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Autore: WhiteMask    15/06/2012    13 recensioni
John Watson ha una nuova fiamma, Sherlock scopre cosa sia la gelosia. Dal capitolo:
“So che vorresti sapere chi è la persona con cui mi vedo. Ebbene oggi te ne do la possibilità.” Cielo, fu imbarazzante. Gli sembrò quasi di vederlo scodinzolare. Era già lì. Pronto a seguirlo. Avrebbe potuto proporgli di indossare collare e guinzaglio e accidenti, qualcosa gli diceva che avrebbe accettato.
“Prenderò con lei il tè oggi pomeriggio. Poi, ceneremo insieme. Tu e Mycroft siete invitati a cena con noi. Ti invierò un sms con l’indirizzo e il luogo. Ci raggiungerete lì in orario e adeguatamente vestiti. Sherlock… prova a mettermi in imbarazzo ed entro la mezzanotte di oggi lascerò questa casa. Mi farò ospitare da lei. Sono stato chiaro?”
Sempre scodinzolando, Sherlock annuì entusiasta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oddio, sono secoli che non pubblico su questo sito.
Ammetto che non vedo l’ora di tornare abbastanza libera dal lavoro per poter scrivere con tranquillità.
È la prima oneshot che scrivo su questa coppie e su questo fandom, perciò vi prego di essere buoni, magari è tutto un gran pasticcio.
Inizialmente l’avevo pubblicata in un altro sito, per partecipare ad una simpatica iniziativa, ma dato che oggi su efp è un giorno speciale, ho pensato che pubblicarla anche qui, non avrebbe ucciso nessuno.
Se ci fossero errori, per favore fatemelo sapere, la mia beta è in piena crisi pre-esame e mi sembrava carino evitare di seccarla con certe quisquiglie..
 
 
 
 
Il tè segreto della Domenica.
(Come gli Holmes riescono a sconvolgerti la vita.)
 
 
John gli nascondeva qualcosa.
Non era una novità e nemmeno lo stupiva. John cercava continuamente di nascondergli le sue emozioni e i suoi pensieri. Forse era un retaggio del suo addestramento militare, o della sua naturale riservatezza ma John aveva la costante idea di dover essere ermetico, esprimendo a fatica ciò che provava.
Per questo motivo la storia con Sarah era finita. Così come con… tutte le altre.
Uhm, in effetti, John con le donne ci sapeva fare.
In ogni modo, da ormai qualche settimana, una volta a settimana, meglio precisarlo John spariva per ore.
La Domenica.
Tutte le domeniche, dopo pranzo, John usciva con un “Faccio una passeggiata.” e tornava solo per l’ora di cena.
Immancabilmente di buon umore.
Doveva ammettere che aveva fatto caso a tutto ciò, solo quando Mycroft una Domenica, era passato a prendere un tè e indirettamente lo aveva fatto notare.
Già quello, da solo era un atteggiamento sospetto, ma non era servito il suo super cervello per capire che non era una visita di cortesia.
Non si era però aspettato che lo scopo fosse complimentarsi con lui.
Mycroft Holmes, l’Uomo di Ghiaccio, così come Moriarty l’aveva soprannominato qualche anno prima, aveva ingoiato il rospo ed era andato di persona a complimentarsi col fratello minore.
“Sei riuscito a non farmi scoprire cosa state facendo, davvero bravo. Spero che alla fine mi dirai come tu abbia messo nel sacco tutti i miei uomini…” mormorò sorbendo l’ultimo sorso del tè preparato dalla signora Hudson.
Sherlock invece quasi ci si strozzò e ovviamente la cosa non passò inosservata al maggiore degli Holmes.
Si osservarono incuriositi, fino a quando il cellulare di Mycroft vibrò. L’uomo ascoltò per un momento poi, chiuse la chiamata, visibilmente seccato.
In pochi momenti Sherlock si ritrovò solo e con la consapevolezza che John gli stava nascondendo qualcosa.
 
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“Esci anche oggi?” John rimase con la bocca semi aperta, interrotto proprio mentre stava per annunciare la sua uscita.
Sherlock stava sdraiato sul divano, vestito di tutto punto per una volta, immerso fino a pochi momenti prima nel suo “mind palace.”. Solitamente non sarebbe dovuto nemmeno accorgersi della sua uscita, invece l’aveva preceduto, quasi come se avesse atteso quel momento.
John si schiarì la voce, non che ne avesse davvero bisogno, voleva solo un momento per riflettere. Ormai conosceva Sherlock così bene da sapere che sospettava qualcosa.
L’unico modo per non farsi mettere nel sacco era uscire da lì il più presto possibile. Senza dare troppe spiegazioni, grazie tante.
Per questo sbuffò un frettoloso “Poiché lo sai già, non c’è bisogno che perda tempo.” si voltò e uscì, sotto lo sguardo oltraggiato del coinquilino.
Oltraggiato, sì oltraggiato. Quello era John, il suo blogger, la sua ombra, il suo angelo custode… e lo aveva palesemente ignorato!
Non lo aveva ascoltato.
Se n’era andato, senza aspettare le sue deduzioni, questo gli faceva supporre che voleva a tutti i costi evitare che gli facesse domande.
Le rughe intorno agli occhi gli dicevano che non era in pericolo.
Aveva indossato i suoi vestiti migliori, compreso quel dolcevita indecente che Harry gli aveva regalato per il suo compleanno.
Da quando si erano riappacificati, quella maledetta non mancava mai di presentarsi a casa con qualche pensierino e John ricambiava con qualche consiglio più che azzeccato su come recuperare e curare il suo rapporto con la moglie.
Peccato solo che quel particolare dolcevita aveva lo sgradevole effetto di attrarre le donne su John come calamite.
Un continuo, odioso cicaleggio. Vocette acute e melense. Come John le sopportasse, era per lui un mistero.
Si era rasato e fatto la barba, aveva messo il dopobarba, ma non il solito. Ora che ci faceva caso, era un profumo troppo buono per gli standard di John. Sembrava costoso, molto costoso, sicuramente sopra la portata delle tasche di John e soprattutto, troppo in sintonia con il naturale odore della sua pelle. Non l’aveva comprato lui, qualcuno con soldi e buon gusto gliel’aveva regalato. Qualcuno che conosceva l’odore della sua pelle. Harry era da escludere, preferiva regalargli vestiti che mettessero in risalto il suo corpo da soldato, come se ce ne fosse stato bisogno.
Avrebbe pensato a Mycroft, ma il fratello ovviamente, non poteva conoscere l’odore di John, ne sapeva della colonia, così come i suoi uomini.
Per un folle istante pensò alla Donna, ma lei era al sicuro in America, con le mani in pasta (o nelle lenzuola) in parlamento, quindi era da escludere.
Escludeva a priori che fosse una delle solite ragazze che John si portava a casa, perché non ne aveva mai frequentata una con dei gusti così ricercati, erano tutte troppo dozzinali.
John stava combinando qualcosa di grosso, sperando che lui non lo venisse a sapere per il momento.
Perciò non fece altro che alzarsi e precipitarsi in strada, dietro il suo incauto e troppo ingenuo blogger.
Il suo ragionamento non era durato più di una manciata di secondi, troppo pochi perché il medico potesse distanziarlo davvero. Infatti, eccolo all’angolo della strada, il braccio teso a chiamare un taxi.
Ne fermò uno a sua volta, e indicò al conducente il percorso che secondo le sue previsioni, il taxi del medico avrebbe compiuto.
Avrebbe scoperto cosa stava combinando John, entro sera. Ne era sicuro!
 
