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Autore: Marciux    11/06/2012    3 recensioni
Cinque anni prima della lotta per salvare il mondo. Sephiroth è convocato a Nibelheim per la sua ultima missione da SOLDIER, ma non può immaginare che cosa il destino abbia in serbo per lui. Un personaggio insospettabile trama alle spalle degli altri, celato nell'ombra. Il Pianeta è vittima di minacce ben diverse da quelle contro cui Cloud e gli altri combattono.
Genere: Azione, Generale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aeris Gainsborough, Sephiroth, Un po' tutti, Vincent Valentine
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
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Capitolo XIII

 

La sfera di forti emozioni che pulsano nella mia testa è contenuta nello stretto condotto in cui striscio lentamente, trascinandomi dietro Masamune. Le parole di Hojo rimbombano nella mia mente, così come milioni di immagini balenano davanti ai miei occhi; da quelle più nitide, come il viso impaurito di FalsAerith e l'espressione folle di Hojo, a quelle ormai lontane e sfocate, risalenti a quella terribile notte in cui tutto è iniziato. Il mio cervello non riesce a sostenere il peso di tutte le informazioni che ha ricevuto oggi.

 

Non so dove sto andando. Non so che cosa mi succederà nei prossimi minuti, a dire il vero non so neanche che cosa faccio qui. Sto scappando dalle persone che mi credono un nemico, dalle persone che potrebbero imprigionarmi; ma forse sto scappando anche da Hojo, che mi vuole a tutti i costi coinvolgere in questa complicata faccenda. La mia meta è casa mia – mi domando se mai la rivedrò; ma forse è anche il mio alter ego, lo spettro dalle mie sembianze, alias FalSephiroth. Si aggira per i piani della ShinRa, ma perché? Due dei servi di Aerith sono qui, in questo momento, e questa non può essere una coincidenza. Qualcosa sta per accadere, e in un modo o nell'altro io sarò immischiato.

 

Ho male alle gambe. Questa fuga sta diventando estenuante, quanto tempo sarà passato? Forse ore. Chissà che cosa sta succedendo a casa. Gaiana sarà già in allarme per la mia assenza ingiustificata, Eydìs starà piangendo, la signora Knife starà scuotendo la testa con disappunto. Ma che ho fatto per meritare questo? Le mie ginocchia continuano a trascinarsi lungo il pavimento metallico dei corridoi che serpeggiano tra i piani e gli uffici dell'azienda. Ogniqualvolta mi ritrovo di fronte ad un bivio, prendo una direzione a caso, senza stare troppo a pensarci. Potrei anche aver girato a vuoto per ore. Ogni tanto borbotto tra me un solo nome: Lucrecia.

 

Qualche volta il corridoio vira verso l'alto, con una dolce salita o con una scala a pioli. In quei momenti posso sgranchire un po' le gambe, ma stare in piedi mi costa fatica. La testa mi gira e certe volte mi sento come se stessi per perdere conoscenza.


 

«Signorina, lasci stare quei documenti, ha già fatto troppi... stia attenta con quell'inchiostro!»


 

Lancio un breve sguardo oltre la grata alla quale sto passando di fianco, intravedendo una disputa tra due sagome, una delle quali si dimena con una certa furia. Subito dopo mi ritrovo ad arrampicarmi su una scaletta, issandomi lentamente verso il piano superiore. Qualche tempo più tardi mi fermo per riposare, sdraiandomi sulla schiena. Cerco di liberare la mia mente dai numerosi pensieri molesti. Chiudo gli occhi, mi concentro sul buio. Il quantitativo di ossigeno di cui ho a disposizione è piuttosto scarso ed inizio ad avvertire un sentore di claustrofobia. Stranamente, invece, non ho ancora starnutito una volta, e temo di non trovarmi in un posto molto pulito.


 

«Ma papà! Ti pregooo!»

«Non se ne parla. Stai zitto e fermo, sto lavorando»


 

Due voci spezzano il filo dei miei pensieri. La prima infantile, la seconda di adulto.


 

«Ti ho detto... Stai...! Se non stai buono ti darò un vero motivo per piangere! Altro che parco!»


 

Effettivamente il bimbo inizia a frignare, in modo incredibilmente straziante. Non credo che Eydìs sia capace di emettere suoni simili.


