Capitolo
1
Pioveva
a
dirotto quando l’aereo atterrò a Edimburgo quella
mattina. In effetti pioveva
così forte che i passeggeri furono costretti a ripararsi
alla bell’e meglio con
felpe, valige o giornali, ognuno come poteva. Melissa scese di corsa le
scale
dell’aereo strizzando gli occhi e coprendosi il volto con le
mani, cercando di
vedere qualcosa oltre il groviglio dei suoi lunghi capelli biondi che
il vento
agitava e faceva ricadere a mulinello sulla sua faccia. Con un ultimo
salto
entrò nell’autobus diretto
all’aeroporto, e con la mano libera abbassò il
cappuccio della ventina sospirando profondamente.
Dall’autobus, oltre le
minuscole goccioline di pioggia che si riversavano imperterrite sul
finestrino,
si distingueva appena la campagna brulla dei Lothian. La Scozia in
inverno non
dava il meglio di sé, questo lo sapeva. L’aveva
letto nella guida Routard
regalatale da sua madre prima di partire e che ora si trovava nella
tasca
destra del suo zaino Eastpack. Almeno
lei è asciutta pensò
e un
sorriso amaro comparve sulle sue labbra. Finalmente,
l’autobus raggiunse l’area
di sbarco dell’aeroporto ed i passeggeri scesero al coperto,
riversandosi
fradici e stanchi nelle code per il controllo del passaporto. Per
fortuna non
c’era molta gente sull’aereo e ne giro di un quarto
d’ora Melissa si ritrovò
fuori dall’aeroporto, nella periferia di Edimburgo.
Corse
fino alla
fermata del fly-bus* più vicina, arrancando sotto il peso
della valigia tanto
che il conducente, impietosito, la aiutò a sistemare il
bagaglio nell’apposito
scomparto. Dopo averlo ringraziato con un debole sorriso, Melissa si
lasciò
cadere su un sedile in fondo e raccolse i capelli bagnati in una coda.
Mise la
ventina su un sedile vuoto ad asciugare e, data un’occhiata
al finestrino, si
disse che non c’era niente di meglio di un po’ di
musica per distendere i nervi
già messi a dura prova dal lungo viaggio. Aveva appena
aperto lo zaino Eastpack
rosso per prendere l’Ipod, quando il suo sguardo si
fermò sulla tasca destra,
dove era custodita la preziosa guida Routard. La aprì e tra
le sue pagine trovò
i depliant del collegio dove i suoi avevano deciso di mandarla a
studiare. Si
mise a sfogliarli con le dita bagnate, facendo attenzione a non
rovinarli. I
depliant si dilungavano in descrizioni di varie attività
extra-scolastiche, dal
tennis alla pallanuoto, dal corso di cucina a quello di yoga.
L’immagine della
scuola, una tenuta in stile neo-classico dei primi del ’800,
si stagliava
nitida a lato di ogni pagina. Ad accompagnarla, scritto in eleganti
caratteri
neri, un trafiletto dove si elencavano le proprietà della
scuola, che, a quanto
pare, si estendeva per
Dio,
ho la
nausea.
Con
un colpo secco
abbassò il finestrino dell’autobus:
l’aria fresca e la pioggia che picchiettava
leggera sul suo viso la fecero sentire subito meglio.
Doveva
essere
contenta. Era finalmente riuscita a scappare di casa, da quella piccola
realtà
provinciale che ultimamente le andava troppo stretta e di cui si era
sempre
lamentata. Eppure perché ora si sentiva come se un grande
macigno gravasse sul
suo cuore? Perché non riusciva ad essere felice?
Ma
chi cercava
di prendere in giro...lei non voleva andarsene, né tantomeno
abbandonare i suoi
genitori proprio ora che erano in pericolo. D’altra parte
cercare di
disubbidire al loro ordine era stato impossibile: non li aveva mai
visti così
irremovibili. E così ora si ritrovava esiliata in Scozia,
spedita sul primo
volo della mattina assieme a pochi bagagli preparati in fretta e furia
e una
nuova identità...
L’autobus
si
fermò a Prince Street Gardens e i passeggeri incominciarono
a scendere. Melissa
chiuse la guida con uno scatto e, afferrati zaino e valigia, si fece
strada tra
la giungla di gente della city scozzese. Edimburgo può
sembrare all’apparenza
una città piccola, nulla in confronto a metropoli come
Londra o Parigi, ma
offre comunque molte piacevoli e sorprendenti opportunità a
un ignaro
visitatore, nonché una garanzia di ottimo shopping.
