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Autore: giulina    18/06/2012    4 recensioni
Leo tirò in aria l'ennesimo biscotto e lo fece finire direttamente nella bocca aperta, sorridendo alla ragazza che continuava a girare lo zucchero nel suo tè ormai freddo. Non resistette più e gli sorrise apertamente. Con quel ragazzo era tutto un mostrare sorrisi storti e denti bianchi, un ridere fino a sentire male allo stomaco.
- Mi piace. -
- Il mio riuscire a centrare la bocca con il biscotto? Lo sai che riesco a mangiarmi anche l'unghia del pollice mentre sono al telefono? -
Agata rise di nuovo e Leo le si avvicinò, toccandole delicatamente con l'indice la fossetta appena accennata sulla guancia sinistra.
- Mi sono innamorato. -
- Di me? -
- Macchè, parlavo di quella fossetta lì. Sì, proprio quella lì. Non è che la puoi regalare? -
Agata continuò a sorridere mentre Leo le percorreva con il dito la pelle del viso e la guardava con quegli occhi dalle ciglia lunghissime, che le facevano sentire la necessità di abbassare lo sguardo. Non meritava che qualcuno la guardasse con quegli occhi.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Anche dall' Irlanda riesco ad aggiornare e solo perche' vi amo immensamente <3

Un bacio enormissimo,

Giulia.


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Ma gli uomini mai mi riuscì di capire perché si combinassero

attraverso l'amore affidando ad un gioco la gioia e il dolore.


-Fabrizio De Andre'-






Quando Leo la vide per la prima volta, Agata era sdraiata sul marciapiede davanti alla farmacia “Dr. Misul&Cocchi” con la testa appoggiata alla saracinesca tirata giù, i capelli legati in una coda bassa, una fascia blu stretta al polso, che vomitava sulla sua camicia rossa a quadri leggermente aperta sul davanti. Leo se la ricorda bene, quella camicia, perché Bogdana ne aveva una simile rosa.
Erano le undici di sera e per la strada non c'era praticamente nessuno, se si esclude il cane lupo con la coda mozzata seduto davanti all'entrata del pub “Le tre Grazie” e un ragazzo di colore che passò di fianco a loro correndo a piedi nudi con il cerchione di una macchina in mano.

Stava ridendo da solo.
Leo aveva tra le mani una busta di plastica bianca con dentro due involtini primavera e il riso alla cantonese che aveva preso poco prima al ristorante cinese nel corso principale.

Gli era venuto un certo languorino verso le 22.30, mentre guardava Scarface alla televisione per l'ennesima volta e, contemporaneamente, ascoltava i novelli sposi turchi del piano di sotto che si stavano offendendo in una lingua a lui sconosciuta, ma che gli sarebbe piaciuto molto imparare.
In quel momento, aveva avuto un'improvvisa voglia di cibo cinese caldo, croccante e che ti sazia.Per questo Leo non si era ancora avvicinato a quella ragazza che stava vomitando pure l'anima sulla sua camicia a quadri.
Lui aveva del cibo cinese caldo, croccante e che ti sazia in quella busta di plastica. 
Con un verso esasperato appoggiò delicatamente la busta per terra e ciabattò con le sue infradito nere -era settembre ed aveva appena piovuto- fino a dove si trovava la ragazza; le si mise alle spalle e le raccolse i capelli con le mani, anche se alcuni ciuffi erano sporchi di vomito. La aiutò a mettersi in ginocchio sull'asfalto bagnato, mentre alcune lacrime scendevano involontariamente sulle sue guance rosse e si schiantavano sulle sue mani dalle dita secche e lunghe.
Leo controllò che respirasse ancora e gettò un'occhiata ai residui della cena della ragazza, sparsi su quel marciapiede logoro. Fece un fischio di approvazione.
-Oh! Anche te hai mangiato riso alla cantonese, noto! Com'era?-
Agata gli fece il dito medio.
Aveva una lettera in corsivo tatuata sopra. Leo se la tatuò identica qualche anno dopo.

 








Leo ripensava a quel momento ogni volta che, per cena o colazione –lui non era il tipo da cappuccino e brioche- ordinava del cibo cinese al ristorante nel corso principale che durante gli anni si era modernizzato e addirittura aveva ampliato il menu’ con ventidue diversi tipi di riso.
Leo era rimasto entusiasta di quella decisione!

-E quindi vuole il divorzio-
-Sarai felice, ne sono certo-
-Un corno! Io la amo Lauretta-
-Si chiama Costanza, tua moglie- 
Leo si appoggiò al divano alle sue spalle e si pulì le dita unte con la salsa alla yogurt sopra il copridivano a fiori. Successivamente le tuffò nella salsa piccante e ci immerse anche una nuvola di drago. I suoi occhi esprimevano tutta la gioia che stava provando in quel momento.
Il signore anziano davanti a lui, tale Aldo di San Giminiano, osservava il ragazzo con il suo unico occhio buono –l’altro l’aveva perso durante la prima Guerra Mondiale, a suo dire, anche se tutti sapevano fosse nato nel 1938- mentre masticava tra i denti piccoli e neri una mentina, nascondendola sotto alla lingua e sul palato, tamburellando le dita grassocce sul tavolo di legno davanti a lui.
-Ma ne sei sicuro?-
-Il pesce fa bene alla memoria. Ti devo cucinare un po’ di merluzzo?-