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“Noto che sei ancora in alto mare.”
“Tu più di me, non pensare di darmela a bere Mycroft. Faresti meglio a cambiare inservienti, sono visibilissimi quando si mimetizzano in strada.”.
“Purtroppo in questo devo darti ragione. È incredibile la penuria di bravi agenti che stiamo avendo. Mi chiedo cosa insegnino in quelle accademie. “
Sherlock non infierì ulteriormente, anche perché, non avrebbe avuto senso. Sia lui, che il fratello avevano il vanto di due cervelli superiori, quindi molto probabilmente erano gli unici a saper distinguere un uomo che faceva jogging da un agente in borghese. Almeno lo sperava per la sicurezza dello stato. Aveva troppo da fare in quel periodo, per badare anche alle difese del regno.
“Qualche sospetto?” gli chiese Mycroft posando la tazza.
Sherlock sospirò, negando col capo.
“Non conosco nessuno che sia in grado di dirgli come evitare la nostra sorveglianza. È riuscito a seminarmi. Non era mai successo prima. Mai, Mycroft.”
“Ho fatto delle ricerche. Nessuno sa con chi si veda, né dove vada tutte le domeniche. È molto in gamba. Evita le telecamere di sicurezza, passa inosservato, cambia percorso senza seguire un ordine preciso… sembra il lavoro di un professionista.”.
Sherlock saltò in piedi misurando a grandi passi la stanza. “Non gliel’ho insegnato io Mycroft. So che non sei stato tu. Potrei giurare che non è in pericolo, è troppo tranquillo, ma qualcosa non torna. Ho controllato nella sua stanza e tra le sue cose. A parte una colonia molto pregiata, non c’è nulla di nuovo. Nulla che indichi una nuova conoscenza.”
Mycroft vide un’opportunità “Se quella colonia è un regalo, ci sarà un’impronta. Potrei risalire al proprietario o al luogo, dove l’hanno venduta, in un momento.” l’altro scosse il capo, frustrato “Ho già controllato. Le uniche impronte su tutta la boccetta sono di John. L’ha ripulita completamente. Quando torna a casa, non ha tracce, non ha segni, neanche un lieve sbavatura. Quasi come se fosse appena sceso dalla sua camera pronto per uscire, invece che essere di ritorno. Appena entrato, ha l’odore del ristorante cinese addosso, va lì a prendere la cena…”.
“Così da coprire eventuali altri odori. Ingegnoso. Davvero ingegnoso. Non me lo sarei mai aspettato da lui.”
“Non è da lui, Mycroft! John è trasparente, è franco e ingenuo. Ha votato la sua vita al Paese e a curare la gente. È un soldato e un medico, non uno stratega. Come fa a pianificare tutto senza sbagliare mai? No, sono sicuro che segua le indicazioni di qualcuno.”.
Il maggiore degli Holmes posò la tazza di porcellana e gli fece cenno di tacere.
Pochi istanti dopo entrò John accompagnato dalla signora Hudson che lo ringraziava per la cena… cinese.
Sherlock iniziava a odiare quei ristoranti.
“Sei passato dal solito ristorante, John?” gli chiese adocchiando la busta che aveva posato sul tavolo della cucina.
“Preferivo andare sul sicuro. Hai detto tu che questo in Baker Street è buono. Dato che non cenerò qui e che il frigorifero è deserto, di roba commestibile si intende, ti ho portato la cena. Non sapevo ci saresti stato anche tu Mycroft. Buona sera, a proposito. Perdonami se non ti ho salutato subito, se ti fermi a cena con Sherlock, posso fare un salto e comprarti qualcosa.”, John si affrettò a stringergli la mano, ignorando d’essere sotto l’esame di entrambi gli uomini.
In ogni caso, non c’era nulla di straordinario da dedurre. John aveva passato la giornata in ambulatorio. A quanto sembrava l’influenza stava colpendo soprattutto i bambini al momento.
“Non cenerai qui?” gli chiese Sherlock già predisposto a un inseguimento serrato. Non tollerava l’idea di essere seminato così.
“No, ho un impegno tra poco. Giusto il tempo per una doccia e dovrò uscire.”.
Mycroft gli sorrise, alzandosi “Non è in programma che io ceni qui. Ero venuto per farvi un saluto. Sono passato anche qualche domenica fa, ma tu non c’eri. Speravo di poter prendere un tè oggi, ma non ho considerato il tuo lavoro. L’epidemia influenzale è già cominciata, vero? Sei in ritardo. “
John rise, stupefatto come sempre dalle loro capacità deduttive. “Effettivamente è così, soprattutto tra i bambini. Suggerirei, come medico, a entrambi di fare il vaccino. Quest’anno sembra che il morbo sia feroce. Dato che entrambi sforzate oltre il limite, il vostro corpo, è possibile che veniate contagiati anche voi.” Le facce scettiche dei due lo divertirono, ma non si scoraggiò “So che non mi darete retta, ma il mio dovere almeno l’ho fatto.”
“Prometto che penserò al tuo consiglio. Piuttosto, pensi che sia possibile avere la tua presenza per un tè, questa domenica? Avrò un caso da sottoporvi.” Si scambiò uno sguardo con il fratello che colse l’imbeccata.
“Effettivamente è da un po’ che la domenica sparisci. Ti tiri a lucido ed esci… Nuova fidanzata?”
John non mostrò alcuna esitazione nel rispondere, “Vedo una donna, sì. Pensavi mi vestissi in quel modo per girare per Londra senza meta?” testardamente, Sherlock continuò le domande.
“Come mai non ne hai parlato?”
“Perché era ovvio e perché avresti voluto incontrarla.” Gli sorrise, controllando però l’ora.
“Ci sarebbe qualcosa di male?”
“Certo che sì. Sei troppo irritante con gli estranei, soprattutto con le ragazze con cui esco. Questa volta preferirei tu non la vedessi per il momento. Inoltre lei non è interessata a incontrarti.”
Borbottando, Sherlock lo incalzò “Continui a controllare l’ora, John. Hai appuntamento con lei questa sera?”
“Oh, no. Esco con Greg, andiamo a mangiare indiano.”
Sherlock quasi inciampò nella sua stessa vestaglia. Chi diavolo era Greg?
Non era uno dei suoi amici, loro ormai si erano rassegnati ai suoi ritardi - che poi fosse lui, Sherlock, a causarli, era un'altra storia – e non ci facevano più caso.
Però doveva essere qualcuno che anche lui conosceva, perché la signora Hudson non sembrava sorpresa, anzi; mentre Mycroft sembrava aver ingoiato un limone.
“Esce con l’ispettore Lestrade. È inusuale.” Commentò Mycroft, con la sua flemma solo un po’ esitante, la signora Hudson invece ridacchiò osservando invece che era più che normale che i due uscissero assieme.
I due Holmes la osservarono straniti, mentre John dichiarandosi di fretta, si congedò andando a fare la famosa doccia. Chiudendo bene a chiave la porta, perché con Sherlock non si era mai troppo sicuri. Quando voleva informazioni, ricorreva anche agli agguati.
 
