Angolo
dell’autrice
Hello everybody! Questa è
un’altra shot da prompt, e di nuovo di Perla
per altro :3 dovrebbe essere ‘Puck malato, Kurt che si prende
cura di lui, e
Puck che gli confessa che gli è sempre stato
‘simpatico’.‘
Come avrete notato dalla pagina di Facebook, cerco
di postarvi un po’
di tutto per compensare la mia recente assenza, quindi potreste trovare
aggiornamenti dei quali non vi accorgete xD sarò una ninja,
decisamente.
Quindi, ogni tanto, date una controllatina agli account :3 Credo che
questa non sarà l'unica shot di oggi, so :3.
Grazie mille a Perla per il prompt e a chiunque
leggerà la storia o si
fermerà a dedicarmi un istante per recensirla (vi amo troppo
<3).
E un grazie speciale alla mia
beta, ManuKaikan
:3 quella briosa e dolce fanciulla <3 (alias porca).
A dopo,
xoxo RenoLover <3
OneLastSpoonofCoughSyrup
RenoLover
La testa gli sembrava molto pesante
e la sua
vista era appannata in quei pochi secondi in cui riusciva ad aprire gli
occhi.
Rotolò sotto le coperte, respirando affannosamente.
Erano giorni che aveva quella
fastidiosa rara
influenza estiva e non ne poteva più di dover restare in un
letto a lamentarsi
per il dolore. Avrebbe voluto passare l’estate con i suoi
compagni di liceo,
prima che si dicessero definitivamente addio, ma era bloccato sotto le
lenzuola
ed era una cosa assolutamente insopportabile. E le ore passavano in
quel
fastidioso stato di dormiveglia perenne senza che potesse avere la
benché
minima concezione di quante ore
stessero effettivamente passando.
Quando qualcuno bussò
alla sua porta, il suono fu
terrificante: sapeva che si trattava di un semplice picchiettare contro
la
porta, ma alle sue orecchie era peggio di una cannonata e si espandeva
per
tutta la scatola cranica con una violenza inaudita.
“Mmmh-“ fu
l’unica cosa che riuscì ad emettere
mentre il suo volto sprofondava nel cuscino. E sentì la
porta aprirsi. Avrebbe
voluto voltarsi per vedere chi era, ma non me aveva la forza. Comunque
non ce
ne fu bisogno perché sentì subito una mano sulla
propria schiena e una voce
familiare.
“Puck?” era
quasi certo del fatto che si
trattasse di Kurt.
Tentò di rotolare su se
stesso per guardare, ma
le braccia non rispondevano per fargli da sostegno.
“Puck, sono io,
Kurt.”
Sentì il materasso
reagire al movimento di Kurt
che, pensò, probabilmente si era seduto. No, si era
decisamente seduto, perché
sentì le sue mani sulle proprie spalle che tentavano di
spostarlo.
“Puck??” chiese
ancora, insistente. Noah tentò di
farsi coraggio e fece un giro deciso su se stesso, portandosi a pancia
all’aria. Quando aprì gli occhi si
ritrovò davanti Hummel che stava seduto e si
sporgeva verso di lui con le mani poggiate sul letto. “Sei
davvero messo male!”
Quella considerazione
arrivò appena dopo che Kurt
ebbe guardato nei suoi occhi poco lucidi e svegli.
“K-Kurt?”
mormorò, ma i suoi occhi si chiusero di
nuovo. Voleva chiedergli cosa ci faceva lì, ma non ce la
faceva. Fortunatamente
Kurt sembrò capirlo all’istante.
“I ragazzi volevano
sapere se ci sei per il caffè
domani e mi hanno mandato a controllare la situazione”
sentì la mano fredda di
Kurt poggiarsi sulla sua fronte e sussultò per quella
immensa differenza di
temperatura. “ma non mi sembra sia delle migliori, non credo
tu possa domani.”
Puckerman si lamentò e
tentò di sollevarsi, con
gli occhi appena dischiusi, ma affondò nuovamente.
“Ma io-io voglio
…” rispose, lamentandosi. Ci
teneva molto a vederli. Erano stati quattro anni speciali, lo sapeva,
non
voleva perderli, non per davvero, non definitivamente. Ogni incontro
rischiava
di essere l’ultimo e non voleva rischiare di perderselo.
“Rilassati,” lo
rassicurò Kurt, quasi capisse
esattamente ogni sua preoccupazione. Kurt era sempre stato bravo a
capire “ce
ne saranno altri già programmati per le prossime due
settimane, ti
riprenderai.”
Puck non riuscì a
rispondere e l’ultima cosa che i suoi occhi videro, prima di
chiudersi del
tutto, furono quelli azzurri di Kurt che lo scrutavano preoccupati.
Pensò che
fosse molto carino a prendersi cura di lui nonostante avesse passato
tutto il
secondo anno a lanciarlo nell’immondizia. Ma in fondo avevano
messo ogni
risentimento da parte nel Glee, e loro non erano
un’eccezione.
Non aveva idea di essersi riaddormentato con un sorrisetto compiaciuto
in
volto.
Quando riaprì gli occhi, leggermente meno confuso, vide Kurt
ancora davanti a
lui. Indossava qualcosa di diverso, poteva distinguerne i colori
alternativi,
ma era ancora seduto davanti a lui. Si sentì leggermente
più lucido, appena un
po’, abbastanza da riuscire ad inarcare un po’ la
schiena e portarsi sui
gomiti. Kurt gli sorrise affettuoso.
