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Autore: CLOSED    21/06/2012    7 recensioni
Entrò piano nella chiesa, il fucile abbandonato al di fuori di essa.
I suoi anfibi neri facevano rimbombare un suono ritmico e sinistro all’interno delle navate dell’edificio quasi completamente vuoto, ad esclusione di un prete che armeggiava con le ostie e l’acqua Santa.
Si sentiva sporco, dannatamente sporco nel profanare con la sua esistenza impura quel luogo sacro, ma voleva, doveva fermarsi un attimo e riabbassarsi al livello di tutti.
*Rating arancione per la tematica pesante*
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Germania/Ludwig
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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bbibi

Salve a tutti gente, dopo tanto tempo torno alla carica con una fan fiction a cui mi sono molto dedicata…scusate se per molto tempo non ho pubblicato nulla, ma l’ispirazione mancava totalmente…

Buona lettura!

 

Il Nazista che pregava Dio

 

Entrò piano nella chiesa, il fucile abbandonato al di fuori di essa.

I suoi anfibi neri facevano rimbombare un suono ritmico e sinistro all’interno delle navate dell’edificio quasi completamente vuoto, ad esclusione di un prete che armeggiava con le ostie e l’acqua Santa.

Si sentiva sporco, dannatamente sporco nel profanare con la sua esistenza impura quel luogo sacro, ma voleva, doveva fermarsi un attimo e riabbassarsi al livello di tutti.

Un livello indicibilmente valicato da persone egocentriche che non vogliono altro se non la guerra e il sangue.

Spostò i suoi occhi di ghiaccio su una suoretta  piuttosto minuta chinata sul primo banco e le si affiancò, inginocchiandosi a terra.

«Mi scusi, sorella. Saprebbe dirmi come si fa a pregare?»

La donna, che scoprì essere molto giovane non appena si volto verso di lui, lo guardo per un momento, gli occhi sapienti e silenziosi di chi a visto tanto ma che conserva ancora la bontà d’animo.

Era pronto ad accogliere uno sguardo di scherno e disgusto, conseguenza delle vista della sua divisa e di quel dannato ciondolo che doveva obbligatoriamente portare al collo.

Invece, dalla suora ricevette un sorriso, un’espressione dolce e una lieve stretta di mano, gesti a cui non era più abituato, gesti sostituiti dalle dure espressioni dei cadetti e dei soldati e da quell’unica frase, ripetuta fino allo sfinimento.

Ja, Sir.

Fino alla fine, qualsiasi ordine gli venisse impartito.

Quelle due semplici parole erano le uniche che doveva pronunciare.

Sì, signore. Mai una negazione. Pena la morte.

«Parla al Signore, figliolo. Lui ti ascolterà sempre, ovunque tu sia, qualsiasi cosa tu sia. Parlagli, e raccontarli tutto. Chiedigli aiuto, lui te lo darà. Prega a modo tuo, ragazzo, perché nessuno può sapere cosa l’altro vuole chiedere in grazia.»

Rimase interdetto per una manciata di secondi, finché non capì cosa quella donna volesse davvero dirgli.

Non gli avevano mai insegnato le preghiere, a malapena conosceva il Vater Unser, lui non ne avrebbe mai avuto bisogno, secondo i suoi insegnanti.

Quella donna però gliel’aveva fatto capire chiaro e tondo, ognuno poteva pregare, anche semplicemente parlando, sia che fosse un uomo senza colpa che un nazista, sia che fosse stesso a letto che accampato in una tenda lercia e malamente montata.

Così ricambio quel sorriso e quello sguardo benevolo, si girò verso l’enorme crocifisso che si stagliava sopra l’altare e congiungendo le mani chiuse gli occhi.

E per la prima volta nella vita, non disse solo quello che doveva dire.

Ma tutto quello che voleva.

 

Signore Dio, ti dico subito che io non so pregare bene come credo che faccia la donna qui al mio fianco. Non mi hanno mai istruito al culto della religione, ma ho sempre pensato che tu ci fossi, in qualsiasi istante.

Da troppo tempo ormai sono abituato a dire solamente “Ja, Sir”, per la codarda paura di essere fustigato, ma ogni volta che vedo quegli ebrei, quelli che io sono costretto a portare nel campo di sterminio, che nonostante tutto non smettono di credere, di sperare, di pregare, mi sento indegno della vita che mi hai donato.

Pregano in silenzio, rannicchiati in angoli bui dei dormitori, e appena entrò si voltano di scatto fissandomi terrorizzati, come se sapessero che devo far loro del male.

Mai io non voglio, Signore, non ho mai voluto, se fosse per me starei ancora giocando nel giardino di casa mia con il mio cuginetto di tre anni, ho solo subito le conseguenze di una guerra senza senso contro un popolo innocente.

Ho paura, Signore, ho paura.

