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Autore: Aliens    17/06/2012    2 recensioni
Palermo, maggio 2019.
Dopo un concerto poco soddisfacente, seguendo una ragazza, Tom si ritrova ad assistere a un omicidio di timbro mafioso.
La sua vita cambia radicalmente: costretto a rimanere a Palermo per questione di sicurezza si ritrova ad essere solo e sorvegliato speciale in una città che gli sembra del tutto inospitale e di cui non comprende la lingua.
A salvarlo è Andrea Montanari, Procuratore Distrettuale Antimafia, italo-tedesca con la sola idea di sgominare il "cancro della società" che affligge l'Italia. Così Tom si ritrova a convivere con quel Magistrato fuori dal comune -a partire dall'età-, suo fratello e la sua cagnolina Kira.
A convivere con la vera paura che quel giorno che si vive sarà l'ultimo.

«Mi chiedevo, ma tu non hai mai paura di morire, adesso, in questo istante» si sentì chiedere dal moro «Io non faccio altro che pensarci»
Lo guardò sbattendo le lunghe ciglia pregne di mascara «In fondo Tom, siamo tutti nati per morire, l’importante è farlo seguendo i propri ideali, senza pentirsi di cià che si fa»
Eppure era così dannatamente difficile tenere a bada quella fottuta paura di morire.
Genere: Angst, Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Un uomo fa quello che è suo dovere fare,

quali siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni.

Questa è la base di tutta la moralità umana.

 

-Giovanni Falcone-

 

Morto per mano di Cosa Nostra il 23 Maggio 1992 nella così detta Strage di Capaci insieme alla moglie Francesca Morvillo e i componenti della sua scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro.

 

 




Prologo.

 

 

 

Non era freddo.

Il tepore di una calda giornata d’inizio maggio mentre, con le mani nelle tasche si avvicinava all’immenso porto di quella città che gli era del tutto sconosciuta.

In quasi quindici anni di carriera non era mai stato a Palermo, leggeva sempre un certo timore negli occhi dei suoi produttori, come se la grande associazione mafiosa di Cosa Nostra avesse tempo per fare del male a lui, un’inutile ragazzino tronfio prima e una star in lento declino adesso.

Eppure quel timore era svanito in quel tour che non aveva niente di soddisfacente.

Aveva perso la sua passione e questo gli pesava tremendamente. Guardò il sedere ondegginate della sua conquista serale e sospirò. A Trent’anni non aveva un’anima gemella, un famiglia, qualcosa per cui morire.

Era il bambino sbandato di prima con qualche consapevolezza in più.

Carmen, così si chiamava quella ragazzina di appena diciotto anni, con i capelli piastrati e le forme mediterranee da siciliana verace, lo precedeva quasi saltellando.

Il porto non era tanto distante, vedeva le grandi nave da crocera stagliarsi come palazzi nella notte, il solo immaginarli muovere gli fece venire il mal di mare.

«Sai, amo andare in barca» cinguettò la ragazza con tono gioviale.

«A me no» rispose criptico Tom.

Odiava le navi, odiava il loro ondeggiare costante e nauseante.

Carmen si bloccò e lo guardò «Perché?»

«Soffro il mal di mare» rispose ancora più criptico ricordando quella vacanza sullo yatch di David in cui aveva rimesso persino l’anima. Il solo ricordo lo faceva stare male.

«Ah» esclamò Carmen guardandolo come se fosse un malato terminale «Mi dispiace».

Tom iniziava a chiedersi perché avesse scelto proprio quella lì.

La seguì lungo il cemento sporco d’umido di quel famoso porto e si chiese dove quella ragazza avrebbe finalmente deciso di dargliela, stava iniziando a stufarsi.

Si guardò intorno nel buio e sospirò notando come le ombre di quel posto incutessero una certa paura nel suo animo, aveva una strana sensazione e sperò che a Carmen passasse quella strana fantasia erotica.