“Ti sei
svegliato!” esclamò, battendo le mani,
euforico. Puck non poté trattenere un sorriso.
“Cominciavo a pensare che non
sarebbe mai successo!”
Batté le palpebre per
metterlo a fuoco meglio.
“Da quanto sei
qui?” domandò, sentendosi per
niente imbarazzato al fatto che Kurt lo avesse osservato dormire.
“Un’oretta e
mezzo!” rispose Kurt, prima che Puck
potesse essere preso da un attacco violento di tosse. I suoi occhi si
arrossarono all’istante mentre osservava Kurt scattare verso
il suo comodino.
Afferrò la bottiglia e versò dell’acqua
in un bicchiere, porgendogliela a
velocità della luce. Puck afferrò il bicchiere,
ma la sua presa era debole e la
sua mano cedette all’istante. Fortunatamente Kurt fu
abbastanza lucido da
avvolgerla con la propria e accompagnare il bicchiere alla sua bocca,
aiutandolo a bere. Anche quella volta si rese immediatamente conto
della
differenza di temperatura tra le loro pelli.
Sentì l’acqua
fresca percorrergli la gola secca e
dopo qualche istante si sentì meglio. Kurt gli
sfilò il bicchiere dalla mano,
prima di poggiarlo sul comodino. Puck deglutì per il
fastidio che gli stava
provocando il mal di gola.
“Perché lo
stai facendo, Kurt?” gli domandò,
alzando di nuovo lo sguardo verso di lui, ma Kurt stava sorridendo
innocentemente.
“Perché sei
mio amico?”
Puck ricambiò quel
sorriso, mentre le braccia
cominciavano a non sostenere più il peso. Si
lasciò andare, poggiando
nuovamente la schiena sul materasso. Kurt gli sistemò le
lenzuola attorno e si
allungò di nuovo verso il comodino.
“Sì, ma
perché tu?”
Puck si rese conto
all’istante del fatto che la
sua domanda non aveva molto senso, ma non riusciva ancora a formulare
frasi più
lunghe e coerenti.
“Perché
…” rispose Kurt, titubante e a Noah
sembrò
evidente che neanche lui sapeva esattamente perché lo stava
facendo. “Sei mio
amico?” ripeté di nuovo, inarcando le
sopracciglia. Puck decise che era
abbastanza.
“Sai …
Kurt” attirò la sua attenzione
concedendogli uno sguardo dolce. Per quello si sarebbe sforzato di
riuscire a
portare a termine la frase “non ti ho mai chiesto scusa per
bene per tutte le
volte che ti ho lanciato nel cassonetto” le labbra di Kurt si
incurvarono in un
sorriso sincero. Puck si rese conto del fatto che aveva aspettato a
lungo quelle
parole, e lui era stato crudele a non concedergliele “non
sapevo quello che
facevo, ero un idiota, mi-“
“Va bene” lo
interruppe Kurt, prima di alzarsi
dal letto. “Va bene, non preoccuparti” Puck si
sentì immediatamente rassicurato
a quelle parole: lo aveva già perdonato, semplicemente
voleva sentirsi dire
quelle parole. “Io devo andare, Puck”
Puckerman annuì e gli
concesse un cenno con la testa, prima di affondare nuovamente sotto le
lenzuola. Si rilassò, sentendo Kurt chiudere la porta e
cominciò a lasciarsi
cullare dai propri pensieri onirici, prima di piombare, per
l’ennesima volta da
quando aveva preso quella brutta influenza, in un sonno profondo.
“Puck” lo stava
chiamando di nuovo, ma non era
sveglio, quindi non era sicuro del fatto che lo avesse chiamato davvero
e non
se lo fosse inventato. Batté le palpebre, ma i suoi occhi si
richiusero di
nuovo.
“Puck!”
insistette la sua voce e, allora, gli
sembrò più evidente che non era soltanto la sua
immaginazione. Aprì gli occhi
con decisione e si mosse rapidamente, ma quando piegò la
schiena, si ritrovò un
ingombrante vassoio sulle gambe. Osservò il piattino di
fragole che aveva
davanti, ma il suo sguardo salì rapidamente verso Kurt che
stava stringendo i
lati del vassoio per assicurarsi che non lanciasse tutto per
l’aria.
“Dovresti mangiare
qualcosa” gli disse con un
sorriso sulle labbra “Tua madre dice che non mangi da giorni,
anche se non mi
sembrava molto lucida”
Puck scosse il capo ma se lo
sentì immediatamente
pesante e fu costretto a richiudere gli occhi con la testa sospesa. La
voce di
Kurt gli sembrava un temporale nel suo cervello.
“D-dov
…” era assurdo che non riuscisse a finire
una frase, aveva sempre goduto di ottima salute, non ci era abituato.
“Non ho
fame”
Riaprì gli occhi e Kurt
stava ancora sorridendo,
ma le sue dita scivolarono
sulla
forchettina nel piatto. La seguì con lo sguardo
finché non si ritrovò una
fragola avanti alla bocca. Nonostante avesse detto di non aver fame, le
sue
labbra di dischiusero all’istante – non aveva idea
del perché – per accogliere
una fragola.
