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Autore: cheedori    15/06/2012    8 recensioni
In caduta libera.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dominic Howard, Kate Hudson, Matthew Bellamy
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Meds



Teignmouth (Devon), 10 giugno 1994


but I'll still take all the blame
'cause you and me are both one and the same
and it's driving me mad
and it's driving me mad



"D'accordo, facciamo che te lo ripeto ancora una volta per vedere se ho capito bene," inizio massaggiandomi piano le tempie con la punta delle dita. "Hai ricevuto trecento sterline per il tuo compleanno e adesso vuoi che io le butti in mare per te. Giusto?" 

Sono le dieci passate.

Poco più di due ore fa Matt ha bussato alla porta di casa, e il Fato (quella puttana) ha voluto che ad andare ad aprirgliela fosse proprio mia madre - interrotta, per di più, nella delicata impresa di rimuovere la sua famosa fishpie di gamberi e calamari dal forno. Ora: Matt adora la fishpie di gamberi e calamari, e mia madre adora Matt, e siccome da quando lo conosco in questa casa vige l'improvvisa logica del "dove mangiano quattro mangiano anche cinque", il risultato è stato un invito a scrocco per lui ed un cerchio alla testa delle dimensioni del maggiore degli anelli di Saturno per me. Ha trascorso tutta la cena parlando ininterrottamente dell'importanza di coltivare vegetali nel proprio giardino con mio padre - che peraltro annuiva pure in maniera convinta! -, beandosi dei complimenti di mia madre circa il suo nuovo taglio di capelli ("Dom, tesoro, dovresti tagliarli anche tu come Matthew - guarda come mettono in risalto gli zigomi così corti!") e alla fine ho dovuto praticamente trascinarlo di peso su per le scale ed in camera mia per capire perché, in primo luogo, abbia deciso di venire a smerigliare i maroni proprio a me stasera.

Sapevo che avrei dovuto ignorare la mia sete di conoscenza e lasciargli mangiare il dolce.

"Precisamente. Non vicino agli scogli, però - andiamo al telescopio e te le butti da lì."

Seduto con i piedi sul mio letto, Matt mi guarda con una strana, pazza, luce negli occhi, quella di chi non ha pienamente compreso il peso delle proprie parole - o che al contrario ne è perfettamente consapevole, e per questo fa ancora più paura.

"Potremmo dargli fuoco prima di lanciarle in acqua, eh?"

A quel punto abbandono ogni tentativo di comprensione a favore della solita, scettica, occhiata di traverso.

"Ma ti sei scemunito?"

Ci sono solo due cose, del soggetto Matt Bellamy, che non mi sono mai state - e mai saranno - pienamente chiare: la prima è 'Matt' e la seconda è 'Bellamy'. Se posso dire di avere una certezza nella vita, tuttavia - beh, quella è che il mostriciattolo iperattivo che mi sta imbrattando il copriletto con le suo schifossisime scarpe non abbia tutte le rotelle al loro posto.

"No."

Sebbene neghi.

"Sì, Matt, sono trecento sterline!"

Matt si tiene impegnato tirando e stressando le maniche della sua vecchia felpa, lo sguardo che sfugge con un'abilità raffinata nel corso degli anni. In risposta alla mia obiezione non fa che alzare le spalle, masticando un "borghese del cazzo" insieme ad un "non sai proprio divertirti".

"Beh, mi scusi tanto, signor Marx, ma io non trovo affatto divertente l'idea di dare fuoco as un mucchietto di banconote!"

"Perché i soldi hanno corrotto la tua mente. Sono solo pezzi di carta, Dom!"

"Pezzi di carta con un valore!"

"Solo perché tu vuoi darglielo!"

Sbuffo esasperato, le mani che salgono dalle tempie a tirare i capelli alla loro attaccatura. Lo stronzo sta solo cercando di farmi perdere la calma così avrà una scusa per fare altrettanto; la cosa grave, però, è che ci sta andando pericolosamente vicino.

