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Autore: MadnessOnMars    17/06/2012    2 recensioni
" “Che c’è? Paura?” chiese malizioso. Sì, stronzo. Una maledetta fottuta paura, di amarti, di non poterti avere, di perderti, di perdermi, di distruggermi, di annientarmi, di stare male, e tutto questo per cosa? Per una stupida dipendenza, per un amore idiota e cieco, per una pazzia di amorosi sensi, per te. Avrei voluto sputargli in faccia la verità, farlo sentire in colpa, ma mi limitai ad annuire con il viso nascosto nell’incavo della sua spalla."
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Just once more

Mi rigirai fra le coperte, stiracchiandomi e cercando con i piedi il calore che ero convinta avrei trovato accanto a me.
E invece mi ero solamente illusa una volta ancora, non trovai nulla, solo le lenzuola vuote che mi accolsero avvolgendomi nel loro spiazzante gelo. Rabbrividii.
Mi tirai su svogliatamente, con la bocca impastata dal sonno e la vista appannata per la stanchezza, ma nonostante la tentazione di tornare a sprofondare nell’incoscienza rimandando la consapevolezza di quello che avrei trovato, rimasi dritta su quel letto che sembrava così scomodo, e frugai la stanza cercando una qualche traccia di lui.
Lo vidi alla finestra, con una sigaretta accesa da poco in mano, davanti ai vetri spalancati, aveva aperto gli scuri nonostante fuori piovesse a dirotto.
Il suo sguardo era assente,  vuoto, perso fra la pioggia che cadeva incessante ticchettando piano sui tetti della città, perso in un qualche luogo lontano da quella stanza, negli occhi di qualcuno che non ero io, di qualcuno che sapevo perfettamente chi essere senza però poterne debellare l’esistenza dai suoi pensieri.
Non sapevo come fare, come fargli dimenticare il suono della sua risata, il tocco delle sue mani, il sapore delle sue labbra, cercavo disperatamente di sostituirlo con il mio, ma ogni volta mi ritrovavo da capo, con nient’altro che vuote speranze fra le dita.
Non sapevo cosa fare e la cosa mi stava uccidendo, mi straziava dall’interno, facendo tanto male da sembrare insopportabile, come se la carne venisse strappava via dalle ossa con zanne e artigli famelici, i tendini recisi, i muscoli squarciati.
Stavo impazzendo, potevo averlo, sì, per alcuni fugaci momenti potevo illudermi di averlo, di possederlo anima e corpo, in quei  frenetici attimi che precedevano il baratro. Poi l’illusione si infrangeva, veloce come si era creata e il suo sguardo diventava distante, le sue mani solo l’ennesimo ricordo così dolce e allo stesso tempo così amaro.
Certo, lui non si negava mai quando io lo cercavo impaziente di saziare quel’irrefrenabile bisogno, ma questo era tutto quello che lui poteva darmi, il massimo che era disposto a concedermi. Lui non aveva bisogno di me, semplicemente non mi rifiutava. Ormai ero convinta che quasi non avrebbe fatto differenza se io lo avessi cercato o meno, che fossi io o una qualunque altra donna. 
Semplicemente non ero importante.
Questo lo sapevo, lo sapevo benissimo e ogni volta che lo guardavo voltarmi le spalle per andarsene mi sentivo morire, sentivo l’anima andare a pezzi, infrangersi come vetro troppo sottile sotto una pressione intollerabile.
Una lacrima scese lungo la mia guancia mentre la sua mano portava la sigaretta alla bocca, lentamente, una nuova nuvola di fumo che si disperdeva sotto la pioggia.
Perché non potevo essere io? Io ero lì al suo fianco, pronta ad accettare qualsiasi cosa avesse voluto offrirmi, offrendo in cambio tutto il mio mondo, ma lui continuava a guardare assente fuori dalla finestra, quella pioggia battente che lo portava  lontano da quella stanza, da quel letto, da me, e ormai la sigaretta era finita.
Richiuse i vetri e si girò verso il letto incontrando il mio sguardo lucido, ma era troppo buio perché se ne potesse accorgere.

