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Autore: TonyCocchi    15/06/2012    4 recensioni
La mia prima AU su Hetalia e in generale. Sadiq Adnan riceve l'affronto peggiore che si possa fare ad un hitman: soffiargli il lavoro sotto il naso. Lo sgabbo brucia e, anche se la polizia sta arrivando, chiunque sia stato non la passerà liscia.
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Turchia/Sadiq Adnan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti cari lettori, eccoci finalmente nella stagione migliore dell’anno, l’estate!

Spero sia iniziata bene per tutti voi e che continui ancora meglio! ^__^
Di solito per me questo è un periodo con pochi pensieri e molta ispirazione, ma quest’anno sono affetto da una strana carenza di concentrazione (e di voglia di lavorare…)… XP

Forse dovrei eliminare qualche distrazione…

Ma anche se produco poco, non sia mai che io non abbia da offrirvi nulla in questo grandioso periodo! Eccoci quindi alla mia prima AU!

Ho notato che su EFP ce ne sono parecchie di fic AU su Hetalia, coi personaggi resi persone umane anziché nazioni e ho voluto unirmi anch’io alla corrente!

Preparatevi a un Sadiq (e a un certo altro personaggio…) come non li avete mai visti!

E mi raccomando, fatemi sapere se sono riuscito ad essere realistico come si deve…

Buona lettura!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

 

 

Se quello era un kebab allora lui non ne aveva mai mangiato uno.

Mandò giù l’ultimo morso e buttò la carta nel cestino, proseguendo nella sua mente in quell’invettiva disgustata nei riguardi di quello che doveva essere il miglior chiosco della città in materia del suo cibo preferito: come no, e magari quelli che ci mangiavano lo consigliavano pure ai loro amici lodandone la bontà.

Si pulì le dita inguantate dalle macchioline di salsa su un fazzoletto e passò a concentrarsi sul reale motivo per cui era lì: uccidere il suo obiettivo.

Attraversò la strada e iniziò a camminare avanti e indietro nello spiazzo con fontana antistante il palazzo, fingendo di parlare al cellulare. Un paio di minuti e il proprietario dell’edificio, nonché sua prossima busta paga, ne uscì tutto sicuro come ogni giorno faceva a quell’ora, dirigendosi verso il marciapiede per chiamare un taxi. Un uomo di mezza età, capelli ingrigiti, bel portamento, occhiali in oro, e tipica ventiquattrore da pezzo grosso alla mano.

Nessun assistente, nessuna scorta, e tanta gente di fretta all’ora di punta che ha di meglio a cui badare che guardarsi intorno: abbastanza facile.

Sadiq Adnan, la Mezzaluna Insanguinata, iniziò ad avvicinarsi con indifferenza da oscar: nulla di diverso da un qualunque passante in giacca e cravatta di quelli brulicavano ogni giorno nel quartiere finanziario. Riposto il cellulare spento nella tasca interna della giacca, tirò fuori dalla stessa il suo strumento del mestiere.

Una lama dalla forma ricurva a falce, senza impugnatura, né piccola, né grande, fatta apposta per il palmo della sua mano, e pronta a sparire nella manica del completo con un semplice gioco di polso da prestigiatore. Un arnese originale, ma discreto, e parecchio affilato; molto simile a quello del protagonista di un certo popolare videogioco, che fra l’altro, checché potesse far pensare il mestiere che faceva, a lui non era mai piaciuto; del resto, che bisogno aveva di giocare a fare l’assassino quando ne provava il brivido nella vita reale? Meglio i giochi di calcio o di corse automobilistiche.

Le armi da fuoco non gli erano mai piaciute: qualunque idiota preme un grilletto e tanti saluti, magari alle spalle, magari da lontano, da bravo vigliacco. Una volta il poligono di tiro aveva dimostrato che sapeva cavarsela decentemente con una pistola, eppure lui non ne usava mai, quasi ne fosse disgustato.

