un tovagliolino di carta. Era una domanda difficile a cui rispondere, quella. Non c’era un motivo ben preciso: si vergognava, un po’ perché era nella sua natura avere paura di tutto, un po’ perché l’idea di mostrare il suo corpo a degli estranei le metteva i brividi. Cosa avrebbero pensato? Avrebbero riso di lei. Sì. Era orribile, sarebbe diventata lo zimbello di tutti.
Alzò lo sguardo, Morrighan era sparita. Sgranò gli occhi e si girò attorno, la vide appoggiata al bancone. Si morse un labbro. Avrebbe dovuto aspettarselo, eppure si sentiva delusa, ferita.
Nascose il viso fra le mani e si sporse in avanti, fino ad appoggiarsi sulla superficie del tavolo. Fece un lungo sospiro, era un’ingenua. Quella ragazza aveva solo bisogno di qualcuno che la aiutasse per quel quadro e lei aveva rifiutato, perché avrebbe dovuto perdere altro tempo?
Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla; trasalì e sollevò il viso per vedere cosa stesse succedendo. Morrighan era accanto a lei e le sorrideva. Spalancò le labbra e si alzò di scatto. Quasi non ci credeva, era tornata.
– Che stai combinando? – rise. – Dai, andiamo.
Selene rimase a fissarla come intontita per qualche istante, scosse la testa e si portò una mano alla fronte. L’altra aveva preso il proprio cappotto e camminava verso l’uscita del locale a passo sicuro; accortasi di non essere seguita, si voltò e le fece un cenno con la mano. – Che aspetti?
La ragazza inarcò un sopracciglio. – Dove stiamo andando?
– Al mio studio. – sorrise.
Quella sgranò gli occhi. Non poteva credere alle sue orecchie.
– Come?
– Oh, avanti! Hai sentito benissimo! – rideva di gusto, l’artista, nel vedere l’espressione a dir poco comica della sua nuova modella. – In caso non l’avessi capito, non hai scelta. – aggiunse e Selene, come se non avesse più il controllo del proprio corpo, non poté fare altro che raggiungerla.
Avevano quasi varcato la soglia, quando un dettaglio fece bloccare la ragazza. – E il conto? – come aveva fatto a dimenticarsene?
L’altra si girò verso di lei e la prese per mano, trascinandola con sé. – Ci ho già pensato io, non ti preoccupare.
Quella ragazza era la persona più strana che avesse mai incontrato. Nessun’altro sarebbe stato così gentile con un estraneo, anche se per i propri fini, o avrebbe avuto la faccia tosta di spiare (quasi) una persona e avvicinarla in quel modo. Alzò gli occhi al cielo. Chissà da dove era uscita una tipa del genere, sembrava avere perennemente la testa fra le nuvole. Non poteva certo dire che quell’atteggiamento le dispiacesse, anzi, era il tipo di persona a cui non importava del giudizio degli altri, quello che voleva essere lei.
In poco tempo arrivarono davanti a una di quelle tipiche case da paesino di montagna, col tetto spiovente, varie decorazioni in legno e dipinta di un lilla vivace. Selene la guardò, somigliava a casa sua. L’altra ragazza, intanto, si era spostata su una porta a lato dell’edificio e armeggiava con un mazzo di chiavi. Ne prese una di ferro scuro, all’apparenza molto più vecchia delle altre, e la infilò nella toppa; fece scattare la serratura e spalancò l’uscio.
La più giovane non poté trattenere un sorriso di fronte a quella scena. Attese che l’altra entrasse e la seguì senza dire nulla. Era inutile rifiutarsi: anche se non voleva posare per lei, c’era qualcosa che le impediva di andarsene. Morrighan esercitava uno strano fascino su di lei; quel suo carattere
imprevedibile faceva sì che non potesse che assecondare i suoi desideri per vedere cosa avrebbe fatto.
Erano entrate in un seminterrato non molto grande e male illuminato. Selene si guardò intorno: dovunque si voltasse, non vedeva altro che scaffali pieni di tele, fogli, pennelli e barattoli o tubetti pieni di vernice. Il centro della stanza era occupato da uno sgabello posto accanto ad un cavalletto e un piccolo soppalco coperto da delle lenzuola.