"Okay, Matt, va bene. Ti serve una nuova chitarra - me lo hai detto l'altro giorno che ti servivano i soldi per una chitarra. Allora?"

"Non m'importa. Quest'estate lavorerò," inizia gesticolando con un braccio verso la finestra - verso il mare, verso il Pier -, ma prima ancora che possa riprendere a parlare lo interrompo con la domanda che avrei dovuto porgli la prima volta che mi ha illustrato il suo brillante piano per l'estinzione del Capitalismo a Teignmouth.

"Ma scusa, eh, perché adesso questi vuoi buttarli via così? Ti lamenti sempre che sei senza un soldo!"

"Mi piace lamentarmi, lo sai. Esempio: mi fa male la pancia, ohi ohi, quanto mi duole!"

"Idiota."

"Cos - oh! Mi ferisci così! Ah, come duole! Il cuore! Il dolore!"

Come ampiamente previsto, Matt evita di darmi una risposta concreta. Sfortuna (sua) vuole che gli anelli attorno alla mia testa abbiano iniziato a vorticare pericolosamente vicini alla sua orbita.

"È per questo che ieri hai fatto finta di non esserci in casa?"

"Non avevo voglia di -"

"Per poterti lamentare oggi di quanto fossi rimasto solo e triste e abbandonato a suonare il piano nella tua fetida stanzetta il giorno del tuo compleanno?"

"Cosa -"

"Io e Tom, e anche Chris, siamo venuti a cercarti, e invece -"

"Ma di che cazzo stai parlando, Dom?!"

"Di te, Matt, delle tue fottute manie di protagonismo! Tutta questa storia è - - è ridicola, cazzo! I soldi - - ma sai cosa, Matt? Li hai rubati, non è così? E adesso non sai che farne, quindi vuoi che io -"

"Io non li voglio quei soldi! NON LI VOGLIO I SUOI CAZZO DI SOLDI, HAI CAPITO?"

Un colpo alla porta e un educato "ragazzi, posso entrare?" si interpongono tra le parole che io stesso non riesco più a trovare e lo scatto iroso di Matt, che ritorna a sedere sul letto prima di voltare nuovamente lo sguardo alla finestra. Mia madre, apparentemente ignara dei recenti sviluppi del nostro incontro, si fa beatamente spazio nella stanza, dandoci le spalle mentre appoggia qualcosa sulla scrivania. La scena ha del surreale - non può non averci sentito bisticciare.

"Ci ho messo un secolo a trovarle," inizia, prendendo a frugare tra le tasche della vestaglia che indossa "avevo solo queste in casa, mi dispiace, caro, Dominic non mi ha detto che saresti venuto a cena stasera..."

"Io non lo sapevo che sarebbe -"

"Dominic, dammi un accendino," mi interrompe (per la seconda volta), allungando una mano nella mia direzione. "Non fare quella faccia, figliolo, lo so che fumi."

Quando si sposta, rivelando finalmente ciò che temevo stesse nascondendo, il mio cuore incontra lo stomaco a metà strada e decide con lui di unirsi in un unico, dolorante, organo; per qualche ridicolo motivo non riesco a distogliere lo sguardo dalle mani che reggono il piccolo vassoio -  le unghie corte, ma curate - eleganti e amorevoli. 

Due candeline (una delle quali sciolta per metà e rosa) fanno capolino su una piccola fetta di meringata al limone - la preferita di Matt. La mamma canta piano "tanti auguri", scusandosi poi più volte perché è stonata, perché è goffa, perché è poco, perché è in ritardo e perché l'aveva dimenticato.

Ovviamente mente, lo fa per gentilezza; sul calendario, giù, in cucina, si può chiaramente leggere "Compleanno Matthew B. (16)" sotto alla data 9 giugno. Non ce l'ho scritto io, figuriamoci - né Emma (che fino ad un paio di anni fa aveva una cotta non-così-segreta per Matt); ce l'ha scritto lei. Mamma cerchia anche in verde le date in cui la nonna di Matt ha i suoi controlli all'ospedale, e in rosso quelle in cui, più raramente, sa che Marilyn sarà in città per far visita a suo figlio. Questo l'aiuta a considerare che tra un cerchio rosso e l'altro spesso trascorrono mesi, mentre quelli verdi si rincorrono con frequenza quasi settimanale; è per questo che è così con lui, che lo coccola e lo vizia come se un po' fosse suo. Mamma sa che non c'è nessun altro che gli prepari una torta per il suo compleanno.

