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Autore: yuki013    12/06/2012    3 recensioni
"Riuscì a scorgere il momento in cui si allontanò, oltre le strisce pedonali, scomparendo di nuovo nella nebbia dei ricordi della sua adolescenza.
«Kakeru!», lo chiamò.
Ma la sua figura era già svanita, lasciandolo ricadere nel bozzolo di finta felicità [...] che, invece di trasformarlo in farfalla, sarebbe stata la sua prigione e tomba."
[Manga: Kasa no Shita, Futari - Keisuke/Kakeru]
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Probabilmente sarò l'unica a scrivere su questo fantastico manga, ma proprio non mi andava di lasciare il sito senza una storia, per quanto banale possa essere, su Mio e Yugi-san. Perché trovandomi a tradurre e riscrivere le loro parole, mi sono pure ritrovata un pò nella storia.
E non dovrei fare pubblicità occulta al forum, ma tant'è... Oh insomma, leggetelo pure in arabo se vi va, ma è un manga che vi consiglio caldamente, così come tutte le opere di Junko.
Prima o poi scriverò anche di Tachibana che viene brutalmente picchiato e strisciando a terra prega Keisuke di aiutarlo.
Devo forse aggiungere quale sarà la sua risposta? ♥
-Yu


Bozzolo.


Da lontano, lo sguardo perso oltre un quotidiano sgualcito che teneva tra le mani, Mio osservava Fuyuka dondolarsi sull’altalena, canticchiando allegramente un motivetto imparato all’asilo. Le trecce scure si muovevano per aria, coprendole di tanto in tanto i vispi occhi verdi che le donavano sempre un’aria più matura di quella che suoi effettivi cinque anni d’età avrebbero dovuto dimostrare.
Keisuke amava la sua bambina, così piccola eppure così intelligente, riflessiva, spigliata: tutti pregi di sua madre, da lui aveva preso al massimo la natura ribelle dei riccioli che da piccolo gli ricadevano sul viso paffuto. Le sorrise calorosamente quando lei lo salutò dalla cima dello scivolo con la manina, catturando la sua attenzione perché la guardasse scivolare giù per il tubo ad elica.
Il vociare dei bambini era quasi rilassante dopo una settimana di intenso lavoro d’ufficio: il suo nuovo ruolo di caporeparto gli piaceva, la paga era decisamente migliore, ma gli straordinari lo spossavano fin troppo. La domenica era l’unico giorno in cui poteva veder sorridere sua figlia, e tutta la stanchezza accumulata in sei giorni sembrava svanire di fronte alla sua espressione felice quando le chiedeva dove sarebbero andati a giocare quella volta.
Con un sorriso la guardò stringere la mano di un’altra bimba con lunghe ciocche castane che le arrivavano fino in vita, riversandosi sul fiocco dell’abitino blu che indossava. La seguì quando salutò Fuyuka con un piccolo bacio sulla guancia, com’è tipico dei bambini, per dirigersi al limitare dell’area giochi, probabilmente dal proprio genitore.
Fu in quel momento che Mio perse qualunque interesse per il mercato finanziario, abbandonando il giornale da qualche parte sulla panchina di legno.
La bambina teneva per mano un ragazzo che avrà avuto qualche anno in più dei suoi ventiquattro, il quale discuteva animatamente con un uomo più basso di lui. Il primo lo avrebbe riconosciuto fra mille, aveva ancora la sua faccia da cazzotti stampata nella memoria: Tachibana.
Quel che sconvolse Keisuke fu il comprendere, in un istante che gli tolse dai polmoni quel poco fiato che vi era rimasto, che il suo interlocutore altri non era che Yugi Kakeru.
Yugi. Quel Yugi. Yugi-san.
Il primo ed ultimo uomo della sua vita.
Osservò come ancora una volta Yugi stesse tentando di dire qualcosa, soffocando le parole sul nascere perché lo sguardo di Tachibana era terribile – uno sguardo quasi vacuo, occhi impietosi che sembravano urlare un chiarissimo “no” a qualunque domanda si potesse porre loro. E poi, così com’era apparso, se ne andò con la mano della bambina stretta nella sua ed un’occhiata stizzita al suo vecchio amico.
Fu istintivo per Keisuke alzarsi, allungare la mano per chiamarlo. Solo le lacrime di Yugi, immobile oltre la siepe che costeggiava il piccolo parco, riuscirono a fermarlo. Lacrime che aveva già visto, lacrime che non poteva fermare – non quando la sua Fuyuka gli strattonava la giacca perché si era macchiata la gonnellina di fango e voleva che lui gliela ripulisse.
Si maledì per la sua impotenza, per il suo essere inutile, ancora una volta.
Riuscì a scorgere il momento in cui si allontanò, oltre le strisce pedonali, scomparendo di nuovo nella nebbia dei ricordi della sua adolescenza.
«Kakeru!», lo chiamò.
Ma la sua figura era già svanita, lasciandolo ricadere nel bozzolo di finta felicità che con il suo falso matrimonio felice aveva costruito con pazienza, riempiendolo di menzogne e lasciando fuori ogni singolo ricordo che appartenesse a Yugi-san.
Quel bozzolo che, invece di trasformarlo in farfalla, sarebbe stata la sua prigione e tomba.
 
 
 
Istintivamente portò la mano sinistra alla ricerca della sveglia, osservando con un tic infastidito del sopracciglio che erano ancora le due del mattino.
Sbadigliò in silenzio, cercando di scacciare dalla mente le immagini dell’incubo appena avuto. Al suo fianco, nel mondo dei sogni, Kakeru riposava placidamente con un braccio sotto il cuscino e l’altro stretto al petto magro, ancora lievemente sudato per le attività non proprio caste della serata.
Keisuke se lo strinse addosso, strappandogli un sospiro compiaciuto prima che lo sentisse ricambiare l’abbraccio nel sonno ed appoggiargli una guancia all’altezza del cuore. Si aprì in uno di quei suoi sorrisi da ebete, che a Kakeru piaceva tanto sfottere.
Quei sorrisi che solo Yugi provocava, e sempre e soltanto a lui erano rivolti.
 

La primavera infine arrivò, liberando la farfalla dal suo gelido bozzolo.

 

   
 
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