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Autore: Alkimia    19/06/2012    9 recensioni
[CONCLUSA]
Ha calcolato ogni cosa, a questo gli è servito quel suo lungo esilio. Per ogni percorso possibile ha trovato almeno due o tre vie di fuga. Aveva messo in conto anche l'eventualità di venire catturato nel caso in cui il suo piano con i Chitauri fosse fallito.
Mentre nella sua mente si dipana una mappa da seguire, Loki sa che non è più un prigioniero. È solo qualcuno in attesa di un'occasione, come lo è stato per il resto della sua vita.

Loki sfugge alla sua prigionia e torna sulla Terra per recuperare un oggetto di cui ha bisogno per riacquistare potere; potrebbe rubarlo o prenderlo con la forza ma quando lo trova, in quella singolare città che è Venezia, scopre che la situazione non è così facilmente risolvibile. Intanto, dal pianeta dei Chitauri arriva la vendetta di Thanos per la mancata promessa della consegna del Tesseract e la cosa finirà per coinvolgere anche i Vendicatori...
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A waltz for shadows and stars' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo quinto

Pepper sta pensando a quanto è buono il caffè che ha bevuto poco prima, in quel delizioso bar con l'orchestra, all'ombra del campanile.
Pepper sta pensando a quanto è buono il caffè. La cosa è sensazionale, in sé per sé. Sono a chilometri e chilometri da casa e lei può permettersi di non pensare a niente di più importante di un caffè in un bar.
Era molto tempo che Tony insisteva per andare a Venezia e alla fine ce l'hanno fatta. E ne è valsa decisamente la pena.
Per una volta si è lasciata convincere a delegare tutti i suoi monumentali impegni alla sua nutrita schiera di impeccabili collaboratori e si è decisa a lasciarsi alle spalle lo stress accumulato, la paura accumulata soprattutto. Perché finalmente, per una volta, lei e Tony sono in un angolo di mondo in cui non c'è spazio per i supereroi, niente ex-amici di suo padre – o figli degli stessi – arrabbiati e assetati di vendetta o potere o qualsiasi cosa sia. E niente divinità sociopatiche con le manie di grandezza. Niente di niente, nemmeno strani congegni super tecnologici, nemmeno la dannata armatura: Tony le ha promesso che l'avrebbe lasciata a casa quando lei gli ha giurato che non avrebbe telefonato in ufficio dieci volte al giorno per sincerarsi che tutto andasse bene.
Il ponte di Rialto è un mosaico di facce che si confondono. Passanti che si spingono contro il parapetto per fotografare il Canal Grande, l'acqua dai riflessi argentati che scorre placida riflettendo l'azzurro del cielo, solcata dalle sagome scure e allungate delle gondole e dai vaporetti.
Dopo pranzo hanno in programma di andare a Murano, spera di trovare qualche bella scultura di vetro da comprare; ognuno ha le sue debolezze, la passione per gli oggetti d'arte è la sua. Ma vorrebbe proprio prendere uno dei traghetti e non andarci con lo yacht privato, le piace questo mescolarsi con la gente, fare finta di essere una come tutti e non la compagna di... Iron Man. Ha bisogno di credersi una come tutti, l'aiuta a dimenticare quel giorno tremendo. Il giorno in cui da un varco aperto in mezzo al cielo sembrava piovere la fine del mondo, e lei era su quell'aereo a guardare le immagini dallo schermo di un televisore e le si è fermato il cuore quando il varco stava per richiudersi dietro le spalle di Tony. E lei non c'era, e lei era lontana...
No, non deve pensarci. Deve pensare al caffè, ai piccioni, alle sculture di vetro di Murano, e al giro in gondola con Tony che ha fatto impazzire il gondoliere che a un certo punto ha cominciato a guardarlo come se volesse buttarlo giù dalla barca. Non deve pensarci, è tutto finito. Ora sono tutte quelle cose ad essere lontane.
«Stavo pensando che potremmo provare a prendere uno di quei traghetti» dice, spingendosi anche lei contro il parapetto di marmo, insieme a tutti gli altri turisti. «Lo so che tu non sei molto propenso a... Tony?».
La donna si volta, si guarda attorno. Tony non c'è, deve averlo perso mentre salivano sul ponte, in mezzo a tutto quel caos.
Ha appena realizzato la cosa che il suo cellulare comincia a squillare, lo recupera dal fondo della borsetta e la fotografia di un sornione signor Stark lampeggia sul display. Lei preme il tasto per accettare la chiamata e le parole cominciano a piovere a raffica dalla cornetta.
«Stavo pensando di impiantarti un microcip nella schiena prima di partire» dice Tony. «Sai uno di quelli molto piccoli, giusto per essere sicuro che...»
«Tony» lo interrompe sorridendo. «Dimmi dove sei, ti raggiungo».
«Nella piazzetta con la statua di Goldoni. Vuoi che ti faccia localizzare da un satellite?».
Potrebbe farlo, basterebbe una telefonata e arriverebbe un elicottero a prenderla, ne è sicura. Ma non è necessario, e comunque in quella piazza ci sono passati poco prima, riuscirà sicuramente a ritrovarla.
«Non muoverti di là, arrivo» dice, prima di chiudere la telefonata.
Ci sono passati pochissimi minuti prima in effetti. Ma ora che la tranquilla, ordinata, equilibrata Virginia Potts osserva il via vai di gente salire e scendere da quell'enorme ponte si rende conto di non avere la più pallida idea di come tornare in quella piazza.
Estrae di nuovo il cellulare, pensa di richiamare Tony e dirgli se non di mandare un astronauta a recuperarla, quanto meno di essere lui a raggiungere lei a Rialto. Cerca di far partire la chiamata, ma l'aggeggio si spegne con il cicalio che annuncia lo scaricarsi della batteria.