 

«Tu... mi avevi promesso!» sono le parole affannate che riesco a captare tra singhiozzi e spasimi.


 

Chissà come reagirebbe l'uomo, nel sapere che il temibile Sephiroth è vivo e si trova a meno di qualche metro di distanza da lui. Immagino filerebbe di corsa al parco assieme al suo pargolo. Mi rimetto carponi e torno a camminare, alzando gli occhi al cielo. Non è proprio il momento giusto per sorbirmi capricci di bambini. Mi ritengo abbastanza fortunato con mia figlia, lei è abbastanza matura per la sua età.


 

Il riposo non è servito a niente, son ancora più stanco di prima. La testa mi gira e comincio ad avvertire nausea. Il mio sistema nervoso sta raggiungendo il capolinea. Non posso sopportare altro. Mi costringo a liberare la mente, a pensare a cose stupide. Perché i condotti di areazione son grigi e non rossi?

Ora che ci penso, quando è l'ultima volta che ho portato Eydìs al parco? Non nell'ultimo anno sicuramente, e neanche l'anno prima. A dire il vero non ricordo di averlo fatto, da quando son costretto agli arresti domiciliari. La accompagna sempre Gaiana, altre volte mia suocera.


 

Non credo che questo sia il momento migliore per rifletterci su. Mi arrampico per l'ennesima scala a pioli e avanzo lungo un silenzioso corridoio. Fin troppo silenzioso, qui non si sentono le voci degli impiegati. Raggiungo una grata laterale e osservo un ufficio vuoto, ma illuminato. La ventola al soffitto gira con un debole ronzio, causando scompiglio sui documenti della scrivania. La sedia è rovesciata per terra.

Aggrotto le sopracciglia. Con il cuore che batte forte, attendo. Non un rumore, non una voce, non un movimento. Cautamente, spingo la grata in avanti, e quella ruota sui cardini, lasciandomi un ristretto passaggio per uscire dal labirinto. Non so dove sono – sicuramente son il più distante possibile dall'uscita – ma troverò un altro modo per fuggire di qui, non ne posso più di camminare carponi.

Mi calo nella stanza, ma le gambe non riescono a reggermi, così cado sulle ginocchia, con un grande dolore. Trattengo un ruggito di rabbia, ma Masamune avrà già richiamato l'attenzione dell'intero edificio, con il suo clangore. Mi metto a sedere, distendendo le gambe, e restando come in attesa dell'arrivo di qualche guardia. Non credo di essermi rotto niente. Certo, se fossi allenato, sarebbe tutta un'altra storia. Mi alzo, lentamente, e raccolgo la spada. Mi guardo attorno. La porta è socchiusa. Mi avvicino ad essa e la apro, con un debole cigolio. Il silenzio regna anche nel lungo corridoio, in cui molte altre porte sono aperte. La tremolante luce al neon conferisce all'andito bianco un aspetto spettrale. Poi i miei occhi sono attratti da un largo alone scuro sul pavimento. Con un lieve capogiro, muovo qualche passo verso la macchia. Non c'è dubbio: è sangue.


 

Ancora una volta mi volto e scruto l'ambiente attorno a me. Niente, non c'è nessuno. Mi accorgo, però, che più avanti il pavimento è imbrattato da una seconda striscia di sangue. Senza indugiare troppo, seguo le tracce, girando con cautela per i corridoi e salendo al piano superiore. Improvvisamente, mi rendo conto di dove mi trovo. Una delle stanze più importanti e sfarzose dell'intero palazzo. Questo è l'ufficio del Presidente ShinRa. Poche volte fui convocato al suo cospetto, ma ricordo ogni particolare di questa sala. L'alto soffitto retto da colonne, il pavimento lucido, l'immensa vetrata che offre il tetro panorama di una Midgar già avvolta dalle tenebre; la scrivania, costituita da un'enorme semicerchio dietro al quale...


 

«Tu! Che fortuna! Pensavo non arrivassi più!»


 

Una voce femminile mi costringe a voltarmi di scatto, provocandomi un altro capogiro. Il mio cuore martella nel petto. Aerith cammina verso di me, avanzando dal fondo della sala. Le braccia incrociate, mi osserva con aria soddisfatta, come se la sua giornata avesse preso una piega piacevole.