Morrighan si accucciò vicino ad una cassapanca e ne tirò fuori una tela, corse verso una mensola e prese un piccolo oggetto nero di forma cilindrica, doveva essere un carboncino, ma Selene ne aveva visti pochissime volte. Se lo infilò dietro l’orecchio e andò verso di lei.
– Avanti, spogliati.
La ragazza spalancò gli occhi esterrefatta. – Co-cosa?
– Hai capito benissimo: ti devi spogliare. – affermò calma l’altra. – Altrimenti come faccio a dipingere? E poi mettiti lì, – indicò il piano rialzato di fronte a loro – al resto ci penso io.
Si strinse nelle spalle. Non voleva farlo, si vergognava da morire, però ormai non le rimaneva più altra scelta. Sospirò. Forse aveva fatto male a decidere di seguirla.
Si tolse la maglia e i pantaloni controvoglia, rimasta solo con addosso la biancheria intima, si voltò a guardare l’altra ragazza. Quella scosse la testa e le fece cenno di continuare. Si morse un labbro e si denudò del tutto. Andò fino al centro del soppalco e si coprì il seno con le mani. Teneva il viso rivolto verso il basso, per nascondere il rossore che lo imporporava.
Morrighan la guardò di sottecchi e sorrise. Si chinò a prendere un cesto, nascosto da un vecchio comodino, e lo appoggiò davanti alla ragazza. Era piena di piccoli fiori bianchi; ne prese un po’ e si avvicinò a lei. La fece sedere a terra e le diede in mano il mazzo, tornò a prenderne altri e li sistemò fra i suoi capelli. Indietreggiò e la squadrò da capo a piedi.
– Perfetto. – disse. Si accomodò sullo sgabello e iniziò a tracciare lo schizzo del dipinto. – Non ti muovere, mi raccomando. – aggiunse poi.
Selene deglutì e strinse la presa sui fiori. All’artista non sfuggì quel particolare, socchiuse gli occhi e sospirò.
– Sei nervosa? – chiese.
La ragazza sussultò e voltò appena il viso a guardare l’altra. – Un pochino. – ammise. Inclinò la testa e si morse il labbro inferiore.
– Sta’ ferma. – la ammonì. – Perché?
– Perché è la prima volta che faccio una cosa del genere… non mi era mai capitato nulla di simile prima d’ora.
L’altra inarcò un sopracciglio con aria scettica. – Ed è solo questo che ti preoccupa?
– Beh, sì. Dovrebbe esserci altro?
Non riusciva a capire il motivo di quella domanda. Le sembrava abbastanza ovvio che fosse solo per quello: era nuda davanti ad una sconosciuta. Sarebbe stato strano il contrario.
– Hai paura delle cose che non conosci. È questo che mi lascia perplessa. Non trovi sia un po’ stupido esserne spaventati, se non sai cosa ti aspetta? Potrebbe anche essere qualcosa di buono.
Aveva ragione, però non ci poteva fare nulla. Detestava trovarsi impreparata di fronte a qualcosa, non sapere cosa fare o come comportarsi. La faceva sentire inadatta e fuori luogo. Proprio come in quel momento, per questo continuava a torturare i gambi di quei poveri fiori.
– Sì, ma è sempre stato così…
– Non hai mai fatto nulla per cambiare? – la interruppe l’altra.
Socchiuse gli occhi e trattenne un gemito. Certo che l’aveva fatto. Aveva dato tutta sé stessa, peccato che non fosse servito a nulla oltre a continuare a cadere, senza che nessuno l’aiutasse mai a rialzarsi. Ci aveva provato talmente tanto da aver perso tutto, ed ora aveva capito che era sola, che l’unica cosa che le restava da fare era soffrire in silenzio e andare avanti a testa bassa.
La pittrice si fermò e le rivolse un’occhiata colma di malinconia. Quello sguardo diede a Selene un po’ di consolazione, sembrava che riuscisse a percepire la solitudine che provava.
