Fanfic su attori > Coppia Downey.Jr/Law
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Autore: Rory Gilmore    16/06/2012    4 recensioni
Jude non sorrise più, dopo aver udito l'ultima parte del discorso.
'Co-cosa?'
'Sì, beh, vedi, le tue iridi cambiano colore a seconda delle emozioni che provi: se non ti senti a tuo agio, divengono di un colore scuro, quasi nero, impenetrabile e freddo. Se invece ti senti bene, sono blu, come l'oceano d'estate. Da lì ho capito quanto per te sia importante il tuo lavoro. E' l'unico modo per farti aprire al mondo.'
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oh.dio.santissimo.
Non posso credere di stare per pubblicare questa...cosa.
Okay. Vi spiego. E' la mia primissima Downey-Law. Ovviamente ho scritto miliardi di fan fiction, ma su loro due MAI. E sono agitata perché a questa coppia ci tengo davvero tanto e finora non mi ero mai cimentata perché avevo voglia prima di leggerne qualcuna su loro qui sul sito, e poi provare io stessa. 
E' stata davvero un parto questa ff, perché, come ho detto, non ho mai scritto su loro, ma alla fine...eccola. 
Diciamo che per me questa ff è esattamente lo specchio di ciò che io penso su come sia andato e come stia andando tutt'ora il loro rapporto. E voi? La pensate come me? :)

ENJOY!
 
 
                Si guarisce da qualcosa ammalandosi d'altro.
 
 
 

«Mai starsene svegli la notte a rivolgersi domande a cui non si sa rispondere.»
 