Ingoiare quel pezzettino fece anche
male, vistosi
il blocco che aveva alla gola, ma doveva ammettere che il suo corpo
reagì
positivamente al cibo. E gli sfuggì un sorriso che spinse
all’istante Kurt ad
imboccarlo di nuovo.
Aprì di nuovo le labbra
e mangiò un’altra
fragola, mentre si teneva in equilibrio precario sui gomiti e studiava
Kurt di
fronte a lui.
“Com’è
andato il caffè?” domandò mentre lo
vedeva
raccogliere già un’altra fragola dal piattino e
sorridere per la domanda.
“Direi bene”
gli rispose Kurt, sollevandosi
appena dal materasso per sedersi più vicino, visto che Puck
lo stava
costringendo ad allungare il braccio all’infinito.
“Mancavi, sai?”
Puck fece spallucce ed accolse
l’ennesima fragola
in bocca. Non poté però trattenersi dal
rispondere, neanche a bocca semi-piena.
“Non credo. Sono un fallito, non mancherei a
nessuno.”
Hummel inarcò le
sopracciglia e continuò ad
imboccarlo, più velocemente, visto che cominciava a tenere
il ritmo. “A Rachel
mancavi, Quinn cercava il suo ‘idiota preferito’ e
Sam non si sopportava senza
di te” gli spiegò, ma notò
all’istante che l’espressione sul volto di Puck era
scura. Gli ci volle qualche secondo per capirne il perché
però. “Oh, anche a
me, ovvio. Altrimenti non sarei qui”
Ma Noah non gli sorrise ancora,
anzi, passò dallo
scuro al confuso in un istante.
“Tu
…” cominciò, abbassando lo sguardo
verso il
proprio addome coperto da una canotta aderente – era la prima
volta dopo giorni
che riusciva a distinguere perfettamente cosa indossava –
pensieroso. “Sei qui
perché ti mancavo?”
Kurt sembrò annuire per
un istante, poi scosse il
capo con decisione, quasi se ne fosse pentito.
“Sì-cioè,
anche” rispose, un po’ in difficoltà,
prima di riacquistare un sorriso deciso e sicuro. “Sono qui
per prendermi cura
di te”
Puck non aveva idea di come
sentirsi riguardo
quella risposta. Non sapeva se era quello che voleva e la cosa era
strana.
Aveva preferito quel secondo in cui aveva annuito, semplicemente.
“Grazie,
compare” gli fece, con un sorriso debole
sulle labbra, prima di abbandonare del tutto la schiena contro il
materasso e
la testa sul cuscino “dev’essere una
rottura”
Vide appena Kurt scuotere la testa
da quella
posizione, ma notò la rapidità con la quale stava
spostando vassoio e piattino
per poggiarli sul comodino. Poi si alzò definitivamente da
materasso – a quel
punto Puck dovette capirlo dal movimento del letto, perché
aveva giù gli occhi
chiusi – ma non poté fare un passo
perché la sua mano fu bloccata da quella
dell’altro. Kurt si voltò confuso ed esitante
verso di lui.
“Puoi restare
finché non mi addormento?” domandò
Puck debole, senza neanche riuscire ad aprire gli occhi per guardarlo.
Rimasero
per un paio di secondi in quel modo, Kurt in piedi con il polso avvolto
dalle
dita bollenti di Puck. Poi Noah sentì il materasso muoversi
di nuovo.
E si addormentò di nuovo
col sorriso sulle
labbra.
La volta successiva che
aprì gli occhi, Kurt non
era lì. E si sentì strano perché, da
quando era successo la prima volta, gli
era capitato sempre di aprire gli occhi e trovarselo davanti. Era
strano che
non ci fosse, lui si sentiva
strano.
Voleva davvero che fosse lì perché gli sembrava
di diventare più conscio quando
parlava con qualcuno.
Tentò di portarsi a
sedere ma, al primo
movimento, il suo corpo lo abbandonò e cascò di
nuovo contro il materasso,
sommerso dalle lenzuola, evidentemente e stranamente pulite. Non aveva
idea di
quando gli avessero cambiato il letto, non era abbastanza lucido o
sveglio per
accorgersene.
Non durò molto comunque.
Alzò appena la testa per
concentrarsi sulle pareti, per osservare con attenzione la stanza e
verificare
che non ci fosse nessuno. Poi chiuse gli occhi e piombò
nuovamente in un sonno
profondo.
Batté le palpebre una
volta, quel secondo
necessario per pensare di riaddormentarsi.
Poi le batté di nuovo
perché c’era qualcosa di
strano, proprio aventi ai suoi occhi.
Le batté una terza volta
per mettere a fuoco
quell’immagine sfocata e, finalmente, Kurt apparve avanti ai
suoi occhi.
“Non sei venuto
ieri” osservò, con voce tremante
Noah, mentre l’immagine del ragazzo diventava sempre
più nitida. Ma Kurt gli
sembrò confuso a quell’osservazione.
“Sì che sono
venuto, hai dormito quasi tutto il
pomeriggio” gli fece presente, ma la sua voce somigliava
più a delle cannonate.
Ed era strano: la voce di Kurt non somigliava a cannonate.
“Ogni tanto ti
svegliavi appena e ti lamentavi. Anzi, non sono sicuro del fatto che tu
fossi
sveglio in quei momenti”
Puck annuì e rispose con
un lamento. Tentò di
sollevarsi sui gomiti come ogni giorno, ma stava già venendo
meno.