***

Nadia sta contando le monete da dare al tabaccaio per i pacchetti di sigarette che ha comprato per suo padre e per sua sorella. Ha provato un paio di volte a convincerli a smettere, ma senza risultati. Sara ha vent'anni e si crede invincibile, suo padre ne ha cinquantacinque e si crede troppo saggio per ascoltare consigli e per farsi fregare dalle sigarette.
Ognuno si suicida come meglio può, pensa Nadia. E mentre lo sta pensando, viene superata da una donna bionda, con una coda di cavallo perfettamente diritta, che appoggia sul bancone una cartina della città che ha appena preso dall'espositore.
«Scusa, c'eri prima tu, non avevo visto» mormora la donna, accorgendosi di lei, sorridendo gentile e facendosi da parte.
La ragazza ricambia il sorriso, scrolla le spalle.
«Non importa, fai pure» risponde. La donna sembra un po' trafelata, forse ha fretta, forse si è persa.
La sconosciuta la ringrazia, paga la cartina ed esce scartandola dall'involucro di cellophane.
Nadia mette in borsa i pacchetti di sigarette. Pensa che ha voglia di tornare a fare fotografie, che deve inventarsi qualcosa. È passata una settimana da quando ha avuto quell'infruttuoso incontro con il gallerista, dal giorno in cui c'è stata quella strana ondata di gelo su Venezia, dalla sera in cui è arrivato Loki in albergo.
Accidenti, si era ripromessa di smetterla di rimuginare su Loki perché alle volte le sembra di sfiorare le vette della paranoia. Non si è mai interessata dei clienti dell'albergo, di chi sono, di cosa fanno; forse sono passati tanti tizi poco raccomandabili tra quelle stanze e lei non se n'è nemmeno accorta, però Casanova non aveva mai soffiato contro nessuno prima di allora. Certo, non che sia indicativo, ma Nadia non può fingere che non ci sia qualcosa di molto strano in quel ragazzo. No, non è stranezza, all'inizio credeva si trattasse di bizzarria ma ora sa che è qualcosa di diverso, dopo una settimana, dopo che, in un modo o nell'altro lui è riuscito a convincerla ad accompagnarla nelle sue passeggiate serali più di una volta, anche se non hanno mai parlato molto, c'è una cosa che Nadia ha capito con certezza: Loki non è innocente. Non saprebbe dire innocente rispetto a cosa, sa solo che quando lo vede sorridere, quando lo sente parlare, una parte di lei ha paura, una paura istintiva e viscerale che però non si trasforma in un vero e proprio sentimento negativo nei suoi confronti perché, in ultima analisi, il ragazzo le sta persino simpatico. È solo, gli è certamente accaduto qualcosa, e non sembra avere nessuna cattiva intenzione, perché dovrebbe avere qualcosa contro di lui?
È appunto per questo che non vuole pensarci; le sembra di essere schizofrenica, oltre che paranoica. E prima o poi, Loki lascerà l'albergo, lascerà Venezia e nel giro di poco tempo lei se ne sarà dimenticata.
Esce dalla tabaccheria, senza guardare davanti a sé e finisce addosso a qualcuno.
«Mi dispiace» mormora imbarazzata, sollevando lo sguardo sulla persona che ha investito. È la donna bionda di poco prima, che se ne stava ferma davanti alla porta a consultare la cartina che ha comprato.
«Oh, fa niente, davvero. Ero io tra i piedi» risponde la donna, in inglese, con un inequivocabile accento americano. «Scusa, io mi sono persa e con questa cartina non riesco a capire niente. Sapresti dirmi dov'è la piazza con la statua di Goldoni?».
