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Autore: PussyCatDestiel    22/06/2012    5 recensioni
Dean ha investito un bimbo con la macchina e finisce in prigione. Uno sconosciuto gli paga la cauzione solo perchè suo fratello gli ha promesso qualcosa ... Ma cosa? E perchè ogni giorno che passa suo fratello e sempre più in pericolo? Quando torna a casa, John dice a Dean che non vuole assassini in casa, allora Dean si trasferisce da Castiel, ragazzo conosciuto poco prima ... Tra i due nanscerà qualcosa di semplice e intenso.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Non volevo farlo. Ma ormai non c’è più nulla da fare, il bimbo è morto per colpa mia.
Non l’ho visto attraversare la strada e l’ho investito … Ma non volevo assolutamente farlo. I poliziotti, le rare volte che mi rivolgono la parola, non fanno altro che ripetermi che starò in prigione ancora per qualche anno, ma a me non importa della prigione, a me importa solo che ho distrutto la vita di quel povero bimbo.
“Ehi, Dean …” Mio fratello Sam è entrato nella stanza, scortato da una guardia.
“Ciao, Sammy.” Dico, solo per rassicurarlo che almeno non ho ancora perso l’uso della parola.
“Non piangere, il bimbo non tornerà indietro …” Non mi rassicura per niente, la sua frase.
“Cosa c’è, Sam?” Chiedo, sicuro che Sam sia venuto da me solo perché è successo qualcosa.
“Abbiamo trovato un uomo disposto a pagarti la cauzione, così potrai uscire.”
“E perché lo farebbe? Comunque io non voglio uscire.”
“Dean, non puoi fare nulla per il bambino, nulla, ma tu puoi reagire.”
“Chi è quest’uomo?”
“Un certo signor Crowley, un uomo gentile.”
“Cosa vuole in cambio?”
“Nulla.” Risponde Sam, inconsapevole che io riuscissi a capire quando mentiva. Annuisco, voglio improvvisamente uscire da quella cella e vivere la mai vita.
“Ok, adesso noi parliamo con i poliziotti e tra poco esci da qui.” Sam se ne va, lasciandomi da solo. Mi asciugo le lacrime, non voglio far credere al signor Crowley di essere un moccioso. Mi passo una mano tra i capelli e mi siedo sulla mia brandina, ad aspettare. Poco dopo mio fratello entra seguito da un poliziotto e da un uomo vestito di nero dall’aria molto inaffidabile.
“Sei libero, ringrazia il signor Crowley.” Dice il poliziotto, aprendo la porta della cella lurida. Esco velocemente e stringo la mano al mio salvatore, abbozzando un sorriso.
“La ringrazio, signor Crowley. Mi ha aiutato molto.”
“Di niente, io aiuto sempre chi è in difficoltà.” Quell’uomo non mi convince per niente. E quando dico niente è niente. Ma non lo dimostro, tengo un lieve sorriso in faccia per tutto il tempo che sto in compagnia del signor Crowley e di mio fratello.
Dopo una quindicina di minuti, io e mio fratello usciamo dal distretto e ci incamminiamo verso casa di papà. Ogni volta che Sam veniva a farmi visita in prigione, raccontava di come papà fosse deluso, quindi non ho molta voglia di incontrarlo, perciò dico a Sam di andare avanti, che io sarei stato un po’ fuori.
Vado dritto al parco e mi siedo su una panchina e ripenso alla disperazione della madre del bimbo che ho ucciso, dopo aver visto il cadavere del figlio. Le lacrime ricominciano a scendermi sulle guance.
“Tieni.” Una mano mi porge un fazzoletto, che io accetto e uso per asciugarmi le lacrime. Mi trovo davanti un uomo sconosciuto con un trench addosso, che mi sorride cautamente.
“Grazie …” Mi fermo, non so il nome dell’uomo.
“Castiel.” Risponde prontamente, riprendendosi il fazzoletto.
“Dean.” Mi presento, anche se probabilmente lui sa già chi sono, dopotutto sono finito nel giornale cittadino solo una settimana fa. Sorride e mette in mostra i suoi denti bianchissimi.
“Che ore sono?” Chiedo, per sciogliere il ghiaccio.
“Le dieci di sera.” Dice, dopo aver dato un’occhiata veloce al suo orologio. Guardo meglio quell’uomo e noto che deve avere pochi anni più di me, massimo trenta e io ne ho ventisei. Ha una faccia affidabile e gentile e mi pare di conoscerlo da sempre anche se non l’ho mai visto in tutta la mia vita. Mi alzo dalla panchina e gli chiedo se vuole fare una passeggiata, lui accetta. Camminiamo lungo una spiaggia vuota e desolata per un po’, poi finalmente si decide a dire qualcosa.
“Mi piace camminare per le spiagge vuote, anche se a qualcuno può sembrare deprimente. C’è una bell’arietta fresca ed è divertente sentire la sabbia infilarsi nelle tue scarpe.” Di certo non mi sarei mai aspettato una frase del genere, Castiel è molto gentile, non vuole farmi domande sul bambino ucciso.
“A me non piace molto, di solito le sere le passo nei bar a bere.” Dico, vergognandomi delle mie abitudini.
“Vuoi parlarne?” Dice ad un tratto, sedendosi sulla sabbia. So a cosa si riferisce.
“Onestamente sono abituato a tenermi tutto dentro, ma forse potrei fare un’eccezione.” Sorrido debolmente, dopodiché gli racconto tutta la faccenda dal mio punto di vista.
“Sì, immaginavo fosse andata così. Non posso dirti niente per rincuorarti.” Almeno non era ipocrita.
“Almeno non sei ipocrita.”
“Già … Sai, mia madre è morta per l’alcol. Aveva investito una ragazza e non se ne dava pace.” Non dico nulla, non sono neanche io un ipocrita.
“Mio padre non l’ho mai visto. Lui è stata una delusione per me.” Continua. Non riesco a capire perché mi stia confidando quelle cose, ma con lui mi trovo bene.
“Mio padre passa tutto il tempo a lavorare in officina con Bobby Singer. Non mi ha mai portato ad una partita di baseball. Quando me lo chiede do una mano in officina, ma sono principalmente disoccupato.” Spiego, giusto per dire qualcosa. Castiel annuisce.
“Io scrivo storie di Angeli.” Mi confida, però dice che non le ha mai viste nessuno e che non le pubblicherà mai. Non ho mai avuto un vero amico … Comincio a capire cosa significhi.
“Ma se vuoi a te le posso mostrare.” Mi dice, sorridendo. Dico che certamente mi farebbe piacere leggere alcuni pezzi delle sue storie, ma non tutte perché non sono un lettore accanito.
“Mi sai dire qualcosa del signor Crowley?” Gli domando, dopo un po’.
“Sì, mi sembra un demone. Ha sempre da ridire su tutto e frequenta una di nome Lilith.”
“Lilith è un nome femminile, ma anche il nome di un demone.” Osservo.
“Già, sembra una gran bella coincidenza.” Commenta. Lo guardo negli occhi, ha dei bellissimi occhi blu che farebbero invidia a chiunque.
“Begli occhi.” Butto là, con disinvoltura.
“Me lo dicono in molti.” Bofonchia. Gli chiedo il numero e lui me lo scrive sulla mano, dicendo che se ho problemi posso sempre chiamarlo, che lui ci sarà sempre. Dovrò indagare su questo Castiel, è troppo simpatico per essere un abitante di Lawrence.
“Io vado.” Dico ad un tratto, gettando un occhio sull’orologio di Castiel che segna le undici.
“Va bene … Chiamami se vuoi.” Annuisco, mi alzo e me ne vado verso casa mia.
 
