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Autore: formerly_known_as_A    22/06/2012    2 recensioni
A volte Lukas teme che il destino si diverta a prenderlo in giro. O, forse, è più probabile che lo metta in guardia dal pericolo. Che pericolo?
Ad esempio lasciarsi andare e ritrovarsi in pezzi, come un giocattolo lasciato alle amorevoli cure di un bambino crudele.
Oppure scoprire di non sapere come sbloccarsi e lasciare fluire, come una diga che si spezza, tutto quello che tiene imbottigliato in un posto nascosto del cuore da secoli.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Norvegia, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A volte Lukas teme che il destino si diverta a prenderlo in giro. O, forse, è più probabile che lo metta in guardia dal pericolo. Che pericolo?

Ad esempio lasciarsi andare e ritrovarsi in pezzi, come un giocattolo lasciato alle amorevoli cure di un bambino crudele.

Oppure scoprire di non sapere come sbloccarsi e lasciare fluire, come una diga che si spezza, tutto quello che tiene imbottigliato in un posto nascosto del cuore da secoli.

Fa male, fidarsi. Amare, preoccuparsi per qualcuno che non sarà mai una vera proprietà, qualcuno da mettere in una teca e tenere sempre nascosto nella giacca, sul cuore... rischioso, folle. Anche semplicemente lasciare solo il fratello, senza notizie, senza le poche parole che solitamente si scambiano, per telefono o di persona, è qualcosa di tremendamente lacerante.

Non è una congettura. È una verità, un ricordo di guerre di cui il più giovane sembra non curarsi, momenti passati lontani in cui non ha potuto dormire, morto di preoccupazione, cercando un modo di contattarlo, quasi desiderando lanciarsi a capofitto nella battaglia per potergli unicamente stringere la mano.

Ma può costruirsi una maschera e fingere che nulla graffi la propria armatura, sa di non essere completamente freddo, apatico, stoico come sembra. Se l'armatura e la maschera sono sempre intatte, c'è sempre un artiglio che gli scava nel cuore, quando qualcosa di terribile accade.



Non è indifferente alla tristezza che vede nel danese in questo momento. Anche il fratello, che solitamente trascorre il dopo cena con un libro, ignorando le richieste di Peter per giocare o leggere delle fiabe insieme, tiene un tomo premuto sulle ginocchia, gli occhi fissi su Mattæus che non riempe il silenzio, non scherza con Tino, non minaccia Berwald, non lo irrita a morte. Resta seduto, non guardando nessuno in particolare, restando solo a guardarsi le dita che giocano tra loro, come farebbe un bambino.

Peter lo fissa qualche secondo, poi sgambetta felice da Nor, con un sorriso gigantesco in faccia. Per certi aspetti, ha l'impressione che, se Tino e Matt potessero avere figli, somiglierebbero tutti quanti a quel bambino saltellante. Non fisicamente, ma... Ok, Ladonia somiglia abbastanza a loro due da spaventarlo, ma Peter? Sempre saltellante ed ambizioso...

“Perché tu e lo zio Matt non vi sposate? Pappa e Mamma lo sono!” esclama il piccolo Sealand, entusiasta.

...sempre tremendamente indiscreto.

Lo guarda come se gli avesse appena chiesto se abbia intenzione di mangiare Hana a colazione. Ovviamente, ad un occhio esterno sembra solo leggermente sorpreso, non sconvolto e ferito come sa di essere. Non riesce a cercare gli occhi del danese, la vergogna e la confusione gli fanno scuotere la testa.

“I tuoi genitori sono innamorati, piccolo Pete.” risponde, sorprendendolo, il quasi catatonico danese. Islanda non perde un secondo e lo guarda immediatamente con espressione corrucciata, come se cercasse di leggergli nel pensiero. In realtà, probabilmente, quello è un suo personale gesto di rimprovero.

Non può fare a meno di provare una punta di gelosia ed invidia nei confronti del danese. In qualche modo sembra sempre il più difeso dall'isola, qualunque cosa faccia. Sì, certo, non perde l'occasione di rinfacciargli ogni cosa esistente sul pianeta, dal riscaldamento globale agli chef inglesi sadici che cacciano i Puffin per mangiarne il cuore arrosto nemmeno fossero la matrigna di Biancaneve, ma lo adora.

Forse perché ha avuto modo di vedere quanto sia spezzato il suo spirito, quando nessuno di loro è nei dintorni a sollevargli il morale con un insulto creativo o una patta sulla schiena violenta, quando credeva veramente che potessero odiarlo, dopo gli anni, i secoli, trascorsi nello stesso letto sotto strati di pelli, stretti come cuccioli in una tana, ad ascoltarlo e rubargli un po' di calore.