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“Non posso credere che tu sia venuto. Davvero, pensavo che Sherlock ti avrebbe incatenato al divano piuttosto che lasciarti uscire da solo.” Lastrade stava godendosi la sua serata di riposo, seduto sul tappeto, con una birra fresca in mano. Un sogno.
“Greg, guarda che di norma esco tranquillamente, anzi piuttosto spesso a dir la verità. Sherlock al massimo mi fa arrivare in ritardo.”
L’ispettore rise, negando col capo. “Questa non me l’aspettavo. Pensavo che almeno ti seguisse ovunque. Come ho reagito quando gli hai detto con chi uscivi?”
John lo guardò un poco confuso, certo che presto avrebbe scoperto una nuova stranezza del suo coinquilino.
“A dir il vero mi è sembrato un po’ seccato. Ma era più concentrato a cercare di scoprire con chi esco la domenica.”
“Non l’ha ancora scoperto? È un record! Quanto è passato, un mese?”
“Due per la precisione. Ma se n’è accorto solo per colpa di Mycroft. Credo non abbia digerito il fatto che i suoi uomini non siano riusciti a seguirmi.”
Lestrade quasi si strozzò con la birra. “Schh! Non nominarlo, per carità. Quel rompiscatole è capacissimo di comparire qui su due piedi e rovinarci la serata.” Si guardò intorno, quasi aspettandosi di trovare il maggiore degli Holmes appostato dietro qualche poltrona colorata.
“Proprio non andate d’accordo, eh? Eppure hai molta stima di Sherlock.” Il medico osservò incuriosito il poliziotto, attendendo una spiegazione. “Non è una questione di rispetto. Assolutamente no. Per carità lui è il Governo, in persona. Nell’irritante persona di Mycroft Holmes, per essere precisi. No, credimi. Meglio frequentare Sherlock. Lui e il suo menefreghismo sono più gestibili di Mister so-chi-sei-e-cosa-hai-fatto-dalla-tua-nascita-in-poi Holmes.” John continuò a non capire, Greg sospirò e decise di dargli un consiglio “C’è una cosa che quasi nessuno sa degli Holmes. Sono dannatamente possessivi. Sul serio. Se decidono che qualcosa gli appartiene, non ci sarà verso di allontanarli da quel oggetto o quella persona. Hai visto Sherlock quando è in preda ad uno dei suoi momenti di follia. Pensa se qualcuno dovesse portargli via... che so, il violino. Sarebbe capace di uccidere, credimi. Sono gelosi da morire.” Finì la sua prima birra e ne ordinò un’altra. Doveva festeggiare. Niente Mycroft tra i piedi. Finalmente.
“Greg hai parlato di oggetti e persone, vuoi dire che...” un’occhiata eloquente dello yarder gli fece decidere di abbandonare l’argomento e bere la birra che portò il cameriere.
Quelle informazioni andavano elaborate con molta calma.
 
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“Sono felice che la colonia le sia piaciuta, Dott. Watson. È un sollievo sapere che non ho perso il mio tocco, nonostante la mia età.”
John sorrise alla donna, posando la tazza da tè. Bastavano poche parole per descriverla.
Bella, capelli ricci acconciati elegantemente sul capo, fisico snello e piacente. Viso ovale, naso alla francese, occhi azzurro-ghiaccio, molto espressivi. Sorrideva facilmente, ma John aveva notato che i sorrisi sinceri erano indirizzati solo a chi conosceva bene. “Non vedo come la sua età possa influire sul suo buon gusto. Comunque ho davvero apprezzato il suo pensiero, ma le ho già detto che non avrebbe dovuto. Non ho fatto nulla per meritarmelo.”
“Ah! Nulla per meritarselo. Salvare la vita di mio figlio le pare poco? Oh, mi creda. Conoscendo quel discolo, solo un uomo come lei avrebbe potuto prendersi la briga di salvarlo. Lasci che una madre la ringrazi per averle salvato il cuore.”
“Allora smetto di obbiettare. Non vorrei offenderla.” La donna rise di cuore, poi servendosi di un pasticcino, chiese “Allora… le sono serviti i miei consigli?”
John rise, ripensando allo sgomento di Sherlock quando aveva cercato le impronte digitali sulla boccetta di colonia. “Oh sì! Sherlock è molto seccato. A quanto pare non accetta l’idea di non riuscire a seguirmi. Lo stesso vale per Mycroft. I suoi uomini sono sempre meno attenti a mimetizzarsi.”
“Ah, ah, ah! Scommetto che cercheranno di seguire i suoi movimenti con la carta di credito! Mi raccomando non si faccia ingannare.”
“Oh, ho già pensato a questo. Non avrò problemi, questo gioco potrà continuare fino a quando lei vorrà signora.”
La donna lo osservò incuriosita. Ponderando ciò che sapeva dell’uomo che le stava di fronte.
“Lei è un bel uomo. Ha un aspetto rassicurante, modi gentili e affascinanti. Per quanto possa sembrare innocuo, scommetto che ha molto successo con le donne. Lo vedo da come si comporta con me. È galante, educato e rispettoso. Sa come muoversi, cosa dire e cosa tacere.
Se non avessi capito cosa cerca davvero, mi stupirei della sua condizione di scapolo.”
John considerò le sue parole, abituato com’era a Sherlock, non ci mise molto a capire che cosa intendesse. "Sono felice che ci sia qualcuno che non trovi strano il fatto che un ex-soldato faccia fatica a trovare quella giusta.”
La donna finì il tè “Oh, non credo proprio che trovare la persona  giusta sia facile. Però deve ammettere che spesso le nostre inibizioni ci impediscono di vedere che lei, la persona, è al nostro fianco, di fronte a noi. È sciocco vero?”
John sorrise, anche se dentro di sé tremò. Quelle parole lo inquietavano. “Mi conosce abbastanza ormai. Mi dia un consiglio. Come dovrebbe essere la mia persona giusta?”
Questa volta il sorriso della donna fu molto affettato. “Ma così non sarebbe affatto divertente! Che ne dice di fare un gioco, Dottor Watson?”
 