-Comunque io la amo, anche se mi ha detto che sono vecchio. E che non posso capirla. E che addirittura sto perdendo colpi! Dice che non mi ricordo la data del suo compleanno ma quella di Mina sì. Ma non è ve..-

-Quando è nata Mina?-
-25 marzo 1940 a Busto Arsizio. Se telefonandoo io volessi dirti addio.. ti chiamereeei! Se io rivedendoti fossi certa che non soffri ti rivedreiiii-
Leo sorrise e immerse un’altra nuvola di drago dentro la salsa allo yogurt. Il copridivano era diventato improvvisamente pieno di macchie ai bordi e con un buco enorme su un bracciolo. Era praticamente da buttare, ma Leo c’era ormai affezionato.

Quasi fosse un amico con cui aveva passato giorni e notti insieme, esperienze memorabili e sentimenti mai provati. Era parte di lui. Amava quel copridivano quasi più del frigorifero giallo.



Quando il telefonò squillò Aldo si era già alzato dalla sua sdraio azzurra e aveva ricominciato a cantare quella famosa canzone di Mina dall’inizio. Era proprio amore, il suo.
-Sono minorenne, i miei genitori sono morti, non sono Testimone di Geova, non faccio parte degli Scout e sa dove può ficcarsela la promozione che mi vuole vendere?-
-Ciao-
-Ma ciao caramellina! Credevo che fosse quella Emily di Sky che mi chiedeva di attivare il pacchetto ‘Ti faccio vedere anche tua nonna sotto la doccia’-
-Come se tu non l’ avessi mai fatta la doccia con tua nonna-
-E pure con nonno. Threesome is the way!-
-Porco-
-Cosa stai facendo?-

-Io e Bogdana siamo in pausa, oggi la Conad è vuota, c’è crisi. Lo sai che in Russia oggi c’era la maratona dei 5 Km tutti nudi?-

-Attenti al mal di gola!-
-Aldo è ancora con te?-
-Aldo l’abbiamo perso, carotina. Penso sia sul balcone, sulla mia personalissima sedia a dondolo, che canta Bella senz’anima con la tua crema solare in mano-
Agata riattaccò che ancora sorrideva e Leo percepiva quel sorriso attraverso la cornetta.







Aldo -l’uomo senza cognome- era nato il 12 aprile 1938 a San Giminiano, in Toscana, tra campi verdi, vacche e fiorentini dalla risata facile. Venticinque anni dopo, per puro caso, si era ritrovato in quel paese di poche anime dove avrebbe trascorso tutta la sua vita. Chi ce lo avesse portato non si sa -forse il fato o semplicemente quel camionista di Viareggio che si stava dirigendo a Napoli con una prostituta dai capelli rosso fuoco caricata a bordo- fatto sta che lì, aveva incontrato il suo grande, primo amore. No, non Costanza, la donna che due anni dopo avrebbe sposato. In quel paese dimenticato da Dio, seduto sopra la poltroncina di pelle nera del barbiere, con l’odore del dopobarba alla menta fin dentro alle narici, sentì per la prima volta la voce di Mina.
Quella voce non veniva dalla radio del ’47 posata sopra il mobile di acero, no, quella voce veniva dal cielo.
Da quel giorno, la vita di Aldo cambiò totalmente. 
Sposò Costanza Cucciaro nel ’65 soltanto perché ormai si era rassegnato all’idea che Mina non sarebbe mai stata sua e anche perché cucinava il cacciucco che era una meraviglia. Andarono ad abitare in Via del Campo numero 32 e in quell’appartamento -le cui pareti erano coperte di foto in bianco e nero dell’amata cantante-, concepirono due figli: Anna e Minuccia.
Quando Leo comprò l’appartamento sul piano prima del loro, Costanza voleva chiedere il divorzio perché stava cercando di convincere la figlia ormai trentenne a chiamare il figlio come il fratello deceduto di Mina.
Il suo era davvero vero amore.



-Tu pensi che dovremmo..-
-No, ora gli passa. E’ un momento di nostalgia-
-Dura da due ore, questo momento di nostalgia-
-Che ci vuoi fare, il primo amore non si scorda mai! Tu, mio carciofino, non ti scorderai mai di me!- Disse Leo, mentre si attorcigliava al dito medio una ciocca scura dei capelli della ragazza seduta al suo fianco con una tazza di tè in mano.
-Spero mi venga l’Alzheimer-
Leo si alzò dalla sua sdraio azzurra –quella che un paio di ore prima aveva portato in salotto per Aldo e che aveva leggermente sfondato- e si rinchiuse in bagno.
Agata lo andò a cercare qualche minuto dopo e lo trovò nella vasca che faceva galleggiare un sacchetto di plastica di patatine rustiche con la sua cuffia rossa di cotone in testa.
-Amore...-
-Il cobraaaa non è un serpente, ma un pensiero frequente che diventa indecente quando vedo te, quando vedo teee!-

-Quella è Donatella Rettore-
-Vaffanculo!-
-Quella è di Masini. Tesoro, bisogna rivedere la tua cultura musicale-

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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