Lasciò la valigia al
deposito bagagli della stazione dei treni, e senza più
impiccio, procedette
agilmente lungo le strade della città vecchia, verso la
principale area di
negozi. Topshop, Zara, H&M, Monsoon ma anche Louis Vuitton,
Dior,
Gucci...miriadi di insegne luminose, eleganti, in maiuscolo o
stampatello
troneggiavano sopra ogni vetrina, promettendo chissà quali
delizie o miracoli.
Ora che era immersa in questa città caotica e vibrante di
energia, la tristezza
si era dileguata e anche il ricordo dei genitori diveniva sempre
più lontano.
Melissa si guardò in girò spaesata ma anche
segretamente euforica. La
assaporava finalmente, la libertà, quella sensazione, tra le
più appaganti
della vita, dell’essere esattamente dove dovresti e
all’insieme vorresti
essere. Era come se Edimburgo, con i suoi giardini
all’inglese e le sue case
vittoriane, fosse stata lì per tutto il tempo ad aspettarla
e, una volta
arrivata, le avesse aperto le braccia dicendole “Benvenuta a
casa”. Melissa si
sentiva veramente a casa, in mezzo al caos cittadino dell’ora
di punta e
circondata da quei negozi sfavillanti. Accoglieva con un sorriso tutto
quello
che era diverso dalla piccola realtà di provincia da cui
proveniva e a cui non
voleva mai più fare ritorno.
Dall’area
prettamente commerciale si diresse verso il centro città,
vagando senza meta
tra le vie strette e contorte che caratterizzavano la Edimburgo
vecchia, segno
evidente di un retaggio medievale e che conferivano un’aura
di eternità e
storicità alla città. Passeggiò
così per più di un’ora, senza meta,
osservando
assorta la città che si agitava frenetica sotto i suoi
occhi: donne che
portavano i bambini all’asilo, uomini con la ventiquattrore
che parlavano
concitati al telefono, venditori che reclamavano i loro prodotti ai
bordi delle
strade. Tutto di quella città le piaceva,
dall’architettura degli edifici alle
vecchie insegne dei pub, perfino le caratteristiche cabine telefoniche,
rosse
quasi quanto il suo fedele zaino Eastpack la affascinavano. Quando fu
circa
mezzogiorno e il sole lattiginoso fece capolino da dietro le pensanti
nuvole
che avevano riversato pioggia per tutta la mattinata, Melissa
incominciò ad
avvertire un leggero languorino. Decise allora di prendere un autobus e
andare
a mangiare al porto, che la sua amica Anna una volta le aveva
consigliato di
visitare. L’aria impregnata del fresco profumo della pioggia
si mischiava a un
acre odore di salsedine sollecitandole le narici. Melissa
trovò un posticino
carino vicino al porto dove, secondo la sua guida, facevano le migliori
chips
della città e girò quindi per il porto di Leith
osservando le varie
imbarcazioni attraccate sul molo e sbocconcellando patatine. La brezza
marina
le solleticava piacevolmente il viso e le agitava i capelli colore
dell’oro,
ancora umidi per la pioggia. Chiuse gli occhi inspirando
l’aria di Mare del
Nord, quello stesso mare che sotto di lei si increspava in piccole onde
che a
sua volta andavano a infrangersi spumeggiando contro le rocce della
riva del
molo.
Continuò
a camminare
con gli occhi chiusi fino a che non andò a sbattere contro
qualcosa, o meglio
qualcuno che giungeva dalla direzione opposta. L’impatto fu
abbastanza forte da
buttarla a terra senza però farle male.
-
Oddio, scusa!
Ti sei fatta male?
