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Autore: hummelssmythe    16/06/2012    12 recensioni
La testa gli sembrava molto pesante e la sua vista era appannata in quei pochi secondi in cui riusciva ad aprire gli occhi. Rotolò sotto le coperte, respirando affannosamente.
Erano giorni che aveva quella fastidiosa rara influenza estiva e non ne poteva più di dover restare in un letto a lamentarsi per il dolore. Avrebbe voluto passare l’estate con i suoi compagni di liceo, prima che si dicessero definitivamente addio, ma era bloccato sotto le lenzuola ed era una cosa assolutamente insopportabile. E le ore passavano in quel fastidioso stato di dormiveglia perenne senza che potesse avere la benché minima concezione di quante ore stessero effettivamente passando.
Prompt da P e r l a;
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck | Coppie: Kurt/Puck
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolo dell’autrice

Hello everybody! Questa è un’altra shot da prompt, e di nuovo di Perla per altro :3 dovrebbe essere ‘Puck malato, Kurt che si prende cura di lui, e Puck che gli confessa che gli è sempre stato ‘simpatico’.‘

Come avrete notato dalla pagina di Facebook, cerco di postarvi un po’ di tutto per compensare la mia recente assenza, quindi potreste trovare aggiornamenti dei quali non vi accorgete xD sarò una ninja, decisamente. Quindi, ogni tanto, date una controllatina agli account :3 Credo che questa non sarà l'unica shot di oggi, so :3.

Grazie mille a Perla per il prompt e a chiunque leggerà la storia o si fermerà a dedicarmi un istante per recensirla (vi amo troppo <3).
E un grazie speciale alla mia beta, ManuKaikan :3 quella briosa e dolce fanciulla <3 (alias porca).

A dopo,
xoxo RenoLover <3

 

OneLastSpoonofCoughSyrup

RenoLover

 

La testa gli sembrava molto pesante e la sua vista era appannata in quei pochi secondi in cui riusciva ad aprire gli occhi. Rotolò sotto le coperte, respirando affannosamente.

Erano giorni che aveva quella fastidiosa rara influenza estiva e non ne poteva più di dover restare in un letto a lamentarsi per il dolore. Avrebbe voluto passare l’estate con i suoi compagni di liceo, prima che si dicessero definitivamente addio, ma era bloccato sotto le lenzuola ed era una cosa assolutamente insopportabile. E le ore passavano in quel fastidioso stato di dormiveglia perenne senza che potesse avere la benché minima concezione di quante ore stessero effettivamente passando.

Quando qualcuno bussò alla sua porta, il suono fu terrificante: sapeva che si trattava di un semplice picchiettare contro la porta, ma alle sue orecchie era peggio di una cannonata e si espandeva per tutta la scatola cranica con una violenza inaudita.

“Mmmh-“ fu l’unica cosa che riuscì ad emettere mentre il suo volto sprofondava nel cuscino. E sentì la porta aprirsi. Avrebbe voluto voltarsi per vedere chi era, ma non me aveva la forza. Comunque non ce ne fu bisogno perché sentì subito una mano sulla propria schiena e una voce familiare.

“Puck?” era quasi certo del fatto che si trattasse di Kurt.

Tentò di rotolare su se stesso per guardare, ma le braccia non rispondevano per fargli da sostegno.

“Puck, sono io, Kurt.”

Sentì il materasso reagire al movimento di Kurt che, pensò, probabilmente si era seduto. No, si era decisamente seduto, perché sentì le sue mani sulle proprie spalle che tentavano di spostarlo.

“Puck??” chiese ancora, insistente. Noah tentò di farsi coraggio e fece un giro deciso su se stesso, portandosi a pancia all’aria. Quando aprì gli occhi si ritrovò davanti Hummel che stava seduto e si sporgeva verso di lui con le mani poggiate sul letto. “Sei davvero messo male!”

Quella considerazione arrivò appena dopo che Kurt ebbe guardato nei suoi occhi poco lucidi e svegli.

“K-Kurt?” mormorò, ma i suoi occhi si chiusero di nuovo. Voleva chiedergli cosa ci faceva lì, ma non ce la faceva. Fortunatamente Kurt sembrò capirlo all’istante.

“I ragazzi volevano sapere se ci sei per il caffè domani e mi hanno mandato a controllare la situazione” sentì la mano fredda di Kurt poggiarsi sulla sua fronte e sussultò per quella immensa differenza di temperatura. “ma non mi sembra sia delle migliori, non credo tu possa domani.”

Puckerman si lamentò e tentò di sollevarsi, con gli occhi appena dischiusi, ma affondò nuovamente.

“Ma io-io voglio …” rispose, lamentandosi. Ci teneva molto a vederli. Erano stati quattro anni speciali, lo sapeva, non voleva perderli, non per davvero, non definitivamente. Ogni incontro rischiava di essere l’ultimo e non voleva rischiare di perderselo.

“Rilassati,” lo rassicurò Kurt, quasi capisse esattamente ogni sua preoccupazione. Kurt era sempre stato bravo a capire “ce ne saranno altri già programmati per le prossime due settimane, ti riprenderai.”