– Hai avuto delle brutte esperienze, non è vero? – chiese. Prese un pennello e mise della vernice sulla tavolozza, alzò il viso verso la sua modella e iniziò a stendere il colore.
– Gli uomini sono creature crudeli. Nessuno si interessa mai ai sentimenti degli altri, tutto gira sempre solo intorno a loro stessi. – si morse un labbro e cercò di trattenere le lacrime che prepotenti minacciavano di iniziare a scorrere. – Se non sei come gli altri sei strano, matto. E vai allontanato.
Morrighan fece un amaro sorriso, senza il bisogno che interrompesse il suo lavoro, fece percepire all’altra che anche lei aveva provato il suo stesso dolore.
– Non sono tutti così. C’è qualcuno che non si ferma alle apparenze e ti apprezza così come sei. Devi solo continuare a cercare e non arrenderti.
– È difficile tenere duro dopo una vita in cui non hanno fatto altro che lasciarti in disparte.
L’artista intinse il pennello nel colore e lo picchiettò sulla tela. Pian piano, la figura della ragazza prendeva forma.
E anche se il vento ci soffia contro, abbiamo sempre mangiato pane e tempesta, e passeremo anche questa.
Selene la guardò stranita e inarcò un sopracciglio. – Come?
– È una citazione di “Pane e Tempesta”. – sorrise. – sembra fatta apposta per te.
La ragazza si fermò a guardare il corpo dell’altra muoversi, parzialmente nascosto dalla tela. Aveva sempre continuato a dipingere e, dai suoi gesti, sembrava non si stesse interessando minimamente a lei. Quella era forse la dimostrazione più palese che le apparenze ingannano, perché non solo la stava ascoltando, ma sembrava anche soffrisse con lei.
– Sai, io una volta ero il bersaglio delle prese in giro di tutti i miei compagni di classe. – la sua voce non era più fredda come prima, aveva un tono più dolce. – Non facevano altro che schernirmi, non importava perché, ogni cosa che facevo era un buono spunto per umiliarmi. A causa loro ho finito per isolarmi da tutto e tutti.
Ripose il pennello e abbassò lo sguardo. I capelli corvini erano scivolati sul viso e coprivano i suoi occhi, scosse la testa e li sistemò nuovamente dietro l’orecchio. Guardò Selene e le fece un sorriso; a differenza dei precedenti, quello era tirato. Stava cercando di nascondere il dispiacere che quei ricordi le provocavano ancora.
– Ci sono voluti molti anni, però finalmente l’ho capito: piangersi addosso non serve a nulla e la solitudine non fa che peggiorare le cose. È per questo che ho deciso di fare del mio meglio per aiutare le persone che soffrono.
La più giovane abbassò gli occhi sui fiori che teneva in mano. Adesso aveva capito.
– I bucaneve sono il simbolo della consolazione. È per questo che li hai scelti, non è vero?
L’altra annuì. Erano i fiori che sbocciavano per primi, sotto la neve e si facevano spazio fra essa per dar sfoggio alla loro bellezza. Non c’era da stupirsi se avevano finito per rappresentare il superamento delle difficoltà.
Lo sguardo di Selene vagava per la stanza, perso nei suoi pensieri. Sul suo viso c’era un sorriso appena accennato. Dopo quella confessione, non le sembrava più di trovarsi di fronte ad un’estranea. La sentiva più vicina, sapere che avevano passato le stesse esperienze la faceva sembrare come un’amica.
Rimasero entrambe in silenzio. Morrighan continuava il suo lavoro, muoveva il pennello sulla tela, dando così vita alla riproduzione della scena che aveva davanti agli occhi. Nemmeno una delle due aveva più intenzione di toccare ancora quell’argomento, anche se la più giovane era curiosa di sapere qualcosa in più su quella strana ragazza che l’aveva trascinata lì.
Prese un profondo respiro e socchiuse gli occhi. – Vorrei tanto essere come te. – disse. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare quanto le fosse costato ammetterlo.
L’altra spalancò gli occhi per la sorpresa, abbandonò il quadro e si fermò a guardarla.