«Robert, vado a dormire»
«Okay, tesoro. Cinque minuti e ti raggiungo»
«Non rimanere sveglio fino a tardi, però»
Non le rispondo. E' inutile farlo. Sa benissimo che quando rimango seduto sul divano a scrutare la parete significa che voglio perdermi, per un po'di tempo, tra i miei pensieri più profondi. Talmente profondi che non sono mai riuscito a svelarli completamente nemmeno a lei,Susan, la donna che mi ha salvato da me stesso.
Susan è la persona più importante della mia vita; è bella, intelligente e simpatica. E' stato facile perdere la testa per una donna del genere. E' stato facile lasciarmi aiutare dalla sua maturità, che mi ha condotto del tutto fuori dal tunnel dell'alcol.
A differenza sua, io non sono mai stato una persona equilibrata. Anzi, tutt'altro.
Il mio sogno non era di certo sposarmi ed avere tanti bambini, una bella casa e un lavoro che mi lasciasse trascorrere molto tempo con la mia famiglia.
No. 
A me piaceva giocare a fare il trasgressivo, amavo essere controcorrente, fuori moda. 
Adoravo il fatto che la gente parlasse male di me. 
E non volevo trovare una cura alla mia sindrome perenne di Peter Pan.
Ma la mia vita non è andata esattamente come avevo preventivato da adolescente e non so ancora dirmi se questo sia stato un bene o un male.
Certo è che tutto mi aspettavo tranne di diventare un attore. Famoso, per giunta.
Non era nei piani, nonostante mio padre fosse un produttore cinematografico. 
Sapevo che lui era l'incarnazione dell'uomo perfetto ed era per questo motivo che tra me e lui non è mai scorso buon sangue. Io non sono mai stato abbastanza per lui. Io ero il figlio che lui mai avrebbe voluto. E sono certo che si sia sempre maledetto per il fatto di avermi concesso di avere il suo nome. Ma nonostante ciò, qualcuno mi ha notato, ha ritenuto che io avessi un qualche talento, cosa che nessuno, compreso me, aveva mai creduto fosse possibile.
Robert Downey Jr. con un talento nella recitazione? Ma per favore!
Sono sicuro che i miei compagni di liceo avrebbero risposto così. 
E non solo loro.
Ma a me non piacciono le sfide facili, e ho voluto complicarmi ulteriormente la vita, lasciandomi trasportare dall'alcol, dalle sensazioni meravigliose che ne conseguivano. 
Ero constantemente ubriaco, dalla mattina alla sera.
E quel minimo di talento che avevano notato in me, l'alcol se lo portò via. Brutalmente. 
Iniziarono a mandarmi via da ogni film e telefilm in cui stavo recitando, giustificando questi licenziamenti con motivi futili. Nessuno aveva avuto il coraggio di sputarmi in faccia la verità: ero diventato un alcolizzato. E per me, quella era la normalità. Per me erano le persone sobrie ad essere strane. Non io. Non il mio bicchiere di whisky.
L'unica che riuscì a sbandierarmi in faccia la realtà fu proprio Susan. La mia Susan.
A volte, mi chiedo se ciò che mi lega a lei sia amore o gratitudine. In ogni caso, non importa. E' accanto a lei che ho sempre immaginato il resto della mia vita.
Ma, come ho detto, le sfide mi piacciono e, soprattutto, mi piace rendere complicata la mia esistenza. 
Non sono mai stato un tipo fedele. Nè ho mai voluto dipingermi falsamente come tale. 
Ma quando sposai Susan fu facile resistere alla tentazione di finire al letto con una donna diversa ogni weekend.
Lei mi appagava, sia fisicamente che mentalmente. Non avevo bisogno di altro.
Non avevo. Già.
Spesso accade che qualcosa di inaspettato faccia crollare anche le convinzioni di un matrimonio saldo e duraturo, come quello tra me e Susan.
E quel qualcosa, o meglio, quel qualcuno è stato talmente inaspettato che il mio sbaglio più grande fu quello di sottovalutare ciò che mi stava accadendo.
Il disastro avvenne nel momento in cui iniziai ad essere rintracciato di nuovo dai registi di Holliwood, per recitare in alcuni film,dopo essermi del tutto ripulito. 
Ero entusiasta. E più di me, lo era Susan.
Inizialmente avevo pensato di cambiare mestiere, ma la dolcezza negli occhi di mia moglie, le sue parole, il fatto che lei stessa era una produttrice di film, mi convinsero a non abbandonare ciò che avevo iniziato anni prima. 
Ero riuscito a sconfiggere i miei problemi con l'alcol e,secondo lei, avrei potuto ricominciare da capo e sfruttare il mio talento nella recitazione al massimo. 
Accettai tutto quello che mi veniva proposto, non denigrando nulla. Dovevo ricominciare a farmi vedere dal pubblico, dovevo riuscire a farmi amare.
E, diversamente da quanto avevo creduto, riuscii a farlo davvero.
La fama cresceva, i soldi anche di più. Tutto sembrava andare bene: io ero un attore e mia moglie una produttrice. Cosa poteva distruggere una tale armonia?
Niente. 
Niente, tranne un'altra armonia.
Un'armonia che ero certo non potesse esistere al di fuori di quella con mia moglie.
Eppure, mi sbagliavo. Oh, quanto mi sbagliavo.
E questo mio errore portò a delle conseguenze disastrose. 
 
 
                                    

«Occhi. Quei maledetti occhi mi fottevano sempre. Ci facevo l’amore solo a guardarli.»
 