Non gli piaceva quel posto anche se inizialmente aveva trovato l’idea divertente ed eccitante.

In fondo non aveva mai visto il porto di Palermo e nell’isola erano arrivati con l’aereo, qualcuno aveva solo accennato a una strage svoltasi in autostrada ma non aveva avuto il piacere di essere turista come succedeva sempre a Roma.

L’Italia era un posto che l’aveva sempre affascinato per usi, costumi e cibo. Amava la penisola a forma di stivale nonostante sopportasse poco la disorganizzazzione e la lieve anarchia che l’abbracciava.

Voleva girarla tutta e aveva anche pensato di recarsi nella città Sicula con la nave andando incontro a quasi un giorno di vomito e mal di mare, ma ci aveva ripensato.

Voleva recuperare.

Il cellulare prese a squillare e con orrore scorse il nome del fratello.

«Pronto?»

«Tomiii, sono in crisi» esclamò il gemello con la sua solita vocina lamentosa. Tom roteò gli occhi fingendosi disperato e si trovò lo sguardo della ragazzina addosso. Le fece capire che non era nulla di particolare e continuò a seguirlo lungo la banchina.

«Cos’hai fatto?» sospirò ormai in automatico.

Aveva imparato che a Bill non potevi mai dire di no, né, tanto meno, sbattere il telefono in faccia. Così, con tutta la sana pazienza che aveva acquisito in quei trent’anni di convivenza con lui, lo ascoltò fingendosi interessato e partecipe.

Come se gli interessasse tutto quel farneticare di trucco e piastre, come se gli interessasse tutto quel trambusto per una nota presa male.

«Oh Bill, non è vero» lo accontetò come era solito fare da quando aveva formato quella dannata band.

Perché era stata sua l’idea, quello che vi era succeduto non aveva avuto nulla a che fare con le sue predizioni da megalomane, anzi, tutto gli era sfuggito dalle mani senza un perché.

E iniziava a pesare, tremendamente.

Sentiva il peso di qualcosa di enorme sulle sue spalle pronto a scivolare da un momento all’altro e quella situazione lo rendeva inquieto e cattivo verso gli altri.

Come con quel giornalista italiano qualche mese prima che gli aveva domandato che fine avesse fatto la sua ormai ex (troia) ragazza.

Non gli importava di cosa pensasse la gente di lui in quel momento, ma si sentiva anche leggeremente in colpa.

Bill riattaccò dopo dieci minuti di farneticamenti e una minaccia ai suoi coglioni per non averlo DAVVERO ascoltato lasciandolo, finalmente, alla sua conquista post concerto.

Carmen continuava ad aggirarsi inquieta per lo scuro porto e Tom dovette seguirla, lo sguardo rivolto verso le varie banchine.

Fu lì che si accorse di qualcosa. Due uomini, vestiti di nero, erano entrati all’interno di una banchina accompagnati da uno dei guardiani, Tom lo vide alquanto spaventato, il viso sformato quasi da una leggera e rassegnata disperazione. I due uomini lo seguivano con aria tranquilla, i volti dalla pelle abbronzata, gli occhi scuri, uno di loro aveva una folta barba mentre l’altro dei semplici baffi folti e curati.

Il chitarrista seguì con lo sguardo ogni movimento del trio. Il guardiano indicò qualcosa e i due, dopo averlo spinto e detto qualcosa si avviarono verso la direzione indicata. notò solo quando i due si fermarono che era un tombino. Lo aprirono senza difficoltà e fecero scivolare al suo interno un pacco imballato.

Era tutto così sospetto.

Tom si guardò intorno e notò Carmen girare la testa inquieta.

Ecco, la situazione si era fatta ancora più sospetta «Chi sono quei due? Li conosci?» domandò ingenuamente.

Lei scosse la testa eppure Tom seppe che stava mentendo.

«Dimmi la verità» la richiamò all’attenzione.

