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Autore: Noth    22/06/2012    11 recensioni
Ero un mostro.
Mi avevano portato ad odiarmi.
Ero un qualcosa di sbagliato.
In un certo senso volevo restarlo, ma le mie proteste non furono accolte e mi mandarono nella clinica di St. Louis, specializzata nella cura dell’omosessualità.
Avrebbero dovuto guarirmi, ma le cose non andarono come sperato. Affatto, perché lì conobbi Kurt.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nobody Said It Was Easy
-Capitolo 13-










Era passata una settimana e, incredibilmente, ero stato affidato come tutor a Kurt. Forse spiccavo sul serio, forse il nostro
piano non era stato così tanto un’utopia. Gli educatori mi guardavano come fossi un prodigio, forse fingevo meglio di quando
chiunque altro avesse tentato prima di me. Le punizioni si ripetevano e ne arrivavano sempre di nuove. Il Dottor Marble,
grazie a Dio, non era più tornato, anche se questo non aveva placato i miei incubi ed i conati di vomito al pensiero. Mi sentivo
ancora bruciare e, nei miei sogni, l’avvenimento si ripeteva ad oltranza. Però potevo passare del tempo con Kurt, leggere a lui il mio diario – che veniva rigorosamente controllato – dirgli le solite frasi forti sulla nostra erroneità alla quale nessuno dei due credeva, ma che mi si spezzava il cuore a pronunciare perché mi sentivo uno di loro. E io non lo ero.

Fingevo per Kurt, fingevo per Kurt, fingevo…

Qualcuno bussò alla porta della mia stanza. Aggrottai le sopracciglia; nessuno bussava lì, non lo avevano mai fatto. Non sapevo
se fosse uno scherzo, ma risposi in automatico.

« S-sì, avanti. » balbettai, e la maniglia si abbassò all’istante facendo entrare quello che ormai consideravo l’educatore capo.

Mi trattenni dal trasalire e sperai di non tremare come ancora tendevo a fare come riflesso condizionato. In quel momento
potevo ancora sentire il caldo soffocante della stanza in cui ci aveva chiuso, e le scosse e le percosse dei suoi colleghi.

Ma non potevo darlo a vedere.

« Buongiorno, signor Anderson. » esordì, avvicinandosi.

« Buongiorno. » risposi, e lui sorrise, un sorriso da denti marci da zucchero. Inquietante, triste, cupo, non allegro.

« Ho fatto qualc… » iniziai, imponendomi di non tremare ed apparire calmo e sano, ma lui mi interruppe.

« Blaine Anderson, » cominciò. « il paziente modello dell’ultima settimana. Il paziente che guarisce. » sorrise di nuovo, e mi
costrinsi a non distogliere lo sguardo.

« Quindi non era mai guarito nessuno prima? » domandai, intrecciando le mani sopra le gambe e restando seduto sul letto
immacolato. Kurt aveva avuto ragione, in un certo senso si faceva l’abitudine al bianco. A tutto quel candore immacolato
ovunque.

« Ma certo che sì, certo che sì. » si affrettò a dire, ridendo, e scacciò il pensiero con un gesto della mano. « E’ tutta questione di
volontà, Signor Anderson. » spiegò.

« Oh, certo. » lo assecondai, annuendo.

Rimanemmo di nuovo in silenzio, e poi fu lui a parlare.

« Avrei un altro compito per te. Sono sicuro che un impegno in più non ti farà differenza e, in effetti, non è esattamente una
richiesta ma un ordine. »

« Un compito per… me? »

Lui rise ancora, un suono fastidioso.

« Ovviamente. »

Forzai della gentilezza, nonostante volessi saltargli addosso e ricoprirlo di pugni ed insulti.

« Cosa posso… fare per lei? » chiesi, e lui inarcò le sopracciglia.

« I miglioramenti del signor Hummel sono evidenti, deve avere una sorta di effetto balsamico sulle persone... sovversive. »

Abbozzai un sorriso.

« Mi è sempre piaciuto aiutare il prossimo. » feci spallucce e lui mi diede una misurata pacca sulla spalla. Mi trattenni dallo
scattare e mordergli la mano.

« E lo sta facendo piuttosto bene, per questo mi rivolgo a lei. È il primo internato al quale propongo una cosa del genere. » mi
ammonì, come se fossi un bambino. Io annuii accondiscendente ed aspettai che mi spiegasse.

Sorrise di nuovo, e avrei voluto pregarlo di smettere.

Mi resi conto di quante cose avrei voluto fare ma non facevo.

« Ehi, Signor Puckerman? » chiamò, voltandosi verso la porta. Alzai un sopracciglio quando questa si spalancò e un ragazzo con
le mani legate ed un bavaglio in bocca venne quasi spintonato dentro da qualcuno che non vedevo. « Bravo ragazzo. » disse
l’educatore, e applaudì malamente. Spostai il mio sguardo dal ragazzo all’uomo vicino a me, senza ben capire.

Il giovane era alto e muscoloso, avrebbe potuto tirargli un pugno in faccia e spaccargli la mascella se avesse voluto. I capelli
erano quasi rasati ai lati e teneva una cresta corta al centro della testa. Aveva occhi scuri e fiammeggiavano d’ira. Sicuramente,
se non fosse stato legato, avrebbe preso la testa dell’educatore e l’avrebbe schiantata sul muro. E lo capivo.