Conobbi Jude Law di persona solo quando iniziarono le riprese di Sherlock Holmes. 
Era il primo vero film serio, dopo Iron Man, in cui recitavo il ruolo di protagonista, successivamente al mio ritorno ad Holliwood.
Avevo sentito parlare di lui, ovviamente, - chi non aveva mai sentito parlare di Jude Law?- era uno di quegli attori che non facevano parlare di sè per scandali -come avevo fatto io, tra l'altro- ma piuttosto per la sua disarmante bellezza e a causa del suo essere l'esatta antitesi dell'attore per eccellenza: non si drogava, non beveva, e odiava il fumo in generale. Era il tipico bravo ragazzo inglese.
In parole povere, lui era tutto ciò che io non ero. Era il figlio che mio padre avrebbe voluto. Era il marito che le mie ex fidanzate avrebbero desiderato. Era il padre che io non ero stato.
Guy, il regista di Sherlock Holmes, mi presentò Jude un pomeriggio di ottobre. 
Il tempo era stranamente buono, ma un freddo pungente ci costringeva ad avvolgerci nei nostri pesanti cappotti.
Jude non sembrava soffrire il freddo. Non quanto me, per lo meno. 
Quando per la prima volta mi sorrise e mi strinse la mano, accompagnando il tutto con le solite frasi di circostanza, capii perché non sentisse freddo.
Era inglese. Era abituato a quel clima. 
Eppure, mi ero meravigliato del contrasto tra l'accento inglese di Jude, freddo e distaccato, e il suo timbro di voce così caldo e graffiante.
Freddo e caldo. 
Due aggettivi che descrivevano la persona di Jude nel modo più assoluto. Le uniche due caratteristiche del suo carattere che ero riuscito a cogliere all'istante. 
Il mio rapporto con lui inizialmente fu molto particolare: sulla scena avevamo una alchimia eccezionale, che avrebbe fatto invidia a qualunque coppia di attori; ma, una volta fuori dal set, Jude si rivolgeva a me con un distacco e un'indifferenza tali da raggelarmi il sangue.
Non che mi interessasse molto. Non mi mancavano gli amici, e di certo non sarei andato ad elemosinare l'affetto di un ragazzo molto più giovane di me.
Quindi mi limitai, per le prime due settimane, ad accettare il suo comportamento, pensando che stesse seguendo solamente il bon ton inglese e che quest'ultimo prevedesse di non avere nulla a che fare con un americano che aveva dei precendenti da bad boy.
Solamente dopo qualche settimana, capii che Jude non aveva assolutamente nulla contro di me. Quel ragazzo si stava comportando esattamente come faceva con tutti i suoi coprotagonisti nei film.
Avevo chiesto un po' in giro, e Guy mi aveva spiegato che Jude era un ragazzo timido, riservato, ma con un gran cuore. Bisognava solamente conquistare la sua fiducia e lui si sarebbe aperto. 
Era una situazione alquanto bizzarra, perché io, per la prima volta in vita mia, mi impegnai davvero tanto nel conquistare la fiducia di qualcuno
Avevo deciso che le sfumature di blu che caratterizzavano gli occhi di Jude sul set, quando mi guardava nelle vesti di Holmes, non si sarebbero trasformate nel nero agghiacciante della vita reale. Non più.
Il bello era che non sapevo nemmeno io il motivo per cui stessi sprecando energia e tempo affinché Jude mi considerasse suo amico. Volevo solamente che il colore dei suoi occhi non mutasse a seconda del luogo in cui ci trovavamo e dei personaggi che interpretavamo.
Mi risposi che forse ero entrato troppo nel personaggio e che non sopportavo il fatto che il mio Watson Jude fosse due persone ben distinte sul set e nella vita reale.
E inoltre, cercai, con ogni fibra del mio essere, di spengere quella vocina del mio inconscio, flebile ma fastidiosa, che continuava imperterrita a sussurrarmi nelle orecchie che dal momento in cui Jude mi aveva stretto la mano, per presentarsi a me, non avevo fatto altro che chiedermi se portasse le lenti a contatto. Perché degli occhi come i suoi non potevano davvero esistere. 
Ma all'epoca fui talmente stupido e idiota che semplicemente non mi accorsi del fatto che non mi ero impegnato così tanto nemmeno per conquistare Susan.
Perché, se me ne fossi reso conto, questo fatto avrebbe scatenato un qualche campanello di allarme dentro di me. Tutto sarebbe andato diversamente.
E io, adesso, non sarei qui a ricordare come Jude mi ha sconvolto la vita.
 
 
 
«Qualcuno ha detto che nel momento in cui ti soffermi a pensare se ami o meno una  persona, hai già la risposta.»
 
