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Autore: EvilQueen90    17/06/2012    6 recensioni
Quinta classificata e vincitrice del premio "Strappalacrime" allo "Spargilacrime contest" indetto da Veronic90 e valutato da superkiki92 sul forum di EFP.
I pensieri di Bulma nella giornata precedente all’arrivo dei Cyborg attraverso una song-fic sulle note di “La Notte” di Arisa.
Dal testo:
Io mi accorgo solamente ora di questi cambiamenti, infatti, se fuori la nuova stagione si fa sentire, dentro me un gelido e cupo inverno fa ancora da padrone.
Non riesco a non pensare a tutto quello che è accaduto negli ultimi mesi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nick autore(efp): Federika21
Titolo storia: Dentro me l’Inverno
Fandom: Dragon Ball
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic
Avvertimenti: Lime, Missing moments, One-shot
Introduzione: I pensieri di Bulma nella giornata precedente all’arrivo dei Cyborg attraverso una song-fic sulle note di “La Notte” di Arisa.
Note dell'autore(eventualmente):Questa shot mi è stata ispirata dalle varie storie che ho letto nel fandom che parlano proprio della coppia BulmaXVegeta; tutte descrivono una Bulma triste dopo l’abbandono di Vegeta che sceglie di andare a combattere nello spazio per diventare un Super Saiyan. Per questo ho deciso di scrivere anche io su di lei, ispirata sia dalle storie sia da questa canzone.







Non basta un raggio di sole in un cielo blu come il mare 
perché mi porto un dolore che sale che sale 
Si ferma sulle ginocchia che tremano e so perché… 

 
Ho appena finito di pranzare e, anche se non ho toccato quasi cibo, ora sono pronta per tornare a lavoro. Do un’ultima occhiata a Trunks che dorme beato, saluto mia madre ed esco di casa.
Mi rendo conto che oggi è una bellissima giornata: i raggi di sole pizzicano sulla pelle del mio viso e il cielo è azzurro, limpido. La primavera è arrivata ormai da qualche giorno, portando con sé tutti i segni che la contraddistinguono: le temperature si sono alzate, rendendo piacevoli le passeggiate a piedi, non piove più tanto spesso, gli alberi si stanno risvegliando, colorandosi di foglie e fiori, e gli uccellini si fanno sentire a tutte le ore con i loro canti felici.
Io mi accorgo solamente ora di questi cambiamenti, infatti, se fuori la nuova stagione si fa sentire, dentro me un gelido e cupo inverno fa ancora da padrone.
Non riesco a non pensare a tutto quello che è accaduto negli ultimi mesi.
Durante la giornata posso distrarmi con tante cose: il lavoro, mio figlio e gli imprevisti; ma, se le ore diurne le passo in parte tranquillamente, non posso dire lo stesso quando arriva la notte.
Ora, però, cerco di liberare la mente da questi pensieri. Già so che sarà difficile perché il dolore non si placa e mi accompagna a tutte le ore. Allora tento di nasconderlo, di mascherarlo con un volto sorridente, una voglia di fare e di lavorare che mi ha sempre contraddistinto e una felicità apparente dovuta al fatto che da qualche mese sono madre.
Il mio bambino è l’unico che riesce a colmare questa sofferenza. Passare del tempo con lui è la mia medicina migliore, anche se, osservandolo, non posso fare a meno di pensare a lui.
Ed è proprio quando ricordo i suoi occhi che mi fissano, le sue mani che mi toccano e stringono, i suoi baci e le rare carezze che il dispiacere si fa più forte, le ginocchia mi tremano e qualche lacrima solca il mio viso.
Adesso non è il momento di piangere, mi asciugo in fretta e cerco, come posso, di risistemare il trucco: non voglio che qualcuno noti questa mia piccola debolezza. Corro a lavoro, mi aspettano in laboratorio e già so che la serata sarà particolarmente stressante.
 
