Ciao a tutti cari lettori,
eccoci finalmente nella stagione migliore dell’anno, l’estate!
Spero
sia iniziata bene per tutti voi e che continui ancora meglio! ^__^
Di solito per me questo è un periodo con pochi pensieri e molta ispirazione, ma
quest’anno sono affetto da una strana carenza di concentrazione (e di voglia di
lavorare…)… XP
Forse
dovrei eliminare qualche distrazione…
Ma
anche se produco poco, non sia mai che io non abbia da offrirvi nulla in questo
grandioso periodo! Eccoci quindi alla mia prima AU!
Ho
notato che su EFP ce ne sono parecchie di fic AU su Hetalia, coi personaggi resi
persone umane anziché nazioni e ho voluto unirmi anch’io alla corrente!
Preparatevi
a un Sadiq (e a un certo altro personaggio…) come non li avete mai visti!
E
mi raccomando, fatemi sapere se sono riuscito ad essere realistico come si deve…
Buona
lettura!
PS:
GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!
Se quello era un kebab allora
lui non ne aveva mai mangiato uno.
Mandò
giù l’ultimo morso e buttò la carta nel cestino, proseguendo nella sua mente in
quell’invettiva disgustata nei riguardi di quello che doveva essere il miglior
chiosco della città in materia del suo cibo preferito: come no, e magari quelli
che ci mangiavano lo consigliavano pure ai loro amici lodandone la bontà.
Si
pulì le dita inguantate dalle macchioline di salsa su un fazzoletto e passò a
concentrarsi sul reale motivo per cui era lì: uccidere il suo obiettivo.
Attraversò
la strada e iniziò a camminare avanti e indietro nello spiazzo con fontana
antistante il palazzo, fingendo di parlare al cellulare. Un paio di minuti e il
proprietario dell’edificio, nonché sua prossima busta paga, ne uscì tutto
sicuro come ogni giorno faceva a quell’ora, dirigendosi verso il marciapiede
per chiamare un taxi. Un uomo di mezza età, capelli ingrigiti, bel portamento,
occhiali in oro, e tipica ventiquattrore da pezzo grosso alla mano.
Nessun
assistente, nessuna scorta, e tanta gente di fretta all’ora di punta che ha di
meglio a cui badare che guardarsi intorno: abbastanza facile.
Sadiq
Adnan, la Mezzaluna Insanguinata, iniziò ad avvicinarsi con indifferenza da
oscar: nulla di diverso da un qualunque passante in giacca e cravatta di quelli
brulicavano ogni giorno nel quartiere finanziario. Riposto il cellulare spento
nella tasca interna della giacca, tirò fuori dalla stessa il suo strumento del
mestiere.
Una
lama dalla forma ricurva a falce, senza impugnatura, né piccola, né grande,
fatta apposta per il palmo della sua mano, e pronta a sparire nella manica del
completo con un semplice gioco di polso da prestigiatore. Un arnese originale,
ma discreto, e parecchio affilato; molto simile a quello del protagonista di un
certo popolare videogioco, che fra l’altro, checché potesse far pensare il mestiere
che faceva, a lui non era mai piaciuto; del resto, che bisogno aveva di giocare
a fare l’assassino quando ne provava il brivido nella vita reale? Meglio i
giochi di calcio o di corse automobilistiche.
Le
armi da fuoco non gli erano mai piaciute: qualunque idiota preme un grilletto e
tanti saluti, magari alle spalle, magari da lontano, da bravo vigliacco. Una
volta il poligono di tiro aveva dimostrato che sapeva cavarsela decentemente con
una pistola, eppure lui non ne usava mai, quasi ne fosse disgustato.
Lui
era un tipo all’antica sotto quell’aspetto, e ne andava fiero: nel ventunesimo secolo c’era ancora chi come
lui non rinunciava al fascino delle care vecchie armi bianche, che non si
tirava indietro dal guardare la vittima negli occhi un’ultima volta, di
passarle accanto, calcarne le impronte, respirare la sua stessa aria prima di
togliergliela per sempre. Era più che una scelta o una questione di gusti, era
una vocazione.