Ero certo di aver scoperto cosa significasse amare qualcuno, solo dopo aver conosciuto Susan. 
Non ero un tipo da innamoramenti facili. Le donne mi piacevano, sì, ma ero solito promettere amore eterno per poi abbandonarle dopo averci fatto l'amore.
Con Susan era stato diverso, però. Lei, prima di essere la mia donna, era la mia migliore amica. Era l'unica persona al mondo che non mi aveva abbandonato dopo aver scoperto i miei problemi con me stesso e il modo che avevo per cercare di risolverli.
Senza di lei, probabilmente, sarei rimasto la feccia che ero.
Senza di lei, probabilmente, non avrei conosciuto lui.
Tutto ciò, in effetti, è alquanto bizzarro: inconsapevolmente, è stata proprio mia moglie a distruggere l'armonia della nostra relazione.
Ma, fatto ancora più strano, Susan adorava Jude. Nel vero senso della parola. 
Quando riuscii a diventare amico suo amico, lei era quasi più felice di me. 
A volte questo atteggiamento da parte di mia moglie mi metteva in imbarazzo. Da una parte non potevo biasimarla, perchè davvero Jude era il tipo di persona a cui non si poteva non voler bene, ma dall'altra non riuscivo proprio a comprendere il motivo di questo suo entusiasmo nei riguardi della mia amicizia con Jude.
Un giorno,quando ancora eravamo impegnati nelle riprese, travolto dalla gelosia curiosità, dopo averli visti chiacchierare, andai da mia moglie e la trascinai nel mio camerino. 
«Mi spieghi perché hai tutta questa confidenza con Jude?»
«Sono uno dei produttori di Sherlock Holmes, Rob, Jude è anche un mio collega. Ti ricordo.»
Mi passai la mano destra, sudata, sui capelli,rendendoli ancora più disordinati.
«Sei geloso?»
Susan sorrideva maliziosa. 
No. Non lo ero. 
O meglio, non lo ero di lei.
«No. Davvero. Scusami, non so cosa mi sia preso. E' che...»
«Ascolta,» - mi accarezzò il viso dolcemente - «Sai perché sono felice che tu e Jude siate così amici?»
Scossi la testa.
«Perché lui è un bravo ragazzo, Robert. Lui è l'amico che ti ci vuole. Conosco la gente che frequentavi e...non mi è mai piaciuto nessuno dei tuoi amici. Lo sai. Jude, invece, è diverso amore. Lui è...dai, l'hai visto, no? E' perfetto. E' un angelo e...»
La bloccai con un bacio.
Non ce la facevo. 
Non avrei potuto più ascoltare una parola in più che riguardasse Jude, altrimenti sarei stato capace di urlarle in faccia che sì, sapevo bene quanto cazzo era dannatamente perfetto quell'uomo.
In ogni modo, dopo quell'episodio, non ce ne furono altri in cui cercai di allontanare mia moglie da Jude. 
Eravamo diventati inseparabili. Tutti e tre.
Mi chiedo ancora se le persone, vedendoci, si chiedessero se a letto organizzavamo delle orge. 
Mi ha sempre fatto sorridere questo pensiero.
Ma nonostante tutto, era una bella sensazione. Per la prima volta avevo ottenuto quello che ogni uomo cerca nella propria vita e che i soldi non possono concedere: una moglie meravigliosa, un figlio altrettanto fantastico e...Jude.
Era buffo, non sapevo come definirlo, non ero in grado di etichettare la sua presenza nella mia vita. Lui era Jude. Era...tutto Jude.
O forse semplicemente il mio cervello si rifiutava categoricamente di dare un nome a ciò che mi legava a lui, poiché una parte del mio subconscio era consapevole del fatto che se mi fossi fermato a pensare, anche un solo istante, a noi due, la mia razionalità mi avrebbe portato irremediabilmente lontano da lui.
Tuttavia i miei tentativi di non pensare, di lasciare fuori da questa faccenda la parte razionale di me, risultarono inutili: riuscii comunque, con la mia stupidità, a farlo allontanare.
La razionalità non c'entrava nulla, era stata proprio la mia parte irrazionale a farsi prendere dal panico. Perchè se avessi davvero ragionato su ciò che mi stava accadendo, su ciò che stavo provando, avrei capito che Jude era la cosa più bella che mi fosse mai capitata in vita mia. 
 
 
 
«Amore, lascia le tue labbra socchiuse perché quel tuo ultimo bacio deve durare con me,
deve restare immobile per sempre sulla tua bocca perché così accompagni anche me nella mia morte.»
 