 
E non arresta la corsa lui non si vuole fermare 
perché è un dolore che sale che sale e fa male 
Ora è allo stomaco fegato vomito fingo ma c’è 

 
Sono arrivata. Apro la porta d’ingresso che sembra più pesante del solito. Sono tutti già al lavoro, qualcuno solleva la testa per salutarmi, mentre io, silenziosa, mi dirigo nel mio laboratorio.
Mi chiudo dentro e inspiro l’odore famigliare.
Non mi va di lavorare, non mi va di farlo oggi sapendo che domani tutto potrebbe cambiare.
Se il ragazzo del futuro non mentiva, mancano poche ore all’arrivo dei cyborg, e io sono qua, a continuare la vita di sempre.
Da tre anni convivo con la preoccupazione per questo momento, tre lunghi anni passati a contare i giorni che ci separano dalla comparsa di quei mostri sanguinari.
Mi avvicino alla scrivania e, buttandomi a peso morto sulla sedia, faccio volare a terra alcuni fogli. Li lascio lì.
Continuo a ripensare a tutto quello che è successo in quest’arco di tempo.
Mai avrei creduto che la vita, in tre anni, potesse cambiare così tanto.
Ho lasciato il mio fidanzato storico perché mi sono resa conto di amare un’altra persona. Di amare lui. So bene che questo sentimento viaggia a senso unico; solo io, infatti, ho sentito il desiderio di continuare la convivenza, solo io, ritrovandomi incinta, ho sentito, per la prima volta in vita mia, la voglia di diventare madre.
Sono sempre stata una persona forte davanti alle cose più grandi di me.
Nessuno mi ha mai vista piangere da quando lui è partito.
Ma il dolore oggi è più forte del solito, non si ferma e continua a logorarmi dentro.
Mi fa male. E, anche se ormai sono consapevole di questo mio affetto non ricambiato, se penso a quello che potrebbe accadere domani… Se penso che forse non lo rivedrò più...
Una fitta allo stomaco blocca per qualche secondo questi timori. Lo sento che si chiude, che mi brucia, al solo pensiero che lui potrebbe non tornare più da me se dovesse morire sotto i colpi di quelle macchine create per distruggere.
Sono solo un’illusa, lui non tornerà comunque da me.
 
«Che bel bambino, è suo figlio?», mi chiese una mattina una signora al parco.
«Sì, si chiama Trunks.», le mostrai, orgogliosa, il neonato che dormiva nel passeggino.
«Le somiglia tantissimo.»
«Io trovo che somigli più a suo padre.», riflettei ad alta voce.
«È qui con lei?»
«Emh… no, veramente…  non c’è.»
«Già è vero, sicuramente ora è a lavoro. Mi scusi, certe volte sono troppo invadente!»
 
Osservo una foto di Trunks appesa alla parete e non posso fare a meno di ricordare i momenti spiacevoli, come questo.
Cosa potevo dirle?
Che non solo non sono sposata, che il padre di mio figlio non ha un lavoro, ma che si trova in giro nello spazio chissà dove per riuscire a diventare un Super Saiyan?
A volte penso che dovrei dire la verità, che dovrei smettere di fingere. Non sono nemmeno una brava attrice, poi.
La fitta alla stomaco non si è ancora placata, ma sembra sempre più forte. Lo spasmo, ora, si propaga per tutto il ventre.
Vado in bagno.
Non tollero più questa situazione, non ce la faccio più.
Mi metto due dita in gola, gesti meccanici ormai, e in poco tempo butto fuori quel poco che avevo mangiato, e anche l’anima.
Almeno il dolore fisico, solo quello, si placherà.
 
 
Lo stomaco ha resistito anche se non vuol mangiare 
Ma c’è il dolore che sale che sale e fa male 
Arriva al cuore lo vuole picchiare più forte di me 
Prosegue nella sua corsa si prende quello che resta 
Ed in un attimo esplode e mi scoppia la testa 
Vorrebbe una risposta ma in fondo risposta non c’è 