Puck non riuscì a rispondere e l’ultima cosa che i suoi occhi videro, prima di chiudersi del tutto, furono quelli azzurri di Kurt che lo scrutavano preoccupati. Pensò che fosse molto carino a prendersi cura di lui nonostante avesse passato tutto il secondo anno a lanciarlo nell’immondizia. Ma in fondo avevano messo ogni risentimento da parte nel Glee, e loro non erano un’eccezione.
Non aveva idea di essersi riaddormentato con un sorrisetto compiaciuto in volto.


Quando riaprì gli occhi, leggermente meno confuso, vide Kurt ancora davanti a lui. Indossava qualcosa di diverso, poteva distinguerne i colori alternativi, ma era ancora seduto davanti a lui. Si sentì leggermente più lucido, appena un po’, abbastanza da riuscire ad inarcare un po’ la schiena e portarsi sui gomiti. Kurt gli sorrise affettuoso.

“Ti sei svegliato!” esclamò, battendo le mani, euforico. Puck non poté trattenere un sorriso. “Cominciavo a pensare che non sarebbe mai successo!”

Batté le palpebre per metterlo a fuoco meglio.

“Da quanto sei qui?” domandò, sentendosi per niente imbarazzato al fatto che Kurt lo avesse osservato dormire.

“Un’oretta e mezzo!” rispose Kurt, prima che Puck potesse essere preso da un attacco violento di tosse. I suoi occhi si arrossarono all’istante mentre osservava Kurt scattare verso il suo comodino. Afferrò la bottiglia e versò dell’acqua in un bicchiere, porgendogliela a velocità della luce. Puck afferrò il bicchiere, ma la sua presa era debole e la sua mano cedette all’istante. Fortunatamente Kurt fu abbastanza lucido da avvolgerla con la propria e accompagnare il bicchiere alla sua bocca, aiutandolo a bere. Anche quella volta si rese immediatamente conto della differenza di temperatura tra le loro pelli.

Sentì l’acqua fresca percorrergli la gola secca e dopo qualche istante si sentì meglio. Kurt gli sfilò il bicchiere dalla mano, prima di poggiarlo sul comodino. Puck deglutì per il fastidio che gli stava provocando il mal di gola.

“Perché lo stai facendo, Kurt?” gli domandò, alzando di nuovo lo sguardo verso di lui, ma Kurt stava sorridendo innocentemente.

“Perché sei mio amico?”

Puck ricambiò quel sorriso, mentre le braccia cominciavano a non sostenere più il peso. Si lasciò andare, poggiando nuovamente la schiena sul materasso. Kurt gli sistemò le lenzuola attorno e si allungò di nuovo verso il comodino.

“Sì, ma perché tu?”

Puck si rese conto all’istante del fatto che la sua domanda non aveva molto senso, ma non riusciva ancora a formulare frasi più lunghe e coerenti.

“Perché …” rispose Kurt, titubante e a Noah sembrò evidente che neanche lui sapeva esattamente perché lo stava facendo. “Sei mio amico?” ripeté di nuovo, inarcando le sopracciglia. Puck decise che era abbastanza.

“Sai … Kurt” attirò la sua attenzione concedendogli uno sguardo dolce. Per quello si sarebbe sforzato di riuscire a portare a termine la frase “non ti ho mai chiesto scusa per bene per tutte le volte che ti ho lanciato nel cassonetto” le labbra di Kurt si incurvarono in un sorriso sincero. Puck si rese conto del fatto che aveva aspettato a lungo quelle parole, e lui era stato crudele a non concedergliele “non sapevo quello che facevo, ero un idiota, mi-“

“Va bene” lo interruppe Kurt, prima di alzarsi dal letto. “Va bene, non preoccuparti” Puck si sentì immediatamente rassicurato a quelle parole: lo aveva già perdonato, semplicemente voleva sentirsi dire quelle parole. “Io devo andare, Puck”

Puckerman annuì e gli concesse un cenno con la testa, prima di affondare nuovamente sotto le lenzuola. Si rilassò, sentendo Kurt chiudere la porta e cominciò a lasciarsi cullare dai propri pensieri onirici, prima di piombare, per l’ennesima volta da quando aveva preso quella brutta influenza, in un sonno profondo.

 

 

“Puck” lo stava chiamando di nuovo, ma non era sveglio, quindi non era sicuro del fatto che lo avesse chiamato davvero e non se lo fosse inventato. Batté le palpebre, ma i suoi occhi si richiusero di nuovo.

“Puck!” insistette la sua voce e, allora, gli sembrò più evidente che non era soltanto la sua immaginazione. Aprì gli occhi con decisione e si mosse rapidamente, ma quando piegò la schiena, si ritrovò un ingombrante vassoio sulle gambe. Osservò il piattino di fragole che aveva davanti, ma il suo sguardo salì rapidamente verso Kurt che stava stringendo i lati del vassoio per assicurarsi che non lanciasse tutto per l’aria.

“Dovresti mangiare qualcosa” gli disse con un sorriso sulle labbra “Tua madre dice che non mangi da giorni, anche se non mi sembrava molto lucida”

Puck scosse il capo ma se lo sentì immediatamente pesante e fu costretto a richiudere gli occhi con la testa sospesa. La voce di Kurt gli sembrava un temporale nel suo cervello.