Lui era un tipo all’antica sotto quell’aspetto, e ne andava fiero:  nel ventunesimo secolo c’era ancora chi come lui non rinunciava al fascino delle care vecchie armi bianche, che non si tirava indietro dal guardare la vittima negli occhi un’ultima volta, di passarle accanto, calcarne le impronte, respirare la sua stessa aria prima di togliergliela per sempre. Era più che una scelta o una questione di gusti, era una vocazione.

 

Il suo obbiettivo alza la mano ed ecco il taxi avvicinarsi, e lui fa lo stesso, sincronizzato con un gruppetto di passanti.

Non si guarda intorno: non è nervoso e non è un turista, se ne frega di ciò che c’è attorno che non sia la gola del bel tomo che gli hanno indicato i suoi danarosi committenti.

Il passo non è affrettato, né lento: ha abbastanza esperienza da saper calcolare la giusta tempistica.

Non appena il taxi si fermerà davanti a lui, quello sarò il momento in cui colpirà. In quell’istante, gli uomini tra cui si confuso scorreranno dietro l’obbiettivo, e lui invece passerà tra di esso e il taxi, tra l’auto gialla e la sua mano tesa verso la maniglia dello sportello. Taglierà la strada alla sua mano e, con un gesto veloce, la sua gola; prima ovviamente un’occhiata, quel solo secondo che basta, per esser certo del punto in cui è il bersaglio. Nemmeno lui è tanto pazzo o barbaro da agire alla cieca, ma è abbastanza bravo e metodico da camminare, guardare, tagliare, e riprendere a camminare.

Carotide recisa, un attimo di sgomento in cui gli farà guadagnare attimi preziosi, e si accascerà, mentre il tassista starà ancora aspettando che apra lo sportello e gli indichi la direzione; e nel tempo che ci vorrà affinché si sporga dal finestrino, veda il corpo e dia l’allarme, l’uomo castano dal pizzetto e la corta barbetta che aveva un mucchio di cose da fare, come tutti lì intorno per accorgersi di alcunché, è già una decina di passi più in là; passi compiuti con la stessa identica andatura dell’istante fatale, né più lenti, né più veloci. Da lì al dileguarsi senza traccia e a togliere le fasce alle sue mazzette di bigliettoni sono solo altri passi, né veloci, né lenti, gli ignari e candidi passi della colpevolezza.

Carezza col pollice il piatto della mezzaluna tagliente che ha nel palmo, come sempre fa per buon augurio: va, gli dice senza aprir bocca, e rendi ragione al mio soprannome.

Ma poi, nell’arco di un solo secondo è costretto ad aggiungere: “Mi sa che ti hanno anticipato.”

 

La gola del tipo era ancora intatta, la sua scatola cranica no. Ora aveva una presa d’aria rossa al centro della fronte.

Caso voleva che lui fosse uno dei migliori professionisti al mondo, e quelli anche nell’imprevisto mantengono la calma: proseguì col suo piano originale, pur privato del suo momento più sublime, continuando a camminare, solo che la sua lama fu costretta a sparire nella sua manica anzitempo, mentre il tassista gridava e tutti prendevano ad avvicinarsi.

Non poteva però essere l’unico a non reagire dinanzi a quello spargere di cervella che di botto rendeva movimentata la giornata tipo di cosi tante persone. Si fermò e si voltò, mimetizzandosi tra i curiosi, ma intanto approfittò pure della sua lucidità per dare un’occhiata al cantiere dall’altro lato della strada: il colpo è venuto da lì.

Cercò a partire dall’ultimo piano in costruzione a scendere, perché i cecchini amano stare in alto, e lo trovò presto: una figura in nero, con la testa paglierina, che con tutta calma sbaraccava dalla propria postazione.

Le sirene non avrebbero tardato a farsi sentire, ma volle correre ugualmente il rischio di risalire ancora una volta la corrente, allontanandosi anziché avvicinarsi, attraversando la strada, e rimettendo mano alla delusa mezzaluna.
La rassicurò col pollice come aveva fatto prima: forse avrebbe avuto comunque modo di darsi da fare quella giornata.