Il
suo obbiettivo alza la mano ed ecco il taxi avvicinarsi, e lui fa lo stesso, sincronizzato
con un gruppetto di passanti.
Non
si guarda intorno: non è nervoso e non è un turista, se ne frega di ciò che c’è
attorno che non sia la gola del bel tomo che gli hanno indicato i suoi danarosi
committenti.
Il
passo non è affrettato, né lento: ha abbastanza esperienza da saper calcolare
la giusta tempistica.
Non
appena il taxi si fermerà davanti a lui, quello sarò il momento in cui colpirà.
In quell’istante, gli uomini tra cui si confuso scorreranno dietro l’obbiettivo,
e lui invece passerà tra di esso e il taxi, tra l’auto gialla e la sua mano
tesa verso la maniglia dello sportello. Taglierà la strada alla sua mano e, con
un gesto veloce, la sua gola; prima ovviamente un’occhiata, quel solo secondo
che basta, per esser certo del punto in cui è il bersaglio. Nemmeno lui è tanto
pazzo o barbaro da agire alla cieca, ma è abbastanza bravo e metodico da
camminare, guardare, tagliare, e riprendere a camminare.
Carotide
recisa, un attimo di sgomento in cui gli farà guadagnare attimi preziosi, e si
accascerà, mentre il tassista starà ancora aspettando che apra lo sportello e
gli indichi la direzione; e nel tempo che ci vorrà affinché si sporga dal
finestrino, veda il corpo e dia l’allarme, l’uomo castano dal pizzetto e la
corta barbetta che aveva un mucchio di cose da fare, come tutti lì intorno per
accorgersi di alcunché, è già una decina di passi più in là; passi compiuti con
la stessa identica andatura dell’istante fatale, né più lenti, né più veloci.
Da lì al dileguarsi senza traccia e a togliere le fasce alle sue mazzette di
bigliettoni sono solo altri passi, né veloci, né lenti, gli ignari e candidi
passi della colpevolezza.
Carezza
col pollice il piatto della mezzaluna tagliente che ha nel palmo, come sempre
fa per buon augurio: va, gli dice senza aprir bocca, e rendi ragione al mio
soprannome.
Ma
poi, nell’arco di un solo secondo è costretto ad aggiungere: “Mi sa che ti
hanno anticipato.”
La
gola del tipo era ancora intatta, la sua scatola cranica no. Ora aveva una
presa d’aria rossa al centro della fronte.
Caso
voleva che lui fosse uno dei migliori professionisti al mondo, e quelli anche
nell’imprevisto mantengono la calma: proseguì col suo piano originale, pur privato
del suo momento più sublime, continuando a camminare, solo che la sua lama fu
costretta a sparire nella sua manica anzitempo, mentre il tassista gridava e
tutti prendevano ad avvicinarsi.
Non
poteva però essere l’unico a non reagire dinanzi a quello spargere di cervella
che di botto rendeva movimentata la giornata tipo di cosi tante persone. Si
fermò e si voltò, mimetizzandosi tra i curiosi, ma intanto approfittò pure
della sua lucidità per dare un’occhiata al cantiere dall’altro lato della
strada: il colpo è venuto da lì.
Cercò
a partire dall’ultimo piano in costruzione a scendere, perché i cecchini amano
stare in alto, e lo trovò presto: una figura in nero, con la testa paglierina,
che con tutta calma sbaraccava dalla propria postazione.
Le
sirene non avrebbero tardato a farsi sentire, ma volle correre ugualmente il
rischio di risalire ancora una volta la corrente, allontanandosi anziché
avvicinarsi, attraversando la strada, e rimettendo mano alla delusa mezzaluna.
La rassicurò col pollice come aveva fatto prima: forse avrebbe avuto comunque
modo di darsi da fare quella giornata.
Normalmente,
non avrebbe commesso mai una simile idiozia. Correre nel luogo da cui il
cecchino aveva sparato, sicuramente il primo in cui i poliziotti sarebbero
corsi appena appurata la dinamica dell’accaduto, anziché sparire con la sua
solita insospettabile tranquillità. Forse non si era mai comportato tanto
stupidamente, ma prima di allora neppure sapeva che effetto facesse il lavoro
soffiatoti sotto il naso, l’estasi che provava ogni volta stava per far
sibilare la lama interrotta sul più bello da uno di quei fottuti proiettili che
tanto disdegnava.