Le riprese del primo film di Sherlock Holmes terminarono in un battito di ciglia.
Io e Jude ci scoprimmo più uniti che mai in quei due mesi, nonostante le differenze apparenti dei nostri caratteri. 
Entrambi amavamo la musica inglese: Beatles -finalmente avevo avuto la conferma del perché si chiamasse Jude- e Elthon Jhon. 
Quando gli dissi che avevo anche partecipato ad un video di quest'ultimo, vidi i suoi occhi illuminarsi. Fu bellissimo.
In quel momento mi tornò in mente quando all'inizio delle riprese mi ero promesso di non far cambiare il colore delle sue iridi a seconda del luogo in cui ci trovavamo. Ci ero riuscito.
I suoi occhi- i suoi splendidi occhi- azzurri rimasero tali anche fuori dal set. Anche quando non eravamo Holmes e Watson.
Sorrisi, inconsciamente, ripensandoci e lui se ne accorse.
«Hey, perché ridi?»
Il mio sorriso si allargò ancora di più. E contemporaneamente il mio cuore iniziò ad aumentare i battiti, sintomo che non sapevo se rivelargli la verità su ciò che stavo pensando o meno.
«Pensavo» Rimasi sul vago.
«A cosa?» 
Anche lui ora sorrideva. 
«All'inizio delle riprese. Sai, mi ero accorto che ti comportavi in modo strano: sul set eri un grande amico. Appena uscivamo fuori ti chiudevi in te stesso e non lasciavi entrare nessuno nel tuo mondo.»
Notai la sorpresa nei suoi occhi, nel sentire queste parole.
«Già, è un mio grande problema questo...non riesco a...»
«Lo so. Guy mi spiegò tutto. Però io mi promisi una cosa: sarei riuscito a diventare tuo amico, entro la fine delle riprese. E soprattutto avrei fatto in modo che le tue iridi rimanessero azzurre anche fuori dal set.»
Jude non sorrise più, dopo aver udito l'ultima parte del discorso.
«Co-cosa?»
«Sì, beh, vedi, le tue iridi cambiano colore a seconda delle emozioni che provi: se non ti senti a tuo agio, divengono di un colore scuro, quasi nero, impenetrabile e freddo. Se invece ti senti bene, sono blu, come l'oceano d'estate. Da lì ho capito quanto per te sia importante il tuo lavoro. E' l'unico modo per farti aprire al mondo.»
Dissi queste parole tutto d'un fiato. L'espressione facciale di Jude mi incitò molto a continuare: sembrava...lusingato.
«oh...dio mio, Rob.»
Si passò una mano sugli occhi, stanchi forse perché non li aveva mai chiusi da quando avevo iniziato a parlare.
«Mh. Sì, ho un talento da psicologo, non credi?»
Cercai di sdrammatizzare la situazione. 
Non sapevo perché, ma sentivo che Jude era in imbarazzo. 
«Rob...Robert, tu sei l'unico che in due mesi è riuscito a...capirmi, più di quanto abbiano fatto le persone che mi sono accanto da sempre. E' vero...tutto quello che hai detto, è tutto dannatissimamente vero. E non so come tu abbia fatto a capirmi così a fondo, ma sono felice. Sono felice che sia stato tu a farlo. E anche un po'...spaventato. Sì, ecco. Dio, non ci credo che sto per dirtelo.»
Mi grattai la testa, confuso.
«Dirmi cosa?»
Sorrisi, come sempre. 
«Non dirmi che ti sei portato a letto mia moglie!»
Scherzai. Sapevo che questa era l'ultima cosa di cui dovevo preoccuparmi. Mi fidavo ciecamente di lui. 
«Rob, seriamente, dai. E...no, non mi sono portato a letto Susan. Dammi retta, avrei preferito stare per dirti quello, piuttosto che...questo
Il sorriso mi morì sulle labbra. Mi stavo preoccupando.
«Cristo Jude, che è successo?»
«Sono un grandissimo idiota ed anche tu lo sei- No, non dire nulla, aspetta. Io lo sono perché per una volta che ero riuscito ad aprirmi e a provare delle vere emozioni con una persona...mi ritroverò con il cuore spezzato e lacrime arretrate da versare. E tu lo sei perché sei quella persona che mi spezzerà il cuore. Ma sono più idiota io, però. Ed ora sto blaterando frasi senza senso, e mi viene già da piangere perché sto avendo la consapevolezza che ho appena rovinato la relazione più importante che io avessi mai avuto con un essere umano. Se potessi cancellerei quest'ultimo discorso dal tuo cervello, e lo sostituirei solo con un ti voglio bene Rob, sono contento di averti conosciuto. Ma non posso.»
Stava piangendo. Stava davvero consumando le sue stupende iridi blu versando lacrime per...me.
No. Non potevo permetterglielo.
E allo stesso tempo, però, non potevo permettermi di abbracciarlo e baciarlo. 
Sarebbe stato un suicidio. Per entrambi.
Non potevo rovinare la bellissima persona che era. Gli sarebbe passata. L'amore passa. L'odio no. 
E se mi fossi fatto trascinare dai sentimenti per lui, dai suoi meravigliosi occhi, quanto sarebbe durato il sogno di stare insieme? 
Quanto tempo sarebbe trascorso prima che Jude capisse che persona orrenda ero e iniziasse ad odiarmi?
Non potevo. Non potevo rovinare quello che avevamo costruito.
Era il mio migliore amico. 
Se fosse diventato qualcosa di più, avremmo finito per odiarci.
«Jude...ascolta.»
Mi avvicinai, cercando un contatto. Lui, però, indietreggiò, si tolse le mani dagli occhi e mi sorrise.
I suoi occhi lucidi e rossi dal pianto mi uccisero.
«No, Rob. Ho capito tutto. Lo so, è una follia. Finiremmo per rovinare tutto. E' meglio lasciare le cose così come sono ora.»
Aveva capito tutto, prima di sentirmi parlare. Era davvero la persona giusta per me.
Abbassai lo sguardo. Dovevo trattenere le lacrime. Almeno io.
Jude si avvicinò lentamente e mi alzò il viso con la sua mano. 
«Solo una cosa-»
«Sì.»
Risposi di getto. Come lui, anche io avevo capito cosa volesse.
Mi alzai un po' sulle punte dei piedi e lo baciai.
Non forzai la lingua. Volevo che fosse solo un semplice gioco di labbra.
Mi allontanai a malincuore. 
Lui non si lamentò. 
Sapevamo entrambi che quello non era il momento per il nostro primo, vero bacio.
 