"Soffia, via, tesoro: esprimi un desiderio!"

Il desiderio di Matt deve essere qualcosa di incredibilmente impegnativo, penso, perché non l'ho mai visto tanto concentrato in vita sua come in questo momento; poi realizzo che probabilmente è solo imbarazzato, perché Matt è così, lui non è abituato alla formalità degli auguri, o dei complimenti - è sempre sulla difensiva, sempre pronto a dire "no".

Probabilmente starà desiderando che mi spunti un terzo capezzolo, o che l'uccello mi cada via secco all'istante; che gli alieni atterrino sul davanzale della sua finestra e se lo portino via, che riesca a crescere ancora di 20 centimetri in altezza prima della fine dello sviluppo, che il suo dente si raddrizzi, che sua nonna la smetta di dimenticare le cose, che il Teignmouth Community College imploda...

È troppo tardi quando mi accorgo dei pugni che tremano - delle spalle che sussultano - della labbra strette così tanto che sono divenute bianche; Matt è già tra le braccia di mia madre quando inizia a singhiozzare per davvero, ed io mi sento così inutile e così uno schifo e così incredibilmente egoista che prendo in seria considerazione l'idea di darmi fuoco con le candeline ancora accese.

Sono sei minuti - li conto sull'orologio; sei pietosi minuti di smoccio e parole indecifrabili e "oh, tesoro", e poi finisce così com'è iniziata, con mia madre che riporta il vassoio sul letto, agguerrita, e comanda a Matt di esprimere un desiderio, soffiando via le sue lacrime con una risata.

"Dom, vieni qui, suggeriscigli qualcosa!"

Non sono così sicuro di volermi unire alla scena che mi trovo di fronte, ma il buonsenso e il sincero affetto che provo nei confronti della bestiolina che tenta di nascondere gli occhi gonfi come se non avessi assistito al tutto da un punto di vista privilegiato, mi spingono comunque a farmi spazio al suo fianco, fino a toccarlo con la spalla.

"Ai Muse?"

Per un attimo penso che Matt possa mettersi a piangere di nuovo, oppure magari che mi tiri un pugno; ovviamente mi sbaglio. Sorride un po' - dente che spunta tra la schiera di compagni come un'erezione inopportuna - e poi abbassa il capo fissando lo sguardo sui mozziconi ancora accesi sulla fetta di torta.

"Ai Muse," ripete, con più convinzione di quanta ne abbia usata io nel suggerirlo. La cera delle candeline si è disciolta del tutto, chiazzando le merighe chiare di rosa e azzurro. "Alla loro vittoria alla Battle of the Bands."

E poi soffia - ma è inutile, in realtà; è già tutto spento.

Abbiamo passato gli ultimi due mesi a provare e riprovare i pezzi per quel dannato contest, chiusi sera dopo sera nella sala musica del nostro College; Matt è diventato il cantante quasi per caso, dopo quella volta in cui Chris si prese la tracheite e lui si offrì di sostituirlo per suonare comunque la sera in un locale di Plymouth. Ha una voce fantastica - sottile, acuta - ma allo stesso decisa e vellutata anche sui toni più bassi, un po' come una carezza. Non gliel'ho mai detto, però. So che non vuole sentirselo dire.

"Beh, chi vuole una tazza di tè?"

La voce di mia madre mi riporta bruscamente alla realtà.
Sta ancora tenendo una mano pallida tra le sue - lo sguardo di chi è preoccupato, sì, ma che al contempo sa che andrà tutto bene. Sia io che Matt muoviamo il capo in un cenno automatico di diniego; quella del tè non è tanto un'offerta reale quanto una scusa qualsiasi per abbandonare la stanza, ed infatti il tempo di un ultimo abbraccio e poi la mamma torna di sotto, lasciandoci nuovamente soli.