“Forse... forse dovremmo davvero... uhm... sposarci. Davanti ad un prete e tutto.” sussurra il finlandese, con un sorriso timido.

Il silenzio che crolla sulla sala da pranzo, nella casa che condivide con Berwald, è quasi irreale. Sembra che tutti abbiano smesso di respirare.

Norvegia abbassa lo sguardo sulla propria mano, circondando l'anulare con indice e pollice e sfregando il segno che la fede ha lasciato quando è stata tolta. Due settimane. Eppure sulla pelle resta ancora un lieve solco, per quanto massaggi e tormenti, per quanto desideri che quel dito torni perfetto, per dimenticare quell'anello.

Anello che Danimarca ha desiderato tanto, ma che gli ha concesso a fatica. No, dopo non è stato più difficile infilarsi nel letto di un altro, ha tolto l'anello ogni volta che è successo, esattamente come l'altro. Solo il senso di colpa ha cercato di fermarlo. Ma quello, né prima, né dopo l'anello che doveva legarlo per sempre al danese, non è mai riuscito a trattenerlo dall'anelare alla perfezione dei momenti che condivideva con qualcuno che non era il suo legittimo... uomo.

No, chiamarlo uomo, un nome ben poco affettuoso, che non suggerisce minimamente sentimenti tra di loro, non implica che non gli abbia spezzato il cuore lasciandolo.

“Si è fatto tardi.” mormora, come un sogno, spezzando il silenzio, alzandosi sotto lo sguardo interrogativo di Islanda. Tino arrossisce e gli si avvicina, ma non lo guarda. Dopo il fugace sguardo ad Eirik resta fisso sulla schiena dello svedese, che non si sposta.

Quante volte si è ritrovato di fronte a quella scena? Con lo stesso identico desiderio di tendere la mano ed afferrare la stoffa della camicia, fermarlo, dire qualcosa che cambiasse tutto. Ma è solo una stupida fantasia, quella. Nessun gesto fermerebbe l'autobus senza freni lanciato a folle velocità giù per la discesa.

È tardi ed lui è di troppo.

“Buona notte.” aggiunge, prima di recuperare le chiavi dell'auto e voltare la schiena.


Caldo. Si sente incredibilmente caldo, all'improvviso. Come ha fatto a non rendersene conto prima? Il petto, la gola, il bacino... ha male ovunque, ma è come se fosse improvvisamente tornato alla vita dopo un sonno lungo decenni.

Una mano si posa sulla sua guancia. Un contatto troppo intimo, che suggerisce cose che non vuole associare veramente a se stesso, ma che accoglie senza protestare, ancora sconvolto dai lunghi minuti che deve ancora ricostruire.

Ti ho fatto male?”

No, non sono domande da fare, Berwald. Non quando il sesso, di solito, è violenza, graffi, morsi, desiderio.

Qualcosa di completamente diverso da quel caldo incredibile. Fuori nevica, com'è possibile? La casa è mal riscaldata, in mezzo al nulla, eppure ha caldo, sta bene.

Scuote la testa, la bocca e la gola asciutte, troppo per formulare una risposta sensata. Ma non ha parole, non ancora.

Ha gli occhi chiusi. Lo realizza quando si rende conto che tutto è incredibilmente buio, ma non li riapre. è terrorizzato. Non sa come sia finito in quella casa di legno in mezzo al nulla, sdraiato in un letto sconosciuto, accanto a qualcuno che... non riesce a pensarlo. Non riesce a crederci ed interrompe immediatamente il flusso di pensieri, scuotendo automaticamente la testa.

Ci sono... troppi baci. Troppe carezze. Il dolore è sordo, lontano. Se non lo era prima, tutta quella delicatezza lo sta cancellando.

Come... come ci è finito lì?

Apre gli occhi, ma il soffitto è nuovo. Non si ricorda di averlo guardato, si ricorda soltanto un acquamarina che non riesce a ritrovare. Annaspa, ma le braccia si fanno più presenti, insieme alla consapevolezza di quello che ha appena fatto.

È andato a letto con Berwald.

Non è il peggio. No, non è quello. È il modo, non la persona. O forse il modo è legato alla persona?

Ha fatto l'amore con Berwald.

Niente graffi, morsi, parole volgari. Nessuna chiacchera, nessun imbarazzante modo per farlo eccitare.