“Perché non dormi?” volevo che la smettesse di usare un tono così dolce se tutto quello che poteva darmi era l’illusione di poter avere qualcosa che mi avrebbe alla fine negato, che mi odiasse piuttosto, avrei preferito il suo odio, la sua rabbia, il suo disprezzo a quella premura così inconsistente, tutto tranne quelle dolci promesse di calore che sapevo non sarebbero state mantenute.
Ancora una lacrima sfuggì alle mie ciglia, ma non potevo asciugarla, non ora, non davanti a lui e al suo sguardo attento, l’ultima cosa che volevo era il suo conforto e le sue promesse che tutto si sarebbe sistemato quando sapevo che non sarebbe mai potuto succedere.
“Fa freddo.” Risposi solo. Lo vidi sorridere nella vaga penombra, si avvicinò, la pelle chiara illuminata dalla luce chiara, opaca, quasi inesistente.
E per una volta ancora caddi nella sua trappola, e per l’ennesima volta promisi a me stessa che sarebbe stata l’ultima volta che mi sarei abbandonata a quella debolezza. Al diavolo la mia anima, che venisse la perdizione, il dolore e l’infermità della mente, in quel momento  volevo solo che facesse di nuovo l’amore con me.
Si sedette sul letto e io mi gettai fra le sue braccia. Ridacchiò, quella risatina impertinente che mi faceva sorridere, e si passò una mano fra i capelli scarmigliati.

“Che c’è? Paura?” chiese malizioso. Sì, stronzo. Una maledetta fottuta paura, di amarti, di non poterti avere, di perderti, di perdermi, di distruggermi, di annientarmi, di stare male, e tutto questo per cosa? Per una stupida dipendenza, per un amore idiota e cieco, per una pazzia di amorosi sensi, per te. Avrei voluto sputargli in faccia la verità, farlo sentire in colpa, ma mi limitai ad annuire con il viso nascosto nell’incavo della sua spalla.

“Ci sono qui io, tranquilla.” Maledetto. Perché doveva dirmelo, perché sussurrarmi delle parole così dolci nell’orecchio se non era me che voleva ma un’altra? Perché doveva straziarmi, voleva vedermi soffrire? Sadico bastardo.
Eppure non riuscivo a staccarmi, anzi lo strinsi più forte, lo volevo mio, lo volevo per me. Lo bisbigliai piano contro la sua pelle, beandomi del suo odore e desiderando che si attaccasse alla mia carnee non uscisse più. Ma lui non capì, come sempre, lui non lo capiva mai.

