Le
parole che non ti ho detto
Sbatto
la porta.
Silenzio.
Si,
succede sempre così, quando torno a casa, la
notte; ormai mi sono abituato a quella quiete tormentata, a quel
silenzio che
sembra urlarmi in faccia anni di parole taciute.
Dove
sei?
Vado
avanti, nel buio. Ho gettato la bottiglia di
Gin nell’aiuola che lei aveva
curato
con tanto amore, la domenica prima, mentre io non c’ero.
Io
non c’ero.
Cerco
di tenermi in piedi, ma continuo a barcollare,
la mente ancora annebbiata dall’alcol che è entrato a fiumi nel mio
organismo,
come ogni sera da troppi anni, ormai. Sento rumore di passi sul parquet
lindo,
probabilmente lucidato la stessa mattina dalla donna delle pulizie.
Trattengo
il respiro. Ho paura.
È
lei, è
sveglia. Di nuovo. Mi immagino il suo bel viso femminile guardarmi
sorridente,
come succedeva nelle sere estive di diversi anni fa, quando sia io che
lei
eravamo poco più che bambini. Le sue labbra erano così
morbide…
Rocky.
Il
mio cane si avvicina scodinzolando, gli occhi
nocciola luminosi alla vista del suo amato padrone; per lui è semplice,
non gli
importa il fatto che ogni sera torno ubriaco, che sono assente per
settimane
intere.
Lui
non sente quel silenzio assordante che mi
picchia le orecchie.
«Billie,
dove sei?»
«Non
torno, questa sera.»
Mi
abbasso e accarezzo le orecchie pelose
dell’animale, appoggiando una mano sul lucido mobile in legno di mogano
per
tenermi in piedi, ancora troppo sbronzo per capire ciò che sta per
succedere.
Abbandono
il cane, ancora una volta, per inoltrarmi
nel cuore della casa.
Quella
casa che trascuro così tanto che ora fa male.
Appena
metto un piedi in salotto, facendo il meno
rumore possibile, la luce si accende, accecando la mia vista,
inducendomi a
mettermi una mano davanti agli occhi.
Questa
volta è lei.
Se
ne sta seduta sulla poltrona, la testa abbassata
verso il pavimento. Indossa la solita vestaglia a fiori per cui l’ho
presa
tanto in giro in passato, dicendole che assomigliava ad una vecchia
casalinga
disperata. Ricordo che rideva sempre quando la apostrofavo con quel
nomignolo.
Ora
sento quella risata come un ricordo sfumato nei
miei pensieri, che sbiadisce, mi scappa, scivola…
Rimango
lì impalato, incapace di muovere un muscolo,
di dire una parola, perché ormai il silenzio ha preso il sopravvento in
questa
casa, in questa mia vita. Sto fermo sullo stipite della porta, la mente
un po’
addormentata, gli occhi rossi di chi ha appena passato una serata
movimentata.
E
lei sta lì.
«Mi
vuoi sposare?»
«Si.»
Alza
la testa e i suoi penetranti occhi neri mi
catturano. Vorrei non dover guardare in quell’oceano oscuro, non ci
riesco, mi
fa male. È troppo per me. Io non
sono
mai stato forte e determinato come lei.
Lei
che
è una forza della natura, un uragano che ti risucchia e ti fa girare la
testa.
Lei
che
ora ha gli occhi lucidi e pieni di lacrime, il volto stanco di una
donna di
mezza età che ha subito troppe ingiustizie, le rughe che le scavano un
po’ nel
viso, dovute alle mie continue assenze; i capelli trascurati, legati
alla
veloce con un elastico comprato al mercato.
Lei
bellissima.
«Adie…»
Adrienne.
Adrienne
splendida, giovane, chiara, incantevole.
Adrienne
incinta, con il pancione e il sorriso
stampato in viso, l’aria di chi non vede l’ora di iniziare la vita con
il suo
amore, il suo sposo, il suo compagno di vita.
Lo
stesso che l’ha uccisa lentamente.
Dove
sei finita, Adie?
Alza
una mano per farmi tacere. Lei è sempre stata
così severa, aveva paura di amare, di farsi amare, ma io l’ho amata. E
lei mi
ha amato.
Dov’è
finito quell’amore, Adie?
Vedo
che si sta trattenendo, che vorrebbe scoppiare
a piangere, perché la conosco, lo so che non vuole mostrarsi debole ai
miei
occhi, non vuole esporsi. Ormai non si fida più di me.
L’ho
uccisa.
Mi
avvicino di un passo, lei si ritrae sulla
poltrona come se avesse appena visto un fantasma, come se avesse paura di me. Io che l’ho amata così
tanto, che l’ho desiderata nei miei sogni più profondi.