Nadia guarda la turista americana; ha le guance arrossate e sembra in ansia, come se in quella piazza ci fosse una bomba a orologeria che deve andare a disinnescare prima che sia troppo tardi.
«Devo passare di lì, ti ci accompagno se vuoi».
Gli occhi della sconosciuta si illuminano,
«Sarebbe davvero un'ottima cosa, se per te non è un disturbo» mormora ripiegando la cartina.
«Nessun disturbo. Mi chiamo Nadia, a proposito»
«Io sono Pepper».
Nadia pensa che sia un nome insolito, ma è una settimana che ha a che fare con un ragazzo che si fa chiamare come una divinità cattiva e promiscua, può digerire tranquillamente una Pepper.
Fa caldo, un caldo fuori stagione, che dà ai nervi. Il sole si riflette sull'acqua in bagliori che feriscono gli occhi di chi guarda. Nadia non deve propriamente passare per la piazza con la statua, ma è di nuovo in una di quelle giornate in cui farebbe di tutto pur di non dover tornare a casa.
«Sei proprio di qui tu, di Venezia?» domanda la donna, seguendola mentre scansa i passanti. Nadia annuisce. «Io invece vengo da New York».
La ragazza si volta a guardare la sua interlocutrice, parla come se non riuscisse a farne a meno, come se fosse troppo nervosa per starsene in silenzio. Cosa diamine la sta aspettando in quella piazza, un plotone di esecuzione?
«Mi piacerebbe visitare l'America» le risponde distrattamente.
«Scherzi? Vivi a Venezia, se fossi al tuo posto non mi muoverei da qui per nessuna ragione al mondo» replica Pepper.
«Lo dici solo perché non sei al mio posto. Venezia è una cosa alla quale ci si fa l'abitudine»
«A New York invece non ci si abitua mai». La donna lo dice con una mezza risatina nervosa, scuotendo il capo. Nadia ripensa alle notizie di qualche settimana prima, alle immagini della città distrutta da un altro attacco terroristico; su internet qualcuno parlava addirittura di alieni. Su internet girano un sacco di stupidaggini, però Sara ci ha quasi creduto alla storia dell'attacco interspaziale.
«Ho sentito di quello che è successo nella tua città, deve essere stato brutto» dice Nadia. Deve essere stato orribile, indicibile, come diavolo le è venuto in mente di aprire un discorso del genere?
Pepper si irrigidisce per un attimo, deglutisce, poi sbatte le palpebre come a voler cancellare quell'espressione stranita dal viso, con l'abilità di chi è abituato a non mostrare i propri pensieri e a essere diplomatico, se la situazione lo richiede,
«Non ero in città quando è successo» risponde. D'accordo, non vuole parlarne, è più che legittimo, ma ora Nadia si sente in imbarazzo e deve pensare a qualcos'altro da dire.
«Sei in ritardo per un appuntamento? Non per farmi i fatti i tuoi, ma sembra che tu abbia una gran fretta di raggiungere quella piazza» le dice con un tono ironico, tanto per alleggerire l'aria.
Pepper ridacchia, come se le fosse venuto in mente qualcosa di straordinariamente buffo.
«In effetti, il mio compagno mi sta aspettando lì e lui è... beh, non è il tipo che può essere lasciato da solo, in una città come questa» spiega, continuando a ridacchiare.
Nadia non capisce cosa ci sia di divertente, ma sorride, scrolla le spalle e continua a camminare.