Il
fatto che un paio di secondi d’anticipo e le cervella per terra sarebbero state
le sue cadeva del tutto in secondo piano.
Era
una situazione nuova per lui, e insolito sarebbe stato il suo modo di reagire.
Chiunque fosse stato gli aveva fatto girare le palle come mai, e non l’avrebbe
passata liscia.
Entrò
nel cantiere, vuoto come se l’aspettava, altrimenti il cecchino non avrebbe
potuto salire fin lassù inosservato, e si sbrigò a trovare le scale. Scavalcata
agilmente una transenna, iniziò a salirle con passo felpato nell’angolo cieco,
cercando di celarsi il più possibile. Si fermò al primo passo provenire dall’alto,
in cima alla rampa che stava percorrendo, piegandosi sulle ginocchia: non era
il massimo per un imboscata, ma lo spazio era stretto e se aveva fortuna, e il
tipo non si era già accorto di lui, sarebbe riuscito a colpirlo nel momento in
cui avrebbe curvato.
Confidando
nella sua sveltezza e nell’efficacia della sua tecnica, Sadiq si mise in
attesa.
Un
rumore alle sue spalle gli fece balzare il cuore in gola.
Vide
una figura nera passare veloce come uno spettro, ma non gli veniva incontro,
andava verso il basso.
“Cazzo!”
L’ombra
che aveva visto era il cecchino che si calava giù per la tromba delle scale grazie
alle funi di una carrucola: l’aveva anticipato. Una decisione velocissima, non
aveva neppure sentito il suo passo rallentare o fermarsi.
Scattò
in piedi e si avventò sui gradini, percorrendo intere rampe in due balzi.
Questo prima di dirsi che potevano essere in due a fare lo stesso gioco.
Agguantò
la fune su cui si stava calando e si lasciò scivolare. Provvidenziale il fatto
che il loro mestiere richiedesse di non lasciare impronte: senza i guanti di
cuoio nero che indossavano sarebbero arrivati a destinazione con le mani
brucianti come tizzoni.
Guardò
in basso e vide la testa bionda del cecchino avvicinarsi.
“Fermo!”
Lasciò
una mano dalla corda per creare meno attrito e scendere più in fretta: era più
pericoloso, ma l’altro faceva lo stesso dato che, nell’altra mano, portava la
classica valigetta, più piccola di una ventiquattrore, che poco ma sicuro
conteneva il suo fucile montabile.
Dopo
una discesa di svariati piani il cecchino arrivò per primo a terra, nel futuro
parcheggio seminterrato dell’edificio, e prese a correre, tallonato prontamente
dal turco.
“Fermati!”
Ora
che poteva vederlo chiaramente, capì di non essersi sbagliato: dalla
corporatura, i corti capelli biondi e il nastro azzurro che svolazzava tra di
essi nella corsa, si trattava chiaramente di una donna.
Lui
era vecchio stampo per quanto riguardava le armi, ma non certo su presunti
trattamenti di favore da riservare al gentil sesso: non era forse l’era dell’emancipazione?
La
mezzaluna sparì nella sua manica, mentre l’altra mano tornava nella giacca alla
ricerca del pugnale da lancio. Sadiq fece un ultimo sforzo per guadagnare
qualche metro in più, quanto bastava per mirare con ragionevole certezza alle
sue gambe, coperte sopra il ginocchio dalla gonna e sotto di essa da alti
stivali, neri come tutto il suo abbigliamento.
Il
pugnale arrivò fulmineo sul polpaccio sinistro, lacerando il cuoio dello
stivale e di striscio la carne.
Con
un grido femmineo, la cecchina perse il passo e cadde in avanti, attutendo con
le braccia il colpo. La valigetta urtò un pilone di cemento un paio di metri
più in là, aprendosi: il mirino telescopico saltò fuori dalla sua nicchia e
rotolò qualche secondo per terra . Sadiq recuperò intanto recuperò il pugnale e
ne afferrò la lama tra pollice e indice, in caso si rendesse necessario un
altro lancio.