 

«Che cosa gli... Che cosa...?»


 

Mi manca il fiato. Torno a guardare la scrivania, come per controllare di aver visto bene. Il presidente ShinRa è accasciato sul piano, ed è palesemente morto. Il suo abito rosso è stracciato e i suoi pochi capelli biondi son schizzati di sangue. Una lunga spada attraversa il suo petto da parte a parte. Una smorfia di terrore è stampata sul suo volto grassoccio.


 

«Sei stata tu!» esclamo io, spalancando gli occhi e dando le spalle al cadavere.

«Io? Non se ne parla proprio» nega lei, continuando a camminare, mentre io indietreggio per tenermi a distanza. Nei suoi occhi lampeggia lo sguardo beffardo che ricordavo.

«Tu... come sei entrata qui, come...?»

«Sephiroth, Sephiroth. Rilassati. Prendi un bel respiro, stai rischiando l'infarto. Certo, capisco che sei stravolto dalle conseguenze delle tue avventate azioni...»

«Quali azioni? Che cosa stai dicendo?» esclamo io, sempre più confuso. Un vero e proprio terrore si è impadronito di me. Non sono nelle condizioni di combattere, non ora. Sono fuori allenamento, son stanco e per di più la testa mi gira come se avessi bevuto troppo.

«Sephiroth, nel caso non te ne fossi accorto, è la tua spada ad aver ucciso il vecchio. Questo potrebbe essere un indizio lampante...»

«Ma che...?»


 

Aerith ha ragione. Il presidente è infilzato da una perfetta copia della mia Masamune. Osservo quella che stringo nelle mani. Chiudo gli occhi e cerco di concentrarmi. Ma che diavolo...


 

«È uno degli spettri» ragiono io. «Non possono trasformarsi solo in persone»

«Ma bravo. Questo, però, lo sappiamo solo in due. Ora, quindi, meglio levarci dalla scena del crimine, non vorrei che la guastassimo accidentalmente...»

«Noi non ci muoviamo di qui. Ora arriveranno tutti e...»


 

Le voce mi si spegne in gola. Aerith scoppia a ridere.


 

«Sia che rimaniamo qui, sia che ce ne andiamo, il colpevole di tutto sarai sempre e solo tu» spiega lei, in un fastidioso cinguettio.

«Dov'è l'altro Sephiroth?»

«È andato a sbrigare una faccenda al Dipartimento Scientifico. Là c'è qualcosa che mi interessa parecchio...!»


 

Un lampo attraversa la mia mente. Jenova. Il mio cuore oggi è stato davvero messo a dura prova e mi chiedo quanta tachicardia dovrà ancora subire.


 

«Così sei qui per prendere Jenova» dico io lentamente.

«Ma certo. Non ricordi? Ne avevo piuttosto bisogno. Ah, giusto, non ti ho spiegato il perché. Ma non credo che sia necessario, no?»


 

La mia mente lavora febbrilmente. Non so se la ragazza possa ancora leggere i miei pensieri ma non devo correre rischi. Lei mi scruta con sospetto.


 

«Perché fai quella faccia? Che cosa...»


 

Senza indugiare oltre, mi lancio all'attacco, brandendo Masamune con entrambe le mani, ma Aerith è più veloce e balza di lato, evocando il bastone dal nulla, e colpisce con una stoccata il mio fianco, spedendomi a terra dolorante. Tutto attorno a me gira vorticosamente e ho addirittura un conato di vomito.


 

«Peggio dell'altra volta. Che hai fatto in questi ultimi anni? Ti sei dato al giardinaggio

«Tu...» ansimo io, interrompendola, «hai mandato qui una tua copia per distrarre Hojo e, nel mentre, hai ordinato al falso me di uccidere il Presidente e andare a prendere Jenova. Perché proprio stasera? Sapevi che sarei venuto?»

«Che cosa stai dicendo sulla mia copia? Lei è qui?» chiede la ragazza, aggrottando le sopracciglia.

«L'hai mandata tu! Stai cercando di nuovo di prendermi in giro?»