Io
che l’ho uccisa.
Dove
sono finite le parole? Non riesco a parlare,
vorrei dirle che ho sbagliato tutto con lei, che quando sono in tour
con Mike e
Trè penso a lei, penso a quanto è bella, quanto la amo. Quanto mi manca.
«Mi
manchi, amore mio.»
«Anche
tu mi manchi, Billie.»
Ma
ormai non servirebbe più a nulla, ormai l’ho
persa. Adie non dà mai una seconda possibilità, non lo ha fatto nemmeno
con la
sua migliore amica, quando aveva provato ad andare a letto con me, anni
addietro. Eppure a me ne ha già date troppe di chance.
Speranza.
«Vattene,
Billie Joe. Vattene o me ne andrò io.»
La
sua voce, di solito dolce ed allegra, mi arriva
come un pugno nello stomaco, dura e irremovibile, come la Adrienne che
ho
conosciuto tanti anni fa, in quella sera estiva sulla spiaggia, tra il
fuoco
del falò e il mare caldo di Agosto.
La
guardo.
Vorrei
dirle che sono stato un idiota, che anche se
non tornavo a casa la notte e passavo le serate in vecchi pub marci o
che avevo
dato il meglio di me con la musica, trascurando lei e i miei bambini,
io non
avevo mai smesso di amarla.
Ti
amo così tanto che fa male, Adrienne.
Non
riesco a dire niente, non so cosa fare. Mi sento
come un bambino piccolo al suo primo giorno di scuola, spaesato e
spaventato,
incapace di emettere un solo suono.
Mi
sento come se il mio cuore fosse stato sbattuto
contro un muro ripetute volte, per poi essere stato calpestato e
triturato da
una forza senza scrupoli.
Io
l’ho uccisa.
La
colpa è mia e solo mia, lo so, l’ho sempre
saputo. Lo sapevo quando salivo sul palco davanti ad una folla di
ragazzine
eccitate, conscio del fatto che lei era
a casa a guardarmi alla televisione, con i nostri bambini e Rocky.
«Torna
Billie, non ce la faccio più qua, da sola.»
Ma
io non tornavo, no.
Rimanevo
con i miei compagni di baldoria ad
abbandonarmi ai fiumi dell’alcol, alla droga, al sesso con decine di
donne
superficiali in cerca di celebrità.
Ti
ho tradito, Adie, amore mio.
E
lei lo sapeva.
Lei
sapeva che toccavo la pelle di altre ragazze,
più giovani di lei; sapeva che dormivo in alberghi lussuosi,
condividendo il
letto con splendide donne prive di anima.
E
anche quella sera, prima di tornare a casa, mi ero
lasciato fottere da una tipa qualsiasi, di cui neanche conoscevo
l’identità, di
cui non mi interessava saperne di
più
della taglia di reggiseno.
E
lei lo sapeva.
Faccio
per toccarle il braccio, perché ho il bisogno
disperato di sentire la morbidezza della sua pelle, del suo profumo di
pesca, quello
che tanto ho amato quando stavo dentro di lei, quando mi sarei voluto
perdere
in lei, senza mai dovermi staccare dal suo corpo.
Si
scosta, si alza dalla poltrona lasciandomi lì in
piedi a guardare un mobile in stoffa che mi era sembrato bello quando
lo
avevamo comprato, ma che ora vedevo un po’ vecchio, un po’ ammuffito e
sgualcito. Avrei dovuto cambiarlo oppure cercare di sistemarlo?
«Com’era
lei, Billie? »
Sento
la sua voce strozzata, le parole morirgli in
gola, nonostante il tono sia spavaldo, sprezzante, per farmi capire che
non ha
paura di me, che non le interessa di perdermi. Ma io so che non è così,
io so
che sta tremando, lo fa sempre.
Non
posso risponderle, non posso farle ancora più
male. Vorrei dirle che non c’è stata nessuna, quella sera, ma non è
così, non
posso mentirle, non di nuovo. Non ho il coraggio di fare uscire quelle
parole
che lei tanto vuole sentire.
«Adie,
ti prego…»
Allungò
la mano verso di lei, abbassandola subito,
consapevole di non poterla toccare.
Forse
mai più.
«Dimmelo.»
Sospiro.
So che quando si mette qualcosa in testa è
impossibile farle cambiare idea, quindi è inutile discutere: lei lo
vuole
sapere.
Ti
amo così tanto da farmi male.
«Alta,
bionda, capelli lisci e occhi azzurri.
Magra.»