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“Dove sei stato?”
Cinque secondi. Cinque secondi da che era rincasato e Sherlock aveva cominciato l’interrogatorio. Possibile che fosse così testardo?
Comunque era divertente tenerlo in scacco per una volta, inoltre ora voleva pensare al gioco che la Signora gli aveva proposto.
“Come ogni Domenica sono stato in ottima compagnia. Devo ripetertelo tutte le domeniche? Non hai altro a cui pensare?”
Non poté vederlo perché di spalle, ma era sicuro che l’espressione di Sherlock in quel momento fosse quella di un bimbo oltraggiato.
Quando si voltò, Sherlock aveva assunto l’aria saccente che gli era propria.
“John come sempre ti limiti all’ovvietà mediocre che è propria di tutti voi. La Domenica tu prendi il tè con questa donna misteriosa, passi il pomeriggio con lei poi rincasi, con la cena. Oggi non sei tornato per cena. Sono le undici, devo dedurre che abbiate cenato insieme?” prese il cellulare cominciando a cercare qualcosa che John non capì, con la sua solita velocità.
“Questa volta sei tu che sei voluto scadere nell’ovvio. Sai bene che la domenica, la passo con una persona, era ovvio dedurre che lo stesso valesse per la cena oggi. Non pensavo di doverti informare in merito.”
“Non hai usato la carta di credito. Avete cenato insieme, in un ottimo ristorante, ma non hai usato la carta. Ti conosco, non ti lasceresti mai offrire la cena da una donna… hai pagato in contanti! Dove li hai presi, hai una carta di credito!”
John rise deliziato dalla sua confusione e decise che quel piccolo dubbio poteva risolverglielo. “Ho aperto un conto in banca quando ho cominciato a lavorare all’ambulatorio. Davvero, non te n’eri mai accorto? Colpa tua comunque, mi arriva ogni mese l’estratto conto.”
Furioso, confuso e qualcos’altro che non riusciva a identificare, Sherlock tentò di metterlo alle strette.
“Avevi previsto che avrei controllato i movimenti della tua carta e hai usato i contanti!”
“Ovvio Sherlock. Controlli la carta di tuo fratello, hai coinvolto Mycroft in questa storia e lui ha messo delle cimici in casa di Greg – oh, a proposito. Dice che se ci riprova, denuncia lui e ti terrà fuori da qualsiasi futuro caso. Era furioso. Davvero furioso. Voleva sparare a Mycroft. – pensavi che non avrei previsto che avresti tentato una mossa tanto scontata? A proposito, non azzardarti a rompere il profumo. E non negare, SO che ci stavi pensando. Ti avverto che per rappresaglia romperò il tuo violino. Sappilo.”
Il dottore osservò il coinquilino, trovandolo buffo come non mai. Il grande Sherlock Holmes, gettato nell’ignoranza. Non si era mai divertito tanto!
“Ora basta John! Chi è lei? Perché è così importante che io non la conosca? Come hai fatto a tenermela nascosta?” la mente di Sherlock era in subbuglio. Il timore che quella fosse così importante per John, da portarlo a mentire, lui, mister bravo-ragazzo, lo stava dilaniando. Da una parte la logica, razionale ancora che lo spingeva a non demordere, che il suo cervello avrebbe trovato un modo per scoprire chi fosse la femmina che insidiava l’ingenuo medico; d’altra parte, c’era quel qualcos’altro indistinto, che lo portava ad aggredire John ogni Domenica. Quando poi John disse “Ovvio che è importante Sherlock. Così speciale che non ti lascerò spaventarla proprio ora. Dovrai aspettare ancora un poco, poi potrai incontrarla   anche tu. Anzi, probabilmente la presenterò anche alla signora Hudson.” qualcosa in lui esplose. Come una furia, lasciò l’appartamento, diretto chissà dove, di sicuro lontano da John.
Aveva voglia di fargli male.
Appena in tempo, perché John non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere. Quella era stata la prima volta che era riuscito a prendere in giro Sherlock.
Tutto grazie a quella deliziosa signora. E presto avrebbe avuto abbastanza materiale da usare per ricattare l’amico a vita!
 
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“Credo che questa sia la prima volta che ti vedo in casa mia. È un peccato che la situazione sia così infelice.”
Mycroft congedò la cameriera, servendo personalmente il tè al fratello. La ragazza se ne andò con un sospiro infelice, gli occhi incatenati al volto affascinante del giovane Holmes.
Sherlock probabilmente non lo capiva, ma davvero sentiva il bisogno di occuparsi di lui, e anche servirgli una semplice tazza di tè, gli dava l’impressione di prendersene cura. Vederlo poi così sconvolto, lo feriva. Fin dall’inizio aveva saputo che la vicinanza del dottore avrebbe cambiato le cose, aveva sperato in meglio, ma non si era mai illuso che il processo fosse del tutto indolore. Proprio come aveva temuto, Sherlock, non abituato ai contatti umani e ai sentimenti che questi provocavano, era del tutto incapace di gestire la situazione in cui ora si trovava.
Aveva compreso che il Dottore probabilmente aveva intrapreso una relazione seria, questa volta, una relazione duratura. – le atre volte era perfettamente chiaro che l’uomo non avesse alcuna intenzione di accasarsi, infondo cambiava compagna almeno due volte al mese. Ora la storia durava da quasi tre! – perciò la sua mente brillante, gli aveva fornito l’unico responso che non avrebbe mai potuto accettare. Presto o tardi John avrebbe lasciato il loro appartamento per unirsi con una donna, con l’intenzione di mettere al mondo tanti piccoli Watson.
Questo se per il dottore era del tutto normale e naturale, non lo era per il suo fratellino.
Ciò che lo spaventava era il non riuscire a prevedere come avrebbe reagito quest’ultimo quando quel momento fosse giunto.
“Ha un conto in banca. Non ne sapevo nulla. Un’imperdonabile distrazione. Ha prelevato dei contanti e le ha pagato la cena. Non riesco a crederci! Ha previsto le mie mosse e le tue!”
“Temo non sia davvero questo a sconvolgerti tanto, Sherlock. Ammetto che il dottore si stia rivelando un osso duro, ma temo che la tua frustrazione derivi da un’altra causa.”
Sherlock sbuffò sprezzante e disse “Illuminami allora. Cosa mi frusterebbe secondo te?”
Mycroft sospirò preparandosi al peggio “Il fatto che il Dottor Watson stia dedicando le sue attenzioni a qualcun altro.”
“Questo non è vero!”
“Oh, avanti Sherlock! Guarda in faccia la realtà. Da quanto tempo non seguite un caso insieme? Da quanto non passate tempo insieme? Da quello che so, il dottore passa le sue giornate in ambulatorio, poi esce con i suoi amici o con Lestrade. Sì, ultimamente son diventati intimi. Si potrebbe dire che siano amici intimi. So per certo che John ha passato alcune serate a casa sua. Sono diventati confidenti e non escludo che Lestrade sappia qualcosa su questa donna che noi ignoriamo. Il punto è che ti senti ignorato. Devi accettare il fatto che per John ci sono cose più importanti dei casi che seguite insieme. John vuole costruirsi una vita sua... e tu devi fare lo stesso.”
Una vita sua. Una vita lontano da pillole avvelenate, mafia cinese, pazzoidi che per passatempo imbottivano la gente di tritolo – e diciamocelo, eliminare Moriarty e combriccola non era stato facile, grazie al cielo, di gente come lui ce n’era poca; ma non si poteva escludere che prima o poi qualcun altro decidesse di imitarlo! – intrighi internazionali, esperimenti folli e così via. John voleva una vita normale. Con una femmina. Lontano da lui…
Che orrore!
L’avrebbe impedito. A ogni costo.
Prima o poi John gli avrebbe presentato la femmina, a quel punto avrebbe demolito pezzo per pezzo qualsiasi idea positiva che aveva su questa, altrimenti avrebbe potuto chiedere un favore al fratello, in fondo per i servizi segreti non sarebbe stato difficile far sparire quella cosa che osava infastidire ciò che gli apparteneva.
La cosa migliore da fare al momento era raccogliere informazioni. Dato che probabilmente Lestrade era il suo confidente, avrebbe cominciato da lui.
Mycroft Holmes non aveva idea di cosa aveva scatenato, ma presto avrebbe potuto vedere con i propri occhi quanto lui e il fratellino non fossero dissimili.
 