Fortunatamente Kurt lo afferrò per i fianchi, sostenendolo
per quanto le sue
mani esili potessero. Grazie a quell’aiuto, Noah
riuscì a sostenersi sui gomiti
e restare piegato tanto da poter guardare bene Hummel.
“Grazie, Kurt”
gli fece abbozzando ad un sorriso.
Kurt ricambiò e si sedette accanto a lui. Aprì il
cassetto, tirandone fuori un
termometro. “Oh no,” commentò
all’istante Puck, “è una cosa che
odio!”
“Ma dobbiamo
farlo” gli rispose Kurt all’istante
“è importante, non devi sottovalutare questa
brutta influenza”
Puck sbuffò mentre lo
guardava far scendere la
temperatura scuotendolo tra le mani. E dovette ammettere che la sua
pelle
chiara rendeva le mani molto piacevoli. Percorse con gli occhi il suo
braccio in
movimento, appena da notare che il suo fisico era cambiato molto in
quei tre
anni: aveva decisamente qualche muscolo in più.
Salì lungo il suo collo, fino
alle sue labbra che sembravano particolarmente morbide. Poi
incontrò i suoi
occhi che lo stavano fissando confusi.
“Tutto bene?”
gli chiese, ma la mente di Puck
stava già volando verso qualcosa di nuovo e inaspettato.
Annuì deglutendo e
sollevò appena il braccio per permettere a Kurt di infilare
il termometro.
Ma non appena Kurt si sporse verso
di lui, Puck
gli afferrò istintivamente il braccio e lo attirò
a sé. Kurt si mosse
goffamente in avanti, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, si
ritrovò già
con le gambe incollate a quelle di Noah che era certo del fatto che
sentisse le
proprie come bollenti a causa della febbre. Si toccarono appena, prima
che Kurt
potesse balzare all’indietro, portandosi in piedi.
“Io-io d-dovrei andare
…” commentò, tenendo le
mani congiunte in avanti. Puck batté rapidamente le palpebre
e si sentì subito
gli occhi pesanti.
“Non devi” gli
rispose comunque in tono fermo,
deglutendo ancora, anche se sentiva ancora il sapore delle sue labbra
sulle
proprie. “Non devi andare via, Kurt”
Ma era troppo tardi
perché Kurt stava già
indietreggiando verso la porta.
“M-mi dispiace,
Puck” fece, abbassando la
maniglia e aprendo la porta “devo andare, sul serio”
Non gli diede la
possibilità di rispondere che
era già sparito da quella stanza. Puck cadde di nuovo
all’indietro e si passò
una mano sulla cresta: come diavolo gli era saltato in mente?
Come aveva previsto tra un
risveglio casuale e
l’altro, Kurt non si presentò il giorno dopo. Non
aveva avuto dubbi e
probabilmente era dovuto al fatto che era stato un idiota con lui. Era
stato
così idiota da dimenticare che non era gay, che Kurt aveva
un ragazzo che amava
molto e che ricambiava, e che lui non avrebbe dovuto fare nulla del
genere. Si
sforzò di raggiungere il termometro sul comodino ma
fallì miseramente.
Schiacciò il volto contro il cuscino, con la bocca
semiaperta, consapevole del
fatto che la saliva sarebbe affluita presto, ma gli era necessario per
respirare, visto che il suo naso non sentiva quella
necessità.
E si sentiva così solo
perché era certo del fatto
che, quella volta, non se lo era perso dormendo: semplicemente Kurt non
si era
presentato perché lui aveva avuto la geniale idea di
baciarlo. Aveva mandato
all’aria chissà quanti giorni di cure sofisticate
e complesse.
Era sicuro del fatto che fosse
passato almeno un
altro giorno da quel risveglio. Riaprì gli occhi, quella
volta in maniera più
decisa, e la prima cosa che vide fu Kurt seduto sulla sua finestra,
intento a
guardare fuori, col sole che gli passava tra i capelli e che gli
accarezzava
dolcemente la pelle. Puck decise di concedersi quel momento, di
goderselo prima
che Kurt potesse accorgersi del fatto che si era svegliato e smettere
di essere
così naturale e spontaneo. Dovette ammettere che, ne avesse
avuto le forze,
avrebbe sicuramente immortalato quel momento con la fotocamera del
cellulare –
perché no, Noah Puckerman non aveva macchine fotografiche
– perché era
decisamente unico.
Quando decise che ne aveva
approfittato
abbastanza, chiuse gli occhi e girò il volto di lato sul
cuscino, prima di
simulare un attacco di tosse – non simulare del tutto, un
po’ era vero – per
attirare la sua attenzione. Lo vide alzarsi dalla finestra e correre
verso il
comodino. Prese ancora una volta un bicchiere d’acqua ma non
permise neanche
alle mani di Puck di avvicinarsi che già si era seduto sul
letto e lo stava
facendo bere con attenzione. Noah aprì gli occhi e
buttò giù quei sorsi e, solo
quando ebbe inspirato ed espirato correttamente, Kurt si
sollevò e poggiò il
bicchiere quasi vuoto sul comodino. Questa volta Puck era certo di
ciò che
diceva.
“Non sei venuto
ieri” gli fece deciso, sapendo
che non era stata la sua immaginazione. E Kurt neanche si
sforzò di mentire,
semplicemente annuì. In effetti, perché avrebbe
dovuto mentire? Nulla lo
obbligava a stare lì ogni singolo giorno.
