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Autore: cranberry sauce    21/06/2012    4 recensioni
John/Paul.
Era un pomeriggio fosco e nuvoloso, durante il quale scrosci di pioggia cadevano incessantemente senza curarsi del sole che, timido, tentava invano di riscaldare quel pezzetto di mondo; e, fino a qui, niente di speciale. Ciò che rendeva veramente diverso quel pomeriggio era il fatto che fosse il giorno di San Valentino.
Per questo motivo Paul non sapeva spiegarsi chi potesse aver partorito la brillante idea di turbare la pace di un povero lupo solitario invece di starsene a casa sua con la propria dolce metà ad ascoltare canzoni lacrimose e ricordare i bei tempi andati. E la persona che si trovò davanti una volta aperta la porta era anche l'ultima che si sarebbe aspettato di vedere.
"John? Perchè... come... cosa accidenti ci fai qui?"
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Do you wanna be my Valentine?
 
Pairing:John/Paul
Nota: Non ho la minima idea del perché io abbia scritto questa fanfiction all’alba del 21 giugno, quando parla invece di San Valentino che è in tutt’altra data e che, tra parentesi, mi sembra una festa parecchio demente. Possibili ipotesi sui motivi della sua stesura saranno presentate nella prossima puntata di Mistero.
Nota 2: Io ci tengo a scrivere le cose in modo che siano dal punto di vista temporale/contestuale corrette, però a volte proprio non ci riesco. Sappiate, in linea generale, che John abita già a Kenwood, Julian è già nato, Paul abita già a St John’s Wood ma Jane non è in casa. E quel giorno lì non erano assolutamente ad Abbey Road per terminare le registrazioni delle nuove canzoni da inserire in Yellow Submarine, nono.
Disclaimer: Con le lacrime agli occhi e la morte nel cuore ammetto di non possedere né John né Paul, di non guadagnarci niente a scrivere questa ff (salvo forse un mal di testa) e di sapere benissimo che tutto ciò da me narrato è un enorme, ingombrante, mastodontico ammasso di bugie.

 