Quando raggiungono la piazza, nota che Pepper allunga il collo, cercando il suo compagno.
«Devi convenire con me che l'idea del microcip non è poi così male» dice all'improvviso una voce alle loro spalle. Nadia si volta perplessa: quello sarebbe il compagno di Pepper? Quell'uomo sulla quarantina con la t-shirt blu sulla quale campeggia il logo degli AC/DC e quel curioso pizzetto?
Ad ogni modo, Nadia ha la sensazione di aver già visto la sua faccia da qualche parte.
«No, dico sul serio. Pensa alla prossima Stark Expo, pensa a tutti i viaggi futuri, pensa se si dovesse rompere un'ascensore alla Star Tower. E comunque, io sto per svenire dalla fame. A proposito, chi è l'incantevole donzella? Io sono Tony, incantevole donzella».
Tony parla a raffica. Come diavolo fa a respirare, ha le branchie? Quella sua lingua sciolta sta mettendo in difficoltà l'ottimo inglese di Nadia; che roba è la Stark Expo, la Stark Tower? Da quale clinica psichiatrica è scappato quel tipo?
«Io mi chiamo Nadia. Sei sicuro di essere qui in vacanza, Tony? Non mi sembri molto rilassato» risponde la ragazza.
«Il tuo accento mi dice che sei un'indigena. E comunque, io sono assolutamente rilassato, come potrei non esserlo?»
«Nadia è stata così gentile da aiutarmi a trovare questo posto» interviene Pepper, con una punta di bonaria severità nella voce, a suggerire al suo uomo di provare a essere un po' più... o un po' meno... a Nadia viene da ridere, quel Tony deve essere uno spasso e non ha l'aria di qualcuno che riesca a essere un po' più o un po' meno di quello che è.
«Grazie, Nadia. Possiamo offrirti uno shawarma» aggiunge l'uomo, con fare amichevole. «Conosci un posto qui dove fanno lo shawarma?»
Dove fanno il che?
«Io conosco solo posti dove suonano il jazz» risponde Nadia sarcastica.
Tony sgrana gli occhi e getta all'indietro la testa, con aria sconfortata, borbottando un «oh no» a mezza voce.
«Davvero?» interviene Pepper con aria interessata. «Mi stavo giusto chiedendo se c'era qualche posto dove suonassero qualcosa di buono».
Dalla faccia di Tony è evidente che non gli piace il jazz, ma Pepper ignora la sua enfatica reazione e chiede maggiori informazioni sulla cosa. Nadia si ritrova a parlarle della Corte dell'Angelo, un posto in cui fanno musica dal vivo ogni giovedì sera.
«Potremmo andarci» conclude la donna.
«Potremmo? Davvero?» replica Tony come se lei avesse detto un'eresia.
«Potremmo proprio» ribatte Pepper dondolando il capo, decisa.
«Oh, ma grazie, grazie Colombina. Proprio non vedevo l'ora di trovare un posto dove si suonasse jazz a Venezia!».
Il modo in cui Tony sta pronunciando quelle parole le smentisce, ma alla fine fa una smorfia che somiglia a un sorriso che Nadia si trova a ricambiare.
«Vi lascio alla vostra vacanza. È stato un piacere incontrarvi» dice, alzando la mano per fare un cenno di saluto.
«Oh, davvero non possiamo invitarti a prendere un aperitivo con noi? Sei stata così gentile» chiede Pepper.
Le piacerebbe, quei due le stanno simpatici, ma sa che è ora di tornare a casa, non può abusare troppo della pazienza dei suoi e della libertà che le è concessa lavorando per la sua famiglia.
«Devo tornare a lavoro» risponde. «Ma magari ci rivediamo alla Corte dell'Angelo, giovedì sera».