Forse, l’avrei perfino lasciato fare.

L’uomo accanto a me si alzò e prese il ragazzo per le mani legate.

« Signor Anderson, questo è Noah Puckerman, ed è un paziente particolarmente… vivace. Le nostre… terapie stanno avendo,
lentamente, il loro effetto, ma siamo convinti che un sano confronto con lei potrebbe aiutarlo. Soprattutto visto che è stata la
madre e richiedere un tutoraggio speciale in caso di comportamenti errati. » spiegò l’educatore, e gli alzò le braccia come se
fosse stato uno schiavo in vendita. Mi girò la testa.

Solo allora riuscii a vedere tutti i lividi dai quali era percorso, i tagli e la pelle arrossata. Cosa avevano fatto a quel povero
ragazzo? Che aveva detto per meritare quel trattamento? Ringraziai silenziosamente per il solo fatto che Kurt non fosse stato
trattato in quel modo. Forse c’era di peggio, o forse Noah era appena arrivato.

« Quindi io dovrei… »

« Lo stesso che fai con Kurt. Un semplice dialogo con qualcuno sulla via della redenzione potrebbe aiutare, non credi anche tu?
» disse, mentre Puckerman mugugnava qualcosa attraverso il fazzoletto che gli bloccava l’uso della bocca.

« Assolutamente. » risposi, e l’educatore si allontanò, mollando cautamente Noah e facendogli segno di sedersi sul letto accanto
a me mentre abbassava la maniglia e mi sorrideva fiducioso e con quel retrogusto amaro che mi faceva schifo.

« Mezz’oretta per oggi sarà sufficiente, poi sarà ora della terapia di gruppo con me, quindi vedremo i progressi. » specificò
prima di guardare Puckerman. « Perché ce ne saranno. » lo ammonì, e lui lo guardò con aria di sfida. L’educatore tornò a
guardarmi. « Decidi tu se slegarlo. »

La porta si chiuse alle sue spalle, e il ragazzo rimaneva legato.

Presi un respiro profondo e mi alzai in piedi. Quando mi avvicinai lui grugnì minaccioso e fece per allontanarsi.

« Vuoi che ti liberi le mani e la bocca oppure no? » sbottai, e lui si rilassò, così che potessi slacciare i nodi stretti che gli tiravano
la pelle.

Quando il fazzoletto gli fu rimosso dalla bocca lui tossì. Lo avevano ridotto ad uno straccio, e non era esattamente minuscolo e
poco imponente.

Lo squadrai.

« Ti hanno conciato per bene. » commentai.

« Che c’è? La smetti di fissarmi o sei anche tu un sadico schifoso? » sbottò, e si sedette a gambe incrociate sul pavimento, non
guardandomi mai negli occhi.

« Se mi stai paragonando a loro hai dei grossi problemi. Sono qui per aiutarti. » dissi, non sapendo esattamente in che modo
avrei mai potuto aiutarlo, visto che a malapena riuscivo ad aiutare me stesso.

« Ah sì? Davvero? Posso essere aiutato? Illuminami! Tanto io non voglio guarire. » sbottò, con un sorrisetto falso quanto
beffardo in volto. Capivo perfettamente come si sentiva, e non lo biasimavo per essere così arrabbiato.

« Innanzitutto dimmi chi è lui. »

« Lui chi? » domandò, colto in contropiede.

« Quello che ti ha fatto finire qui dentro. Quello che ti ha fatto capire chi eri, quello per il quale non vuoi guarire. »

Lui alzò in sopracciglio e mi guardò sorpreso.

« Chi ti dice che ci sia qualcuno? » sibilò, con aria di sfida.

« Perché se credi di essere l’unico ti sbagli. E di grosso. Ed è una cosa che so riconoscere bene, perché la vivo… in prima
persona. » aggiunsi abbassando la voce.

Puckerman distolse lo sguardo.

« Non ti picchierò per avermelo detto, Noah. » specificai.

« Tanto non ci riusciresti. » disse, e guardò accanto a sé.

Attesi per un tempo che mi parve interminabile, ma alla fine lui sospirò e si arrese.

« Si chiama Sam. » disse, in un sussurro, ed un sorriso impercettibile gli curvò le labbra. Un sorriso che racchiudeva dei
sentimenti di una dolcezza infinita, e mi domandai se mi si leggesse lo stesso cauto affetto mentre parlavo con Kurt.











































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Spazio Autrice:
Ebbene sono tornata da Milano, finalmente, e sono riuscita ad aggiornare, scusate il ritardo.
Ebbene, chiunque mi conosca sa quanto io e la Sallingstreet e la Suck abbiamo un rapporto stretto.
Aspettavo da tanto di scrivere questo momento.

Ora mi servono davvero dei pareri sulla storia, siamo arrivati ad un punto abbastanza avanti e sono capitate diverse cose, ed un riscontro mi sarebbe incredibilmente utile, quindi chi meglio di voi fantastici (ed un po' pazzi a leggermi) lettori? 

Mi farebbe davvero piacere e mi sarebbe molto utile. 

Un bacio,
Vostra,
Noth
   
 
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