 

Normalmente, non avrebbe commesso mai una simile idiozia. Correre nel luogo da cui il cecchino aveva sparato, sicuramente il primo in cui i poliziotti sarebbero corsi appena appurata la dinamica dell’accaduto, anziché sparire con la sua solita insospettabile tranquillità. Forse non si era mai comportato tanto stupidamente, ma prima di allora neppure sapeva che effetto facesse il lavoro soffiatoti sotto il naso, l’estasi che provava ogni volta stava per far sibilare la lama interrotta sul più bello da uno di quei fottuti proiettili che tanto disdegnava.

Il fatto che un paio di secondi d’anticipo e le cervella per terra sarebbero state le sue cadeva del tutto in secondo piano.

Era una situazione nuova per lui, e insolito sarebbe stato il suo modo di reagire. Chiunque fosse stato gli aveva fatto girare le palle come mai, e non l’avrebbe passata liscia.

Entrò nel cantiere, vuoto come se l’aspettava, altrimenti il cecchino non avrebbe potuto salire fin lassù inosservato, e si sbrigò a trovare le scale. Scavalcata agilmente una transenna, iniziò a salirle con passo felpato nell’angolo cieco, cercando di celarsi il più possibile. Si fermò al primo passo provenire dall’alto, in cima alla rampa che stava percorrendo, piegandosi sulle ginocchia: non era il massimo per un imboscata, ma lo spazio era stretto e se aveva fortuna, e il tipo non si era già accorto di lui, sarebbe riuscito a colpirlo nel momento in cui avrebbe curvato.

Confidando nella sua sveltezza e nell’efficacia della sua tecnica, Sadiq si mise in attesa.

Un rumore alle sue spalle gli fece balzare il cuore in gola.

Vide una figura nera passare veloce come uno spettro, ma non gli veniva incontro, andava verso il basso.

“Cazzo!”

L’ombra che aveva visto era il cecchino che si calava giù per la tromba delle scale grazie alle funi di una carrucola: l’aveva anticipato. Una decisione velocissima, non aveva neppure sentito il suo passo rallentare o fermarsi.

Scattò in piedi e si avventò sui gradini, percorrendo intere rampe in due balzi. Questo prima di dirsi che potevano essere in due a fare lo stesso gioco.

Agguantò la fune su cui si stava calando e si lasciò scivolare. Provvidenziale il fatto che il loro mestiere richiedesse di non lasciare impronte: senza i guanti di cuoio nero che indossavano sarebbero arrivati a destinazione con le mani brucianti come tizzoni.

Guardò in basso e vide la testa bionda del cecchino avvicinarsi.

“Fermo!”

Lasciò una mano dalla corda per creare meno attrito e scendere più in fretta: era più pericoloso, ma l’altro faceva lo stesso dato che, nell’altra mano, portava la classica valigetta, più piccola di una ventiquattrore, che poco ma sicuro conteneva il suo fucile montabile.

Dopo una discesa di svariati piani il cecchino arrivò per primo a terra, nel futuro parcheggio seminterrato dell’edificio, e prese a correre, tallonato prontamente dal turco.
“Fermati!”

Ora che poteva vederlo chiaramente, capì di non essersi sbagliato: dalla corporatura, i corti capelli biondi e il nastro azzurro che svolazzava tra di essi nella corsa, si trattava chiaramente di una donna.

Lui era vecchio stampo per quanto riguardava le armi, ma non certo su presunti trattamenti di favore da riservare al gentil sesso: non era forse l’era dell’emancipazione?

La mezzaluna sparì nella sua manica, mentre l’altra mano tornava nella giacca alla ricerca del pugnale da lancio. Sadiq fece un ultimo sforzo per guadagnare qualche metro in più, quanto bastava per mirare con ragionevole certezza alle sue gambe, coperte sopra il ginocchio dalla gonna e sotto di essa da alti stivali, neri come tutto il suo abbigliamento.

Il pugnale arrivò fulmineo sul polpaccio sinistro, lacerando il cuoio dello stivale e di striscio la carne.

Con un grido femmineo, la cecchina perse il passo e cadde in avanti, attutendo con le braccia il colpo. La valigetta urtò un pilone di cemento un paio di metri più in là, aprendosi: il mirino telescopico saltò fuori dalla sua nicchia e rotolò qualche secondo per terra . Sadiq recuperò intanto recuperò il pugnale e ne afferrò la lama tra pollice e indice, in caso si rendesse necessario un altro lancio.