“D-dov …” era assurdo che non riuscisse a finire una frase, aveva sempre goduto di ottima salute, non ci era abituato. “Non ho fame”

Riaprì gli occhi e Kurt stava ancora sorridendo, ma le sue dita  scivolarono sulla forchettina nel piatto. La seguì con lo sguardo finché non si ritrovò una fragola avanti alla bocca. Nonostante avesse detto di non aver fame, le sue labbra di dischiusero all’istante – non aveva idea del perché – per accogliere una fragola.

Ingoiare quel pezzettino fece anche male, vistosi il blocco che aveva alla gola, ma doveva ammettere che il suo corpo reagì positivamente al cibo. E gli sfuggì un sorriso che spinse all’istante Kurt ad imboccarlo di nuovo.

Aprì di nuovo le labbra e mangiò un’altra fragola, mentre si teneva in equilibrio precario sui gomiti e studiava Kurt di fronte a lui.

“Com’è andato il caffè?” domandò mentre lo vedeva raccogliere già un’altra fragola dal piattino e sorridere per la domanda.

“Direi bene” gli rispose Kurt, sollevandosi appena dal materasso per sedersi più vicino, visto che Puck lo stava costringendo ad allungare il braccio all’infinito. “Mancavi, sai?”

Puck fece spallucce ed accolse l’ennesima fragola in bocca. Non poté però trattenersi dal rispondere, neanche a bocca semi-piena. “Non credo. Sono un fallito, non mancherei a nessuno.”

Hummel inarcò le sopracciglia e continuò ad imboccarlo, più velocemente, visto che cominciava a tenere il ritmo. “A Rachel mancavi, Quinn cercava il suo ‘idiota preferito’ e Sam non si sopportava senza di te” gli spiegò, ma notò all’istante che l’espressione sul volto di Puck era scura. Gli ci volle qualche secondo per capirne il perché però. “Oh, anche a me, ovvio. Altrimenti non sarei qui”

Ma Noah non gli sorrise ancora, anzi, passò dallo scuro al confuso in un istante.

“Tu …” cominciò, abbassando lo sguardo verso il proprio addome coperto da una canotta aderente – era la prima volta dopo giorni che riusciva a distinguere perfettamente cosa indossava – pensieroso. “Sei qui perché ti mancavo?”

Kurt sembrò annuire per un istante, poi scosse il capo con decisione, quasi se ne fosse pentito.

“Sì-cioè, anche” rispose, un po’ in difficoltà, prima di riacquistare un sorriso deciso e sicuro. “Sono qui per prendermi cura di te”

Puck non aveva idea di come sentirsi riguardo quella risposta. Non sapeva se era quello che voleva e la cosa era strana. Aveva preferito quel secondo in cui aveva annuito, semplicemente.

“Grazie, compare” gli fece, con un sorriso debole sulle labbra, prima di abbandonare del tutto la schiena contro il materasso e la testa sul cuscino “dev’essere una rottura”

Vide appena Kurt scuotere la testa da quella posizione, ma notò la rapidità con la quale stava spostando vassoio e piattino per poggiarli sul comodino. Poi si alzò definitivamente da materasso – a quel punto Puck dovette capirlo dal movimento del letto, perché aveva giù gli occhi chiusi – ma non poté fare un passo perché la sua mano fu bloccata da quella dell’altro. Kurt si voltò confuso ed esitante verso di lui.

“Puoi restare finché non mi addormento?” domandò Puck debole, senza neanche riuscire ad aprire gli occhi per guardarlo. Rimasero per un paio di secondi in quel modo, Kurt in piedi con il polso avvolto dalle dita bollenti di Puck. Poi Noah sentì il materasso muoversi di nuovo.

E si addormentò di nuovo col sorriso sulle labbra.

 

La volta successiva che aprì gli occhi, Kurt non era lì. E si sentì strano perché, da quando era successo la prima volta, gli era capitato sempre di aprire gli occhi e trovarselo davanti. Era strano che non ci fosse, lui si sentiva strano. Voleva davvero che fosse lì perché gli sembrava di diventare più conscio quando parlava con qualcuno.

Tentò di portarsi a sedere ma, al primo movimento, il suo corpo lo abbandonò e cascò di nuovo contro il materasso, sommerso dalle lenzuola, evidentemente e stranamente pulite. Non aveva idea di quando gli avessero cambiato il letto, non era abbastanza lucido o sveglio per accorgersene.

Non durò molto comunque. Alzò appena la testa per concentrarsi sulle pareti, per osservare con attenzione la stanza e verificare che non ci fosse nessuno. Poi chiuse gli occhi e piombò nuovamente in un sonno profondo.

 

 

Batté le palpebre una volta, quel secondo necessario per pensare di riaddormentarsi.

Poi le batté di nuovo perché c’era qualcosa di strano, proprio aventi ai suoi occhi.

Le batté una terza volta per mettere a fuoco quell’immagine sfocata e, finalmente, Kurt apparve avanti ai suoi occhi.

“Non sei venuto ieri” osservò, con voce tremante Noah, mentre l’immagine del ragazzo diventava sempre più nitida. Ma Kurt gli sembrò confuso a quell’osservazione.