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Gregory Lestrade era il migliore agente di Scotlan Yard. Checché si dicesse dei suoi metodi  o dei suoi collaboratori, restava comunque il migliore e la sua squadra aveva il più alto numero di casi risolti di tutta la polizia inglese.
Non aveva ancora raggiunto i quaranta, un divorzio recente alle spalle – di cui nessuno comprendeva la causa, tranne forse i diretti interessati, che a onor del vero, erano tre – e una brillante carriera all’orizzonte. Si considerava un uomo abbastanza paziente, diamine! Collaborava con Sherlock e sopportava agenti come Donovan-sono-perennemente-mestruata e Anderson-ho-il-cervello-di-un-macaco.
Per questo motivo si sentiva più che giustificato nella sua furia.
Non c’entrava niente.
Non c’entrava niente!
E quel deficiente di un Holmes gli era piombato in casa, - pretendendo spiegazioni astruse su teorie di complotto ancora più astruse, - ma non dalla porta. Oh no. Lui si era introdotto nella sua casa, dalla finestra! Non contento, gli aveva drogato l’acqua e aveva aspettato che quella porcheria facesse effetto così da poterlo interrogare!
Su cosa poi?
Sulla nuova fiamma di John.
Quando poi gli aveva detto “Non lo so! John pensava che avresti potuto torchiarmi per saperlo e non me l’ha mai voluto dire!” quello psicotico-drogato-nicotina-dipendente  aveva osato dargli del bugiardo!
Per “sicurezza” gli aveva iniettato un’altra dose di quella porcheria con cui gli aveva già drogato tutta l’acqua di casa. Risultato?
Era collassato e al suo risveglio si era ritrovato al pronto soccorso. Bel modo di passare la Domenica.
Ovviamente la notizia che fosse collassato sotto effetto di chissà quale droga era già arrivata ai suoi superiori.
La cosa che lo infastidiva non era tanto l’opinione di certa gente – anche se essere guardato male da un tricheco incapace di alzare il deretano dalla sua poltrona per occuparsi dei suoi sottoposti, lo imbestialiva, ma quello era questione di principio. – era il fatto di aver dovuto contattare il figlio-di-satana e chiedergli un “favore”.
Proprio quando era quasi riuscito a far capire a quel sociopatico-con-autorizzazione-governativa che non voleva aver nulla a che fare con lui, ecco che Sherlock-sono-il-diavolo-Holmes piombava in casa sua e mandava allo sfascio la sua vita.
Roba da matti... anzi, roba da Holmes!
Poteva andare peggio?
Ovvio!
La progenie del diavolo, altresì detta Mycroft Holmes, ora si sentiva giustificato a irrompere in casa sua, per “scusarsi” dell’accaduto. Di Domenica. Iniziava a odiare questo giorno della settimana.
Il suo portiere l’aveva avvisato che “Un uomo molto elegante stava salendo”.
Detto fatto, il suono del campanello gli annunciò l’arrivo dell’uomo.
Aperta la porta, Gregory si ritrovò di fronte al sorriso soddisfatto dell’Holmes maggiore.
Ma uno quando doveva scusarsi, poteva assumere un’aria così soddisfatta?
Nel suo mondo no, ma ovviamente per quelli le cose funzionavano in modo diverso.
Ma gli Holmes non avevano altro da fare in questo giorno di riposo che stressare lui?!
 
 
“Buona sera, Gregory. Mi fai entrare?”
Si fece da parte ringhiandogli un “È Lestrade per lei. Non si prenda confidenze.” che venne del tutto ignorato. Tipico!
“Hai una bella casa. Me la sarei aspettata un po’ più caotica.” Si sedette sul divano, soddisfatto dalla situazione. Era in casa dello yarder, lui non poteva cacciarlo e avevano molto tempo per chiarirsi.
“Non so per chi lei mi abbia preso, ma ci tengo a informarla che sono una persona pulita e ordinata! E mi dia del Lei!”
Il sorriso mite del politico lo irritò ancora di più. “Suvvia, ci conosciamo da tanti anni. Non sarebbe il caso di soprassedere… su rancori futili e antiquati Gregory?”
Lo yarder esplose. “RANCORI FUTILI? RANCORI FUTILI! Come osi! Hai rovinato il mio matrimonio, hai spinto MIA MOGLIE a credere che NOI due avessimo una relazione e l’hai spinta tra le braccia di un cicisbeo qualunque! Mi ha lasciato per colpa tua!”
Dovette farsi violenza per non mettergli le mani addosso. Dio, quanto lo odiava!
“Tengo a precisare che io non ho mai detto , anzi. Se la tua ex-moglie ha voluto vedere di più nel nostro RAPPORTO e di conseguenza farsi da parte, non vedo perché io debba prendermene la responsabilità. Nessuno però mi vieta di… cogliere l’occasione.”
“Qui non c’è nessuna occasione da cogliere. Noi non siamo una coppia e non lo saremo mai! Togliti dalla testa che io possa mai pensare di… frequentare qualcuno doppiogiochista e prepotente come te!”
Per tutta risposta, Mycroft posò l’ombrello e s’infilò in cucina. Sentendosi come a casa propria, preparò il tè e mandò un sms.
“Come sai ho parlato con i tuoi superiori. Non potendo riferire la verità o lasciato credere che tu mi stessi facendo un favore personale. Un’indagine su quel pronto soccorso. Puoi considerare la questione chiusa. Mi duole sapere che mio fratello sia stato così sconsiderato. Devo ammettere che non mi sarei aspettato una mossa simile. È evidente che la nuova relazione segreta di John lo ha sconvolto.”
“L’ho notato, ma vi assicuro che non ho nulla a che fare con questa storia. John aveva previsto che mi avreste interrogato in merito e quindi non mi ha riferito nulla su quella storia. So che la vede la domenica e che voi state impazzendo per scoprire chi sia, senza esserci ancora riusciti tra l’altro, ma nient’altro. Credo volesse evitarmi problemi con Sherlock, ma non ha considerato quanto tuo fratello sia folle.”
“Il confine tra follia e genialità è molto sottile Gregory. In questo caso non centra la follia ma la passione. Per quanto sia difficile dirlo a prima vista, Sherlock è un uomo passionale che si è visto allontanare da qualcuno a cui tiene particolarmente. Per di più non conosce la causa dell’allontanamento se non per sentito dire. La sua razionalità non l’accetta.”
Gregory apparecchiò per due, poi aprì la porta ad Anthea che gli consegnò la cena completa di vino bianco e dessert. Non si fece domande in merito.
Per tutta la cena il discorso si alternò tra la situazione-Sherlock e la loro non-relazione.
A fine serata Mycroft si congedò lasciando a Gregory un bacio sulla guancia e il suo ombrello preferito lì nel portombrelli, proprio accanto a quello dello yarder.
 