Rimango a fissare per un po' le chiazze bagnate sulle maniche di Matt - quelle con cui deve essersi asciugato il viso qualche minuto fa. Non so se sia ancora il caso di parlare, quindi lo stringo un po' al mio fianco e poi poso la testa su una spalla ossuta, chiudendo gli occhi lì.

"Mi dispiace."

E lo dico solo perché è vero, mi dispiace.

"Adesso me ne vado, tranquillo. Solo," e tira su col naso, Matt, guardandosi attorno indeciso per qualche istante. "Niente, lascia stare."

"Matt, dai, scusa. Davvero. Non volevo dirle quelle cose."

E guardami, Cristo!

"Lo so."

La mano che ha appena finito di slacciare una scarpa sale fino al naso e lì tira stringendo sulla punta. Matt sembra confuso e probabilmente lo è - è indeciso se minacciarmi o scusarsi per ciò a cui ho appena assistito. Non è che non pianga mai o cose del genere - cazzo, Matt piange un sacco, è tipo la persona più emotiva che io abbia mai conosciuto - solo che ci tiene alla sua reputazione da ghiacciolo stronzo insensibile. Il perché, naturalmente, mi sfugge. Ma la sua testa corre troppo veloce perché io gli stia dietro, a volte.

"Era ad Exeter ieri, sai? Dalla zia Mary. Non è passato neanche per dirmi ciao."

Immaginavo si trattasse di lui. 

"Quanto disterà Exeter da qui in auto? Venti minuti?"

Schifoso. Vigliacco. Stronzo.

"Perché non - cazzo, Dom - io non - perché mi odia così tanto?"

È assurdo come io riesca ad odiare così una persona che non ho mai incontrato in vita mia. Quello che Matt mi dice, ma soprattutto quello che Matt non mi dice di lui, è abbastanza perché rinunci in partenza a prendere le sue difese, a cercare anche solo di capire il suo punto di vista - perché non ci riesco, perché mio padre non è così; papà non si è mai perso un solo live di tutte delle band a cui ho partecipato da quando avevo 13 anni - non un mio saggio, o una recita scolastica, o quel che fosse. Figuriamoci poi un compleanno!

Ma non è che possa esattamente dirgli "ehi, amico, a questo chiaramente di te non importa un fico secco", perché da qualche parte nel profondo so - entrambi lo sappiamo - che non è questa la verità. "È tuo padre", gli dico invece, "certo che non ti odia."

"Allora perché, cazzo - perché mi evita come se fossi un fottuto bastardo ritardato!? Perché mi invia tutti quei soldi quando sa che vorrei solo vederlo, e -- e parlarci, cazzo, di stronzate, dirgli che adesso suono la chitarra come lui, che - che - merda! Cazzo! Merda!"

Se possibile, questo è uno scenario ancora più pietoso di quello di prima. Me ne sto inutile con le mie braccia inutili e le mie gambe inutili e il mio tutto essere un'inutile inutilità seduto sul letto, senza sapere che dire o fare. Matt sta cercando qualcosa nel suo zaino, e so già di cosa si tratta prima che le poggi davanti a me in un gesto di per sé piuttosto eloquente - trecento spiegazzate sterline sul vecchio copriletto di Donald Duck.

"Prendili. Sul serio, voglio che le prendi tu - per tutte quelle che hai prestato a me. Prendile o ti giuro - ti giuro, Dom, le brucio. Le strappo. Le butto in un tombino. Le metto nella cuccia di Ralph."

"Vuoi avvelenarmi pure il cane adesso?"

"Sono serio."

È tutto rosso in faccia, Matt, e gonfio attorno alle palpebre e sul naso.

"Non posso. Lo sai che non posso."

I suoi occhi diventano di un azzurro impossibile quando piange.

"Ho detto che non le -"

"Però possiamo utilizzarle come fondo cassa per la band. Che ne dici?"

