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Autore: Bangel Dreamer    19/06/2012    1 recensioni
Breve storia incentrata su Puckerman ed i suoi pensieri. Poche parole, anzi, nessuna. Poi Kurt che lo vede e, per la prima volta, si sente veramente compreso. Prima fic in sezione Glee, spero vi piaccia.
Dal testo:
"Per un momento al giocatore di football parve di comprendere tutte le sofferenze che il ragazzo sopportava ogni giorno, tutte le granite in faccia, le prese in giro da parte degli altri studenti … tutte persone che non riuscivano ad accettare il suo modo di fare e di vedere. Insomma, essere omosessuali non è mai stata una malattia, lo stesso Puck lo accettava e tentava di far sentire Kurt sempre a suo agio.
Una stretta al cuore, poi, un gesto istintivo. Avvicinatosi di qualche passo, abbracciò l’amico. Una stretta fraterna, qualcosa di caldo e familiare, qualcosa che poteva seriamente farlo sentire meglio. "
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, questa è la mia prima fanfiction in sezione Glee. Tutto è partito da una parola chiave detta da RobDarko(Giacca Letterman) e due personaggi (Kurt e Puck), sempre da lei suggeriti stanotte ieri sera. Ero troppo stanca per scrivere, così ho lasciato il quaderno sulla scrivania con le parole e sono andata a dormire.
Questa mattina, poi, in meno di un'ora, ecco che sforno Understanding. Robs è contenta, le piace ed io decido di pubblicarla. Sono un po' insicura ma, rileggendola, mi è piaciuta. Dunque ... eccola qui.
Ambientata ad un momento imprecisato della prima stagione, dopo un allenamento della squadra di Football, Puck si ritira nello spogliatoio e quando rimane da solo, comincia a pensare a tutti i problemi che lo colpiscono in questo ultimo periodo
Spero che decidiate di lasciare una recensione per farmi sapere come vi è sembrata. Accetto le critiche costruttive, servono solo a migliorare e ne sono consapevole. Grazie dell'attenzione!

Vostra,

Bangel Dreamer/ Ange.

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L’allenamento si era appena concluso quando Puck entrò negli spogliatoi. Tutta la squadra era intenta a discutere della tattica di gioco che verrà utilizzata alla prossima partita, non volevano perdere anche quella. La settimana prima erano stati battuti da una squadra rivale e questo non andava a genio ai giocatori di football del McKinley .
Puck era perso tra i suoi mille pensieri: Quinn era incinta, lui era il padre e Finn di questa storia sapeva poco e niente. Passò una mano sulla cresta, sperando che i compagni sparissero in fretta. Voleva semplicemente rimanere da solo, a riflettere, seduto su quella panchina tanto familiare. L’odore di bagnoschiuma era persistente, dato che i componenti della squadra uscivano ed entravano dalle docce ad un ritmo incessante. Per fortuna nel giro di un quarto d’ora tutti erano vestiti e, salutandolo, andarono via. Fu in quel momento che, finalmente, rimosse gli indumenti e si gettò sotto lo scroscio della doccia calda. Quel getto lo faceva stare bene, insomma, dopo un duro allenamento cosa potrebbe esserci di meglio che una rilassante doccia? Poggiò entrambi i palmi delle mani alle mattonelle umide e si chinò in avanti, facendo in modo che la sua testa venisse bagnata costantemente. Chiuse le palpebre ed immaginò che le situazioni attorno a lui fossero diverse: Quinn la solita spensierata cheerleader, la squadra di football tra le più forti del campionato … tante cose belle che non potevano proprio esserci in quel momento.

Aprendo gli occhi, uscì dalla doccia, legandosi un’asciugamani in vita. Camminò fino al suo armadietto, dove ovviamente aveva riposto gli indumenti puliti. Poteva scorgere il sole, al di fuori delle finestre, di un colore rossastro, segno che stava per tramontare. Un’altra pesante giornata s’era conclusa e lui non poteva far altro che ritenersi soddisfatto di essere ancora vivo.
Dopo essersi asciugato per bene, andò ad infilare boxer e pantaloni, con lo sguardo perso nel vuoto. Insomma, i pensieri negativi prevalevano su tutto il resto. Dopo aver infilato la maglietta, sentì un paio di tocchi alla porta, poi quest’ultima si aprì. Si rivelò la figura di Kurt, alquanto imbarazzata ed insicura.
Varcò la soglia con fare delicato, riappoggiandola per non farla sbattere indietro. Il ragazzo indossava un paio di pantaloni neri un po’ attillati, una polo bianca ed una giacca blu con delle cerniere di lato per le tasche. La solita tracolla portata sulla spalla destra ed un’espressione leggermente sorpresa. I suoi occhi incrociarono quelli di Puck per qualche istante infinito. Non c’era nulla di strano sul viso di Kurt e neanche sulla giacca Letterman dell’altro, eppure si sentiva qualcosa di strano nell’aria.
Per un momento al giocatore di football parve di comprendere tutte le sofferenze che il ragazzo sopportava ogni giorno, tutte le granite in faccia, le prese in giro da parte degli altri studenti … tutte persone che non riuscivano ad accettare il suo modo di fare e di vedere. Insomma, essere omosessuali non è mai stata una malattia, lo stesso Puck lo accettava e tentava di far sentire Kurt sempre a suo agio.