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“Ha dato un pugno a Sherlock.” Serenamente lapidaria. L’aveva detto come se invece di dirgli che aveva quasi spaccato la faccia del suo coinquilino, stesse affermando che c’era un sole splendente.
“Il fatto che lei lo sappia non mi stupisce.” John prese il primo sorso del suo tè nero, poi tornò a porre tutta la sua attenzione alla sua ospite, sorridendole mite.
“Effettivamente ha a che fare quasi sempre con due Holmes, non c’è da stupirsi sulla sua apertura mentale. Avanti, mi dica cosa ha fatto per meritarsi quel pugno.”
John pensò per un momento se fosse giusto o no dire tutto proprio a lei, ma tanto si disse, non sarebbe mai riuscito a nasconderle nulla. Non a lungo. Quindi meglio evitarsi la fatica.
“Ha terrorizzato tutte le mie colleghe, in modo che non uscissero mai più con me. Come se non fosse sufficiente, ha elargito bustarelle a mezza Londra, in modo che io non possa trovare un altro posto dove trasferirmi a meno che non vinca alla lotteria… oh, quasi dimenticavo! Ha spedito a tutta Londra, ma proprio tutta eh, un sms in cui diceva che io, John Watson, gli appartengo per una serie di motivi che NOI comuni mortali non potremmo mai capire.”
Solo il dirlo ad alta voce, lo faceva ardere d’imbarazzo. A lavoro non riusciva più a guardare in faccia i colleghi.
La donna dovette posare la tazza, perché le sue mani tremavano troppo. John le riconobbe il merito d’essere riuscita a trattenersi, ma tento sarebbe stato inutile. “L’assurdo è che io non ne sapevo nulla. Così quando Harry, mia sorella, mi ha telefonato congratulandosi, non ho capito a cosa si riferisse. Mi ha chiarito le idee, la Signora Hudson, la nostra affittuaria. Mi ha anche sgridato per non averle dato la lieta novella subito! Quando poi ho fatto notare a Sherlock la mia contrarietà, lui mi ha guardato come fossi un lattante, dicendo che ho una mente così limitata! Ho davvero voglia di andare ad abitare sotto un ponte.”
La donna perse la sua battaglia e rise di cuore. Le ci vollero molti minuti per riprendersi, ma John non ne ebbe a male. Essere riuscito a divertirla lo faceva sentire orgoglioso. Più della medaglia presa dopo l’Afghanistan.
“Oh cielo! Uhm, mi scusi dottor Watson. Sono stata indelicata.” John scosse la testa sorridendole apertamente. Sembrava non fare altro con lei.
“Assolutamente no! Tutta questa storia è così assurda da non sembrare reale. È logico riderci su. Inoltre mi fa piacere vederla ridere.”
Lei arrossì, compiacendosi della galanteria di quell’uomo. Adorabilmente gentile e premuroso.
Aspettò fino a che non ebbe finito di versare il tè  nelle tazze, poi gli chiese ciò che le interessava sapere “Si è chiesto il motivo di questo gesto… azzardato?”
“A dir il vero ho smesso molto tempo fa di cercare spiegazioni alle follie di Sherlock. Ovviamente per me sono follie, mentre per lui sono atti puramente logici e pregni di superiore intelligenza. Probabilmente si sarà convinto che lei sia una spia straniera, intenzionata a sfruttarmi per ottenere chissà cosa. O qualche altra assurdità di questo tipo.”
Attese qualche momento, consapevole che le domande non fossero finite. La donna cambiò argomento, “Allora, ha almeno dedicato un po’ di tempo al nostro giochino?” sfarfallò le ciglia, assumendo l’aria di un Bambi umano. Fu John a ridere, prima di risponderle “Temo di non averci dedicato il tempo che meritava. Purtroppo Sherlock ha serrato la presa e davvero non ho avuto un solo istante di solitudine... o silenzio!” entrambi sorrisero ricordando il giochino in questione.
“Che ne dice di fare un gioco, Dottor Watson?”
“Che tipo di gioco? Legale spero...”
“Oh assolutamente! Le porrò tre domande, una alla settimana. Ha tutto il tempo del mondo per trovare una risposta a ognuna, purché sia assolutamente veritiera e abbia una motivazione logica.”
“Conoscendola, non sarà un gioco facile quanto sembra.”
“Ovviamente no! Prima domanda…”
La prima settimana gli aveva chiesto “Dove si vede tre dieci anni?”.
La domanda lì per lì poteva sembrare innocua, ma in effetti, era tanto complessa quanto si era aspettato da quella donna. Si era quindi chiesto, una volta arrivato nella sua stanza a casa, “Dove mi vedo tra dieci anni?” l’unica risposta possibile a distanza di due settimane era la prima che mente e cuore gli avevano fornito. Lo stesso valeva per la motivazione logica.
Quella dopo “Con chi vorrebbe vivere tra dieci anni?”
Come per la prima domanda, la risposta era identica, così come la motivazione.
Agghiacciante.
Inutile dire che nessuna delle due risposte era stata facile da accettare. Per niente.
Ora doveva scoprire quale sarebbe stata la terza domanda. Chissà perché, ma il suo istinto di conservazione, quello che gli aveva salvato la vita in Afghanistan e l’aveva elevato al ruolo di Capitano, gli URLAVA di fuggire a nascondersi. Magari in Guatemala.
“Ora mi darà la terza domanda, suppongo.” Per la prima volta lei parve esitare, poi ridacchiò.
“Uhm, no. Non oggi. Rimandiamo al nostro prossimo incontro. In tal proposito avrei un favore da chiederle, Dottor Watson…”
 
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“Non mi rivolgerai la parola anche oggi?”
Sherlock sospirò, continuando a osservare John cucinare. Da due settimane il suo John aveva smesso di parlargli. Lo ignorava totalmente. Non lo guardava nemmeno in faccia.
Si sentiva ridicolo ad ammetterlo, anche solo a sé stesso, ma gli mancavano gli sguardi di John.
Gli mancava la sua voce, il suo sorriso…
L’unico miglioramento avvenuto in quelle due settimane, era il fatto che quella domenica John stesse preparando il pranzo anche per lui.
Miglioramento che perdeva quasi di tutto il suo significato se pensava che fosse Domenica e che il pomeriggio e probabilmente anche la serata John li avrebbe passati con Quella.
Probabilmente non ci passava insieme anche la notte, solo grazie a qualche miracolo celeste.
John sospirò, indeciso se ridere per la sua faccia da cucciolo bastonato, o picchiarlo per la sua stupidità. E che nessuno osasse dirgli che Sherlock Holmes non era stupido.
Ok, magari non lo era, ma ci si comportava!
“Non parlarti si sta rivelando inutile. Tanto vale parlarti e dirti che un altro gesto del genere comporterà il mio trasferimento altrove. E tanto perché tu lo sappia, sì ho, dove andare. Tra i candidati c’è mia sorella. Ne ho una, ricordi?”
“Accetto la tua opinione.” Cominciarono a mangiare in silenzio, osservandosi a vicenda di sottecchi. L’uno convinto che l’altro non lo notasse. I pensieri di entrambi erano più simili di quanto potessero immaginare.
Prima di andare a prepararsi per il suo appuntamento pomeridiano, John decise di mettere in atto il piano della sua ospite.
“Sherlock… sto per uscire.”
Stizzito Sherlock annuì “Come ogni domenica. Lo so John.”
“So che vorresti sapere chi è la persona con cui mi vedo. Ebbene oggi te ne do la possibilità.” Cielo, fu imbarazzante. Gli sembrò quasi di vederlo scodinzolare. Era già lì. Pronto a seguirlo. Avrebbe potuto proporgli di indossare collare e guinzaglio e accidenti, qualcosa gli diceva che avrebbe accettato.
“Prenderò con lei il tè oggi pomeriggio. Poi, ceneremo insieme. Tu e Mycroft siete invitati a cena con noi. Ti invierò un sms con l’indirizzo e il luogo. Ci raggiungerete lì in orario e adeguatamente vestiti. Sherlock… prova a mettermi in imbarazzo ed entro la mezzanotte di oggi lascerò questa casa. Mi farò ospitare da lei. Sono stato chiaro?”
Sempre scodinzolando, Sherlock annuì entusiasta.
John sospirò, incapace di decidere se essere scioccato o meno.
Si conoscevano da quanto, cinque anni? d’accordo, tre li aveva passati facendo finta d’essere morto, ma diciamocelo, questo non cambiava il fatto che ormai si conoscevano da tanto tempo.
Eppure era la prima volta che vedeva Sherlock così… soddisfatto?
Ridacchiò immaginando la faccia dell’amico quando avesse visto chi era la donna con cui trascorreva le domeniche.
 