 

Aerith mi scruta con sospetto, poi solleva gli occhi in atteggiamento di riflessione.


 

«Che coincidenza. Andrei a recuperarla, se solo ne avessi l'occasione. Ma no, forse mi tornerà utile in qualche modo»

«Che diavolo stai dicendo?» ruggisco io, fuori di me, e un altro conato mi costringe a zittirmi.

«I miei piani non ti concernono. O meglio, ma non c'è bisogno di dirti tutto. L'edificio è stato evacuato, dopo che è stato avvistato un Sephiroth girare in lungo e in largo e far fuori metà dei Soldier che nutrono le file della Shinra...»

«Che... cosa?»

«... ma prima o poi qualcuno arriverà. Ho già predisposto un testimone del delitto, girava da queste parti e ho pensato di servirmene, l'ho giusto addormentato per un po', non si sa mai che senta più del dovuto...»

«Tu sei totalmente... sei... Non so perché tu accanisca così contro di me, ma, giuro sul Pianeta, tu la pagherai!»


 

Mi rialzo, reggendomi a stento sulle gambe, ma tanto io quanto lei sappiamo che la situazione è ridicola. Riesco a malapena a sollevare Masamune. È finita. Non posso fare niente.


 

«Si avvicinano dei passi. Meglio allontanarsi» taglia corto Aerith.


 

Ad un gesto del bastone metallico, la vetrata va in frantumi, con un rumore assordante. La piccola mano della ragazza mi afferra per il colletto e mi trascina lontano. Un vortice di colori e luci balena attorno a me, sino a quando l'impatto contro un duro pavimento non mi strappa un grido di dolore, mentre il mio corpo rotola ancora per la forza con cui è stato scagliato. Il grave cielo color pece incombe sopra di noi. Ansante, cerco di mettermi in ginocchio, ma ogni parte di me brucia per il dolore. Colgo l'immagine sfocata e traballante di una Aerith che si avvicina lentamente. Siamo su un terrazzo, in cima alla struttura che domina sulla città. Tossisco violentemente, sputando sangue.


 

«Non so proprio che farne di te. Ucciderti o tenerti prigioniero? Non vorrei compiere azioni avventate»


 

La voce di Aerith è una lontana eco e, sebbene riesca a distinguere le parole, mi è impossibile capire. L'unica cosa certa è il dolore. Dolore ovunque. I miei occhi son colmi di lacrime.


 

«... vorrai... Terra Promessa...»


 

Un lampo improvviso abbaglia la mia vista offuscata. Riesco a distinguere di fronte a me un'accesa macchia rossa. Un secondo lampo e mi sento investire da un'ondata di energia. Il mio ansimare si calma e i sensi riprendono un po' della loro efficacia. Una figura alta mi dà le spalle; tutto ciò che vedo è un lungo mantello rosso e una capigliatura scura.


 

«Tu?»

«Buonasera, Aerith» pronuncia, una voce calma e profonda. «Spiacente di interromperti. Hai giocato fin troppo, per oggi»


 

Un forte vento scompiglia i miei capelli, così come quelli dell'uomo. La mia mente riprende pian piano a funzionare. È stato lui a curarmi?


 

«Che cosa fai qui?» sibila Aerith, fuori di sé. «Come... dopo tutto questo tempo...»


 

Non avevo mai sentito tanto nervosismo nella voce della ragazza. Chi è questo qui, ora?


 

«Quest'uomo viene con me. Non ostacolarci»

«Hai il coraggio di metterti contro di me? Questa sì che è una sorpresa»

«Stai oltrepassando il limite, Aerith. Un giorno ti pentirai amaramente di tutto questo. Ci puoi giurare»


 

La voce è una fredda sentenza.


 

«Stavolta non ti lascerò scappare» risponde Aerith, con voce tremante.


 

Con entrambe le braccia, fa roteare il bastone sopra la sua testa, scatenando una tempesta d'aria, ma l'uomo, rapido, impugna un revolver e spara un colpo verso di lei, disarmandola. Poi avvolge attorno a sé il mantello, tramutandosi di nuovo in una sagoma scarlatta, e, fulmineo, sfreccia contro di me. Una salda presa al petto mi mozza il fiato, poi tutto attorno a me diventa nero.

  
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