La
ragazza, dalla carnagione molto chiara e gli occhi azzurro cielo, come il
nastro tra i capelli e il fazzoletto al collo, si limitava a tastarsi la ferita
e a stringere i denti, ignorando del tutto l’aggressore ancora lì, in una
posizione di vantaggio assoluto.
“Guarda
un po’, allora ci avevo visto giusto!”
Abbinando
nella sua mente le parole donna bionda e cecchino, non poteva saltar fuori che
lei.
“Certo
non mi aspettavo che il rompiscatole a cui volevo fargliela pagare non fosse
uno dei tanti, ma addirittura la migliore del mondo.”
Finalmente
i due vennero al contatto visivo. Lo sguardo di Sadiq era caldo, sicuro,
vittorioso, eccitato da quella sorpresa; viceversa, quello di lei era freddo, neutro,
non certo quello frustrato o spaventato di una sconfitta, piuttosto quello
concentrato di chi approfitta di ogni respiro per riprendersi, anche con un
coltello pronto ad arrivarle addosso da un istante all’altro.
“Forse
questa sarà la volta buona che la polizia verrà finalmente a conoscenza del
volto di una delle tre Parche, l’élite della mafia russa, annoverate come me
tra i migliori sette hitman del mondo…” –disse con una punta di fierezza
camminandole intorno- “Katyusha Braginskaya, la cecchina coi rimorsi: quella
che chiede sempre scusa dopo ogni sparo. Lo hai fatto anche stavolta, vero? Un
colpo, un morto, una scusa.”
“Che
cosa vuoi? Perché mi hai attaccato?”
“Perché
si dia il caso, mia bella slava, che tu mi abbia tolto il pane di bocca poco
fa! Un povero assassino cerca di fare il proprio mestiere ed ecco che arriva
qualcun altro a toglierglielo.” –si divertì lui a melodrammare- “Vedi, tutti
sanno che Sadiq Adnan uccide sempre e solo con le lame: quando i miei
committenti verranno a sapere che il loro acerrimo concorrente è crepato per un
colpo in mezzo agli occhi sapranno per certo che non sono stato io, e avranno
una ragione validissima per non darmi neppure un centesimo.”
“Mi
rincresce.”
Le rise in faccia: “Rincresce di più a me. Come la mettiamo adesso? Come minimo
dovrei legarti a qualche pilone e lasciarti qui in pasto ai poliziotti che
arriveranno a breve.”
Katyusha
sembrò accennare ad una reazione, tremando nel tentativo di rimettersi in piedi
malgrado il muscolo reciso.
“Ferma.”
–ordinò lui, avvicinandosi di un passo e facendo dondolare tra le dita il
coltello, in maniera provocatoria- “Come tu non sbagli un colpo col fucile di
precisione, io non lo sbaglio col coltello.”
“Vendicarti non ti farà avere i tuoi soldi.”
“Ma forse mi farà stare meglio: per un professionista come me il tuo è stato un
gran bello sgabbo.” –sibilò lui minaccioso, squadrandola per bene.
Molto
per bene. L’impicciona in suo potere di certo non lo lasciava insensibile. Non
era la prima volta che, alla faccia della polizia, la vedeva dal vivo, ma
difficilmente gli sarebbe capitato di ammirarla così da vicino e non in
compagnia delle due altrettanto se non più famigerate sorelle. Aveva un visetto
tanto dolce che il pensiero di cosa facesse per vivere creava una stonatura che
scopriva risultargli deliziosa; e scendendo con gli occhi trovava anche molto
altro di suo gusto.
“Si,
direi che nel torto ci sei proprio tu.”
Da
un cambio d’espressione, capì che aveva notato il sorrisetto con cui ammirava
il suo risaputamente enorme davanzale, non meno sexy sotto la giubba nera con
cui lo celava.
“Come
la mettiamo, eh? Non vuoi chiedere “scusa” anche a me?”
Ci
fu un attimo di silenzio e poi le cose presero una piega inaspettata. Katyusha
allentò il fazzoletto blu che aveva al collo e spuntò il primo bottone della
giubba.