***

Sta andando molto bene.
Loki sorride al vuoto, seduto su una panchina in un vicolo accanto all'albergo.
Quando una settimana prima aveva messo piede in quella casa, pensando di trovare la pietra ad attenderlo dentro a uno scrigno o qualcosa di simile, e poi l'aveva vista al polso dell'umana, per un attimo si era sentito perso.
Ma alla fine non è stato difficile, solo un po' più lento del previsto. E nemmeno noioso come temeva. Certo, le lunghe ore di inattività lo hanno innervosito, ma avere occasione di conoscere più da vicino gli umani è stato comunque divertente, cercare di cogliere ogni particolare del loro insulso modo di vivere per confermare ciò che ha sempre pensato: sono delle creature inferiori, allo sbando. E ognuna di loro ha dei nervi scoperti che possono essere toccati come i fili delle marionette, suonati come le corde di un'arpa. E a lui piacere essere il compositore di certe melodie, gli piace fare il burattinaio.
La ragazza, ad esempio, ha la sua solitudine e il suo senso di vuoto che la portano ad essere disposta a fare qualsiasi cosa pur di sentirsi un po' meno senza scopo, un po' meno inutile. Persino passare del tempo con lui.
Deve ammetterlo, Nadia è stata un oggetto di osservazione parecchio complesso e interessante in quella settimana, più di quanto gli era sembrata all'inizio. Nadia è una guerriera che non sa di esserlo, e per questo ha tanti punti deboli nella sua armatura. Se Loki avesse tempo da perdere su Midgard, gli piacerebbe provare ad insinuarsi in ognuna di quelle fenditure, entrarle sotto la pelle per il solo gusto di scoprire cosa c'è, e poi ritrarsi e lasciarla come un guscio vuoto.
Ma più ci pensa e più si rende conto che non ha nemmeno troppa voglia di ucciderla, quando tutto questo sarà finito penserà ad andarsene per la sua strada perché sta diventando troppo sfiancante, tanto da togliere il divertimento persino al più crudele dei progetti. Vuole lasciare Midgard, cercare altre battaglie da combattere... poi forse un giorno tornerà ed esigerà da quel piccolo mondo la sua vendetta, un tributo di lacrime e sangue per il disonore che gli hanno arrecato con quella sconfitta immeritata.
Lui è un dio, e un dio non lascia niente di irrisolto o di impunito.
Ma deve ammettere che giocare a fare l'umano è stato...
Rilassante?
Divertente.
Piacevole?
Originale.
Sorride di nuovo. Beh, di certo non è stato niente di troppo drammatico. Come direbbero loro, l'ha presa con filosofia.
Un verso graffiante arriva improvviso a strapparlo alle sue riflessioni, a cancellargli dalla faccia quel sorriso beffardo e tagliente. Loki solleva lo sguardo e incontra gli occhi d'oro del gatto della ragazza. Quella maledetta bestiaccia!
Si alza in piedi di scatto, il felino continua a soffiargli contro. Il dio dell'inganno serra la mascella, in un impeto di irritazione. Si guarda attorno: non c'è nessuno. Bene.
Prima che l'animale abbia il tempo anche solo di capire, si china su di lui come una freccia. La mano tesa punta dietro le orecchie, le dita si serrano in un attimo. Lo scricchiolio delle piccole ossa del collo sottile è un rumore secco e un istante dopo il corpo del gatto si affloscia morbidamente sul ciottolato.
Loki osserva la piccola sagoma argenta ai suoi piedi con un misto di disgusto e soddisfazione. Sfrega i palmi delle mani l'uno contro l'altro, per togliere qualche traccia di pelo che può essergli rimasta sulla pelle e...
«Casanova, dove sei?».
La voce della ragazza arriva da dietro l'angolo. Lo sguardo di Loki svetta in ogni direzione. C'è un cestino per i rifiuti sotto al palo della luce, prende il gatto per la coda e lo lancia dentro, un istante prima che Nadia spunti nello spiazzo tra le case.
Lei interrompe di colpo il suo camminare concitato, quasi spaventata dall'esserselo trovato all'improvviso davanti – bene, per una volta è lei che ha trovato lui e non il contrario, si stava giusto chiedendo dove fosse finita.  
«Oh... ciao, Loki».
«Ciao».
«Stavo cercando il mio gatto, mi è sembrato di averlo visto venire da questa parte» dice lei.
Lui inclina appena la testa, solleva leggermente le sopracciglia,
«Non l'ho visto» mente in tutta tranquillità.
«Uhm, penso che sia inutile continuare a cercarlo, forse tornerà quando avrà fame»
«Sicuramente. Stavo rientrando, vieni con me?».