 
Anche questa giornata sta finendo, ormai a lavoro sono rimasta sola.
Ho passato la serata immaginando che faccia potrebbero avere quei robot. Ho pensato al Dottor Gelo e alla sua geniale mente, sprecata in questo modo, creando macchine senza pietà.
Avremmo dovuto fermarlo prima, non passare questi tre anni in tranquillità.
Lo ammetto: vorrei che questa notte passasse in fretta. Ho deciso che, domani mattina, andrò anch’io nell’isola dove il ragazzo del futuro ha detto che faranno la loro apparizione i cyborg.
Sono curiosa di vederli, di vedere fin dove può spingersi la follia umana. Ho passato tante avventure e questa sarà una di quelle.
Non ho paura.
Già, andrò là solo per questo motivo.
Non ci andrò per rivederlo, per sapere fino a che punto si è spinto, se è riuscito nella sua impresa.
Non sarò lì per rivedere i suoi occhi cupi e tristi, il suo fisico perfetto, macchiato dalle innumerevoli ferite di guerra.
Questo è quello che pensa, che dice il mio cervello, ma il cuore, lui no.
Inizia a battere più forte al solo pensiero che domani lo rivedrò.
Mi fa male anche il petto: quel maledetto dolore si è annidato tra le costole. Cerco di reagire, di non pensarci.
Ma non ce la faccio, e più mi sforzo di oppormi più la fitta aumenta, percorre tutto il mio corpo e arriva fino alla testa.
Perché non riesco a non pensarci?
Perché, in quei pochi momenti in cui non lo penso, e qualcun altro che me lo fa ricordare?
Perché non riesco a dimenticarlo?
Credo che una risposta alle mie domande ci sia, ma, ora, non ho nemmeno la forza di pensarla.
Mi sto abituando a vivere così, tra poco credo che nemmeno reagirò più.
Non so dove sia finita la vecchia Bulma, dovrei tentare di ritirarla fuori, perché questa non sono io.
Non pensavo che l’amore – quello vero - potesse distruggerti in questo modo.
Non immaginavo che avrebbe spaccato il cuore proprio a me.
E nemmeno che fosse così doloroso, dentro e fuori.
Tutti gli organi iniziano a farmi male: lo stomaco, perennemente vuoto, resiste, ma è ancora dolorante per lo sforzo di prima nel vomitare. Anche il fegato si sta ribellando.
La testa mi fa male, forse sforzo troppo la mente.
E il cuore, l’anima, mi fanno malissimo, sono spezzati a metà.
 
 
*
 
E quando arriva la notte e resto sola con me 
La testa parte e va in giro in cerca dei suoi perchè 

 
Prima di andare a letto ho deciso di fare un bagno rilassante.
Se ripenso a quanto mi ha fatta dannare Trunks poco fa mi viene da ridere, solo lui riesce a sollevarmi quando sono giù. Penso che a volte percepisca in qualche modo questo mio star male.
Sicuramente anche a lui manca qualcosa, come a me.
Adesso è troppo piccolo per capirlo, ma vivere senza una figura paterna ti fa credere di essere stato rifiutato, di non essere stato voluto.
Un po’ come mi sento io in questo momento: abbandonata.
Così come mi sono sentita quando ho scoperto di aspettare un bambino, nei nove –non facili- mesi di gestazione e anche nel momento doloroso del parto.
Abbandonata dall’uomo che amavo, e che amo.
Apro i rubinetti e, mentre la vasca inizia a riempirsi, decido che tipo di sali metterci dentro.
 
Mi immergo nell’acqua tiepida e noto che fuori ormai è buio pesto: è arrivata la notte, il momento peggiore della giornata, per me. Essa porta con sé cattivi pensieri, malinconia, ma anche ricordi piacevoli che cerco, giorno per giorno, di non far sotterrare dalla mia mente, anche se questo significa farsi male, male da morire.
Ripenso alle tante notti trascorse con lui, al suo corpo contro il mio, al suo corpo sopra il mio.
Alle sue mani, calde e forti, che esplorano ogni parte di me con la sicurezza di chi l’ha fatto tante altre volte. Amavo sentirle scivolare su di me, stringere i miei seni fino a farmi male, allargarmi le gambe fino a toccarmi nel punto più profondo della mia intimità.
Ai suoi baci, pieni di trasporto e passione che, nei primi tempi, mi facevano addirittura arrossire.
Finché ho imparato a conoscere tutti i suoi modi di fare e a non vergognarmi più.
Mi rendo conto che mi mancano quei momenti, quelle ore passate, per me, a fare l’amore.
È così che alcune lacrime iniziano a inumidirmi gli occhi, non faccio nulla per fermarle, ed esse, in poco tempo, scivolano calde sul mio viso. Continuo, persa nei miei ricordi, a fantasticare su quei momenti, mentre la mia mano scende giù, fra le mie gambe, nel punto che, negli ultimi anni, ho donato con tutta me stessa soltanto a lui.
E con la mente ritorno a lui, al suo fisico perfetto, alle cicatrici che lo contornano. Lo immagino vicino a me, nudo. Il mio corpo reagisce a questi pensieri, infatti, mentre con la mano continuo a torturarmi, inizio a essere eccitata.
So che non è la stessa cosa, che non posso continuare a navigare in questi ricordi. Non può andare avanti così tutte le sere. Ma è più forte di me, non riesco a controllarmi, non riesco a non pensarlo.
Luiè diverso da tutti gli altri, è un bastardo, ma proprio per questo lo amo. E sono consapevole che nessuno potrà mai farmi arrivare al piacere come sapeva fare lui.
 