“Io non-“
tentò di difendersi Kurt, ma si fermò
all’istante, quasi si rendesse conto del fatto che un suo
eventuale discorso
non sarebbe bastato a spiegare, quindi si limitò a
trasformare il tutto in una
domanda “Perché lo hai fatto?”
Puck esitò un istante,
guardò un po’ in giro per
la stanza, quasi la ragione potesse essere in uno di quegli angolini,
ma non vi
trovò nulla. E il motivo era che la risposta era soltanto
nella sua testa, o
forse un po’ più in basso.
“Non lo so”
fece, con la sua solita aria un po’
tonta, e non si aspettava di vedere il sorrisetto che invece vide sul
volto di
Kurt a quelle parole “Suppongo che io volessi semplicemente
farlo.”
E neanche a
quell’esclamazione si sarebbe
aspettato un sorrisetto, anzi, forse uno schiaffo.
“Sì, direi di
sì” commentò semplicemente Kurt,
accomodandosi accanto a lui, su quel letto. “Se non avessi
voluto farlo, non
sarebbe successo, Puck. Tu fai sempre quello che vuoi.”
E Puck non aveva idea del
perché, ma era sempre
più sorpreso dalla piega che stava prendendo quel discorso.
Si sarebbe
aspettato un Kurt terrorizzato da quell’idea, non si sarebbe
neanche immaginato
che tornasse in realtà. Invece era lì, seduto che
lo guardava, lo studiava con
attenzione, quasi cercando di captare cosa gli fosse passato nella
mente nel
momento in cui lo aveva baciato.
“Già, immagino
che sia così. Faccio quello che mi
passa per la testa, non me ne preoccupo neanche”
sperò che Kurt leggesse tra
quelle parole il suo dispiacere. Non avrebbe voluto comportarsi in quel
modo,
soprattutto dopo che Kurt era stato così gentile da
prendersi cura di lui
quando non aveva nessun obbligo.
“Già”
sussurrò Kurt, abbassando lo sguardo e Puck
realizzò in quel momento che aveva fatto qualcosa di
decisamente sbagliato,
perché lo aveva confuso, lo aveva messo a disagio, aveva
creato una specie di
barriera tra loro. Quindi perché Kurt era ancora
lì?
Non lo guardava, teneva la testa
chinata verso il
basso e semplicemente taceva, quasi non sapesse cosa dire o avesse
paura di
parlare. Era una ragazzo sensibile e non gli faceva piacere vedere che
aveva
provocato quegli stati d’animo in una persona alla quale, col
tempo aveva
imparato a tenere molto. Non voleva che ci fosse dell’astio
e, anche se
chiaramente non c’era, perché Kurt era
lì,
cominciava a pensare che potesse venirsi a creare.
“Kurt,” lo
richiamò a sé, costringendolo ad
incontrare il proprio sguardo con quegli occhi azzurri disarmanti
“non è
successo niente, stavo delirando, era la febbre.”
Stranamente, Kurt gli
sembrò sorpreso a quelle
parole. E si augurò che non fosse per lo stesso motivo per
il quale era
sorpreso anche lui: era una bugia evidente. Era sicuro che, nel momento
in cui
lo aveva baciato, lo aveva fatto con almeno un minimo di
lucidità e non solo.
Di certo non era sicuro di cosa significasse per lui, ma sapeva
quantomeno che
significava qualcosa. E non era un problema: l’importante era
che non lo
sapesse Kurt.
“Sì”
rispose dopo un silenzio fin troppo lungo
per significare qualcosa e per non significare nulla. Chiaramente non
sapeva
cosa. Era una cosa piuttosto confusa e non pensava di avere le
facoltà di
riuscire a capire cosa fosse perché le forze fisiche non
glielo consentivano “o-okay,
non è successo niente.”
Quel balbettio di Kurt non lo
convinse molto, ma
la sua mente stava già cominciando a cedere lentamente. Non
poteva
concederselo. Era uno sforzo sproporzionato.
Socchiuse gli occhi per una
manciata di secondi,
non sapeva neanche quanti.
Quando li riaprì il
voltò di Kurt, quasi
incollato al suo volto, che passava lo sguardo dai suoi occhi alle sue
labbra.
Ma durò un istante, perché il ragazzo si ritrasse
subito, quasi stesse cercando
di capire qualcosa, una reazione forse.
“Dovrei
andare,” sussurrò, comunque ancora molto
vicino, guardando Puckerman dritto negli occhi. Gli sembrò
di poter respirare
ciò che Kurt espirava quasi
e fu molto
tentato dal chiudere gli occhi, ma non lo fece.
“Sì, dovrei andare.”
Lo ripeté più
a se stesso che non a Puck e si
alzò dal letto, portandosi una mano sui pantaloni, per
distenderli.
“Domani?”
domandò, guardandolo avvicinarsi alla
porta. Kurt si voltò verso di lui e si limitò ad
annuire. Uscì da quella porta
non appena poté. Puck si lasciò di nuovo ad
andare sul letto, ma quella volta, purtroppo,
era più lucido.
Cominciò a pensarci, a
pensare a quelle labbra
che si sfioravano appena, al modo in cui Kurt lo aveva fissato negli
occhi. Non
poté fare a meno di realizzare che, se la febbre gli stava
passando,
significava una sola cosa: Kurt avrebbe smesso di prendersi cura di lui
e
probabilmente, avrebbe smesso di andare a casa sua. Raccolse tutte le
forze, si
alzò e si avvicinò alla finestra. La
aprì, più che altro la splancò.
