NdA:
Crack, fanon o canon? Slash, Het, Threesome?
GOD SAVE THE SHIP!
I ♥ Shipping è un'idea del « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »
La
camera è
immacolata, talmente pulita da mandare un tenue chiarore, che
nell’oscurità
risalta come un fare nella notte. Tutt’altra cosa rispetto
alla sua casa nel
Villaggio dei Vincitori.
In
quella
camera così bianca, asettica, tutto sa di Capitol City e le
bottiglie piene di
liquidi ambrati, sono lì, tentatrici. Sarebbe facile
afferrarne una e tenerla
stretta fino all’arrivo del tanto agognato stordimento, fino
al momento in cui
finalmente i suoi pensieri si sarebbero spenti e non avrebbe
più saputo dove si
trovava.
Ma
non
poteva farlo.
Aveva
due
Tributi di cui occuparsi.
Nei
ventiquattro anni in cui aveva dovuto svolgere l’orribile
ruolo di Mentore-
solo un’ennesima punizione travestita da premio, come tutto
quello che veniva
da Capitol City- aveva visto innumerevoli ragazzi affidati a lui e
innumerevoli
volte li aveva visti trucidati senza ragione. I primi due anni, forse,
non
aveva toccato neanche un goccio, concentrando ogni fibra del suo essere
per
aiutare i suoi Tributi a sopravvivere, fallendo miseramente.
Poi
il
dolore era semplicemente diventato troppo.
Troppi i morti di cui tenere conto, troppe le occhiate accusatorie dei
loro
parenti, troppo il senso di colpa. E quindi era arrivato
l’alcool, e lo
stordimento che gli impediva di soffrire. Ogni anno, appena iniziavano
i
giochi, si riprometteva di non bere, di restare lucido per aiutare quei
ragazzi
ma puntualmente ci ricascava, vedendo come fossero tutti senza
speranza. Era
molto meglio essere ubriaco quando, inevitabilmente, venivano
massacrati dai
Favoriti, o uccisi da uno dei trucchetti degli Strateghi. Molto meglio
guardare
quelle immagini attraverso una bruma indistinta, in modo che non
s’imprimessero
a fuoco nella sua mente.
Ma
quell’anno era diverso. Già dalla Mietitura,
quando la ragazza si era offerta
volontaria per salvare la sorella, aveva capito che era diversa da
tutti gli
altri Tributi che avesse mai avuto e poi all’intervista,
quando erano apparsi
come torce umane e Peeta aveva dichiarato il suo amore per la compagna,
Haymitch
aveva capito che, forse per la prima volta, aveva la
possibilità di far tornare
vivo a casa uno dei suoi Tributi.
Purtroppo
per far ciò era necessario che restasse sobrio, e
così non c’era nulla a
proteggerlo dal dolore; era solo ad affrontare i suoi demoni personali.
Con
un
profondo sospiro si sedette sul letto, aspettando. Chissà
chi sarebbe venuto a
trovarlo quella sera… la Favorita del Distretto 2 che aveva
ucciso nell’Arena,
forse, o Maeve, che non era riuscito a salvare, o uno dei tanti ragazzi
di cui
aveva scordato il nome e che aveva visto morire…
Senza
nemmeno accorgersene, chiuse gli occhi e si abbandonò al
sonno, attendendo gli
incubi.
Si
trovava
in un prato meraviglioso, pieno di colori, profumi, suoni. Il suo
respirò
accelerò e il suo cuore cominciò a battere
all’impazzata. Una parte di lui
sapeva che era un sogno ma non riusciva a svegliarsi. Era tornato
nell’Arena.
Devo
nascondermi- pensò. –Tra poco arriveranno gli
altri Tributi e sarà un bagno di
sangue.
Appena
il
tempo di formulare questo pensiero e una pioggia rossa, calda e
vischiosa,
cominciò a cadere dal cielo. In pochi secondi Haymitch fu
completamente coperto
di sangue.
Strizzando
gli occhi per vedere attraverso quell’inferno rosso, scorse
una figura che
avanzava leggera verso di lui. Indossava un vestito bianco, lordo di
sangue, e
avanzava sicura. Era sicuro che fosse la Favorita, decisa ad ucciderlo,
a
punirlo perché era stato più bravo di lei.
Senza
esitare, deciso a non farla avvicinare ulteriormente, Haymitch
scagliò la
lancia che si era ritrovato in mano e colpì dritto al cuore
la ragazza.