 
E sale e accende gli occhi il sole adesso dov’è 
Mentre il dolore sul foglio è seduto qui accanto a me 
Che le parole nell'aria sono parole a metà 
Ma queste sono già scritte e il tempo non passerà 

 
Mi avvolgo in un asciugamano e, silenziosamente, entro in camera mia.
Sedendomi stravolta sul letto, osservo istintivamente tutto ciò che mi circonda. Mi rendo conto che tutto si è fermato, che nulla è cambiato, da quando, quella “maledetta” mattina, è salito sulla navicella. Le pareti sono sempre dello stesso colore, e gli oggetti sempre al solito posto. Sembra che anche i vestiti nell’armadio, in tutto questo tempo, siano sempre rimasti dove li avevo collocati. In effetti, l’unica cosa che indosso ogni giorno è la tuta da lavoro. Non metto più i vestiti appariscenti che usavo una volta, un po’ perché il mio fisico è cambiato dopo la gravidanza, ma, soprattutto, perché nell’ultimo periodo li indossavo solo per lui. Mi facevo bella esclusivamente per i suoi occhi.
Apro l’armadio e afferro il primo abito che capita. È rosso e molto corto, senza spalline e con dei drappeggi sul davanti. L’ho preso pochi giorni prima della sua partenza, e l’etichetta attaccata mi ricorda che non l’ho nemmeno mai indossato.
Non ho fatto in tempo.
Lo butto via e, anch’io, mi lascio cadere, senza forze, sul pavimento.
Gli occhi mi pizzicano e, per l’ennesima volta in questa giornata, piango.
Mi sento sola, tradita e incompresa.
Mi sono sentita sola durante la gravidanza, con Trunks che scalciava dentro di me. Tutti hanno accarezzato il mio enorme pancione, mia madre, mio padre, le mie amiche, tutti, ma non lui. Non avevo mai sentito dentro me il desiderio di diventare madre, non l’avevo mai provato, fino a quando non è arrivato lui. Mi resi conto subito che era l’uomo che avrei amato per tutta la vita, mi piaceva il suo carattere, forte, testardo; il suo sguardo sempre serio e il suo corpo perfetto. Trasmetteva tristezza e, ai miei occhi innamorati, tenerezza.
In quei mesi speravo in un suo ritorno, che mi vedesse almeno una dannata volta mentre portavo in grembo suo figlio. Tutte le mie speranze si sono rivelate vane, e ora mi fa male ripensare ai pianti fatti di nascosto, quando il mio sguardo incrociava una coppia felice, abbracciata, con le mani di lui sul ventre di lei. Mentre io ero sola.
Mi sono sentita tradita quando, una sera, mi ha dato la notizia della sua partenza, l’ha detto come se di me non gli importasse nulla, nonostante sapesse, già da qualche giorno, dello stato in cui mi trovavo. Tradita come donna e come persona. Gli ho dato una casa, un letto su cui dormire, cibo. Gli ho costruito tanti macchinari per aiutarlo nei suoi allenamenti, per dargli una mano nella sua impresa. Gli ho dato me stessa, prima per gioco, poi per amore. D’altronde cosa potevo aspettarmi?
Ero, e sono, solo un’illusa. E un’incompresa.
Non ho mai raccontato a nessuno di questo tormento che mi logora all’interno, nemmeno ai miei genitori.
Me lo porto dentro come una condanna, una sorta di punizione per essermi innamorata di lui.
Immagino la mia vita come un foglio bianco, dove le uniche parole che riesco a scrivere riguardano il dolore che provo e che mi lacera internamente.
 