Mi muovo lentamente verso di lui, spostando le banconote al mio fianco e riscattando la mia succitata inutilità quando lo tiro giù di nuovo sul letto per un polso, costringendolo ad arrendersi al mio abbraccio.

Non incontro resistenza - anzi, "Dom," sussurra piano contro un mio orecchio Matt, e poi: "ti voglio bene".
Lo dice sottovoce - o lo mastica in realtà - ma poco importa, perché adesso so per certo che George Bellamy è l'uomo più fottutamente cieco e stupido e idiota e coglione dell'intero Universo.

"Come ti senti?" chiedo alla fine dopo un po'. Il fiato di Matt mi solletica un lato del collo, e il peso caldo del suo corpo schiacciato contro il mio è stranamente conciliante - nella maniera in cui quello di Tom o di Chris non potrebbero mai esserlo.

"La testa mi scoppia."

Sorrido un po', accarezzandolo con le dita sulla nuca.

"Ferma quel cricetino, allora," dico, e poi, leggere, strofino le unghie contro la pelle bianca - così bianca - proprio sotto all'attaccatura dei capelli.
Matt mugola contento, rilassandosi di più contro la mia spalla.

"Mh, sì - mmh, Dom."

"Ma guardati, due grattini e ti vendi come una vecchia gatta in calore," lo sfotto, ma lui sta già ridendo e sventolando il medio dietro alle mie spalle.
"Non scassare," sbuffa, e poi: "mh, sì -- oh, così!"

"Puoi evitare di gemere come se ti stessi facendo una sega, scusa?"

"Mh, mh -- no. Più a destra."

"Così?"

"Uh, sì -- cazzo, sì. Mannaggia a te che sei nato con l'uccello, Dom."

Pausa.

"Eh?"

Riprendo a grattare, lo sguardo perplesso diretto in una linea retta sulla la parete di fronte e il poster degli Smashing Pumpkins.

"Più giù? Dico che - boh, dai. Niente."

Dato per scontato che non è possibile che una parola che denoti mancanza di elementi ("niente") possa suscitare tali contrastanti sentimenti in una persona, ho deciso di attribuire alla suddetta parola la locuzione "troppe cose e troppo complicate perché io stia qui a spiegartele". Con Matt Bellamy, la stessa è praticamente attribuibile alla metà delle cose che dice - "che palle", "fanculo", "ricchione" - tranne quando inizia a parlare dei suoi dannati fagiolini OGM. Non sia mai lì salti una spiegazione o un dettaglio.

A volte gli sono quasi grato - tipo adesso, perché non voglio davvero sapere cosa gli stia frullando nella testa, non con lui schiacciato addosso così, sul mio letto, coi grilli che cantano fuori alla finestra e il suo profumo nelle narici.

"Va be'. Resti a dormire qui?" chiedo invece.

"Che ore sono?"

"Quasi le undici."

Se possibile, Matt si fa ancora più piccolo nel mio grembo, tirando il collo di lato così che possa strofinargli le spalle.

"Posso?"

"Sì, ma," inizio, tentando di spostare le gambe da questa posizione scomoda, ma Matt è un peso morto e atterra giù con me sul materasso. Non ha idea di quello che mi sta facendo - strusciarmisi contro nel suo essere tutto occhi brillanti e denti storti e zigomi affilati - o forse sì, ed è anche peggio.

"Dicevo - sì, puoi restare, ma se scorreggi ti mando a dormire giù in giardino con Ralph."

Allungo un braccio e trovo già il cuscino, portandolo più vicino alla testa. Matt mi imita, rotolando poi alla mia sinistra e stringendosi di più contro di me per non cadere dal letto.

"Aspetta," dice sistemandosi con un braccio sotto alla mia spalla, una gamba tra le mie. "Ti do fastidio se sto così? Non mi va di dormire sul materassino da solo."

"No, tranquillo. Solo non farci l'abitudine, però."