“Sì che sono venuto, hai dormito quasi tutto il pomeriggio” gli fece presente, ma la sua voce somigliava più a delle cannonate. Ed era strano: la voce di Kurt non somigliava a cannonate. “Ogni tanto ti svegliavi appena e ti lamentavi. Anzi, non sono sicuro del fatto che tu fossi sveglio in quei momenti”

Puck annuì e rispose con un lamento. Tentò di sollevarsi sui gomiti come ogni giorno, ma stava già venendo meno. Fortunatamente Kurt lo afferrò per i fianchi, sostenendolo per quanto le sue mani esili potessero. Grazie a quell’aiuto, Noah riuscì a sostenersi sui gomiti e restare piegato tanto da poter guardare bene Hummel.

“Grazie, Kurt” gli fece abbozzando ad un sorriso. Kurt ricambiò e si sedette accanto a lui. Aprì il cassetto, tirandone fuori un termometro. “Oh no,” commentò all’istante Puck, “è una cosa che odio!”

“Ma dobbiamo farlo” gli rispose Kurt all’istante “è importante, non devi sottovalutare questa brutta influenza”

Puck sbuffò mentre lo guardava far scendere la temperatura scuotendolo tra le mani. E dovette ammettere che la sua pelle chiara rendeva le mani molto piacevoli. Percorse con gli occhi il suo braccio in movimento, appena da notare che il suo fisico era cambiato molto in quei tre anni: aveva decisamente qualche muscolo in più. Salì lungo il suo collo, fino alle sue labbra che sembravano particolarmente morbide. Poi incontrò i suoi occhi che lo stavano fissando confusi.

“Tutto bene?” gli chiese, ma la mente di Puck stava già volando verso qualcosa di nuovo e inaspettato. Annuì deglutendo e sollevò appena il braccio per permettere a Kurt di infilare il termometro.

Ma non appena Kurt si sporse verso di lui, Puck gli afferrò istintivamente il braccio e lo attirò a sé. Kurt si mosse goffamente in avanti, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, si ritrovò già con le gambe incollate a quelle di Noah che era certo del fatto che sentisse le proprie come bollenti a causa della febbre. Si toccarono appena, prima che Kurt potesse balzare all’indietro, portandosi in piedi.

“Io-io d-dovrei andare …” commentò, tenendo le mani congiunte in avanti. Puck batté rapidamente le palpebre e si sentì subito gli occhi pesanti.

“Non devi” gli rispose comunque in tono fermo, deglutendo ancora, anche se sentiva ancora il sapore delle sue labbra sulle proprie. “Non devi andare via, Kurt”

Ma era troppo tardi perché Kurt stava già indietreggiando verso la porta.

“M-mi dispiace, Puck” fece, abbassando la maniglia e aprendo la porta “devo andare, sul serio”

Non gli diede la possibilità di rispondere che era già sparito da quella stanza. Puck cadde di nuovo all’indietro e si passò una mano sulla cresta: come diavolo gli era saltato in mente?

 

 

Come aveva previsto tra un risveglio casuale e l’altro, Kurt non si presentò il giorno dopo. Non aveva avuto dubbi e probabilmente era dovuto al fatto che era stato un idiota con lui. Era stato così idiota da dimenticare che non era gay, che Kurt aveva un ragazzo che amava molto e che ricambiava, e che lui non avrebbe dovuto fare nulla del genere. Si sforzò di raggiungere il termometro sul comodino ma fallì miseramente. Schiacciò il volto contro il cuscino, con la bocca semiaperta, consapevole del fatto che la saliva sarebbe affluita presto, ma gli era necessario per respirare, visto che il suo naso non sentiva quella necessità.

E si sentiva così solo perché era certo del fatto che, quella volta, non se lo era perso dormendo: semplicemente Kurt non si era presentato perché lui aveva avuto la geniale idea di baciarlo. Aveva mandato all’aria chissà quanti giorni di cure sofisticate e complesse.

 

 

Era sicuro del fatto che fosse passato almeno un altro giorno da quel risveglio. Riaprì gli occhi, quella volta in maniera più decisa, e la prima cosa che vide fu Kurt seduto sulla sua finestra, intento a guardare fuori, col sole che gli passava tra i capelli e che gli accarezzava dolcemente la pelle. Puck decise di concedersi quel momento, di goderselo prima che Kurt potesse accorgersi del fatto che si era svegliato e smettere di essere così naturale e spontaneo. Dovette ammettere che, ne avesse avuto le forze, avrebbe sicuramente immortalato quel momento con la fotocamera del cellulare – perché no, Noah Puckerman non aveva macchine fotografiche – perché era decisamente unico.

Quando decise che ne aveva approfittato abbastanza, chiuse gli occhi e girò il volto di lato sul cuscino, prima di simulare un attacco di tosse – non simulare del tutto, un po’ era vero – per attirare la sua attenzione. Lo vide alzarsi dalla finestra e correre verso il comodino. Prese ancora una volta un bicchiere d’acqua ma non permise neanche alle mani di Puck di avvicinarsi che già si era seduto sul letto e lo stava facendo bere con attenzione. Noah aprì gli occhi e buttò giù quei sorsi e, solo quando ebbe inspirato ed espirato correttamente, Kurt si sollevò e poggiò il bicchiere quasi vuoto sul comodino. Questa volta Puck era certo di ciò che diceva.