A
capo chino spuntò anche il secondo e Sadiq sgranò gli occhi. Stava solo
giocando prima, così per provocarla, vedere qualche emozione in più su quel bel
faccino, ma a quanto sembrava la cecchina col cuore d’oro era davvero all’altezza
del suo nome se accettava così senza un fiato di prendersi le sue
responsabilità e “risarcirlo”.
Il
turco emise un versetto di approvazione e, conserte le braccia, si godette ogni
singolo bottone sganciato. Apparve infine un bianco reggiseno chiaramente
inadatto a contenere un simile spettacolo.
E
lui che pensava non ne esistessero di tanto grandi che non fossero rifatte.
E
lui che pensava che la migliore cecchina del mondo si facesse mettere in piedi
in testa così facilmente.
Katyusha
sprofondò una mano nella sua scollatura e una pistola di piccolo calibro porse
i suoi saluti allo sconvolto Sadiq.
Non
sapeva se decidersi ad alzare le mani o a farle i complimenti per
l’intelligentissimo modo in cui aveva sfruttato la sua femminilità, un modo
decisamente migliore di tante altre donne più oneste e più oche.
Gettò
il coltello e rise: “Però… Comoda la tasca in più, vero? Che altro nascondi lì
dentro?”
Niente,
la stupenda e fatale Cloto, il suo soprannome all’interno del trio delle Parche
della Tundra, non era ricettiva al suo humor da incastrato: la pistola non si
allontanò di un millimetro dal suo cuore, né le sue labbra si arricciarono in
alcuna maniera.
Puntandolo,
la russa si rimise in piedi, costringendolo ad assistere al ritorno dei bottoni
al loro posto con animo ben meno eccitato.
“Senti,
non volevo mancarti di rispetto, volevo solo darti una lezione, sei stata tu la
prima a mettere in mezzo le luci rosse, io guardavo solamente.”
“Raccoglimi
la valigetta, e rimetti a posto il mirino, per favore.”
“Per favore?” –nell’obbedirle non riuscì a non manifestare il proprio
divertimento- “Le voci su di te sono tutte vere. Sei l’assassina più buona che
esista, ammesso esistano assassini buoni!”
Le
passò la valigetta richiusa e la vide fare due passi indietro, continuando a
imporgli le mani alte con la sua arma formato mini.
Nemmeno
il tempo per un ultimo kebab quindi. Di quelli decenti naturalmente. Doveva
capirlo da quello schifo che aveva mangiato che la giornata si sarebbe messa
proprio male.
“Scusa
se ti ho rubato il lavoro.”
“Oh,
beh, come non accettare le scuse di una così brava ragazza?”
Ancora
a cercare di impietosirla. Ma di certo, nei suoi ultimi momenti, non si sarebbe
sentito più sfigato di quel tipo che aveva così tanti nemici con così tanti
soldi da ritrovarsi con non uno, ma due dei killer migliori al mondo assoldati
per fargli la pelle.
“La
polizia sta arrivando. Dobbiamo andarcene.”
“Dobbiamo?”
La
piccola pistola sparì in uno dei tanti taschini della giubba e la slava gli
diede le spalle, correndo via nonostante la ferita a farle vedere le stelle.
Perché
non l’aveva ucciso? E poi che razza di ingenua era se lo lasciava in condizione
di riprendere da terra il proprio coltello e ficcarglielo nella schiena?
Forse sapeva che nemmeno lui poteva permettersi di perdere altro tempo con i
passi dei poliziotti sopra le loro teste.
O
forse era l’omicida più innocente che avrebbe mai avuto occasione di conoscere.
Raccolse
il coltello e si avviò nella direzione opposta alla sua, riuscendo a uscire
dall’edificio poco prima che gli ultimi varchi nel perimetro messo su dalla
polizia venissero chiusi.
Qualcuno
venne a bussare alla porta della camera mentre stava uscendo dalla doccia.
“Eccomi.”
–gridò legando la cinta del bianco accappatoio.
Sul
letto c’era la sua valigia, pronta per essere chiusa, e accanto i vestiti con
cui sarebbe partito; il suo infruttuoso soggiorno lì si concludeva fra
bruciori, rimpianti, e voglia di una piccola pausa dall’attività.
“Si?”
–chiese al fattorino sulla soglia.
