Sconosciuti
prima di tutto
Quando
tutte le paure riaffiorano, il cielo è di pesca su questa città sconosciuta.
Ho
dimenticato le raccomandazioni di quelli che non smettono mai di viaggiare, di
quel vecchio alla stazione che non riesce a trovare la strada di casa o di mio
fratello che prima che partissi mi ha riempito lo zaino di mappe.
Quelle
mappe sono diventate coperte nella mia prima notte sul ciglio della strada poi
tovaglie nel primo pranzo del mio viaggio, non mi hanno mai indicato la strada
perché mi sono perso subito.
Mi
sono perso nel tempo in cui “Ti sei perso Rob”è diventata una cantilena nella
mia testa o nel tempo in cui ho incrociato gli occhi di una sconosciuta ferma
in attesa sul binario opposto al mio.
Ero
perfettamente in me mentre attraversavo i binari vuoti e le urla spaventate dei
passanti cercavano di allarmarmi.
Cercavo
di essere in me mentre mi avvicinavo alla ragazza ferma in attesa del suo treno,
del suo viaggio.
Non
ero in me quando le parole che cercavo per iniziare a parlare con lei divennero
solo monosillabi sconclusionati quasi sussurrati.
Quando
tutte le paure riaffiorano e le guancie sono pesche su questa sconosciuta “ti
sei perso Rob”.
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Ha
il sole in faccia questo sconosciuto, per questo i suoi occhi sono sottili come
fessure di una tapparella.
Ha
il sole in bocca quando le sue labbra leggermente screpolate si muovono per
dire qualcosa.
Il
treno entra in stazione come un siluro, va più veloce del sole che si muove in
questo ragazzo, fa più rumore del suono della sua voce, copre tutto.
Forse
dovrei dire qualcosa, il mio treno è arrivato e non posso perderlo, non posso
perdermi di nuovo.
-Questo
è il mio treno- urlo indicando la carrozza che stridente ha appena rallentato
sul binario.
-Forse
è anche il mio- risponde anche lui urlando anche se non serve più.
Sorpresi
da quell’improvviso silenzio, mescoliamo i nostri occhi, ci studiamo a vicenda.
Lo
osservo e capisco che non è da molto in viaggio, la barba è ancora un accenno, i
vestiti ancora troppo ordinati e puliti, negli occhi l’eccitazione di un viaggio
ancora da definire.
Io
il mio viaggio, lo porto addosso come una corona non troppo luccicante ma che
abbellisce, forse nei miei occhi c’è la consapevolezza che nessun viaggio è
davvero improvvisato, che c’è una strada da seguire anche quando non c’è
nessuna indicazione.
-Rob-
Rob allunga la sua mano e si presenta. Che cos’è un nome? Per Shakespeare era
una sequela di belle metafore e promesse d’amore eterno, per me è solo un
vestito che a volte ti sta stretto a volte, ti va enorme, che copre le tue
nudità e che non ha bisogno di specchi per mostrarsi.
-Francis-
stringo la sua mano e vedo sulla sua faccia l’effetto della mia voce.
Chissà
se sulla mia, lui ci ha visto la sua di voce, calda e musicale che mi cantava addosso
al suo nome.
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-Mi
sei mancata, anche se non ti conosco-, vorrei dirle se avessi coraggio, ma sono
un codardo che salta sui binari e viaggia senza meta.
-Sei pazzo- mi dice lei quando le chiedo di
ballare con me sulle note di un violino scordato.
-Sei
pazza- le dico quando senza neanche troppa insistenza accetta di ballare con
me.
Il
treno non ha pagato il biglietto per questo spettacolo, neanche i passeggeri o
i passanti ma l’arte è generosità e balliamo gratis per loro ma soprattutto per
noi.
Quasi
inciampiamo nei nostri piedi e nei nostri pochi bagagli ma non inciampiamo mai
nella musica, fa parte di noi così stonata e leggera, assomiglia a Francis.
La
faccio girare come una trottola nella sua salopette di jeans che Francis non
riesce a riempire con il suo corpicino leggero a tratti spigoloso.
Poi
la stringo a me, attacco la mia fronte alla sua i nostri capelli ci fanno il
solletico a vicenda ma non ci stacciamo perché il solletico fa ridere.