“Non sei venuto ieri” gli fece deciso, sapendo che non era stata la sua immaginazione. E Kurt neanche si sforzò di mentire, semplicemente annuì. In effetti, perché avrebbe dovuto mentire? Nulla lo obbligava a stare lì ogni singolo giorno.

“Io non-“ tentò di difendersi Kurt, ma si fermò all’istante, quasi si rendesse conto del fatto che un suo eventuale discorso non sarebbe bastato a spiegare, quindi si limitò a trasformare il tutto in una domanda “Perché lo hai fatto?”

Puck esitò un istante, guardò un po’ in giro per la stanza, quasi la ragione potesse essere in uno di quegli angolini, ma non vi trovò nulla. E il motivo era che la risposta era soltanto nella sua testa, o forse un po’ più in basso.

“Non lo so” fece, con la sua solita aria un po’ tonta, e non si aspettava di vedere il sorrisetto che invece vide sul volto di Kurt a quelle parole “Suppongo che io volessi semplicemente farlo.”

E neanche a quell’esclamazione si sarebbe aspettato un sorrisetto, anzi, forse uno schiaffo.

“Sì, direi di sì” commentò semplicemente Kurt, accomodandosi accanto a lui, su quel letto. “Se non avessi voluto farlo, non sarebbe successo, Puck. Tu fai sempre quello che vuoi.”

E Puck non aveva idea del perché, ma era sempre più sorpreso dalla piega che stava prendendo quel discorso. Si sarebbe aspettato un Kurt terrorizzato da quell’idea, non si sarebbe neanche immaginato che tornasse in realtà. Invece era lì, seduto che lo guardava, lo studiava con attenzione, quasi cercando di captare cosa gli fosse passato nella mente nel momento in cui lo aveva baciato.

“Già, immagino che sia così. Faccio quello che mi passa per la testa, non me ne preoccupo neanche” sperò che Kurt leggesse tra quelle parole il suo dispiacere. Non avrebbe voluto comportarsi in quel modo, soprattutto dopo che Kurt era stato così gentile da prendersi cura di lui quando non aveva nessun obbligo.

“Già” sussurrò Kurt, abbassando lo sguardo e Puck realizzò in quel momento che aveva fatto qualcosa di decisamente sbagliato, perché lo aveva confuso, lo aveva messo a disagio, aveva creato una specie di barriera tra loro. Quindi perché Kurt era ancora lì?

Non lo guardava, teneva la testa chinata verso il basso e semplicemente taceva, quasi non sapesse cosa dire o avesse paura di parlare. Era una ragazzo sensibile e non gli faceva piacere vedere che aveva provocato quegli stati d’animo in una persona alla quale, col tempo aveva imparato a tenere molto. Non voleva che ci fosse dell’astio e, anche se chiaramente non c’era, perché Kurt era lì, cominciava a pensare che potesse venirsi a creare.

“Kurt,” lo richiamò a sé, costringendolo ad incontrare il proprio sguardo con quegli occhi azzurri disarmanti “non è successo niente, stavo delirando, era la febbre.”

Stranamente, Kurt gli sembrò sorpreso a quelle parole. E si augurò che non fosse per lo stesso motivo per il quale era sorpreso anche lui: era una bugia evidente. Era sicuro che, nel momento in cui lo aveva baciato, lo aveva fatto con almeno un minimo di lucidità e non solo. Di certo non era sicuro di cosa significasse per lui, ma sapeva quantomeno che significava qualcosa. E non era un problema: l’importante era che non lo sapesse Kurt.

“Sì” rispose dopo un silenzio fin troppo lungo per significare qualcosa e per non significare nulla. Chiaramente non sapeva cosa. Era una cosa piuttosto confusa e non pensava di avere le facoltà di riuscire a capire cosa fosse perché le forze fisiche non glielo consentivano “o-okay, non è successo niente.”

Quel balbettio di Kurt non lo convinse molto, ma la sua mente stava già cominciando a cedere lentamente. Non poteva concederselo. Era uno sforzo sproporzionato.

Socchiuse gli occhi per una manciata di secondi, non sapeva neanche quanti.

Quando li riaprì il voltò di Kurt, quasi incollato al suo volto, che passava lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra. Ma durò un istante, perché il ragazzo si ritrasse subito, quasi stesse cercando di capire qualcosa, una reazione forse.

“Dovrei andare,” sussurrò, comunque ancora molto vicino, guardando Puckerman dritto negli occhi. Gli sembrò di poter respirare ciò che Kurt espirava  quasi e fu molto tentato dal chiudere gli occhi, ma non lo fece. “Sì, dovrei andare.”

Lo ripeté più a se stesso che non a Puck e si alzò dal letto, portandosi una mano sui pantaloni, per distenderli.

“Domani?” domandò, guardandolo avvicinarsi alla porta. Kurt si voltò verso di lui e si limitò ad annuire. Uscì da quella porta non appena poté. Puck si lasciò di nuovo ad andare sul letto, ma quella volta, purtroppo, era più lucido.