Ogni volta che varco la soglia aggrovigliata dal filo spinato e vedo uomini, donne e bambini nudi che si fanno da parte appallottolandosi a terra mentre mi fissano ad occhi sbarrati mi assale il panico e mi terrorizzo.

Mi sento un mostro, una creatura schifosa e maledetta che deve solo ripetere “Ja, Sir”, e nient’altro.

L’altro ieri ho rivisto una ragazza, anzi la ragazza.

Quella ragazza forte e sicura che ho amato per un sacco di tempo, con la quale ho vissuto e con la quale ho condiviso i momenti più belli della mia esistenza., quella ragazza che un tempo si chiamava Nadja e non 375642*.

Quella ragazza che un tempo aveva lunghi capelli castani, e grandi occhi vivaci, e che ora è calva e ha gli occhi spenti e spauriti di qualcuno che preferirebbe morire piuttosto che continuare a vivere in un simile inferno.

Quella ragazza che un tempo era formosa e solare, e che ora è scarna e immobile, a fissarmi sul ciglio della strada con occhi pieni di lacrime.

Finita l’escursione giornaliera siamo tornati all’accampamento. Con la scusa di andare in bagno mi sono rifugiato in una baracca abbandonata appartata dagli innumerevoli soldati e ho pianto, così tanto che credevo di aver esaurito le lacrime.

Ma purtroppo mi sbagliavo, e l’ho scoperto solo quando ieri ho dovuto portare il suo cadavere al forno crematorio.

Ho approfittato del trambusto che c’era quel giorno, sono corso alla prima casa che ho trovato in quel posto orrendo, mi ci sono rifugiato dietro in modo da non essere visto e ho lasciato che la disperazione prendesse forma e diventasse acqua salata.

 Quando ho riaperto gli occhi c’era un bambino che avrà avuto si e no quattro anni.

All’inizio ho creduto  che fosse un comunissimo, povero bambino curioso che rimaneva senza genitori ma non lo sapeva.

Ma quando l’ho guardato bene e ho visto quegli occhi azzurri e quei capelli castani che ho accarezzato innumerevoli volte non ho capito più nulla e sono svenuto come un sacco di patate.

O Dio, ho già visto morire la mia donna, non ho intenzione di veder morire anche mio figlio.

Fai finire questa guerra, fai cessare l’odio e la disperazione, ma soprattutto perdona tutti i soldati giovani come me, perché anche loro alla sera piangono, e stringono al petto foto di persone che non vedranno mai più.

Ferma questo caos prima che io mi spezzi, perché è vero, posso sembrare duro, ma i miei occhi sono stanchi di vedere cadaveri, sangue, e soprusi, le mie mani sono stanche di impugnare i fucili, le mie orecchie sono stanche di sentire urla, rantoli e singhiozzi.

Cessa tutto questo, per favore, prima che anche tutti quei bambini, insieme a mio figlio, tutte quelle creature innocenti paghino la conseguenza di una colpa inesistente.

Perdona tutte le morti che sono costretto a compiere, tutte le punizioni che devo infliggere, perché io prima di essere un tedesco nazista sono un uomo, con delle emozioni, e odio vedere cadere le persone per mano mia.

Te lo chiedo per favore, lo so bene di non essere degno di essere ascoltato, ma se mai avrai voglia di curarti di un mostro come me te ne sarò infinitamente riconoscente.

Che la tua luce mi guidi sempre.

Amen.

 

Riaprì gli occhi, scoprendoli offuscati da un velo umido che aveva imparato ad odiare e vide la suora al suo fianco fissarlo preoccupata e triste.

Si alzò, facendo per andarsene, e asciugò in fretta le guancie bagnate per mostrarsi forte, ma venne fermato da un paio di braccia che gli circondarono le spalle.

Sentì la testa della donna posarsi fra le sue scapole, e la presa di quelle piccole mani farsi più salda contro la sua divisa.

«Non so cosa tu abbia detto, e non posso nemmeno lontanamente immaginare tutto ciò che devi subire. Ma ti dirò una cosa. Non smettere mai di credere, anche quando pensi che sia tutto finito. E non perdere mai la capacità di piangere e di ridere, perché non sei un robot e hai bisogno di emozioni. Ora va, prima che i tuoi superiori ti vengano a cercare, e ricorda: prega ovunque vuoi, qualsiasi cosa tu sia, perché davanti agli occhi del Signore nessuno è diverso dagli altri.»

Rimase immobile a riflettere, finché non si decise a compiere una cosa di cui credeva non essere più capace.

Strinse le mani della suora ancora salde sul suo stomaco fra le sue, e mormorò una parola troppo corta e breve per esprimere tutta la gratitudine che provava.

«Grazie, sorella.»

 

*Nei campi di concentramento, gli ebrei venivano marchiati con dei numeri. In seguito, se dovevano essere identificati, non veniva chiamato il loro nome, ma solo il numero con cui erano stati segnati.

   
 
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