Paul era tranquillamente seduto in soggiorno a leggere il giornale quando il trillo del campanello lo distolse dall'articolo e dai suoi pensieri. Seccato, abbandonò la comodità della poltrona per dirigersi a grandi passi verso la porta d'ingresso.
Era un pomeriggio fosco e nuvoloso, durante il quale scrosci di pioggia cadevano incessantemente senza curarsi del sole che, timido, tentava invano di riscaldare quel pezzetto di mondo; e, fino a qui, niente di speciale. Ciò che rendeva veramente diverso quel pomeriggio era il fatto che fosse il giorno di San Valentino.
Per questo motivo Paul non sapeva spiegarsi chi potesse aver partorito la brillante idea di turbare la pace di un povero lupo solitario invece di starsene a casa sua con la propria dolce metà ad ascoltare canzoni lacrimose e ricordare i bei tempi andati. E la persona che si trovò davanti una volta aperta la porta era anche l'ultima che si sarebbe aspettato di vedere.
"John? Perchè... come... cosa accidenti ci fai qui?"
John era ridotto in condizioni davvero pessime. Era fradicio, completamente fradicio e gli occhiali appannati gli facevano sembrare tutto tanto sfocato quanto chiaramente avrebbero dovuto invece fargli vedere. Portò in fretta una mano al volto, togliendoseli, per poi farli sparire in una delle misteriose pieghe del suo cappotto, e con altrettanta velocità estrasse da un altro di questi scompartimenti segreti un'enorme scatola rossa a forma di cuore.
"Ti ho portato dei cioccolatini!", disse sorridendo e porgendo la scatola a Paul. Questi si limitò a spostare lo sguardo dall'improbabile oggetto al volto raggiante dell'amico, domandandosi per l'ennesima volta da quel fatidico sei luglio del cinquantasette se avesse o meno tutte le rotelle al proprio posto.
Vedendo che non sembrava dare alcun segno di voler accettare il suo dono, John si affrettò a spiegare. 
"Oh, ma no, Paul! No, non è come pensi tu!", disse ridendo.
"E com'è la penso?" Paul non era dell'umore adatto per cogliere l’ilarità della situazione.
"Vedi, me li ha regalati Cyn, ma sono troppi per mangiarli da solo. Volevo offrirtene qualcuno, tutto qua."
"Fammi capire... hai fatto tutta la strada da Kenwood fino a casa mia - sotto la pioggia, in un giorno libero che avresti potuto passare con la tua famiglia - per farmi assaggiare i cioccolatini che tua moglie ti ha comprato per San Valentino?"
"Vedo che hai compreso appieno la situazione, già."
Paul non aveva più dubbi. John era davvero uno squilibrato.
“Eddai Paul, si gela, fammi entrare!”, continuò.
In quanto squilibrato andava contraddetto il meno possibile, quindi Paul decise, seppur a malincuore, di accogliere le sue richieste; a dispetto dei litri d’acqua e chili di fango che si sarebbe poi ritrovato sparsi per tutto l’ingresso, si scostò dall’uscio e spalancò un po’ di più la porta, fulminando l’altro mentre si avvicinava senza alcuna esitazione, come se tutto stesse andando come aveva previsto in uno dei suoi assurdi e controversi piani.
Appena entrato, John si diresse immediatamente verso il soggiorno. Lì levò il cappotto e lo buttò su una poltrona, la stessa sulla quale si buttò a sua volta, sprofondando tra i morbidi cuscini. Si tolse le scarpe e allungò i piedi per scaldarli davanti al fuoco che scoppiettava allegramente nel caminetto. Paul inarcò un sopracciglio e afferrò il cappotto per riporlo in un luogo più consono, leggasi ‘attaccapanni’, e uscì dalla stanza borbottando. Va bene, aveva sempre saputo che John era un po’ tocco, però qui si stava esagerando e il suo comportamento era strano anche per i suoi standard. Perso in queste elucubrazioni non si accorse che il protagonista delle stesse si era avvicinato a lui di soppiatto e, non appena si voltò, John lo strinse forte a sé. I secondi passavano, ma questi non dava segno di voler mollare la presa. Paul tentò di staccarsi quel poco da potergli permettere di parlare guardandolo negli occhi, ma l’impresa si rivelò quanto mai ardua e dopo un ultimo, debole tentativo si arrese definitivamente. “Cosa c’è ce non va?”, sussurrò. John per un po’ sembrò non voler rispondere.
“Mi sei mancato, Paul. Mi manchi, sempre. Cos’è cambiato?”
Le sue parole aleggiarono nella stanza come un fantasma infelice e poi sbiadirono lentamente, tremule, lontane, per poi svanire a lasciare spazio ad un silenzio doloroso.
Paul non sapeva cos’era cambiato o quando era successo o perché, ma questa sensazione di disagio permeava già da un po’ e l’aveva tenuto sveglio per più di una notte, steso nel suo letto a far finta di dormire mentre il respiro lento e regolare di Jane scandiva i secondi, i minuti, le ore che lo separavano dall’alba, da un’altra giornata passata a chiedersi dove aveva sbagliato. Forse erano solo cresciuti, pensò.