Cominciò a pensarci, a pensare a quelle labbra che si sfioravano appena, al modo in cui Kurt lo aveva fissato negli occhi. Non poté fare a meno di realizzare che, se la febbre gli stava passando, significava una sola cosa: Kurt avrebbe smesso di prendersi cura di lui e probabilmente, avrebbe smesso di andare a casa sua. Raccolse tutte le forze, si alzò e si avvicinò alla finestra. La aprì, più che altro la splancò. Afferrò i bordi del propri pantaloni della tuta e se li sfilò, lanciandoli sulla sedia. Era evidente che non era ancora troppo lucido, perché una persona cosciente non avrebbe mai reagito in quel modo. Si infilò di nuovo sotto le lenzuola, restando in boxer, senza rendersi conto del fatto che stava tentando di farsi salire di nuovo la febbre soltanto per riuscire a trascinare Kurt di nuovo in camera sua. Aveva detto che voleva dimenticare l’accaduto, ma stava cominciando a realizzare davvero perché l’aveva detto: in quel modo, Kurt non sarebbe sparito  - perché era evidente che era sul punto di farlo -, avrebbe continuato a prendersi cura di lui e lui sarebbe riuscito a dirgli esattamente quello che gli stava passando per la testa. Poggiò la testa sul cuscino, cominciando ad elaborare una sottospecie di discorso. Chiaramente, ogni tentativo sembrava inutile: non riusciva neanche a capire cosa voleva dire esattamente a Kurt perché gli era ignoto cosa sentiva. Non era neanche certo del motivo per il quale lo avesse baciato, ma doveva fargli capire che c’era un motivo, in modo che Kurt non avesse pensato che stava semplicemente seguendo un istinto dal quale si sarebbe preso subito dopo ignorandolo. Invece non doveva andare in quel modo: Kurt sarebbe tornato il giorno dopo, e Puck avrebbe trovato un modo per parlarne senza metterlo in fuga.

Chiuse gli occhi con un sorrisetto sulle labbra. Un sorrisetto che sparì non appena si ricordò di un particolare che aveva ignorato fin troppo, quasi fosse un dettaglio: Blaine Anderson. Riaprì all’istante gli occhi, domandandosi come avesse fatto ad essere così stupido da non pensarci. Probabilmente era stato il suo inconscio a non farglielo pensare, o forse era semplicemente colpa del delirio da influenza.  Non aveva idea di come avrebbe sistemato la cosa, ma sicuramente non sarebbe stato facile. Cominciò in quel preciso istante a sentirsi un briciolo inferiore, molto in svantaggio, perché se mai fosse cominciata una specie di sfida, sapeva per certo di non avere alcuna speranza di vincere.

 

 

Si svegliò prima. Probabilmente la finestra aperta non aveva avuto l’effetto sortito. Rimase comunque sul letto chiedendosi se fosse abbastanza bravo da simulare un’influenza pesante quando era così lucido. Ed era assolutamente necessario simulare perché Kurt doveva credere che fosse ancora malato altrimenti non avrebbe continuato a fargli visita.

Era rimasto tutta la notte ed oltre in boxer nel tentativo di prendere un bel po’ di freddo, ma non aveva funzionato. E stava per vestirsi quando sentì improvvisamente la porta aprirsi. Kurt si affacciò e si mise all’istante le mani sugli occhi per coprirle. Puck non poté trattenere un sorriso, soprattutto quando lo vide allargare le dita per vederci attraverso, quasi spiando.

“Va tutto bene, Kurt” gli fece scherzoso, “è così che giro in casa normalmente.”

Si rese conto in quel preciso istante del fatto che si stava mostrando fin troppo in salute, quindi fece sparire quel sorriso prima che Kurt, visibilmente imbarazzato, allontanasse le mani per guardarlo normalmente.

“Non credo che dovresti,” gli fece Hummel probabilmente anche per salvarsi, “hai l’influenza, non è il caso che tu resti così.”

Annuì, portandosi immediatamente il lenzuolo sulle gambe. In quel preciso istante Kurt si avvicinò al letto e Puck andò in panico pensando che si stesse avvicinando al comodino per prendere il termometro. Tremò al pensiero perché poteva non avere la febbre e Kurt lo avrebbe scoperto e non aveva neanche pensato di riscaldare per bene il termometro.

“Come ti senti?” gli chiese invece Kurt, sedendosi al bordo del letto. Puck pensò che le sue parole sul dimenticare tutto dovevano aver funzionato perché non era terrorizzato come se lo sarebbe aspettato.

“Mi gira un po’ la testa” mentì Puckerman all’istante, tentando di sembrare naturale, “e mi brucia la gola, fa male.”

Kurt si avvicinò con la mano alla sua fronte e Puck ebbe un sussulto quando la pelle candida del ragazzo toccò la sua. E si sorprese di quanto fosse fredda.

“Sei bollente” gli sussurrò dolcemente Kurt, con un sorriso rassicurante. Noah si leccò le labbra, consolato dal fatto che il suo corpo sembrava aver trovato un modo per ingannarlo senza neanche comunicarglielo.

“Ho l’influenza,” gli fece presente – da bravo bugiardo – “sfido io.”