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̴̴ Raggiungeteci al Fly. Ore 20.00.
JW ̴
“Dobbiamo andare al Fly. John ci aspetterà con quella.”
Sherlock era combattuto. Da un lato, sognava di incontrare la femmina che voleva portargli via il suo John, d’altro canto, aveva fatto una promessa.
Dopo il pugno, dubitava che la minaccia del medico di trasferirsi fosse fatta a vuoto.
Era snervante, John proprio non capiva.
“Non capisce! Perché il suo cervello è così limitato?! È tutto perfetto così, che bisogno c’è di inserire un estraneo nella nostra vita? A cosa può servire impelagarsi in faccende amorose con una femmina? È un ex-soldato, tra incubi e tram-tram quotidiano, una sua ipotetica relazione non durerebbe più di una decina di mesi… un anno al massimo!” sbottò, incapace di tacere.
Mycroft annuì solerte, non mancando di fargli notare un difetto nel suo ragionamento.
“Vedi mio caro fratellino, c’è una pecca considerevole nel tuo ragionamento. John è come ormai è ben chiaro, un uomo dai saldi principi, cresciuto con una mentalità piccolo borghese. I suoi valori morali prevedono l’accasarsi con una bella ragazza, non con un sociopatico iperattivo.
Ha una mente comune, perciò ovviamente ha faticato a capire che la sua persona ormai ti appartiene. Avresti dovuto chiarire la situazione fin dal principio, senza correre rischi inutili, come il lasciarlo uscire con tutte quelle ragazze così… dozzinali! Fossi stato in te, avrei diffuso subito la voce che lui ti apparteneva. Quel tipo di donna non è così tenace, dopotutto.”
“Proprio perché non le ritenevo un problema l’ho lasciato fare. John sembrava aver bisogno di dimostrare a se stesso di poter continuare ad avere una vita normale, dopo l’Afghanistan. Era tutto sotto controllo. Nessuna di quelle sue relazioni avrebbe superato un mese di incubi, appuntamenti interrotti da me e indagini su fatti cruenti.” Obbiettò, piccato che mettesse in discussione il suo operato. Lui aveva avuto a che fare con Lestrade, con un carattere remissivo, tutto sommato. John era un ex soldato, testardo e orgoglioso. Di remissivo in lui non c’era niente, anzi! Attendeva il momento opportuno, prendeva la mira e… ti ammazzava.
A volte letteralmente.
“Però una di loro avrebbe potuto raggirarlo. Vedi Sherlock, quello che non hai calcolato è che John è un uomo giovane e in piena salute, quindi fertile. Una qualsiasi di loro avrebbe potuto legarlo a se con la nascita di un piccolo Watson. È chiaro che a quel punto, John non avrebbe mai abbandonato una donna incinta di suo figlio.”
“È per questo che sei intervenuto personalmente nel matrimonio di Lestrade? Temevi che la moglie volesse tentare di salvare il matrimonio con un figlio?”
Mycroft finì il suo tè, ricordando l’incontro con l’ex signora Lestrade.
“A dir il vero era la famiglia di lei, una sua zia per la precisione, a premere per la nascita di un erede. Vedevano la fragilità del rapporto e speravano che potesse essere recuperato in quel modo. Ridicolo. Come se la nascita di un figlio possa impedire un divorzio.”
Sherlock annuì concorde. “Il cervello delle persone comuni è oltraggiosamente malfunzionante. Comunque, come hai fatto a farle capire che Lestrade ti apparteneva? Il suo piccolo cervello avrebbe dovuto dirle esattamente il contrario.”
“Oh, mi è bastato indurla in tentazione. Una sera a cena si era lamentata della solitudine e di quanto il lavoro tenesse lontano Gregory. Le accennai alla possibilità di impiegarsi di nuovo come maestra di scuola materna, offrendomi d’aiutarla con delle referenze. Da lì, il passo fu breve. In meno di un mese aveva collezionato la bellezza di tre flirt. L’ultimo proprio con un inserviente suo collega.” Sherlock non ci mise troppo a immaginare il seguito.
Ovviamente la donna era stata troppo stupida per tenere nascosti i segnali, compiendo un errore madornale, magari…
“Si è fatta beccare con l’amante, da Lestrade?”
“Ah! Peggio. Gregory trovò un test di gravidanza usato, positivo, in bagno. Un rapido calcolo è bastato perché capisse che lui, non potesse aver contribuito alla situazione. Ammetto comunque di aver compiuto un errore di valutazione, in questa occasione.”
Sherlock si infilò la giacca, pronto per affrontare la femmina. “Cosa avresti trascurato?”
“Il fatto che lei negasse tutto e attribuisse a me la colpa, in seguito. Convincere Gregory che mi appartiene sta diventando l’impegno che più mi tiene occupato…”
Ridacchiando, lasciarono la casa, decisi a vedere coi propri occhi la fantomatica femmina che insidiava John.
Il viaggio in macchina fu breve e silenzioso.
Entrambi gli uomini avevano mille pensieri in mente e la loro tensione era quasi palpabile.
Scendere dalla limousine, fu quasi una liberazione. Il ristorante dall’esterno si presentava magnificamente, la facciata era in mattone, decorata con rampicanti che donavano all’insieme un aspetto elegante ma sobrio.
Entrarono, col loro modo di fare da “sono il padrone del mondo”, intercettati alla reception dal maître.
“I signori hanno una prenotazione?”
“La prenotazione dovrebbe essere a nome Watson, ore 20.00.” Mycroft osservò il suo orologio, constatando la perfetta puntualità. Il maître sorrise soddisfatto, conducendoli attraverso la sala, verso quella che doveva essere una sala riservata.
Al centro, seduti al tavolo, i loro ospiti li attendevano. La donna dava loro le spalle, perciò non li vide arrivare, mentre John, che le sedeva di fronte, li notò subito e sorrise soddisfatto.
Sherlock accelerò il passo, smanioso come non mai, di vedere la sua rivale, seguito da vicino da Mycroft. Insomma, anche lui voleva conoscere la donna che tanto li aveva fatti penare. Era una questione di principio, ecco.
Il maître si defilò silenziosamente, andando a recuperare i menù. Sghignazzò perfino, poiché aveva intuito la situazione.
Stessa cosa non si poteva dire dei due fratelli Holmes...
Sherlock si posizionò di fronte alla signora, pronto a scannerizzarla e trovare finalmente il suo punto debole.
Quello che vide lo sconvolse nel profondo. No, di sicuro non se lo sarebbe mai aspettato.
Era bella, innegabilmente, elegante ed altera. Gli occhi color del ghiaccio erano ridenti e felici, aveva acconciato i capelli rossi in una crocchia, in modo che i ricci non le invadessero l’ovale del viso. Indossava il suo tailleur migliore.