La
pioggia
cominciò a cadere più fitta mentre la Favorita
crollava a 100 metri da lui,
rantolando.
-Haymicth…
Poco
più di
un rantolo, quasi sommerso dalla distanza e dal rumore del sangue che
colpiva
il suolo, eppure lui lo sentì e gli si fermò il
cuore. Non era la Favorita.
Quella
era
la voce di Maya.
Disperato,
corse accanto alla figura esanime e la prese tra le braccia, mentre dal
cielo
il sangue cadeva sempre di più.
Anche
Maya
era interamente coperta di sangue, impossibile dire quale fosse suo e
quale
fosse caduto dal cielo, eppure Haymicth riusciva ugualmente a vedere i
suoi
lunghi capelli rossi e la pelle chiara, tempestata di lentiggini, e gli
intensi
e gioiosi occhi verdi, ormai chiusi per sempre.
Cullandola,
le diede un bacio sulla fronte, sporcandosi di sangue, e lei
aprì di scatto gli
occhi, guardandolo con odio e furia omicida:- Tu mi hai ucciso-
sibilò.
Haymitch
si
svegliò di colpo, il respiro affannoso.
Di
tutti gli
incubi che aveva avuto, questo era stato il peggiore. Cercava sempre di
concentrarsi su altri ricordi, magari più violenti o
terrificanti, pur di non
pensare mai a lei perché sapeva che se solo la sua mente vi
avesse indugiato un
attimo sarebbe impazzito di dolore.
Ma
ormai era
come se l’incubo avesse abbattuto una diga e i ricordi,
tenuti lontano per
tanto tempo, lo colpirono.
La
prima
volta che aveva visto Maya, a scuola, e aveva pensato che fosse timida,
visto
che arrossiva in continuazione…
La
prima
volta che le aveva parlato, in occasione della sua prima Mietitura. Di
come lei
fosse terrorizzata e di come
lui, solo
di un anno più grande, l’avesse tranquillizzata.
Il
loro
primo bacio, dopo che le aveva portato un Iris blu colto fuori dalla
rete che
delimitava il Distretto.
La
prima
volta che avevano fatto l’amore, in una capanna vicino al
lago, poco lontano
dal Distretto, e di come le avesse promesso che l’avrebbe
sposata, appena
avessero entrambi compiuto diciannove anni. Lui ne aveva appena
compiuti
diciotto, quella sarebbe stata la sua ultima Mietitura. E lei non aveva
tessere
in più. Sarebbe andato tutto bene…
Ricordava
lo
stordimento al sentire il suo nome come Tributo, e
l’espressione sconvolta di
Maya.
Il
momento
in cui l’aveva salutata, prima di salire su quel maledetto
treno. Il corpo di
lei, caldo e fragile, stretto contro sé, le sue lacrime che
gli inzuppavano la
camicia e la sua voce che ripeteva incessante, come una supplica:-
Torna da me,
torna da me, torna da me…
Ricordava
come un Pacificatore senza volto gliel’avesse strappata dalle
braccia e di come
la sua espressione si fosse improvvisamente indurita. Era forte, Maya,
e non
avrebbe pianto di fronte a quegli uomini senza cuore.
Ricordava
come nell’Arena avesse cercato di tenerla lontano dalla sua
mente, per non
distrarsi e per non lasciare che tutto quell’orrore, tutte
quelle morti,
intaccassero i loro ricordi.
Ricordava
quando l’aveva riabbracciata, dopo la Vittoria, e di come
aveva pensato che
sarebbero ancora potuti essere felici insieme.
E
poi ricordava
il suo cadavere, esanime sul tavolo del dottore. Aveva mangiato per
errore
delle bacche velenose, avevano detto. Ma lui non era uno sciocco, aveva
riconosciuto in casa di Maya le bacche che c’erano
nell’Arena e aveva capito:
il suo giochetto col campo di forza non era stato dimenticato
né perdonato.
-Haymitch,
dobbiamo andare. Stanno mandando il riepilogo della giornata.
La
voce di
Effie lo strappò ai suoi ricordi dolorosi. Con un sussulto e
uno sforzo tornò
al presente. Era quasi alla porta quando si ricordò di una
cosa e tornò
indietro per gettare tutte le bottiglie. Era più importante
che mai che
restasse sobrio. Quella ragazza doveva vincere e per farlo aveva
bisogno di
lui.