Respirarsi addosso è praticamente inevitabile, a queste distanze. Il naso di Matt è a soli tre centimetri dal mio, e da qui posso contargli persino le ciglia appese ad ogni palpebra, gli scatti nervosi delle iridi nascoste al di sotto. Questa condivisione stretta di spazi vitali ed ossigeno è un'altra delle dinamiche del nostro rivisitato Club dei Ragazzi che sfugge alla comprensione di Tom e Chris - ma loro sono grandi e grossi e non è che possa esattamente andare in giro ad abbracciarli come un koala bisognoso.

Non che io e Matt passiamo tutto il tempo a coccolarci e piangere ed essere emotivi in generale, sia chiaro. Tutt'altro, direi.

"Ralph mi adora in realtà. Mi lecca in una continuazione."

Ralph odia Matt al punto che ogni volta che viene corre a nascondersi nella sua cuccia o dietro alla poltrona di papà. Una volta però per sbaglio gli ha leccato una mano, e da allora lui è convinto di essersi guadagnato la sua simpatia.

"Se fossi stato una cagnetta adesso avremmo già la nostra bella colonia di bastardini."

Appunto.

"La carica dei Bellamy... cielo, che incubo."

"Un esercito di... carlini a pois. Oppure quei cosi che somigliano a topi, sai?"

"I chihuahua?"

"Quelli. Ma stai tranquillo, tanto io non avrò mai dei cuccioli."

Ridacchio un po' sovrappensiero, la testa in realtà già oltre la metafora canina. Matt si alza un poco sui gomiti - giusto il tanto da permettergli di sfilarsi la felpa - e poi ritorna a stendersi contro di me, una mano a stressare le pellicine sulle labbra screpolate in una serie di pizzichi nervosi.

Tace per qualche minuto, godendosi il silenzio interrotto solo dall'occasionale frinire delle cicale appostate fuori alla mia finestra.
"Ho scritto una canzone," mi confessa poi. "Ma ho solo il testo e qualche nota, in realtà."

La lampada sulla scrivania è ancora accesa, ma la sua luce è fioca e non dà realmente fastidio agli occhi.
Ripenso ai Muse, al contest, alle trecento sterline di George Bellamy e agli auguri stonati di mia madre.

"Di che parla?"

Un braccio sottile sale a stringermi la vita, scavando invadente tra un fianco e una costola. 
"Di fuggire," mormora piano Matt.

Non mi augura la buonanotte prima di addormentarsi.


*   *   *


Teignmouth (Devon), 28 novembre 2011


why can't you just love her?
and why be such a monster?



"C'è solo del vecchio Earl Grey, qui. Va bene lo stesso?"

Matt sta trafficando con quel dannato bollitore da almeno dieci minuti. Non vuole realmente mettere su l'acqua per il tè, eppure gli sembra comunque il caso di farlo.

"Non trovo la presa," dice, schizzando ovunque e guardando da nessuna parte, "non ce n'era una proprio qui dietro al frigo, Dom?"

Un sonoro "tlud" mi suggerisce che la caraffa d'acqua è stata finalmente posata sul maledetto ripiano di marmo, mentre Matt si rigira verso di me - la ricerca di una presa di corrente mai intrapresa e già abbandonata.

Mi sta facendo innervosire.

"Lascia stare," gli dico, e inizio già a sollevarmi dallo sgabello sul quale sono rimasto seduto a guardarlo finora.
Un paio di iridi cobalto hanno già rintracciato le mie, costringendomi con forza prima ancora delle sue parole a tornare con le chiappe sul cuscinetto di lattice.

"Dobbiamo parlare," mi spiega, poggiando i gomiti sul bancone che ci divide. "Ora."

Matt ha l'aspetto di uno che sia appena stato ripassato in un'asciugatrice a secco. La sua pelle è tirata e lucida in più punti - le macchie sulle guance più evidenti del solito; gli occhi sono scavati e non brillano più come una volta - i capelli flosci e stressati che si dividono in una fila ordinata al centro del capo, la barba sfatta da giorni. Fa schifo, e non lo trovo per nulla attraente.

"Sono stanco," replico sciatto, senza più guardarlo. "Voglio dormire."

"Anche io, Dom, ma prima dobbiamo parlare."