– Hai sofferto molto, però non ti sei lasciata scoraggiare: sei forte e coraggiosa, non ti importa nulla di quello che gli altri pensano di te. Io, invece, – sospirò – ho paura di tutto e tutti, ho bisogno che ogni cosa vada come pianificato, perché non riesco a fronteggiare nemmeno il più piccolo ostacolo.
La più grande si alzò e andò a sedersi a terra di fronte a lei. Le sue labbra si piegarono in un sorriso e le appoggiò una mano sulla spalla.
– Oh, ma come fai? Pianificare tutto è noioso da morire! Io non riuscirei proprio a reggere! – esclamò, per poi scoppiare in una fragorosa risata.
Selene la guardò stranita per un istante, ma non riuscì a trattenersi e si unì a lei. Appoggiò a terra i fiori e si coprì il viso con una mano. Fece per alzarsi, ma Morrighan la fermò e la costrinse a tornare giù, spingendola a terra.
– Non abbiamo ancora finito. – sussurrò, con un dito appoggiato alle labbra. Le fece l’occhiolino e tornò a sedersi dietro il cavalletto.
La vide prendere in mano il pennello e ricominciare a dipingere. Sospirò. Non riusciva a spiegarselo, ma stava bene. Si sentiva leggera, come se si fosse liberata da un peso che la opprimeva. Quella ragazza, incontrata per caso, le aveva fatto dimenticare tutti i pensieri e le preoccupazioni che la tormentavano; passato il disagio iniziale, dopo aver parlato con lei, aveva iniziato a non interessarsi più di cosa avrebbero potuto pensare i suoi conoscenti se avessero saputo che stava posando nuda per un quadro. Era una sua scelta, nessuno poteva impedirle di farlo.
La vita era sua e aveva tutto il diritto di decidere con la propria testa, senza farsi condizionare dalla paura che gli altri potessero pensare male di lei.
Era felice.
Felice di aver conosciuto Morrighan perché le aveva aperto gli occhi.
Ci aveva provato in passato, ma i colpi che aveva ricevuto l’avevano indotta a rinunciare. Non si sarebbe più arresa, avrebbe continuato a combattere fino alla fine, non le importava quante sconfitte avrebbe dovuto subire, perché da quelle profonde ferite sarebbero uscite farfalle libere.
Non parlarono più, non ne avevano più bisogno: quelle poche parole che si erano scambiate erano state la miglior consolazione che Selene avesse potuto desiderare. Non era più sola, e questo le bastava.
Passarono svariati minuti, l’artista appoggiò il pennello al cavalletto e ripose la tavolozza. Si asciugò il sudore della fronte e si avvicinò alla sua modella.
– Abbiamo finito. – disse e le tese una mano per aiutarla ad alzarsi.
Quella la prese e le rivolse un timido sorriso. Si passò una mano fra i capelli e sembrò ricordarsi solo in quel momento di essere nuda. Si coprì il seno e l’inguine con le braccia e fece un passo indietro, verso il soppalco, su cui inciampò e cadde all’indietro.
Morrighan rise e si chinò su di lei, la prese per le braccia e la tirò a sé, aiutandola a rimettersi in piedi.
– Ora ti puoi anche rivestire, se vuoi! – le diede una pacca sulla spalla e la spinse verso la sedia sulla quale aveva lasciato i vestiti della ragazza; quella li prese e se li rimise.
Si infilò la felpa e afferrò il suo giubbotto, si arrestò di colpo e portò una mano alla fronte.
– Diamine! – sbottò. – Mi sono dimenticata di avvisare mia madre, devo tornare a casa immediatamente!
Quella non ci voleva, chissà quanto si stava preoccupando! Doveva essere a casa da quasi due ore, ormai.
L’artista si passò una mano fra i capelli. – Scusa, è colpa mia: non dovevo trascinarti qui in quel modo…
– No! – esclamò Selene. – Non è affatto colpa tua! Non hai fatto niente di male, anzi… – il tono della sua voce iniziava a vacillare – sono stata bene qui con te.
Si morse il labbro e distolse lo sguardo. Morrighan le accarezzò il viso e appoggiò la propria fronte sulla sua.
– Ti accompagno a casa, ok?