Quasi
siamo fermi, quasi la musica non si sente più, quasi nella stazione ci siamo
solo Francis ed io, quasi perché poi apro gli occhi e tutto è di nuovo intorno
a noi.
Ma
io la stringo ancora e con gli occhi aperti è più bella, così reale, così
profumata, così tra le mie braccia sono perfettamente suo.
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Tra
il treno e la biglietteria c’è un nodo che non riesco a sciogliere.
Io
e Rob siamo un groviglio che ha ritmo e melodia, un disordine così equilibrato
che sembra ordine ma che ha un tumulto dentro che è come un’esplosione.
All’improvviso
ho paure sconosciute, speranze inesaudite e un calore che mi avvolge.
La
musica è finita ma sono ancora perfettamente sua.
-Devi
andare?- la mia domanda mi muore in gola ed è un sussurro tra le nostre labbra
vicinissime.
Francis
annuisce – devo tornare a casa- mormora poco dopo.
-Sarò
la tua casa- le direi se avessi coraggio.
-Io
sto scappando dalla mia- le dico invece stringendo la sua vita alla mia.
-Direzioni
opposte allora- e il suo sorriso è così triste che non è un sorriso.
Mollo
la presa e piano ci allontaniamo ,i nostri bagagli ancora intorno, tra i nostri
corpi la lontananza di un addio.
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Il
sole è nei suoi passi mentre si allontana da me e lì tra i suoi passi, vorrei
esserci anch’io.
Ma
il treno alle mie spalle sbuffa come una caffettiera, mi sta aspettando.
Non
posso perderlo.
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Francis
ha il sole sulle guancie, un sole che è diventato una mela e lascia i suoi
spicchi un po’ dappertutto.
Li
sento anche su di me questi spicchi dorati che bruciano sul viso come lacrime
luminose.
I
suoi spicchi bagnano, hanno il colore dell’acqua mentre le attraversano il viso,
le finiscono sulle labbra, muoiono sul mento.
Muoio
anch’io.
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Con
il treno ancora fermo, attraversando il corridoio non perdo l’equilibrio e mi
conquisto il finestrino.
Rob
e ancora lì fermo, dove abbiamo ballato e ci siamo intrecciati, mi ha vista
aldilà del finestrino opaco e i suoi occhi sembrano vuoti.
Il
sole è quasi tramontato ed è tutto in ombra.
-Posso
sedermi?- la voce di una signora mi fa sussultare.
-Certo-
dico spostando il mio zaino dal sedile di fronte al mio.
Nell’ombra
vedo ancora Rob immobile, sembra una statua di pietra piena di crepe pronta a
frantumarsi al minimo tocco o forse al tocco giusto.
-
Siete amici?- la signora ammicca verso la sagoma di Rob.
-No-
rispondo lapidaria continuando a guardare Rob.
-
Siete innamorati?- chiede insistentemente lei.
-No-
la guardo e vorrei rispondere con un tono piccato ma la mia risposta è solo la
risposta triste a una domanda triste.
-Cosa
siete allora?- e vorrei e potrei mandare questa ficcanaso a quel paese.
Potrei
infilare le cuffie nelle orecchie e non pensare alla sua domanda ma mi
sorprendo.
-Sconosciuti
prima di tutto- rispondo.
La
signora tace finalmente ed io mi volto per l’ultima volta verso Rob mentre il
treno si muove, ma lui non c’è più.
-Sconosciuti
prima di tutto- ripeto chiudendo gli occhi quasi sospirando e la mia voce rimbalza
sul finestrino e vorrei vederci riflesso l’effetto di quell’eco triste.
Prima
che il treno arrivasse, che il sole ci vestisse, che annodati ballassimo una
canzone stonata, prima che Rob stringesse la mia vita ed io la sua.
Eravamo
sconosciuti.
“Prima
che Francis e Rob si conoscessero” sento sussurrarmi nell’orecchio.
E
prima che possa voltarmi e rimanere a bocca aperta, ecco sul finestrino Rob e
Francis, riflessi, annodati, sconosciuti prima di tutto.
Prima
di questo.
The End