Matt ha preso a tamburellare con le dita su una vecchia ciotola - insicuro su come debba iniziare il suo patetico discorso.
Se avesse avuto una tazza di tè tra le mani, a quest'ora si sarebbe sicuramente scottato tutto.

"Non m'importa di cosa - cioè. Aspetta. Mi importa - ciò che voglio dire è che tu hai la tua vita, okay? Fai quello che vuoi e ti scopi chi ti pare, a me non devi render conto di niente."

"Ottima premessa."

"Non fare il cretino, Dom. Non fare il cretino o giuro che m'incazzo sul serio, perché - perché cazzo, stai sbagliando tutto. Tutto."

Un piede ha preso a battere ritmicamente contro una gamba dello sgabello - il mio sgabello, e il mio piede.

"Da quando siamo tornati in sala non ne hai combinata una buona. Sei sempre stanco, sei sempre... con la testa altrove."

Matt ha allungato una mano verso di me. Non ho capito cosa vuole che ci faccia - che la raggiunga? Che la prenda? Che la schiaffeggi?

"Lo so che anche tu hai i tuoi periodi, Dom. Non siamo tutti perfetti, però -"

"Però," lo incalzo, "per qualche strano, assurdo, motivo adesso tu ti senti in dovere di farmi comunque la paternale."

Alla fine la mano resta lì da sola. 

"Si tratta della nostra amicizia. Si tratta del modo in cui ti comporti ultimamente. Dom, non è una paternale, è -"

"Ma cosa c'entra l'amicizia adesso? La nostra amicizia non ha alcuna rilevanza in questa faccenda!"

"Invece sì! Invece sì, Dom! E se lo neghi ancora, se dici ancora che io non c'entro niente -"

C'entri tutto, tesoro. C'entri tutto perché *tu* sei tutto. 

" - vuoi capirlo che mi importa solo di te, Dom? Non di quello che fai. Di te."

E quello - illudermi che potesse essere così anche per te, in fondo - è stato il mio più grande sbaglio di sempre.

"Ti importava di me anche mentre cercavi di scoparti Cécile?"

"Io - che," Matt balbetta per qualche istante, scuotendo il capo come qualcuno che si sia appena perso una parte del discorso. "Cosa?"

"O ti importava di tuo figlio, forse? Della donna che dici di voler sposare - ti importava anche di loro mentre ti tiravi fuori il cazzo dalle mutande?"

Matt si agita a disagio sul suo sgabello, le mani che scivolano dal ripiano alla ciotola - ai suoi capelli, al naso.
Il cobalto diventa subito acquamarina, e quegli occhi così belli sono già pieni di lacrime prima che possa finire di parlare.

"La verità è che sei pieno di merda - pieno di merda dentro e fuori, fino al collo. Adesso ti senti così in pace con te stesso che credi di avere il diritto di venirmi a fare la ramanzina - di dirmi che sto sbagliando tutto, Cristo! Tu che hai messo incinta la prima troia sconosciuta e adesso ti ritrovi con un moccioso che nemmeno - "

"Non osare, non ti permetto di parlare così, non -"

"Parlo come cazzo mi pare! Mi fai schifo, Matt! Sei un ipocrita, un bastardo, uno stronzo - schifoso, egoista! - traditore!"

Respira già a fatica quando glielo dico, i pugni serrati sul tavolo davanti a me: "quanto ancora prima che lo abbandoni come ha fatto lui con te?", gli sibilo contro.
Quando il primo pugno mi colpisce, sono solo felice di incassarlo.

Matt mi sputa addosso e mi strappa i capelli mentre tira colpi alla cieca, ma io leggo oltre tutte quelle moine - dietro agli insulti che mi recita contro come una filastrocca; non mira tanto a fare del male, quanto a procurarsene in prima persona.

Non che non sia incazzato nero con me.

"Io gli voglio bene - gli voglio bene, stronzo! Lo amo da impazzire, è - è la mia vita!"

"Ma non provi niente per lei, Matt, non mentire - non vuoi nemmeno sposarla!"

