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Autore: Atemlos    12/06/2012    0 recensioni
Un incubo che attanaglia ogni singola notte.
Un prologo per qualcosa di estremo ed inarrestabile.
Un semplice sogno...
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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L’oscurità invade la stanza, la domina in tutto il suo splendore nullo.
Il tuo respiro è pesante, lo avverti a fatica ma è qui con te. Una boccata d’aria ti si blocca in gola, rimane sospesa e non sembra avere l’intenzione di liberare il suo rumore soffocato. Il cuore batte all’impazzata, quasi voglia abbattere quella barriera composta da sangue e carne unita alla pelle. Il suo rimbombo crea un eco assordante lungo le pareti, raggiungendo il tuo udito e le cavità più profonde della tua mente.
Vorresti farlo smettere, oh se vorresti farlo smettere; hai paura, una paura tremenda. L’aria fluisce, infine, dalla tua gola e si libera nell’atmosfera.
Ti chiedi dove tu sia finito, dove siano le coperte calde ad avvolgere il tuo piccolo corpo. Piccolo, sì, perché tu sei piccolo e minuscolo, insignificante creatura confusa e spaesata dall’ambiente buio ed umido in cui poggi le tue speranze. Un fragile bambino, il calore di un abbraccio ti colpisce il centro del petto e pare voglia divorarlo, scombussolarlo.
Bruciore agli occhi, hai bisogno di un punto di riferimento per capire dove ti trovi. Dov’è il tuo letto, con quell’aria famigliare ed il profumo di vaniglia appena colta? Dove sono le tue macchinine, quelle che hai ricevuto in dono per il tuo compleanno? Dov’è la luce? Dove sono le candele accese che ogni singola notte brillano solamente per te?
Hai paura. Paura di dar sfogo alla tua disperazione, alla tua vista che giureresti sarebbe annebbiata da una lacrima innocente.
Mordi il labbro inferiore con veemenza, avvolgi le tue ginocchia alle guancie, facendole combaciare come due tasselli nati per essere uniti. Le dita ad accarezzare la folta chioma bionda che ti ritrovi ed anch’essa profuma di vaniglia, come le tue coperte ed il suo cuscino morbido. Desideri affondarci, questo silenzio è assordante e no, non riesci a sopportarlo.
Hai paura, il terrore che uno di quei mostri si avventi su di te con il loro sorriso sadico, invitandoti a non temerli e giocare a nascondino insieme.
Un nuovo sospiro ti si blocca in gola, un tintinnio udito poche volte, estraneo alle tue conoscenze. Ti fa spalancare le palpebre e ti obbliga a guardare nella sua direzione. Una goccia umida si è separata dal labbro, avvolto in una morsa perpetua e contigua. Ha percorso la strada con una velocità tale da apparire infinita e lenta, si è abbattuta in una distesa di materia liquida, viscosa e molto simile alla consistenza della goccia; infine si è dispersa, unendosi ad altre gemelle sue simili. Una luce fioca avvolge la stanza, di bassa luminosità, tanto quanto basta per poter visualizzare la tua figura, nonostante vieti d’esplorare tutto quello che ti circonda.
La scena è visualizzata dalla tua vista, sorprendemente lucida come non mai; quegli stessi occhi che hanno ammirato la profumata erba del giardino, assaporato il pasticcio di crema che ti era stato posato davanti qualche giorno prima, osservando lo sguardo dolce ed amorevole di una figura a te estremamente importante. Dov’era? Per quale motivo non si trovava lì con te, ad abbracciarti e ripeterti che i mostri non esistono, a dimostrarti il suo affetto per te?
Le tue mani abbandonano la nuca, scivolando lungo il viso fino ad arrivare alle labbra, toccandole ed esportando quell’essenza ferrea che si è fulmineamente impossessata delle tue viscere e del tuo olfatto. Porti l’indice di fronte ai tuoi occhi: la punta è macchiata di un colore rossastro e continui a fissarla, immobile e tremante. La visuale si sposta verso il basso, dove la prima goccia si era unita ad molteplici altre. Milioni, miliardi, centinaia di migliaia di altre gocce umide e rosse... la bocca si spalanca, un odore forte e nausente ti fa irrigidire; le tue piccole caviglie ne sono sommerse, dipinte di quel colore. Le braccia avanzano uno scatto, andando a scontrarsi col terreno sommerso dall’essenza cremisi.
Il liquido ti bagna la pelle mentre un suono alle tue spalle ti fa sobbalzare: dei passi, violenti e veloci. Non fai in tempo a voltarti che una luce accecante si abbatte su di te, la quale ti farà serrare le palpebre con i palmi delle mani, umidi e sporchi di quel rossore. Il corpo è indietreggiato di qualche centimetro, una porta si è spalancata e da essa –oltre al bagliore- vi è acceduta anche una presenza.