Ora basta. Devo smetterla di darmi le colpe, se il destino ha voluto questo per me lo devo accettare e non insistere nel piangermi addosso. È inutile continuare a vivere nei ricordi: devo farmene una ragione. Devo seguire la mia strada, proseguire a vivere.
È facile da dire, ma assolutamente troppo complicato da mettere in atto con un cuore innamorato.
 
Mi metto a letto, sono ancora le due.
In preda all’insonnia non riesco a staccare gli occhi dal led lampeggiante della sveglia.
Le due e dodici.
Le due e tredici.
Il tempo sembra non passare mai.
 
 
Né vincitori né vinti si esce sconfitti a metà 
La vita può allontanarci l’amore continuerà 

 
Le due e ventisette.
Ho perso. Sono stata battuta nella mia battaglia personale contro l’amore che provo per lui.
La mia vita non è più la stessa da quando non c’è più la sua presenza in questa casa, mi manca, da impazzire. Da morire.
Luiè il vincitore, lui non soffre, non mi pensa. Lui non mi ama.
 
Le due e trentadue.
Non è vero. Io ho vinto. Il mio cuore, capace di amare anche non essendo ricambiato ne è uscito vincitore. Ha dimostrato di provare dei sentimenti, di sopportare il dolore, di vivere sempre.
Lui ha perso. È stato sconfitto perché il suo cuore non è cambiato, non si è aperto, non ha amato. Ha perso me e una vita normale, dove il pane quotidiano è fatto di farina, non di guerre e battaglie.
 
Le due e trentanove.
Non mi sento una vincitrice, ma nemmeno una vinta. Ho compreso che da questa battaglia ne usciremo, entrambi, sconfitti e vincitori a metà.
E anche se saremo lontani, un posto nel mio cuore per lui resterà. Sempre.
 
 
L'amore può allontanarci la vita poi continuerà 
 
Le due e cinquantotto.
Sento Trunks che inizia a piangere, prima con dei leggeri mugolii, poi sempre più forte. È arrivata l’ora della poppata, mi alzo e mi dirigo nella stanza accanto alla mia.
Mi avvicino alla sua culla e mi perdo a osservarlo, mentre lui, notando la mia presenza, smette di singhiozzare. Lo afferro delicatamente… è mio figlio… è bellissimo.
Scopro un seno e lui, avidamente, si attacca al mio capezzolo. Mi provoca un leggero dolore, ma posso sopportarlo, niente è paragonabile alla gioia di allattare il proprio piccolo.
 
Il destino ha deciso che io debba vivere lontana dall’uomo che amo.
Io, però, lo porterò sempre dentro di me. L’amore ci ha allontanati, ma il bambino che tengo in braccio mi fa capire che la vita continua e che non devo passare intere notti ripensando a lui.
Per Trunks sarò sia una madre sia un padre, vorrei vederlo crescere felice, amato e coccolato. Io non gli farò mai mancare nulla. E quando crescerà, quando capirà, gli parlerò di suo padre. Gli dirò come mi ha fatta innamorare. Gli racconterò del suo orgoglio, della sua voglia di combattere. Di quanto fosse testardo.
Gli parlerò di un principe che ho amato e che amerò per il resto dei miei giorni.
Così lui potrà essere fiero di avere un padre come Vegeta.
 
Le tre e sette.
Dormo.
 
 
 
 
 
Nda: Nella mia storia ho immaginato che Bulma non abbia più rivisto Vegeta dopo la sua partenza. Inoltre, lei pensa che lui non torni più da lei e che dovrà crescere Trunks da sola. Questo è solo un mio pensiero, perché, in realtà, la storia va diversamente, ma, dal momento che c’è un buco di 3 anni, io ho immaginato che le cose siano potute andare in questo modo.
Spero via sia piaciuta e, se volete, lasciatemi pure un vostro parere :)

Fede
  
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