 
                                                                                            ***


Rivivere quei momenti fa bene al cuore. 
E' per questo che mi concedo sempre qualche minuto la sera per stare sul divano a pensare, mentre Susan dorme.
Le riprese di Sherlock Holmes sono terminate ormai da un anno. Io e Jude ci siamo sentiti per telefono qualche volta, e ci siamo visti anche di meno.
Sapevamo entrambi che era dura rimanere uniti. Per questo abbiamo deciso di rimanere in questa situazione di stallo. 
Semplicemente non abbiamo bisogno di sentirci ogni minuto per sapere cosa fa l'altro.
A noi basta ricordare quei giorni. Ogni sera. 
Non sappiamo se e quando ci rivedremo. Succederà, sì, ma non è importante sapere l'ora e il luogo per noi.
Sappiamo, però, che quando succederà, sarà bellissimo.
 
                                                                                                             ***


«Amore, ascolta, Guy ha chiamato e ha detto che tra circa due mesi rivuole te e Jude sul set, per il secondo film di Sherlock Holmes. Ovviamente gli do la conferma per l'okay, giusto?»
Sorrido. Non smetto di farlo. Non riesco a smettere di farlo.
«Certo! Chiamalo subito!»
Mentre vedo Susan annuire e prendere il telefono, mi viene in mente un'altra idea.
«Aspetta. Chiamalo tra dieci minuti, voglio fare una telefonata io.»
Mi passa il telefono e la vedo chiudersi in bagno a truccarsi.
Esco fuori in giardino e digito un numero che so a memoria, nonostante non lo chiami poi così spesso.
Tre squilli e poi sento una voce familiare rispondere con la solita gentilezza inglese.
«Pronto?»
«Prepara i bagagli Watson. Abbiamo lasciato un caso irrisolto, noi due.»
Sorride. Sorrido.
   
 
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