Afferrò i
bordi del propri pantaloni della tuta e se li sfilò,
lanciandoli sulla sedia.
Era evidente che non era ancora troppo lucido, perché una
persona cosciente non
avrebbe mai reagito in quel modo. Si infilò di nuovo sotto
le lenzuola,
restando in boxer, senza rendersi conto del fatto che stava tentando di
farsi
salire di nuovo la febbre soltanto per riuscire a trascinare Kurt di
nuovo in
camera sua. Aveva detto che voleva dimenticare l’accaduto, ma
stava cominciando
a realizzare davvero perché l’aveva detto: in quel
modo, Kurt non sarebbe
sparito -
perché era evidente che era
sul punto di farlo -, avrebbe continuato a prendersi cura di lui e lui
sarebbe
riuscito a dirgli esattamente quello che gli stava passando per la
testa.
Poggiò la testa sul cuscino, cominciando ad elaborare una
sottospecie di
discorso. Chiaramente, ogni tentativo sembrava inutile: non riusciva
neanche a
capire cosa voleva dire esattamente
a
Kurt perché gli era ignoto cosa sentiva. Non era neanche
certo del motivo per
il quale lo avesse baciato, ma doveva fargli capire che c’era
un motivo, in
modo che Kurt non avesse pensato che stava semplicemente seguendo un
istinto
dal quale si sarebbe preso subito dopo ignorandolo. Invece non doveva
andare in
quel modo: Kurt sarebbe tornato il giorno dopo, e Puck avrebbe trovato
un modo
per parlarne senza metterlo in fuga.
Chiuse gli occhi con un
sorrisetto sulle labbra. Un sorrisetto che sparì non appena
si ricordò di un
particolare che aveva ignorato fin troppo, quasi fosse un dettaglio:
Blaine
Anderson. Riaprì all’istante gli occhi,
domandandosi come avesse fatto ad
essere così stupido da non pensarci. Probabilmente era stato
il suo inconscio a
non farglielo pensare, o forse era semplicemente colpa del delirio da
influenza. Non
aveva idea di come
avrebbe sistemato la cosa, ma sicuramente non sarebbe stato facile.
Cominciò in
quel preciso istante a sentirsi un briciolo inferiore, molto in
svantaggio,
perché se mai fosse cominciata una specie di sfida, sapeva
per certo di non
avere alcuna speranza di vincere.
Si svegliò prima.
Probabilmente la finestra
aperta non aveva avuto l’effetto sortito. Rimase comunque sul
letto chiedendosi
se fosse abbastanza bravo da simulare un’influenza pesante
quando era così
lucido. Ed era assolutamente necessario simulare perché Kurt
doveva credere che
fosse ancora malato altrimenti non avrebbe continuato a fargli visita.
Era rimasto tutta la notte ed oltre
in boxer nel
tentativo di prendere un bel po’ di freddo, ma non aveva
funzionato. E stava
per vestirsi quando sentì improvvisamente la porta aprirsi.
Kurt si affacciò e
si mise all’istante le mani sugli occhi per coprirle. Puck
non poté trattenere
un sorriso, soprattutto quando lo vide allargare le dita per vederci
attraverso, quasi spiando.
“Va tutto bene,
Kurt” gli fece scherzoso, “è
così
che giro in casa normalmente.”
Si rese conto in quel preciso
istante del fatto
che si stava mostrando fin troppo in salute, quindi fece sparire quel
sorriso
prima che Kurt, visibilmente imbarazzato, allontanasse le mani per
guardarlo
normalmente.
“Non credo che
dovresti,” gli fece Hummel
probabilmente anche per salvarsi, “hai l’influenza,
non è il caso che tu resti
così.”
Annuì, portandosi
immediatamente il lenzuolo
sulle gambe. In quel preciso istante Kurt si avvicinò al
letto e Puck andò in
panico pensando che si stesse avvicinando al comodino per prendere il
termometro. Tremò al pensiero perché poteva non
avere la febbre e Kurt lo
avrebbe scoperto e non aveva neanche pensato di riscaldare per bene il
termometro.
“Come ti
senti?” gli chiese invece Kurt,
sedendosi al bordo del letto. Puck pensò che le sue parole
sul dimenticare
tutto dovevano aver funzionato perché non era terrorizzato
come se lo sarebbe
aspettato.
“Mi gira un po’
la testa” mentì Puckerman
all’istante, tentando di sembrare naturale, “e mi
brucia la gola, fa male.”
Kurt si avvicinò con la
mano alla sua fronte e
Puck ebbe un sussulto quando la pelle candida del ragazzo
toccò la sua. E si
sorprese di quanto fosse fredda.
“Sei bollente”
gli sussurrò dolcemente Kurt, con
un sorriso rassicurante. Noah si leccò le labbra, consolato
dal fatto che il
suo corpo sembrava aver trovato un modo per ingannarlo senza neanche
comunicarglielo.
“Ho
l’influenza,” gli fece presente – da
bravo
bugiardo – “sfido io.”
Kurt sorrise appena, ma il suo
sguardo sembrò
all’istante distante, come se stesse pensando
contemporaneamente a tutte le
cose esistenti nell’universo, pur di non concentrarsi su di
lui. Puck seppe
subito che doveva fare qualcosa.