La ragazza, dalla carnagione molto chiara e gli occhi azzurro cielo, come il nastro tra i capelli e il fazzoletto al collo, si limitava a tastarsi la ferita e a stringere i denti, ignorando del tutto l’aggressore ancora lì, in una posizione di vantaggio assoluto.

“Guarda un po’, allora ci avevo visto giusto!”

Abbinando nella sua mente le parole donna bionda e cecchino, non poteva saltar fuori che lei.

“Certo non mi aspettavo che il rompiscatole a cui volevo fargliela pagare non fosse uno dei tanti, ma addirittura la migliore del mondo.”

Finalmente i due vennero al contatto visivo. Lo sguardo di Sadiq era caldo, sicuro, vittorioso, eccitato da quella sorpresa; viceversa, quello di lei era freddo, neutro, non certo quello frustrato o spaventato di una sconfitta, piuttosto quello concentrato di chi approfitta di ogni respiro per riprendersi, anche con un coltello pronto ad arrivarle addosso da un istante all’altro.

“Forse questa sarà la volta buona che la polizia verrà finalmente a conoscenza del volto di una delle tre Parche, l’élite della mafia russa, annoverate come me tra i migliori sette hitman del mondo…” –disse con una punta di fierezza camminandole intorno- “Katyusha Braginskaya, la cecchina coi rimorsi: quella che chiede sempre scusa dopo ogni sparo. Lo hai fatto anche stavolta, vero? Un colpo, un morto, una scusa.”

“Che cosa vuoi? Perché mi hai attaccato?”

“Perché si dia il caso, mia bella slava, che tu mi abbia tolto il pane di bocca poco fa! Un povero assassino cerca di fare il proprio mestiere ed ecco che arriva qualcun altro a toglierglielo.” –si divertì lui a melodrammare- “Vedi, tutti sanno che Sadiq Adnan uccide sempre e solo con le lame: quando i miei committenti verranno a sapere che il loro acerrimo concorrente è crepato per un colpo in mezzo agli occhi sapranno per certo che non sono stato io, e avranno una ragione validissima per non darmi neppure un centesimo.”

“Mi rincresce.”
Le rise in faccia: “Rincresce di più a me. Come la mettiamo adesso? Come minimo dovrei legarti a qualche pilone e lasciarti qui in pasto ai poliziotti che arriveranno a breve.”

Katyusha sembrò accennare ad una reazione, tremando nel tentativo di rimettersi in piedi malgrado il muscolo reciso.

“Ferma.” –ordinò lui, avvicinandosi di un passo e facendo dondolare tra le dita il coltello, in maniera provocatoria- “Come tu non sbagli un colpo col fucile di precisione, io non lo sbaglio col coltello.”
“Vendicarti non ti farà avere i tuoi soldi.”
“Ma forse mi farà stare meglio: per un professionista come me il tuo è stato un gran bello sgabbo.” –sibilò lui minaccioso, squadrandola per bene.

Molto per bene. L’impicciona in suo potere di certo non lo lasciava insensibile. Non era la prima volta che, alla faccia della polizia, la vedeva dal vivo, ma difficilmente gli sarebbe capitato di ammirarla così da vicino e non in compagnia delle due altrettanto se non più famigerate sorelle. Aveva un visetto tanto dolce che il pensiero di cosa facesse per vivere creava una stonatura che scopriva risultargli deliziosa; e scendendo con gli occhi trovava anche molto altro di suo gusto.

“Si, direi che nel torto ci sei proprio tu.”

Da un cambio d’espressione, capì che aveva notato il sorrisetto con cui ammirava il suo risaputamente enorme davanzale, non meno sexy sotto la giubba nera con cui lo celava.

“Come la mettiamo, eh? Non vuoi chiedere “scusa” anche a me?”

Ci fu un attimo di silenzio e poi le cose presero una piega inaspettata. Katyusha allentò il fazzoletto blu che aveva al collo e spuntò il primo bottone della giubba.