E sorrideva.
Quella era la donna di John?!
QUELLA?!
Ma era... era…
“Mamma?!”
All’unisono, i due fulminarono John con lo sguardo, reo di aver sghignazzato impunemente.
“Buonasera cuccioli miei. Siete in perfetto orario.”
“Che ci fai qui, mamma?”
Sherlock guardò John come aveva guardato la signora Hudson il giorno in cui gli aveva buttato il teschio. John, il suo John… corteggiava sua madre?
“Spero ci sia una spiegazione logica e valida per questo, John. Vivamente.”
Mycroft rivolse al medico la sua occhiata più glaciale, facendolo sentire come un agnello al macello.
Quella era la sua mamma per diana!
“Mycroft Holmes, non azzardarti a minacciare il mio ospite. Sherlock chiudi la bocca e stai composto. Volete sedervi o avete dimenticato l’educazione che vi ho impartito?”
Automaticamente, i due obbedirono alla mamma, continuando però a vivisezionare il medico che intanto se la rideva.
Perfino i grandi Holmes dovevano chinare il capo di fronte ad un autorità superiore!
Prima di riuscire ad aprire bocca, il maître palesò la sua presenza, portando i menù ed un antipasto di crostini e formaggi, dovettero quindi attendere di essere soli prima di conversare.
“Mi hai mentito.” L’accusò Sherlock, indeciso se essere offeso o piacevolmente colpito. John non era mai riuscito prima a tenergli qualcosa nascosto. Certo, ora sapeva che il merito era della madre, ma era comunque una novità.
“In cosa se mi è lecito chiederlo?”
“Facendomi credere che non conoscessi la tua ospite. Oltre al fatto che mi hai fatto credere che fosse anche la tua nuova fiamma!”
“Ti faccio notare che non ho mai detto .
Oltraggiato, Sherlock rivolse la sua attenzione alla madre “Tu che hai da dire in proposito? Era tutto un tuo piano, vero? Volevi attirarci qui!”
Lei rise, accarezzandogli una guancia. “Ma certo caro. È ovvio, tutta una mia idea. Il dottor Watson mi ha solo assecondato. Non a gratis ovviamente, ma è stato un piccolo prezzo da pagare pur di vedervi entrambi. Non venite mai a trovarmi, è imperdonabile da parte vostra. Soprattutto tu Sherlock. Hai finto la tua morte, togliendomi una decina d’anni di vita, poi sei ricomparso e non ti sei degnato di venire a trovarmi. Meriteresti una sculacciata.”
John quasi si soffocò con l’acqua cercando di non ridere.
“Posso sapere almeno cosa ha avuto in cambio del suo aiuto il Dottore?” intervenne Mycroft, sollevato nel sapere che la situazione tra la madre e il medico non fosse scabrosa.
“Una copia dell’album numero tre. Quello di voi da piccoli…” maliziosamente, la signora Holmes strizzò l’occhio a John che si gustò la scena estasiato.
I due fratelli infatti, rischiarono il colpo apoplettico.
Quello era l’album fotografico che racchiudeva le foto contenenti i momenti più imbarazzanti della loro infanzia.
John avrebbe potuto davvero ricattarli entrambi a vita.
“Non sperateci neppure. Sapevo che avreste subito provato ad entrarne in possesso, perciò mi sono premunito. Ne ho una abbondante scorta di copie. Inoltre vostra madre è dalla mia parte e mi fornirà sempre nuove copie, nel caso ne avessi bisogno… molto carine le foto, comunque. Devo dire che non me li sarei mai aspettati dai voi due certi atteggiamenti.”
Sconfitti, i due sospirarono. Il loro stesso sangue li aveva traditi. Non avrebbero mai più sottovalutato l’effetto che John Watson aveva sulle donne.
“Ma perché coinvolgere lui? Non potevi semplicemente venire a casa mia mamma? O magari andare da Mycroft? Perché tutta questa macchinazione?”
“Semplicemente perché volevo incontrare il tuo amico. Per la prima volta in tutta la tua vita condividi le cose importanti con qualcuno all’infuori del nostro nucleo familiare, senza esserci costretto. Volevo capire come ci fosse riuscito.”
“John non è mio amico. John è il mio compagno! È solo mio, è chiaro?!”
“Per l’amor del cielo, Sherlock! Non sono un oggetto che tu possa possedere. Sono una persona!”
“Una persona che mi appartiene. È un concetto semplice da capire, John!”
“Assolutamente no. Non ti appartengo!”
I due cominciarono a battibeccare, tra una portata e l’altra.
Riuscirono perfino ad intervallare le loro sessioni di battibecchi, alle chiacchiere che portarono avanti la signora Holmes e Mycroft.
Quando alla fine della cena Mycroft e Sherlock vollero pagare il conto, il medico e il sociopatico riuscirono a battibeccare alternativamente anche su quello, passando da un a <È nostra madre, perciò paghiamo noi.>
La signora Holmes riconobbe di non essersi divertita tanto in vita sua.
Fu al momento di congedarsi che la donna prese da parte John, imponendo ai figli di lasciarli un momento soli.
“Avevamo un giochino da finire, non ricorda?”
John annuì, indeciso se continuare a tacere o no.
“L’ultima domanda che voglio porle John Watson è questa: Di chi ha bisogno per essere pienamente felice, John?”
Ecco appunto. La parentela era evidente.
“Non penso che serva davvero che io dica qual è la mia risposta, vero? Lei conosce già tutte e tre le risposte, è per questo che ha voluto conoscermi? Per… accoppiarmi con suo figlio?”
La donna sorrise mesta, riconoscendogli il diritto ad avere una spiegazione.
“Non me ne voglia John, ma davvero, lei ha salvato una parte del mio cuore. Sherlock è il mio bambino e ho visto che con lei è felice. Per la prima volta non è solo.”
Sconfitto, John ammise a meno con se stesso quanto fosse inutile continuare a negare quei sentimenti che quasi lo avevano soffocato fino a quel momento.
“Mi prenderò cura di lui, ma lei non gli dica niente. Voglio almeno tenerlo sulle spine, devo vendicarmi almeno un pochino di quei dannati sms.”
Risero entrambi, riconoscendo l’assurdità del gene Holmes.
Quando li vide attraversare insieme, uno accanto all’altro, la porta del 221 B, la donna sospirò soddisfatta.
Era riuscita nel suo intento. Quei due presto sarebbero stati una coppia a tutti gli effetti.
Ora doveva solo conoscere il compagno di suo Figlio Mycroft!
 
 
fine
 
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Spero vi sia piaciuta! In caso potrebbe esserci anche un sequel, magari una Mycroft/Gregory.
Ci credereste se vi dicessi che l’ho scritta in una notte?  Ho scoperto che la mia vena creativa si scatena dopo le due del mattino…
 

 
 
  
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