Kurt sorrise appena, ma il suo sguardo sembrò all’istante distante, come se stesse pensando contemporaneamente a tutte le cose esistenti nell’universo, pur di non concentrarsi su di lui. Puck seppe subito che doveva fare qualcosa.

“Non devo prendere nulla?” domandò, sollevando le sopracciglia, fingendosi perfino un po’ scosso dai sintomi influenzali. Kurt allora gli rivolse lo sguardo – missione compiuta – annuendo.

“Prendo lo sciroppo per la gola?” domandò, già in piedi. Puck lo guardò confuso, visto che non lo aveva preso in quei giorni di malattia.

“Dovresti?” chiese, portandosi, come sempre sui gomiti. Kurt assunse un’aria pensierosa. “Non dirmi che ero ridotto così male da non ricordare che mi hai riempito di sciroppo?”

Puckerman fu fin troppo fiera quando notò che era riuscito a strappare una risata a Kurt, probabilmente distraendolo da tutte le sue riflessioni sul buon senso.

“No, no” gli fece Hummel, scuotendo la testa, “ma hai detto che la gola ti brucia.  Non è un buon segno ed è meglio prevenire che curare.”

Puck dovette riflettere per qualche secondo: stava per prendere un medicinale che non gli serviva soltanto per trattenere Kurt da lui? La risposta era, ovviamente, . Annuì, portandosi per fino una mano alla gola, rilasciando un colpo di tosse abbastanza autentico da essere credibile. Probabilmente aveva ancora un po’ di febbre – la testa stava cominciando ad appesantirsi di nuovo – ma dovette confessare al proprio cervello che quel mal di gola era totalmente inventato. Kurt si avvicinò nuovamente al comodino e, seguendo con lo sguardo, Puck ebbe la possibilità di vedere quel mobiletto da camera per bene per la prima volta da quando aveva un infermiere personale: si augurò che fosse stata sua madre a fare quella scorta enorme di medicinali e non Kurt perché si sarebbe sentito decisamente in colpa nel dargli quei problemi. Lo vide prendere uno scatolino bianco ed estrarne un contenitore di vetro. Prese un cucchiaio comparso dal nulla – a quel punto Puck aveva paura di aprire l’armadio e trovarci una supposta gigante – e verso una piccola dose di liquido. Rivolse uno sguardo a Noah che saltellò sul letto per avvicinarsi, improvvisamente entusiasta di quel nuovo giochetto. Kurt avvicinò il cucchiaio e lui dischiuse le labbra, prima di accogliere lo sciroppo. Stava già per allontanarsi, quando sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi azzurri dell’altro. Doveva cominciare assolutamente a giocarsi le proprie carte. Premette con le labbra sul cucchiaio, prima di farle scivolare lentamente lungo di esso, lasciando il labbro inferiore un briciolo indietro rispetto al superiore in modo da poterlo piegare all’estremità del cucchiaio, prima di tirarlo via. E seppe che era riuscito nel suo intento quando Kurt allontanò lo sguardo, visibilmente imbarazzato. Noah si concesse un sorriso veloce, ma lo fece sparire prima che Kurt potesse notarlo, visto che era tornato a guardarlo.

“Grazie,” sussurrò Puck, facendo scendere il tono della voce quasi sottoterra. Sapeva che una delle più grandi abilità che aveva dalla sua era quella di riuscire ad usare quella voce allo stesso tempo lussuriosa e dolce. E ebbe immediatamente la conferma del fatto che anche quello aveva funzionato.

“Devo andare” fece Kurt, distogliendo di nuovo lo sguardo da lui.

“Ma sei appena arrivato” gli fece notare Puck, tentando di trattenersi dall’usare un tono provocatorio del tipo ‘non scappare da me, Kurt’.

“Lo so, ma ho … delle cose da fare” inventò al momento, evidentemente e male, Kurt, prima di indietreggiare verso la porta camminando all’indietro. Puck avrebbe voluto corrergli dietro e bloccarlo, ma sapeva che era un rischio che non poteva correre perché se gli fosse sfuggito – come faceva i primi due anni di liceo quando lui voleva infilarlo con la testa nel water – non sarebbe più tornato dopo quella reazione, ne era certo. Si limitò a fargli un sorriso debole, volutamente debole e da malato.

“Va bene, Kurt” fece ancora, lasciandosi cadere contro il materasso e portandosi le mani alle tempie per simulare un mal di testa “a domani?” domandò, sentendo la porta scivolare.

“A domani” rispose Hummel, e quella porta si chiuse.

 

 

Era evidente per Puck: quantomeno un briciolo di attrazione fisica doveva esserci, altrimenti Kurt non sarebbe sentito in difficoltà, non in quel modo. Doveva solo trovare un modo per farglielo ammettere, il che non era semplice, visto che l’ostacolo Blaine impediva chiaramente alla mente di Kurt di concentrarsi sulla realtà dei fatti, distraendolo. Puck dovette ammettere a se stesse che, nonostante li avesse sempre adorati come coppia, il suo interesse personale veniva prima.

E mentre Kurt si avvicinava di nuovo allo sciroppo, si domandò se non gli avesse fatto male ingerirne così tanto se non aveva davvero mal di gola. Lo osservò versarlo nel cucchiaio e seppe che poteva fare di meglio del giorno prima.