A capo chino spuntò anche il secondo e Sadiq sgranò gli occhi. Stava solo giocando prima, così per provocarla, vedere qualche emozione in più su quel bel faccino, ma a quanto sembrava la cecchina col cuore d’oro era davvero all’altezza del suo nome se accettava così senza un fiato di prendersi le sue responsabilità e “risarcirlo”.

Il turco emise un versetto di approvazione e, conserte le braccia, si godette ogni singolo bottone sganciato. Apparve infine un bianco reggiseno chiaramente inadatto a contenere un simile spettacolo.

E lui che pensava non ne esistessero di tanto grandi che non fossero rifatte.

E lui che pensava che la migliore cecchina del mondo si facesse mettere in piedi in testa così facilmente.

Katyusha sprofondò una mano nella sua scollatura e una pistola di piccolo calibro porse i suoi saluti allo sconvolto Sadiq.

Non sapeva se decidersi ad alzare le mani o a farle i complimenti per l’intelligentissimo modo in cui aveva sfruttato la sua femminilità, un modo decisamente migliore di tante altre donne più oneste e più oche.

Gettò il coltello e rise: “Però… Comoda la tasca in più, vero? Che altro nascondi lì dentro?”

Niente, la stupenda e fatale Cloto, il suo soprannome all’interno del trio delle Parche della Tundra, non era ricettiva al suo humor da incastrato: la pistola non si allontanò di un millimetro dal suo cuore, né le sue labbra si arricciarono in alcuna maniera.

Puntandolo, la russa si rimise in piedi, costringendolo ad assistere al ritorno dei bottoni al loro posto con animo ben meno eccitato.

“Senti, non volevo mancarti di rispetto, volevo solo darti una lezione, sei stata tu la prima a mettere in mezzo le luci rosse, io guardavo solamente.”

“Raccoglimi la valigetta, e rimetti a posto il mirino, per favore.”
“Per favore?” –nell’obbedirle non riuscì a non manifestare il proprio divertimento- “Le voci su di te sono tutte vere. Sei l’assassina più buona che esista, ammesso esistano assassini buoni!”

Le passò la valigetta richiusa e la vide fare due passi indietro, continuando a imporgli le mani alte con la sua arma formato mini.

Nemmeno il tempo per un ultimo kebab quindi. Di quelli decenti naturalmente. Doveva capirlo da quello schifo che aveva mangiato che la giornata si sarebbe messa proprio male.

“Scusa se ti ho rubato il lavoro.”

“Oh, beh, come non accettare le scuse di una così brava ragazza?”

Ancora a cercare di impietosirla. Ma di certo, nei suoi ultimi momenti, non si sarebbe sentito più sfigato di quel tipo che aveva così tanti nemici con così tanti soldi da ritrovarsi con non uno, ma due dei killer migliori al mondo assoldati per fargli la pelle.

“La polizia sta arrivando. Dobbiamo andarcene.”

“Dobbiamo?”

La piccola pistola sparì in uno dei tanti taschini della giubba e la slava gli diede le spalle, correndo via nonostante la ferita a farle vedere le stelle.

Perché non l’aveva ucciso? E poi che razza di ingenua era se lo lasciava in condizione di riprendere da terra il proprio coltello e ficcarglielo nella schiena?
Forse sapeva che nemmeno lui poteva permettersi di perdere altro tempo con i passi dei poliziotti sopra le loro teste.

O forse era l’omicida più innocente che avrebbe mai avuto occasione di conoscere.

Raccolse il coltello e si avviò nella direzione opposta alla sua, riuscendo a uscire dall’edificio poco prima che gli ultimi varchi nel perimetro messo su dalla polizia venissero chiusi.

 

 

Qualcuno venne a bussare alla porta della camera mentre stava uscendo dalla doccia.

“Eccomi.” –gridò legando la cinta del bianco accappatoio.

Sul letto c’era la sua valigia, pronta per essere chiusa, e accanto i vestiti con cui sarebbe partito; il suo infruttuoso soggiorno lì si concludeva fra bruciori, rimpianti, e voglia di una piccola pausa dall’attività.