“Fai ancora l’amore con me.” Dissi piano. Lui ridacchiò piano contro la mia spalla in un chiaro sfoggio di orgoglio maschile.
Sì, stupido narcisista, ti ho appena chiesto di fare l’amore, e allora? Ti voglio, c’è forse qualcosa di male in questo? Ti vorrei ogni maledetto istante di ogni stramaledetto minuto di ogni maledettissimo giorno, ti avrei voluto nudo caldo passionale febbricitante solo per me, stupidaggini, mi saresti bastato dolce e innamorato, ma non era mio diritto chiederti certe cose, giusto?
Le lacrime ripresero a scorrere e questa volte copiose, in una corsa folle, mentre le sue mani cercavano la mia pelle districandomi dal groviglio di coperte. Le sue labbra sulle mie spalle, sul mio seno, sui miei fianchi, le sue mani sul ventre sulle gambe nelle mie mani nella mia anima, ovunque.
Era troppo, troppo e tutto in una volta sola, mi sentivo esplodere. Perché dovevo amarlo così tanto? Gli presi il viso fra le mani e scrutai per un attimo quei lineamenti così familiari, grata che la poca luce che filtrava illuminasse solo il suo volto e adombrasse il mio.
Le mie labbra si posarono sulle sue, leggere, languide, stanche, assaporando la morbidezza della sua bocca e gustandone il sapore, quel lieve sentore di fumo che mi dava alla testa. Era tutto così naturale, così giusto, come respirare, amarlo era naturale, non aveva senso negarlo, non c’era nessuna ragione o perché, semplicemente cercare di giustificarlo sembrava illogico, era perché doveva essere, per me era indispensabile come l’aria stessa.
Continuai a baciarlo sentendo sulle labbra l’umido sapore salmastro delle lacrime e pregai che non se accorgesse, e lui non se ne accorse, non se ne accorgeva mai.
Le lacrime scorrevano bagnando la pelle, i gemiti si spezzavano in singhiozzi, le spalle tremavano scosse dai singulti, ma lui non se ne accorgeva mai, o forse fingeva soltanto di non accorgersene, e forse era meglio così.
Gli toccai il collo, risalendo con le mani lungo i contorni del viso, volevo ricordarmi ogni suo tratto, marchiarlo a fuoco nella mente, renderlo indelebile, ma i miei pensieri si fecero sconnessi quando entrò dentro di me. A quel punto non c’era più giusto o sbagliato, bello o brutto, c’eravamo soltanto lui ed io, e quel dolore sordo che mi esplodeva nel petto, pulsando e diffondendosi di pari passo con il piacere che dilagava nel corpo.
Ansiti gemiti mugolii di piacere riempivano l’aria, lo morsi, forte, su una spalla. Volevo lasciare un segno, una traccia tangibile, e continuai a morderlo, sentendo i suoi gemiti nell’orecchio.
Lo leccai, lo morsi, lo torturai con i denti con le labbra e con la lingua, fino a quando il piacere divenne troppo da sopportare e non riuscii più a pensare.


Mi ritrovai sdraiata sul letto, ansante e stremata, il corpo sazio e la coscienza intorpidita, ma il dolore nero che non accennava a scemare. Mi voltai, gli occhi appannati dal piacere, e lo vidi seduto accanto a me, anche lui spossato dall’orgasmo, che si guardava una spalla mentre continuava a massaggiarsela con aria un po’ contrariata, lanciandomi di tanto in tanto un’occhiata storta

“Ahi. Perché mi hai morso?” chiese con un’ingenuità disarmante. Avrei voluto picchiarlo. Picchiarlo a sangue, fino a rompergli quelle labbra così morbide e distruggere la linea perfetta del naso, forse così sarei riuscita ad odiarlo. Che illusa. Volevo che provasse un po’, anche solo un minimo di quel dolore che provavo io, volevo che guardando quel segno così rosso sulla pelle chiara pensasse a me, si ricordasse che anche se per pochi insignificanti attimi era stato mio.

“Avevo fame.” Scoppiò a ridere, totalmente spiazzato dalla mia risposta. Mi girai infilandomi sotto le coperte, e piansi, maledicendomi perché ero sempre così stupida, tanto stupida da continuare a farmi del male da sola e a lasciarmene fare da lui, perché continuavo a soffrire in silenzio e perché ancora una volta la mia risposta era stata diversa da quella che avrei voluto dargli.

Dopotutto sarebbero tante le cose che vorrei dirti, innumerevoli, ma per fortuna molte si incastrano, alcune in gola, altre in testa, e troppe, fin troppe nel cuore.



 
Ciao gente!!! :D Era da una vita che non pubblicavo niente e... WOW!! Ritornare è uno sballo!!! xD No seriamente, l’ultimo periodo di scuola mi ha uccisa, e sono riuscita a rilassarmi davvero soltanto adesso, così ne ho approfittato per pubblicare qualcosa sotto l’onda della travolgente ispirazione. Per quanto riguarda la storia è un po’ deprimente, lo ammetto, ma ultimamente viaggio abbastanza su questa frequenza... quindi! Spero vi sia piaciuta, e se vi è piaciuta spero abbiate voglia di lasciare un commentino!! :D In ogni caso, grazie per aver letto!
Alla prossima!!! :)
  
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