“E’ quasi fatta” gli fece però Kurt con aria rassicurante mentre si sedeva accanto a lui. E Puck capì all’istante cosa voleva dire: non aveva finto abbastanza, Kurt aveva capito che la febbre stava passando – in realtà era passata – e il loro tempo insieme stava per scadere. Si limitò quindi ad annuire con aria innocente.

Ma non appena Kurt avvicinò il cucchiaio a lui, spostò le gambe, fingendo che fosse un movimento dettato dal tentativo di sporgersi verso lo sciroppo, in modo da permettere alle lenzuola di scomporsi per lasciarlo in boxer avanti a lui. Osservò Kurt deglutire, ma far finta di nulla.

“E’ l’ultimo Puck,” gli fece ancora presente, in un sussurro, avvicinando il cucchiaio alle sue labbra, molto, molto lentamente, “un ultimo cucchiaio di sciroppo.”

Quel cucchiaio di sciroppo non arrivò mai.

Puck scattò verso di lui e il cucchiaio con tutto il suo contenuto cadde sul materasso. Il tentativo di indietreggiare di Kurt fu del tutto inutile perché Puck aveva già provveduto a portargli una mano dietro alla testa e bloccarlo per unire le loro labbra.

Non lo sorprese neanche il fatto che Kurt si stesse sforzando di tenerle serrate.

Così come non lo sorprese il fatto che le stesse dischiudendo un istante dopo.

O il fatto che, quando aprì gli occhi, ancora catturato in quel bacio lento e dolce, quelli di Kurt erano chiusi.

Fece un’altra piccola, leggera pressione sul suo collo e Kurt si stava già muovendo verso di lui. Ci volle qualche secondo prima che si distendesse – solo per metà, soltanto con il busto – sul suo petto per prolungare quel bacio. Puck poté davvero assaporare la sua pelle, non come la prima volta, poté davvero sentire il suo respiro contro il proprio. Ed era sicuro che ci sarebbe riuscito.

Così come era riuscito ad anticipare il fatto che, un istante dopo, Kurt stesse provando a scappare con un movimento repentino. Puck reagì e lo costrinse con la testa contro il proprio petto. Ed era sicuro del fatto che l’orecchio di Kurt potesse captare ogni suo singolo battito.

“Da quanto non hai più la febbre?” domandò Hummel, in un sussurro confuso.

“Da quanto lo sai e fingi di non saperlo?” fece Puck, con un sorriso fiero sulle labbra. E il fatto che Kurt stesse sospirando non faceva che confermare la sua teoria.

“Diciamo che non sei bravo a recitare come lo sei a strimpellare” mormorò con aria colpevole, confessando. Puck sorrise e strinse la presa attorno a lui, anche se non poteva guardarlo negli occhi.

“Vuoi sapere una cosa?” domandò, prima di vedere Kurt annuire contro il suo petto, “potrei spiegarti perché mi divertivo a lanciarti nei cassonetti.”

“Sto ascoltando” rispose all’istante Kurt, curioso di sapere per qualche motivo aveva dovuto passare il secondo anno tra un cassonetto e l’altro.

“Era semplicemente perché non potevo accettare l’idea che questo ragazzino quasi gonnella mi smuovesse più di qualsiasi ragazza del McKinley,” sussurrò, cominciando ad accarezzare i capelli di Kurt, facendolo sussultare, “sai com’è: Puckzilla era decisamente confuso su di una cosa del genere.”

“Quindi hai pensato che fosse meglio lanciarmi in un cassonetto piuttosto che parlarne?” domandò Kurt, prima di sollevare appena la testa per riuscire a vederlo. Puck fece spallucce sotto di lui.

“E’ lo stile Puckerman, non affrontavo i problemi allora” si difese, sapendo che la sua personalità era cambiato tanto da quel secondo anno.

“Ero un problema?” domandò all’istante Kurt, quasi sentendosi offeso da quella parola. Puck tornò all’istante ad accarezzarlo, con sempre più dolcezza.

“No, Kurt,” gli fece subito, visto che non aveva nessuna intenzione di lasciare che lo pensasse, “ero io il problema.”

Non ottenne un risposta. I minuti passarono e non sentì Kurt parlare. E gli ci volle un bel po’ per realizzare che, ricevuta quella consolazione, si era addormentato, così, su di lui. Abbassò appena la testa, rilassandola sul cuscino e guardò il soffitto: non aveva idea di quale svolta avrebbero preso le cose, ma averlo lì, tra le sue braccia, che dormiva come l’angioletto che era, era già abbastanza da motivare  i giorni in cui aveva dovuto fingere di essere quasi un malato terminale. Improvvisamente, si sentiva di nuovo tranquillo, come se fosse riuscito a liberarsi di un peso che si portava dietro da fin troppo tempo. Quel relax fu semplicemente da spunto per il momento successivo in cui i suoi occhi si chiusero e i sensi cominciarono lentamente ad abbandonarlo.

Stava per addormentarsi con Kurt tra le braccia e gli sembrava, stranamente, la cosa più sensata del mondo.

   
 
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