L’altra annuì ed entrambe uscirono dall’edificio. Camminarono per alcuni minuti, fino ad arrivare nei pressi di una palazzina. La più giovane si fermò e voltò a guardare l’altra.
– Io abito qui. – disse, nelle sue parole si poteva leggere un po’ di dispiacere di essere già arrivati a destinazione.
Le due ragazze si avvicinarono, nessuna delle due aveva intenzione di andarsene per prima. Selene torturava una ciocca dei suoi capelli, attorcigliandola alle sue dita, con lo sguardo perso a fissare il marciapiede, troppo timida per guardare l’artista che, invece, teneva gli occhi fissi su di lei.
Morrighan si sporse in avanti e le prese il viso fra le mani, la trasse a sé e la baciò.
La ragazza spalancò gli occhi per la sorpresa, il cuore le batteva all’impazzata. Quando si staccò da lei, si sentì delusa, insoddisfatta. Voleva rimanerle ancora accanto.
La guardò negli occhi, per la prima volta da quando si erano incontrate, le cinse la vita con le braccia e sfiorò le labbra della pittrice con le proprie.
Questa volta non sarebbe scappata, avrebbe tenuto duro fino alla fine. Non voleva perdere quella ragazza che, in poche ore, l’aveva fatta stare bene come nessuno prima. Era l’unica in grado di farle provare quelle sensazioni di leggerezza e sollievo, non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo.


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Valutazione e giudizio del Writers Arena Rewind
Grammatica e sintassi: 7.5
Capacità espressiva: 7.5
Rispetto parametri e traccia: 7.5
Originalità e creatività: 7

Per quanto riguarda l’originalità e la coerenza della trama ho qualcosa da ridire. Trovo difficile che una ragazza con problemi nel relazionarsi con gli altri, che addirittura va dallo psichiatra (il che presuppone che riceva delle cure farmacologiche) per tentare di combattere i suoi attacchi di panico riesca ad approcciarsi immediatamente ad una perfetta sconosciuta che, per giunta, invade il suo spazio e le chiede di posare - nuda - per un suo quadro. Già è piuttosto irrealistico che una persona mediamente estroversa accetti una proposta simile, figuriamoci una che è terrorizzata (e cito) dalle persone. Quindi l’originalità ne soffre inevitabilmente: tutte le reazioni della protagonista risultano ‘forzate’, rispetto alla condizione di partenza, come se si fosse costretto il personaggio ad agire così perché si voleva far finire insieme le due protagoniste. Trovo che entrambe siano buoni personaggi, soprattutto Selene, e che abbiano ottime potenzialità: basterebbe, a mio avviso, approfondire di più quel loro contatto. Non trovo che sia impossibile arrivare a fidarsi di qualcuno, per Selene, anzi; ma questo non può avvenire in tre ore scarse (due delle quali passate nuda a posare).
Come grammatica ci sono pochi errori o imprecisioni: per esempio, ad un certo punto Selene china la testa in avanti fino a toccare con il mento le scapole (le scapole sono sulla schiena, penso tu intendessi dire le clavicole), oppure “un cesto […] era piena di”. Nessun errore grave, comunque, e lo stile è immediato, anche se a volte risulta lievemente forzato.
La citazione di Alda Merini è stata inserita meravigliosamente, mentre ho qualche perplessità maggiore rispetto a quella di Stefano Benni - l’avrei forse vista meglio a chiusura della storia, quando si parla di Selene che decide di affrontare il ‘mondo’ per stare con lei.
In conclusione, la storia non è male, ma considerando il potenziale che se ne può trarre sono costretta a non dare voti più alti. Togliendo le incongruenze più grosse ne può venire fuori qualcosa di veramente bello.



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The writer's rant
Volete un commento alla fic fatto col senno di poi?
Fa schifo.
La valutazione del giudice è più che corretta: è incoerente e anche infantile, aggiungerei. Tutte cose di cui non mi sono accorta mentre scrivevo, ma che ora sono più che palesi, cercavo di far stare insieme Sel e Morrighan quasi forzatamente, e la storia ne ha risentito.
  
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