***

Il cielo sopra Asgard è una distesa di blu a perdita d'occhio, verso l'orizzonte infinito dell'universo. Il confine della città eterna è segnato da un enorme cancello dorato che si apre al suo passaggio, oltre il cancello c'è un ponte, un ponte che lui stesso ha distrutto. Ogni colpo di martello su quella superficie dai riflessi d'arcobaleno era un pezzo del suo cuore che si sgretolava mentre la voce di suo fratello faceva eco nelle tue orecchie: «Che stai facendo? Se distruggi il ponte non potrai mai più rivederla!».
Jane...
Il ricordo di lei fa gonfiare i suoi pensieri come nuvole che scatenano temporali di rimpianto.
Ora che ha il Tesseract potrebbe tornare sulla Terra, rivederla, ma ancora una volta il futuro re di Asgard ha diverse priorità, deve scegliere altro. Per il momento.
Thor attraversa ad ampie falcate quel che resta del Bifrost, un lembo di ponte lastricato di luce, in sospeso su una mare nero come l'inchiostro. All'estremità di quel lungo frammento c'è Heimdall in piedi a vigilare sui nove regni con il suo sguardo. Accanto al gigante c'è Odino che scruta silenzioso le stelle immobili.
Thor sente la rabbia montargli nel ventre e fargli pulsare la testa, ma l'ultima volta che ha avuto uno scatto di ira con suo padre... beh, meglio non ripetere di nuovo lo stesso errore, non sarebbe saggio e lui in quanto a saggezza ha molta strada ancora da fare. Per questo deglutisce, prende un lungo respiro e si ferma alle spalle del gigante e del Padre, rilassa i pugni che teneva serrati a far sbiancare le nocche e tenta di assumere un tono di voce tranquillo.
«Perché non stiamo facendo niente?» chiede. Domanda legittima, si dice. Hanno trovato Loki, Heimadall lo sta osservando da giorni, eppure il re ancora non ha dato ordine di andarlo a riprendere, nonostante si stia mescolando agli umani e possa far loro del male da un momento all'altro. Nonostante abbia trovato una delle pietre di Borr – diamine, esistono davvero! - e ne stia assorbendo l'energia per attuare chissà quale oscuro proposito.
Odino si volta a guardarlo.
«Loki voleva una guerra» dice. «Sta per averne una e sono certo che sarà una lezione migliore di qualsiasi punizione potrebbe ricevere qui».
Per un attimo, il cuore di Thor si ferma e si contrae in una morsa d'angoscia. Si chiede cosa abbia visto suo padre che a lui è sfuggito, si chiede cosa sa il re di Asgard che non dice.
«È in pericolo?» domanda preoccupato. Non ce la fa, non riesce semplicemente a smettere di essere un fratello maggiore in apprensione. «E la città in cui si trova? E gli umani che gli sono attorno?».
Il Padre degli dei fa un sorriso colmo di malinconia.
«Quello che tuo fratello non sa e che tu dovresti imparare è che le guerre non si scelgono, né si scelgono le loro conseguenze».
I pugni di Thor tornano a serrarsi, la rabbia gli fa scoppiare scintille di calore nella testa.
«E le persone che si trovano accanto a Loki, cosa saranno? Vittime accettabili in un massacro utile a impartire una lezione al tuo figlio disobbediente?» esclama.
Suo padre inarca un sopracciglio con fare enigmatico.
«Ho forse detto questo? E ho forse parlato di massacro?» replica tranquillo. «No, Thor, loro non saranno privi di protezione. Ma ogni cosa a tempo debito».
 
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Note

Vi prego, osserviamo tutti cinque minuti di silenzio per il povero Casanova.
Fatto? Bene, ora possiamo festeggiare perché nella storia è stato citato anche Tony Stark. Adesso che ci sono tutti, compreso Babbo Orbo che è tornano ad “avere disegni”, possiamo cominciare con la roba seria (tra un paio di capitoli, magari... fatemi giocare un altro po' con Loki che gioca con Nadia).

Naturalmente il fatto che esista un posto chiamato la Corte dell'Angelo dove suonano jazz è inventato.
A proposito... Tony e Pepper a Venezia non è un caso a uso e consumo della trama della mia storia. In Iron Man 2 lui ripete più volte che vuole mollare tutto per una vacanza a Venezia, quindi chi sono io per negare qualcosa al signor Stark? XD
   
 
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