L’avverti avvicinarsi, il passo svelto ed il respiro accellerato; quel respiro che tenti di riconoscere, lo stesso che hai sentito rimbombare sulla tua guancia ogni notte prima di cadere tra le falde acquose dei sogni. Si avvicina con furore ed avverti due mani gelide afferrarti il viso e, nonostante la tua paura, apri gli occhi per focalizzare la figura. Lo sguardo s’immobilizza di fronte a due occhi azzurri come il mare, le sue onde intente a frastagliarsi con furia sul tuo mondo. Delle ciocche bionde ad incorniciarle il viso magro e terrorizzato, quasi furioso; il tempo si è fermato, osservi nei minimi particolari le piccole lentiggini che contornano un naso piccolo e raffinato, come stelle su un piano pallido luccicano nel riflesso lucente della porta spalacanta alle sue spalle, il tuo corpo oscurato dal suo, esile e femminile. Una. Dieci. Venti. Cinquanta, cinquantuno, cinquantadue, cinquantatré...
«Piccolo...» un sussurro affrettato che interrompe il conto di quegli astri, soffice aria calda si posa sul tuo viso, squadri la provenienza di quella parola: delle labbra lucide e carnose, impazienti di produrre altri suoni; tentano di fuoriuscire, invano. La senti deglutire, per poi riprovare la dolce sensazione di calda aria sulla tua pelle.
«S-scappa, non guardare indietro. La nostra scorciatoia, il nostro ripostiglio, te lo ricordi? D-devi andartene qui... io ti raggiungerò, ok?» la furia cieca con la quale pronuncia quelle parole ti fanno sussultare, non ne comprendi il senso; il suo volto scruta continuamente lo spazio alle sue spalle per poi ritornare su di te.
«Andrà tutto bene, tesoro... tu devi solo...» non conclude la frase, le sue parole vengone sopraffatte da un fastidioso ronzio proveniente dal corridoio, dove una figura scura raggiunge la stanza con passo avanzato. Regge un oggetto tra le mani, producendo quel nauseante suono che rimbomba lungo le pareti. Non avverti più le mani della donna sulla tua pelle, ti senti svuotato all’improvviso, il battito cardiaco si è fermato. Lei è in piedi davanti a te, il corpo rivolto alla figura sulla porta, quasi a volerti proteggere dall’uomo che ormai avanza nella stanza. Affoghi le dita in quel lago di liquido rosso, aiutandoti con la pianta dei piedi ad indietreggiare fino a toccare la fredda superficie del muro... la donna, lei indietreggia a sua volta mentre l’oggetto ed il suo possessore avanzano. Guardi quella scena con gli occhi spalancati, la paura s’impossessa nuovamente di te... tenta di parlargli e tu cerchi di scovare le sillabe fra tutto quel frastuono.
«Ti prego... non... lascia vivere il bambino, tu non puoi farci questo, non puoi fare questo a lui!» l’uomo si limita al silenzio, mentre gli occhi in tempesta della donna si posano nuovamente nei tuoi. Una lacrima scivola lungo il suo viso, arrestandosi all’increspatura delle labbra.
«Vai, scappa!» ma tu non senti le sue parole, resti immobile a fissarla con un bruciore terribile agli occhi. D’un tratto tutto si rabbuia, il ronzio si espande ed il respiro incontrollato di lei si unisce al tuo, avverti gli occhi lucidi di fronte a quella visione. Con uno scatto felino, l’oggetto raggiunge la pelle della donna, la squarcia, la apre fra le grida incontrollate di lei. Un ruggito animalesco fuoriesce dalla bocca dell’uomo, mentre il tuo respiro si blocca e la mente memorizza ogni singolo fotogramma.
Vorresti urlare, vuoi serrare gli occhi e spazzare via quello scempio dalla tua visuale... scottante liquido macchia le tue guancie ed i tuoi vestiti, urla strazianti ti stordiscono e le tue gambe iniziano ad arrovellarsi nervosamente. Il ronzio è altalenante e nei picchi più alti delle sue note scoppi in un pianto furioso, liberi i tuoi polmoni in gridi acuti e ricolmi di parole. La disperazione ti invade, avverti il dolore che prova la donna sulla tua pelle, ti sembra d’impazzire, non capisci, non ragioni... spingi le tue mani al terreno, la schiena contro al muro per poi coprirti le orecchie con quelle stesse mani, sporche ed umide. Ma le tue grida continuano, continuano in una disperata altalena, quelle immagini sono lì ed è come se migliaia di aghi ti squarciassero la pelle. Il ronzio persiste, le grida di un mare in un temporale si abbatte nella stanza e le fai congiungere con le tue. Scalci con i piedi, le dita tirano dolorosamente le ciocche dei tuoi capelli e non vuoi fare altro che urlare, svuotare i tuoi polmoni con quel nome, invocare invano e sperare sia solo un brutto sogno... perché non capisci cosa stia succedendo, perché sei un bambino e ti mancano le tue macchinine, vuoi le tue macchinine, vuoi il tuo silenzio, vuoi il tuo letto, vuoi far tacere quel ronzio, vuoi arrestare il tuo olfatto e vuoi che quel odore di ferro smetta d’insidiarsi nelle tue viscere, vuoi scappare, vuoi morire, urlare, gridare, uccidere, vuoi che finisca, vuoi la tua...
«Mamma!»
   
 
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