Una stretta al cuore, poi, un gesto istintivo. Avvicinatosi di qualche passo, abbracciò l’amico. Una stretta fraterna, qualcosa di caldo e familiare, qualcosa che poteva seriamente farlo sentire meglio.
Kurt rimase immobile, subendo la stretta e percependo i suoi stessi occhi divenir lucidi. Non gli capita poi così spesso di sentirsi compreso ed accettato. Per quale motivo, poi, proprio lui gli stava offrendo questo abbraccio di consolazione? Forse aveva capito ciò che prova costantemente, forse aveva cominciato a comprendere.
Puck in quel  periodo era parecchio scosso da tutte le vicende che attanagliavano la sua vita, tutte quelle circostanze spaventose, il diventare padre e le responsabilità della squadra. Lui sapeva perché la gente se la prendeva con Hummel: perché era debole. Ed i deboli andavano presi per il culo, spinti contro gli armadietti, umiliati davanti a tutta la scuola, derubati dei beni anche più inutili. Perché i forti dovevano vincere sempre.

No, non accettava più questi pensieri. Da quando era entrato a far parte del Glee, aveva capito parecchie cose. Cose che non scorderà così facilmente. Le lacrime del ragazzo cominciavano a scendere giù bagnando la giacca di Noah Puckerman.
Lasciò che la tracolla cadesse sul pavimento con un tonfo sordo che rimbombò per tutto lo spogliatoio ed a sua volta si strinse al petto del compagno, poggiando la guancia bagnata all’iniziale sulla sinistra. Kurt era più basso del giocatore di football, ma questo non gli impediva di stringerlo forte a sé.
Ci furono minuti di silenzio, estenuanti, i quali torturavano la mente di Puck. Era così: tutto andava storto e l’unica cosa che poteva fare era star zitto ed ascoltare. Il suo problema era un altro: non riusciva a farsi scivolare tutto addosso. I drammi altrui per lui non erano come l’acqua che scivolava sul corpo durante una doccia, ma come una spugna in una vasca, pronta ad assorbire ogni singola goccia, diventando sempre più grande e pesante. Il peso, si, il peso di tutti quei pensieri! Sentire tutti parlare e lamentarsi andava sulle sue spalle anche se non si accollava il problema tentando di risolverlo. Anche solo il sapere che qualcuno stava male lo feriva profondamente.

Sciogliendo lentamente l’abbraccio, Kurt capì che non c’erano parole da dire. Si avvicinò all’armadietto di Finn, recuperandone una T-Shirt. L’altro era ancora sconvolto, immobile. Strinse le braccia al petto e continuò a piangere. Un ringhio furioso e poi un rumore forte e spaventoso.
Perché? Perché  tutto questo? Per quale motivo? Il suo pugno si era abbattuto contro uno degli armadietti, facendolo cadere per terra con un rumore agghiacciante. Puck ritirò il proprio pugno verso il petto e si sedette per terra, appiattendosi contro un muro.
Kurt non impiegò molto a capire che si era ferito ed infatti, non appena adocchiò la scatoletta del pronto soccorso, la afferrò e si sedette in ginocchio al suo fianco.
Prese con le sue delicate mani il suo pugno ferito e lo osservò con cura. Era un taglio netto, nulla di così grave. Grave era la ferita che si portava dentro da troppo tempo.
Prendendo del disinfettante, pulì il graffio ed in seguito vi applicò una fascia, srotolandola attorno alla mano. Quando si sentì soddisfatto del proprio lavoro, applicò un cerotto di fissaggio e poggiò il braccio lentamente sul pavimento.

Lo sguardo di Puck era perso nel nulla, si stava riprendendo lentamente. Forse quella sfuriata gli aveva fatto bene, forse no. Kurt si avvicinò al suo volto e con dolcezza gli stampò un bacio sulla guancia. Per fortuna il ragazzo non la prese male, anzi, gli sorrise debolmente, aggrappandosi a lui per alzarsi in piedi. Si guardarono negli occhi, cercando almeno una parola da dire, ma nulla. Non c’era davvero nulla. Era proprio vero che i gesti erano migliori delle parole, dimostravano in modo diretto ciò che parlando forse non si riusciva ad esprimere.
Hummel gli sorrise sincero e, dopo un ultimo sguardo, si abbassò a recuperare la tracolla. Abbandonò il posto lentamente, senza dire una parola.
Sul volto di Puckerman rimase lo stesso debole sorriso per tutta la serata. 

  
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