Le
parole mi escono a fiotti, non ci penso due volte
perché altrimenti non avrei più le palle di dire ciò che lei vuole
sentire. Ma
è la verità.
Quella
ragazza era proprio così. Le cerco sempre
uguali, come se facessi copia e incolla, perché non voglio assomiglino
ad
Adrienne, nessuna potrebbe anche solo essere simile a lei.
«Toccami,
Billie.»
«Ti
amo, Adrienne.»
La
amo. La amo ancora, la amo sempre, come il primo
giorno in cui l’ho incontrata, con quei suoi capelli ricci e ribelli,
che tanto
la fanno disperare e io tanto adoro.
La
amo e non so perché fuggo da lei, scappo e non mi
lascio prendere, corro via nel vento, lasciandomi dietro parole non
dette e
litigi silenziosi.
La
sto uccidendo.
Si
lascia scivolare a terra, la schiena contro il
muro, le mani sul viso a voler nascondere le lacrime che ora stanno
scendendo,
bagnando le sue splendide guance rosee.
Ti
amo così tanto da farmi male.
Non
riesco più a stare lì impalato a guardarla
soffrire.
Mi
avvicino a lei e questa volta non demordo, lotto
contro il suo disperato tentativo di liberarsi della mia stretta, so
che non
vuole essere toccata da me, si sente tradita, usata. Sa che ho toccato
altre
braccia prima delle sue.
Mi
siedo vicino a lei, tenendola stretta a me,
rassegnata a dover essere rinchiusa nella mia morsa. Non fa più
resistenza ma
si abbandona al mio abbraccio disperato, perché anche lei ne ha
bisogno, anche
lei deve sentirmi sulla sua pelle.
Le
annuso i capelli e sento quell’odore di pesca che
tante volte ho cercato in altre donne, ma mai ho trovato, perché
Adrienne è una
sola.
«Sono
stanca, Billie…» la sento singhiozzare, il
viso appoggiato sul mio petto. Le accarezzo una guancia, asciugandole
una
lacrima.
Anche
io sono stanco, Adie. Sono stanco di fingere di essere single per
vendere più
album, stanco di dover dar da mente a delle ragazzine innamorate.
Stanco di
bere ogni sera, stanco di fumare erba in compagnia di due uomini che
non hanno
alcuna intenzione di crescere.
Sono
stanco di stare lontano da te e i miei bambini.
«Ti
amo…»
Finalmente
riesco a dirlo, probabilmente dopo anni
che non lo ammettevo. Dopo mesi di silenzio, mesi di tortura lontano da
lei, la
donna della mia vita.
Non
ho più paura di lei, non ho più voglia di stare
zitto, devo parlare, devo amarla, devo stare dentro di lei. Ora.
I
suoi occhi incontrano i miei e si scaldano, come
se fossero entrati in contatto con un fuoco bollente. Non posso
abbandonare
quel contatto, così continuo a guardarla mentre poggio le mie labbra
sulle sue.
Sono
morbide come le ricordavo.
«Senza
te non sono niente, Billie.»
«Io
senza te non esisto, Adie.»
Vorrei
fare l’amore con lei in un modo disperato, ma
so che non vuole. So che ha bisogno del mio abbraccio, di tranquillità,
di
certezze. Non è in grado di darmi ciò che voglio e io non glielo
chiederò, le
ho già fatto troppo male.
L’ho
quasi uccisa.
«Vieni.»
Le
prendo la mano, ora consapevole della mia meta,
di ciò che le riempirà il cuore di gioia e forse la riporterà a me per
sempre.
Perché
io la voglio con me, per sempre.
Insieme,
uniti come deve essere, attraversiamo i
corridoi bui della casa, che ora non sembra più così solitaria, ma di
nuovo
colma di quello che ne è la sostanza: amore.
Apro
la porta della cameretta e, facendo silenzio,
entro con lei attaccata, conscio del fatto che ha gli occhi lucidi,
perché sa
cosa sto cercando di dirle; non ha bisogno che io le dica altre cose,
comprende
alla perfezione il significato di quel luogo.
Le
sorrido e vedo che ricambia, mentre insieme, mano
per mano, voltiamo i nostri occhi verso i nostri figli.
Ti
amo così tanto che sono felice.
****
Ho
scritto questa One-Shot in meno di
un’ora, dopo aver letto l’ennesimo articolo insinuante il distacco tra
Billie
Joe e la moglie, Adrienne, che ha ispirato questa mia storiella.
Spero
vi sia piaciuta, perché l’ho
scritta con l’anima. Lasciate un commentino se leggete, ve ne prego,
così saprò
cosa ne pensate.
Un
abbraccio,
la
vostra
Eryca.