"Stai zitto! Zitto! Sei tu che hai un fottuto problema! Sei - sta' zitto cazzo!"

E poi mi svuoto, perché a questo punto non ho più nulla da perdere - perché non voglio più perdere.

"Sei bloccato, frustrato - non vedi l'ora di menarlo nel primo buco disponibile, di -"

"E tu - tu sei inutile! Sei - sei - hai 34 anni! 34 anni, cazzo, e sei la persona più triste e inutile e sola che io conosca! Mi fai pena! Devi tirare quella merda per darti un senso, per riempire la tua giornata!"

"Almeno io lo ammetto e non faccio finta di giocare alla famiglia del fottuto Mulino Bianco!"

Uno schiaffo mi colpisce dritto sulla fronte, facendomi traballare fino alla parete con l'orologio.

"Quello lì - il francese - te lo sei scopato, no? Ti scopi tutti quelli che incontri, non è così che fai amicizia tu?"

"Io mi scopo chi mi pare, non ho nessuno a cui renderne conto!"

"Sei solo geloso, perché io ho qualcuno e tu invece no!"

"Per quello ho un cane, Matt - per sentirmi a posto con me stesso."

"Io - tu, tu non - STA' ZITTO!"

Matt sta piangendo così forte che il pugno gli trema e mi manca di diversi centimetri.
Stremato dai singhiozzi e dalle botte, infine mi si spinge addosso, irruento e bagnato contro la mia camicia sudata.

Non lottiamo più, adesso. Non ha più senso, non l'ha mai avuto.

"Sono così stanco, Dom," mi dice lui, "così stanco".

Succede tutto all'improvviso; scivolo lungo il muro con le spalle e Matt viene giù con me. Mi dà un pugno - ed io lo spingo - e poi lui fa una cosa strana e schianta le labbra contro le mie.

Mi bacia. Matt mi bacia.

La sua lingua è dappertutto prima ancora che possa schiudere la bocca; prepotente si spinge contro ai denti, le gengive, percorrendo le file velocemente prima di succhiarmi via il fiato. Mani nervose mi tracciano gli zigomi e affondano i polpastrelli sulle tempie, premendo con vigore sulla pelle sottile vicino all'osso. Mi fa male - stringe troppo - ed è estasi.

"Cazzo," e poi mi guarda negli occhi e un po' forse sorride - un po' ancora piange - e poi "andiamo a dormire," mi dice.

Fuori albeggia, ma la pioggia batte ancora forte contro i vetri.










Note di demerito (ciaaaaao):


- l'autrice ha scritto questo capitolo di getto e non si scusa se farà schifo visto che palesemente la colpa è tutta di Dominic Howard *indica* perché è lui che me l'ha suggerito nella testa;

- a Matt voglio più bene del solito, pare! *palesemente non si è riletta*

- tra gli elementi seriamente degni di nota c'è forse giusto la citazione di inizio e metà capitolo - da Escape, se a qualcuno fosse sfuggito. In realtà tutto il capitolo ruota attorno a quella canzone, perché sì;

- sono una persona meglio perché adesso so dov'è Malmo (no, è che vado ripetendomi dalle tre di oggi pomeriggio "ma perché cazzo hai comprato un biglietto per un concerto a MALMO, DOV'E' MALMO?")

- nessuno mi ha betata/aiutata/sgridata e io ieri stavo per dar fuoco ad uno di 'sti due;

- Dominic è una persona orribile *guarda malissimo*;

- Matt pure *sostiene sguardo severo per 0,01 secondi e poi si lancia contro di lui urlando "MA NO, PUCCI!"*;

- li amo;

- lol al Club dei Ragazzi;

- scusi signor Bellamy Senior se ho detto che è un fetente, ma sa, questa è l'idea generale che mi son fatta di lei;

- la fishpie è tra le cose più buone che abbia mai assaggiato e la mamma di Dom spacca;

- ciao. xxx


P.S. VAI BELLAMY CHIAVEC' NA SOLA 'NGANN!!!
















 
  
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