“Non devo prendere
nulla?” domandò, sollevando le
sopracciglia, fingendosi perfino un po’ scosso dai sintomi
influenzali. Kurt
allora gli rivolse lo sguardo – missione compiuta –
annuendo.
“Prendo lo sciroppo per
la gola?” domandò, già in
piedi. Puck lo guardò confuso, visto che non lo aveva preso
in quei giorni di
malattia.
“Dovresti?”
chiese, portandosi, come sempre sui
gomiti. Kurt assunse un’aria pensierosa. “Non dirmi
che ero ridotto così male
da non ricordare che mi hai riempito di sciroppo?”
Puckerman fu fin troppo fiera
quando notò che era
riuscito a strappare una risata a Kurt, probabilmente distraendolo da
tutte le
sue riflessioni sul buon senso.
“No, no” gli
fece Hummel, scuotendo la testa, “ma
hai detto che la gola ti brucia. Non
è
un buon segno ed è meglio prevenire che curare.”
Puck dovette riflettere per qualche
secondo:
stava per prendere un medicinale che non gli serviva soltanto per
trattenere
Kurt da lui? La risposta era, ovviamente, sì.
Annuì, portandosi per fino una mano alla gola, rilasciando
un colpo di tosse abbastanza
autentico da essere credibile. Probabilmente aveva ancora un
po’ di febbre – la
testa stava cominciando ad appesantirsi di nuovo – ma dovette
confessare al
proprio cervello che quel mal di gola era totalmente inventato. Kurt si
avvicinò nuovamente al comodino e, seguendo con lo sguardo,
Puck ebbe la
possibilità di vedere quel mobiletto da camera per bene per
la prima volta da
quando aveva un infermiere personale: si augurò che fosse
stata sua madre a
fare quella scorta enorme di medicinali e non Kurt perché si
sarebbe sentito
decisamente in colpa nel dargli quei problemi. Lo vide prendere uno
scatolino
bianco ed estrarne un contenitore di vetro. Prese un cucchiaio comparso
dal
nulla – a quel punto Puck aveva paura di aprire
l’armadio e trovarci una
supposta gigante – e verso una piccola dose di liquido.
Rivolse uno sguardo a
Noah che saltellò sul letto per avvicinarsi, improvvisamente
entusiasta di quel
nuovo giochetto. Kurt avvicinò il cucchiaio e lui dischiuse
le labbra, prima di
accogliere lo sciroppo. Stava già per allontanarsi, quando
sollevò lo sguardo e
incontrò gli occhi azzurri dell’altro. Doveva
cominciare assolutamente a
giocarsi le proprie carte. Premette con le labbra sul cucchiaio, prima
di farle
scivolare lentamente lungo di esso, lasciando il labbro inferiore un
briciolo
indietro rispetto al superiore in modo da poterlo piegare
all’estremità del
cucchiaio, prima di tirarlo via. E seppe che era riuscito nel suo
intento
quando Kurt allontanò lo sguardo, visibilmente imbarazzato.
Noah si concesse un
sorriso veloce, ma lo fece sparire prima che Kurt potesse notarlo,
visto che
era tornato a guardarlo.
“Grazie,”
sussurrò Puck, facendo scendere il tono
della voce quasi sottoterra. Sapeva che una delle più grandi
abilità che aveva
dalla sua era quella di riuscire ad usare quella voce allo stesso tempo
lussuriosa e dolce. E ebbe immediatamente la conferma del fatto che
anche
quello aveva funzionato.
“Devo andare”
fece Kurt, distogliendo di nuovo lo
sguardo da lui.
“Ma sei appena
arrivato” gli fece notare Puck,
tentando di trattenersi dall’usare un tono provocatorio del
tipo ‘non scappare
da me, Kurt’.
“Lo so, ma ho
… delle cose da fare” inventò al
momento, evidentemente e male, Kurt, prima di indietreggiare verso la
porta
camminando all’indietro. Puck avrebbe voluto corrergli dietro
e bloccarlo, ma
sapeva che era un rischio che non poteva correre perché se
gli fosse sfuggito –
come faceva i primi due anni di liceo quando lui voleva infilarlo con
la testa
nel water – non sarebbe più tornato dopo quella
reazione, ne era certo. Si
limitò a fargli un sorriso debole, volutamente
debole e da malato.
“Va bene, Kurt”
fece ancora, lasciandosi cadere
contro il materasso e portandosi le mani alle tempie per simulare un
mal di
testa “a domani?” domandò, sentendo la
porta scivolare.
“A domani”
rispose Hummel, e quella porta si
chiuse.
Era evidente per Puck: quantomeno
un briciolo di
attrazione fisica doveva esserci, altrimenti Kurt non sarebbe sentito
in
difficoltà, non in quel modo. Doveva solo trovare un modo
per farglielo
ammettere, il che non era semplice, visto che l’ostacolo
Blaine impediva
chiaramente alla mente di Kurt di concentrarsi sulla realtà
dei fatti,
distraendolo. Puck dovette ammettere a se stesse che, nonostante li
avesse
sempre adorati come coppia, il suo interesse personale veniva prima.
E mentre Kurt si avvicinava di
nuovo allo
sciroppo, si domandò se non gli avesse fatto male ingerirne
così tanto se non
aveva davvero mal di gola. Lo osservò versarlo nel cucchiaio
e seppe che poteva
fare di meglio del giorno prima.