“Si?” –chiese al fattorino sulla soglia.
“L’albergo ha ricevuto questa per lei, signor Hilal.”

“Una valigetta, e che c’è dentro?”

“Noi rispettiamo la privacy dei nostri ospiti signore.”
“E questo mi va più che bene.” –disse mollandogli un venti di mancia.

Richiuse la porta e gettò la valigia sul letto. Aprì le cerniere e la scoprì vuota.

“Che razza di scherzo è?”

E poi chi mai faceva scherzi a un inesistente signor Kamil Hilal? Realizzò che qualcuno aveva scoperto la falsa identità con cui si era registrato e sentì i nervi a fior di pelle. Poteva arrivarci già sulla porta ma in quel periodo era proprio fuori purtroppo.

Forse un pacco bomba? Ma sarebbe già dovuto esplodere. A meno che l’ordigno non fosse stato in un doppio fondo.

Con immensa cautela tastò l’interno della valigia e sentì chiaramente qualcosa al di sotto, che però non gli dava affatto l’impressione di qualcosa di pericoloso. Gli dava l’impressione di qualcosa che gli faceva sempre luccicare gli occhi.

Tolse il finto fondo, e come coriandoli di una festa a sorpresa apparvero dollari, presumibilmente un milioncino.

E un biglietto.

 

Signor Sadiq Adnan, alias Mezzaluna insanguinata

 

Le invio parte del compenso da me ottenuto con la missione di ieri in segno di scuse per aver interferito con la sua attività e quale segno di stima per la sua spavalderia e professionalità.

 

Buon proseguimento, Cloto

 

“Questa qui è tutta matta!”

Fece frusciare una mazzetta.

Non era molto in confronto a quanto gli avevano promesso per quell’omicidio, ma non li avrebbe certamente disdegnati: aveva nella giacca un biglietto per la cara Istanbul, dove il kebab è kebab sul serio e il tabacco brucia nel narghilè dalla sera al mattino, e con quei soldi si sarebbe goduto alla grande la sua piccola pausa.

Ma prima, voleva stendersi un po’ sulle fresche lenzuola del letto, avvolto nel suo accappatoio da hotel cinque stelle, a ripensare a quegli occhi come diamanti azzurri, a quel fiocco da bambina così candido e a quel seno così provocante.

La prossima volta, e ci sarebbe stata, costi quel che costi, non avrebbe richiesto da lei scuse o vendette: solo un appuntamento a tu per tu.

Forse stava di nuovo comportandosi da pazzo considerando che le sue protettive sorelle erano note, all’esatto opposto di lei, per il loro sadismo, ma era proprio con quella Katyusha che era iniziata la sua pazzia, e ora sapeva, mente la pensava e ripensava a occhi chiusi, che non poteva impedirsi di essere pazzo, quando si trattava di lei.

 

 

 

Se ve lo state chiedendo, si, sono un Turchia x Ucraina ^__^

Ho anche disegnato un paio di fanart, se vi va di vederle cercate l’account “TonyCocchi” su Deviantart.

Il titolo del capitolo, non quello della storia, si deve al suggerimento del caro Darkshin: “Lead tasting kebab” sta per “kebab al gusto piombo”, e per Sadiq, che odia il kebab scadente e le pallottole, è certamente il peggiore possibile! XD

Riguardo la storia che dire: ho immaginato questo AU, universo alternativo, in cui i nostri Hetalia sono boss mafiosi, spietati hitman, coraggiosi poliziotti d’azione, un universo anche un po’ cattivo a dire la verità… Magari ci scriverò qualcos’altro ^__^

Nel frattempo, spero vi sia piaciuta questa breve avventura di questi due insospettabili hitman (Ucraina in primis… Non ve l’aspettavate, eh? XD), e che vi divertirete a immaginare chi sono i restanti migliori assassini del mondo…

Buon proseguimento d’estate!

 

NDA: Le Parche erano le tessitrici del destino nella mitologia greca, una sorta di divinità legate alla morte, perfette per essere associate a tre terribili hitman come Russia (FemRussia in questo caso), Bielorussia e Ucraina

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Parche

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

  
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