Forse erano stati degli sciocchi a sperare che sarebbe durato per sempre.
Forse non ci avevano sperato abbastanza.
Forse non era colpa loro, ma del tempo che passa e delle persone che cambiano.
Forse era una cosa normalissima; forse capita a tutti.
Forse erano solo cresciuti, si disse, ma non era un pensiero confortante, un pensiero felice.
E Paul non era più sicuro di sapere chi dei due, in quel momento, si stesse disperatamente aggrappando all’altro alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa in grado di tenerli ancora insieme.
Rimasero così, abbracciati stretti tra l’attaccapanni e la porta del soggiorno, senza dire niente, senza dare importanza a tutto il resto fino a che John non mormorò: “Vuoi ballare?”.
Paul si sciolse dall’abbraccio e lo guardò stupito. “No, non voglio ballare.”
“Sono anni che non balliamo”, proseguì l’altro, un sorriso beffardo che gli si allargava sul viso.
“E ci sarà un motivo”, ribattè, pur sapendo fin troppo bene di non poter niente contro la testardaggine di John. Tentò di protestare per un’ultima volta, ma non aveva ancora finito di lamentarsi per la mancanza di un accompagnamento musicale che si ritrovò a incespicare per tutto il salotto tra le risa e i commenti divertiti di John. Paul si fece presto contagiare e continuarono a volteggiare pericolosamente vicino ad ogni genere di soprammobile, rischiando più di una volta di abbattere una cornice riccamente decorata dalla quale facevano capolino i sorrisi beati di una Jane vestita d’azzurro e un Paul spettinato dal vento.
L’irreparabile accadde nel momento in cui il piede di John s’infilò sotto il tappeto e, bloccato tra una gamba del tavolino e il divano, fece eseguire ad entrambi una caduta coreografica che si concluse con un atterraggio mal riuscito sulla poltrona. Scossi dalle risate, ci misero un po’ a districarsi da quello scomposto intrico di gambe e braccia. Solo una volta che tutti gli arti furono recuperati e messi al loro posto si resero conto di aver fatto cadere il vaso di fiori, che ora si trovava sul pavimento sotto forma di schegge e petali sparsi, e una pozza d’acqua che si allargava sinistra a tingere di scuro il tappeto.
“Guarda che casino abbiamo fatto! Vado a prendere uno straccio.”, e così dicendo Paul fece leva su un bracciolo della poltrona per alzarsi, ma le mani di John lo afferrarono, lo strinsero - come la prima volta, come sempre - e lo trattennero dov’era. “No, non voglio.”
“John, lo sai che è una cosa stupida da dire. Lasciami andare, se quel tappeto si rovina Jane mi uccide.”
“No, non voglio.”
“Che Jane mi ammazzi? O che il tappeto si rovini?”
“Non voglio che te ne vada. Sì, beh, non voglio nemmeno che Jane ti uccida, ma del tappeto non me ne può fregare di meno.”
Paul sbuffò, ma non lottò per liberarsi. Abbandonò la testa sulla spalla di John e ascoltò per qualche minuto il rumore del temporale che imperversava fuori dalla finestra e dei tizzoni che litigavano col fuoco nel caminetto. “Mi lasci andare, ora?”
“No.”
“Per favore?”
“No. Vuoi essere il mio Valentino, Paulie?”, chiese John cambiando argomento.
“Valentino è un nome orribile, lo sai?”
“Lo so, ma non conta. Vuoi esserlo, allora?”
Paul si morse un labbro. “Non lo so, John. Cosa implica?”
“Devi ospitarmi fino a domani mattina e amarmi incondizionatamente per il resto della tua vita”, rispose l’altro solenne.
“Ma… fino a domani mattina sono tantissime ore!”, disse Paul fingendo stupore. “E cos’hai pensato di fare, Lennon, per passare il tempo?”
John sorrise vago. “Non lo so... abbiamo una scatola di cioccolatini a cui dare fondo, però”
“Li hai comprati davvero per me, allora?” Per la prima volta dopo secoli, John si sentì arrossire e riuscì solo a balbettare quella che doveva essere una risposta affermativa. Paul approfittò dell’occasione per sfuggire alla sua presa e, dopo avergli strappato un bacio, scivolò in cucina a recuperare uno straccio.
John lo guardò sparire oltre l’ingresso; si sistemò meglio sulla poltrona, prese la scatola che aveva poggiato poco prima sul tavolo e, dopo averla aperta, scelse un cioccolatino, soddisfatto che un altro dei suoi assurdi e controversi piani fosse andato a buon fine.
Forse erano solo cresciuti.
Forse era una cosa normalissima; forse capita a tutti.
Forse non erano cambiati per niente.
Paul rientrò con lo straccio e glielo lanciò addosso, intimandogli di dargli una mano perché il casino l’aveva combinato lui.
No, pensò John mentre si chinava a strofinare il tappeto sotto lo sguardo severo dell’altro, non erano cambiati per niente.

   
 
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