“E’ quasi
fatta” gli fece però Kurt con aria
rassicurante mentre si sedeva accanto a lui. E Puck capì
all’istante cosa
voleva dire: non aveva finto abbastanza, Kurt aveva capito che la
febbre stava
passando – in realtà era
passata – e
il loro tempo insieme stava per scadere. Si limitò quindi ad
annuire con aria
innocente.
Ma non appena Kurt
avvicinò il cucchiaio a lui,
spostò le gambe, fingendo che fosse un movimento dettato dal
tentativo di
sporgersi verso lo sciroppo, in modo da permettere alle lenzuola di
scomporsi
per lasciarlo in boxer avanti a lui. Osservò Kurt deglutire,
ma far finta di
nulla.
“E’
l’ultimo Puck,” gli fece ancora presente, in
un sussurro, avvicinando il cucchiaio alle sue labbra, molto,
molto lentamente, “un ultimo cucchiaio di
sciroppo.”
Quel cucchiaio di sciroppo non
arrivò mai.
Puck scattò verso di lui
e il cucchiaio con tutto
il suo contenuto cadde sul materasso. Il tentativo di indietreggiare di
Kurt fu
del tutto inutile perché Puck aveva già
provveduto a portargli una mano dietro
alla testa e bloccarlo per unire le loro labbra.
Non lo sorprese neanche il fatto
che Kurt si
stesse sforzando di tenerle serrate.
Così come non lo
sorprese il fatto che le stesse
dischiudendo un istante dopo.
O il fatto che, quando
aprì gli occhi, ancora
catturato in quel bacio lento e dolce, quelli di Kurt erano chiusi.
Fece un’altra piccola,
leggera pressione sul suo
collo e Kurt si stava già muovendo verso di lui. Ci volle
qualche secondo prima
che si distendesse – solo per metà, soltanto con
il busto – sul suo petto per
prolungare quel bacio. Puck poté davvero assaporare la sua
pelle, non come la
prima volta, poté davvero sentire il suo respiro contro il
proprio. Ed era
sicuro che ci sarebbe riuscito.
Così come era riuscito
ad anticipare il fatto
che, un istante dopo, Kurt stesse provando a scappare con un movimento
repentino. Puck reagì e lo costrinse con la testa contro il
proprio petto. Ed
era sicuro del fatto che l’orecchio di Kurt potesse captare
ogni suo singolo
battito.
“Da quanto non hai
più la febbre?” domandò
Hummel, in un sussurro confuso.
“Da quanto lo sai e fingi
di non saperlo?” fece
Puck, con un sorriso fiero sulle labbra. E il fatto che Kurt stesse
sospirando
non faceva che confermare la sua teoria.
“Diciamo che non sei
bravo a recitare come lo sei
a strimpellare” mormorò con aria colpevole,
confessando. Puck sorrise e strinse
la presa attorno a lui, anche se non poteva guardarlo negli occhi.
“Vuoi sapere una
cosa?” domandò, prima di vedere
Kurt annuire contro il suo petto, “potrei spiegarti
perché mi divertivo a
lanciarti nei cassonetti.”
“Sto
ascoltando” rispose all’istante Kurt,
curioso di sapere per qualche motivo aveva dovuto passare il secondo
anno tra
un cassonetto e l’altro.
“Era semplicemente
perché non potevo accettare
l’idea che questo ragazzino quasi gonnella mi smuovesse
più di qualsiasi
ragazza del McKinley,” sussurrò, cominciando ad
accarezzare i capelli di Kurt,
facendolo sussultare, “sai com’è:
Puckzilla era decisamente confuso su di una
cosa del genere.”
“Quindi hai pensato che
fosse meglio lanciarmi in
un cassonetto piuttosto che parlarne?” domandò
Kurt, prima di sollevare appena
la testa per riuscire a vederlo. Puck fece spallucce sotto di lui.
“E’ lo stile
Puckerman, non affrontavo i problemi
allora” si difese, sapendo che la sua personalità
era cambiato tanto da quel
secondo anno.
“Ero un
problema?” domandò all’istante Kurt,
quasi sentendosi offeso da quella parola. Puck tornò
all’istante ad
accarezzarlo, con sempre più dolcezza.
“No, Kurt,” gli
fece subito, visto che non aveva
nessuna intenzione di lasciare che lo pensasse, “ero io il
problema.”
Non ottenne un risposta. I minuti
passarono e non
sentì Kurt parlare. E gli ci volle un bel po’ per
realizzare che, ricevuta quella
consolazione, si era addormentato, così, su di lui.
Abbassò appena la testa,
rilassandola sul cuscino e guardò il soffitto: non aveva
idea di quale svolta
avrebbero preso le cose, ma averlo lì, tra le sue braccia,
che dormiva come
l’angioletto che era, era già abbastanza da
motivare i giorni
in cui aveva dovuto fingere di
essere quasi un malato terminale. Improvvisamente, si sentiva di nuovo
tranquillo, come se fosse riuscito a liberarsi di un peso che si
portava dietro
da fin troppo tempo. Quel relax fu semplicemente da spunto per il
momento
successivo in cui i suoi occhi si chiusero e i sensi cominciarono
lentamente ad
abbandonarlo.
Stava per addormentarsi con Kurt
tra le braccia e
gli sembrava, stranamente, la cosa più sensata del mondo.