                                                                                                                                                               
 
Non sono mai stato un tipo pauroso, ma a volte mio padre mi fa veramente paura. Quando si arrabbia sembra quasi assatanato e io la maggior parte delle volte tengo gli occhi bassi e non parlo, perciò quando entro in casa la tensione comincia ad assalirmi.
“Mi devi parlare?” Chiedo a mio padre, dopo essermi seduto su una sedia in cucina. Lui sta lavando i piatti, cosa che fa raramente, di solito lo fa Sam.
“Figliolo … Lo sai che ti voglio bene e so anche che di certo non volevi investire quel povero bimbo … Ma devi capire che sono ancora un po’ scosso da questa faccenda. Io … Non ti chiedo di andartene per sempre, ma per almeno un mese non ti voglio in questa casa.”
Coltellate. Quelle parole mi colpiscono come dei coltelli in tutto il corpo.
Non è arrabbiato, è deluso, il che fa ancora più male. Lo guardo negli occhi, poi abbasso lo sguardo.
“Non c’è niente che possa fare?” Chiedo, anche se conosco già la risposta.
“Niente.” Mi dice mio padre, indicando la porta. Prima di uscire di casa acchiappo il cellulare, poi esco e chiudo la porta alle mie spalle, sbattendola. Mi sembra un addio, quello, non un arrivederci. Alzo lo sguardo verso la finestra di camera mia e noto Sam che mi guarda, tristemente.
Scorro la rubrica del mio cellulare, devo trovare qualcuno che mi ospiti a dormire a casa sua. Escludo subito la mia amica Jo, ospita già suo cugino Ash, che va da lei solo una volta all’anno, non voglio disturbarli. La mia ex ragazza non mi può più soffrire, andare dalla fidanzata di Sam mi pare sbagliato e non ho nessuna voglia di andare da Bobby, che di certo dirà a mio padre che fa schifo e che mi deve trattare meglio, e non voglio sembrare una principessa. Mi prendo il viso tra le mani e d’un tratto vedo un numero segnato sulla mano sinistra. Mi ricordo di Castiel e decido che tentar non costa nulla. Rispose dopo quattro squilli.
“Pronto?” Chiede, con voce assonnata.
“Castiel, sono Dean … Mio padre mi ha sbattuto fuori di casa.” La voce mi si spezza.  

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