“L’albergo ha ricevuto questa per lei, signor Hilal.”
“Una
valigetta, e che c’è dentro?”
“Noi
rispettiamo la privacy dei nostri ospiti signore.”
“E questo mi va più che bene.” –disse mollandogli un venti di mancia.
Richiuse
la porta e gettò la valigia sul letto. Aprì le cerniere e la scoprì vuota.
“Che
razza di scherzo è?”
E
poi chi mai faceva scherzi a un inesistente signor Kamil Hilal? Realizzò che
qualcuno aveva scoperto la falsa identità con cui si era registrato e sentì i
nervi a fior di pelle. Poteva arrivarci già sulla porta ma in quel periodo era
proprio fuori purtroppo.
Forse
un pacco bomba? Ma sarebbe già dovuto esplodere. A meno che l’ordigno non fosse
stato in un doppio fondo.
Con
immensa cautela tastò l’interno della valigia e sentì chiaramente qualcosa al
di sotto, che però non gli dava affatto l’impressione di qualcosa di pericoloso.
Gli dava l’impressione di qualcosa che gli faceva sempre luccicare gli occhi.
Tolse
il finto fondo, e come coriandoli di una festa a sorpresa apparvero dollari,
presumibilmente un milioncino.
E
un biglietto.
Signor Sadiq Adnan, alias Mezzaluna
insanguinata
Le invio parte del compenso da me ottenuto
con la missione di ieri in segno di scuse per aver interferito con la sua
attività e quale segno di stima per la sua spavalderia e professionalità.
Buon proseguimento, Cloto
“Questa
qui è tutta matta!”
Fece
frusciare una mazzetta.
Non
era molto in confronto a quanto gli avevano promesso per quell’omicidio, ma non
li avrebbe certamente disdegnati: aveva nella giacca un biglietto per la cara
Istanbul, dove il kebab è kebab sul serio e il tabacco brucia nel narghilè
dalla sera al mattino, e con quei soldi si sarebbe goduto alla grande la sua
piccola pausa.
Ma
prima, voleva stendersi un po’ sulle fresche lenzuola del letto, avvolto nel
suo accappatoio da hotel cinque stelle, a ripensare a quegli occhi come
diamanti azzurri, a quel fiocco da bambina così candido e a quel seno così
provocante.
La
prossima volta, e ci sarebbe stata, costi quel che costi, non avrebbe richiesto
da lei scuse o vendette: solo un appuntamento a tu per tu.
Forse
stava di nuovo comportandosi da pazzo considerando che le sue protettive
sorelle erano note, all’esatto opposto di lei, per il loro sadismo, ma era
proprio con quella Katyusha che era iniziata la sua pazzia, e ora sapeva, mente
la pensava e ripensava a occhi chiusi, che non poteva impedirsi di essere
pazzo, quando si trattava di lei.
Se
ve lo state chiedendo, si, sono un Turchia x Ucraina ^__^
Ho
anche disegnato un paio di fanart, se vi va di vederle cercate l’account “TonyCocchi”
su Deviantart.
Il
titolo del capitolo, non quello della storia, si deve al suggerimento del caro
Darkshin: “Lead tasting kebab” sta per “kebab al gusto piombo”, e per Sadiq,
che odia il kebab scadente e le pallottole, è certamente il peggiore possibile!
XD
Riguardo
la storia che dire: ho immaginato questo AU, universo alternativo, in cui i
nostri Hetalia sono boss mafiosi, spietati hitman, coraggiosi poliziotti d’azione,
un universo anche un po’ cattivo a dire la verità… Magari ci scriverò qualcos’altro
^__^
Nel
frattempo, spero vi sia piaciuta questa breve avventura di questi due
insospettabili hitman (Ucraina in primis… Non ve l’aspettavate, eh? XD), e che
vi divertirete a immaginare chi sono i restanti migliori assassini del mondo…
Buon
proseguimento d’estate!
NDA:
Le Parche erano le tessitrici del destino nella mitologia greca, una sorta di
divinità legate alla morte, perfette per essere associate a tre terribili
hitman come Russia (FemRussia in questo caso), Bielorussia e Ucraina
http://it.wikipedia.org/wiki/Parche
PS:
GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!