Dopo
un
primo momento di disorientamento, Melissa alzò gli occhi
verso la figura
misteriosa in cui si era imbattuta. Era un ragazzo, a occhio tra i
diciotto e i
venti anni, giacca scura e portamento elegante e..ah sì! Il
dettaglio più
importante: era decisamente l’esponente del sesso maschile
più bello che avesse
mai visto. Sul suo viso regolare erano incastonati due grandi occhi
verdi da
gatto, così espressivi che sembrava comunicassero
ciò che anche mille parole
non sarebbero state in grado di esprimere. Le labbra morbide e
leggermente
carnose erano incurvate in un’espressione di sincera
preoccupazione mentre i
folti capelli ondulati danzavano sui suoi zigomi pronunciati. Ci volle
circa
una frazione di secondo perché Melissa osservasse tutto
questo e passò
altrettanto tempo perché un acceso colorito roseo le
imporporasse le guance. Il
ragazzo le tese la mano, grande e forte, e la aiutò a
rialzarsi. Melissa
fortunatamente si riebbe e riuscì a sussurrare un flebile
grazie. Si guardò
intorno: tutto sembrava al suo posto tranne le sue chips che, meno
fortunate di
lei, si erano riversate nelle profondità del mare con un
sonoro flop. Il
ragazzo le sorrise e nel farlo, le sue labbra si dischiusero lasciando
intravedere una dentatura bianca e perfetta.
-
Mi dispiace
tanto. Non ti ho proprio vista.
-
Oh,
tranquillo...è tutto a posto, non mi sono fatta male.
-
Quella però
non mi piace per niente…
Il
ragazzo le
indicò una leggera ferita sul suo braccio che, seppur
superficiale, aveva
incominciato a sanguinare impercettibilmente. Melissa non se ne era
neanche
resa conto, persa com’era a contemplare il misterioso
arrivato, ma ora che lui
gliela faceva notare avvertì un lieve bruciore nel punto in
cui si era fatta
male e si sentì leggermente nauseata alla vista del rivolo
di sangue che le
scorreva lungo il braccio.
-
Questa, oh!
Non è niente, ti assicuro. Un po’
d’acqua e sarà come nuova.
Come
nuova?! Ma
che cavolo sto dicendo!
-
Ecco.
Il
ragazzo le
porse un fazzoletto di stoffa bianco e lo premette delicatamente sulla
ferita
per fermare il flusso di sangue. Nel farlo, sfiorò piano il
braccio di Melissa
mantenendo il contatto per un paio di secondi e facendole venire la
pelle
d’oca. Il gradevole profumo di menta e tabacco emanato dal
fazzoletto finemente
ricamato di lui, riusciva a coprire l’odore ferroso e
leggermente salato del
liquido vischioso, facendo riavere la povera ragazza che ormai pendeva
letteralmente dalle labbra del dolce straniero.
Molti
scambierebbero la situazione di Melissa per un banale colpo di fulmine,
se
possiamo chiamare così il tale stato di confusione mista a
gioia profonda che
si era impossessato della giovane ragazza, tanto da farle desiderare di
sprofondare dieci volte sottoterra, o meglio sott’acqua, per
paura di dire o
fare qualcosa che l’altro avrebbe giudicato stupido o
sconveniente.
-
A proposito,
io sono Will.
La
voce calda e
rassicurante del ragazzo riportò Melissa alla
realtà per poi farla sprofondare
come un macigno nell’abisso dei suoi pensieri. Non poteva
rivelargli il suo
vero nome, non avrebbe dovuto nemmeno rivolgergli la parola!
Passò qualche
minuto di silenzio e vedendo che la ragazza non rispondeva, Will fece
un
secondo tentativo.
-
E tu sei?
-
Prego?
-
Come ti
chiami?
-
Oh, sì!
Scusa, io mi chiamo...Asia.
La
ragazza
arrossì violentemente cercando di nascondere il suo evidente
imbarazzo. Il
ragazzo incominciò a ridere divertito e il suono caldo della
sua risata
riecheggiò nel porto per poi perdersi nel leggero vento di
ponente.
-
Beh, piacere
di conoscerti Asia. Cosa posso fare per rimediare?
-
Io, ecco, non
lo so…
-
Ti va un
caffè?
Melissa
non
riusciva a crederci. Questo sconosciuto di nome Will non solo sorbiva
le sue
stranezze senza battere ciglio, ma la invitava anche a bere qualcosa.
Mentre si
dirigevano lungo il porto alzò gli occhi per osservare il
cielo: le nuvole si
stavano ritirando lasciando spazio alla luce brillante del sole
pomeridiano.
Lontano, sulla riva, un gruppo di gabbiani si contendeva gracidando un
avanzo
di pesce.
Si
prospettava
un pomeriggio indimenticabile.