Carmen lo guardò e scosse ancora la testa «Non so chi siano, credimi» cercò di convincerlo.

Eppure Tom non ne era convinto.

La vide muoversi verso di lui e strendere le punte per elevarsi alla sua altezza. Posò le labbra sulle sue mentre Tom teneva gli occhi puntati contro i due che chiudevano il tombino e se ne andavano.

Come avrebbe voluto sapere cosa ci fosse dentro, cosa fosse quel pacco che avevano nascosto.

«Non ci pensare» lo dissuase con voce maliziosa accarezzando il suo petto «Piuttosto, pensa a cosa succederà dopo»

Tom annuì, distratto.

Non riusciva a pensare a nulla che a quei due che stavano sparendo dietro una nave attraccata.

Li fissò ancora mentre Carmen gli diceva che stava andando in bagno a rifrescarsi un attimo. Annuì automaticamente e si girò a guardala allontanarsi.

Da quel momento il tempo sembrò accellerare. Tom notò una coppia avvinarsi alla banchina, erano una donna finemente vestita e un uomo dall’aria distinta. Camminavano a braccetto e la luna rifletteva sopra di loro una luce argentea che li metteva in penonbra.

Mosse un passo avanti ma qualcosa gli disse di fermarsi. Rimase immobile mentre la coppia si avvicinava a lui e lo sorpassava, l’uomo lo guardò anche con un certo schifo.

Era un uomo brizzolato dall’aria superiore, il viso perfettamente rasato, i vestiti eleganti firmati. Tom ne provò un’antipatia istantanea. Come se solo lui avesse davvero i soldi.

Anche lui era ricco, forse più di lui.

Lo osservò camminare e dire qualcosa alla donna mentre passavano sopra quel tombino. E, subito dopo, ci fu un boato. Tom si coprì le orecchie mentre una fiammata, accompagnata da un sacco di fumo, investiva i due facendo esplodere il tombino. Durò tutto pochi secondi ma nella testa del ragazzo parvero minuti.

Sentì il calore sprigionato dalla fiamma farsi via via più tenue e il fumo più denso, l’odore dolciastro di carne bruciata arrivò alle sue narici facendogli venire un conato prontamente bloccato.

Senza pensarci afferrò uno dei fazzolettini di carta che aveva nella tasca e si coprì il naso e, con passo malfermo, si avvicinò al tombino da cui era partita la fiammata.

Esplosivo, ecco cos’era quel pacco. Si fece strada tra il fumo cercando di non respirare quell’odore che per quanto dolce fosse, lo avrebbe fatto vomitare.

Con una mano cercò di dissiepare il fumo ma quello che ottenne fu solo di provocarsi ancora più conati di vomito.

La scena che gli si presentò avanti era degna di un film dell’horror.

I corpi dilaniati dei sue zampillavano sangue da più punti, alla donna mancava una gamba e un braccio che erano stati spinti lontano dal corpo morto, il viso dell’uomo era sfigurato, i capelli brizzolati intrisi di sangue.

L’odore era forte lì, molto di più di come lo era dalla sua postazione.

Non resse, si piegò in due, la mano sullo stomaco e vomitò. Non avrebbe mai dimenticato ciò che aveva visto. Quandò si fu svotato cercò di non guardare ciò che si stagliava sotto di lui e si affrettò ad uscire. Afferrò, con mani tremanti, il suo cellulare e, guardando su un carello, riuscì ad individuare il numero della Polizia Italiana.

Aveva capito più del dovuto, nonostante la sua nazionalità aveva capito che quei tizi facevano parte del cancro della società.

Si portò la cornetta all’orecchio e aspettò che qualcuno rispondesse «Pronto, Centrale di Polizia di Palermo»

«Salve, sono Tom Kaulitz, e credo di aver assistito a un’esecuzione di Cosa Nostra».

E quello fu l’ultimo ricordo lucido che ebbe di quella sera.  

 

   
 
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