Baci, ancora, delicati e timidi, nonostante tutto. Alza la testa, sconfitto, lasciando il collo alla sua mercé, senza, ancora una volta, lamentarsi.

"Berwald."

Lo svedese si appoggia su un braccio per guardarlo, ma non smette di toccarlo. Gli sfiora la tempia e la guancia con due dita, guardandolo come se fosse la cosa più bella del mondo.

Non vuole crederci. Non può credere che siano finiti in quel letto, non dopo mesi in cui ha lottato con se stesso per tornare alla normalità, dicendosi che nulla di buono sarebbe nato da quel vedersi continuo, inventando scuse sempre diverse, solo per il gusto di ritrovarsi in silenzio a leggere lo stesso libro.

Ah, ma se sono in quel letto quella non doveva essere l'unica motivazione, eh?

Prova a pensare alle probabilità che Berwald abbia voluto vederlo sempre più spesso solo per arrivare a fare sesso, ma non ci riesce. Non con quello sguardo fisso nel proprio, non con quelle dita che lo accarezzano come se fosse delicato e prezioso.

"Non voglio."

Lo guarda con tutta la serietà del mondo, ma non può fare a meno di tendersi verso le sue labbra e baciarlo a lungo, un muto ringraziamento per quel calore che sente.

"Lo so."


Matt non gli rivolge la parola, ma la cosa è reciproca. Ignora gli altri. Scambia qualche parola con Islanda, ma tutto quello che sente sembra un'accusa poco velata di aver causato l'attuale malumore del danese.

Tino non lo guarda mai, se non con un sorriso imbarazzato, ogni tanto, quando sono obbligati a rivolgersi la parola.

Fa finta di nulla, Lukas. In fondo, è qualcosa a cui è abituato. Ignora gli sguardi e le accuse, sta lontano dal resto della famiglia, cerca di essere il solito, di fare bene il proprio lavoro, ignorando la parte che grida, in fondo al proprio petto, perché ha l'impressione di aver rovinato tutto.

Perché quell'ultima riunione di famiglia, per l'anno nuovo, sembrava l'ultimo tentativo di riavvicinarsi, di sembrare una famiglia normale, un insieme di persone che stanno bene, che non si odiano segretamente a vicenda.

Si chiede se non sia tutta propria, la colpa, se quella cosa con Berwald non abbia incrinato del tutto i delicati rapporti tra loro.

Si sente avvolgere e sobbalza, cercando di liberarsi, ma la presa è salda e rinuncia del tutto quando una massa di capelli scompigliati compare nel proprio campo visivo.

“Preso.”

Danimarca fa un sorriso, ma è così diverso dal solito, così triste, da sembrare il ghigno di un pagliaccio. Quel paragone lo disturba e cerca di indossare la propria maschera migliore, guardandolo, per non apparire turbato.

“Vuoi mangiare con me?” chiede, dondolandolo un po'. Non sa cosa rispondere, la sua espressione è indecifrabile. Dopo settimane, che cosa vuole? Ricostruire un rapporto spezzato da tempo? Provare a riaverlo?

Si lascerebbe riprendere, solo per poter guardare di nuovo negli occhi Islanda?

Senza accorgersene si ritrova spinto fino ad un balcone, abbastanza nascosto, dove trova ad aspettarli una tovaglia a quadri ed un cestino di vimini. Lo stereotipo del picnic, omettendo le formiche.

Dan lo lascia per sedersi ed gli fa cenno di fare lo stesso. Esegue senza parlare, restando a guardare l'uomo mentre tira fuori una quantità di cibo sufficiente a nutrire dieci persone. Aspetta qualcuno? O pensa davvero che possano mangiare così tanto?

Il danese si appoggia alla sua spalla, il naso tra i suoi capelli, come se dovesse riabituarsi alla sua presenza.

“Profumi sempre di dolci, Lukas.” sussurra, quasi casualmente, come se avesse detto la cosa più naturale del mondo, prima di tornare al cibo. Mangia con calma, senza guardarlo troppo, cosa che gli permette di prendere qualcosa qui e lì per imitarlo. Non ha fame. Il suo stomaco è in una morsa, aspettando una mossa che significherebbe troppo, forse, ma potrebbe riportare i cinque in armonia.

Dimentica Berwald. Lui sposerà Tino. Tino che si è finalmente ricordato che esiste, che un tempo si sarebbe fatto camminare addosso per farlo felice.

Un tempo? Davvero crede sia cambiato qualcosa? Davvero pensa... di essere così importante?

“Sembri triste, ultimamente. Non posso sopportarlo. Magari non vuoi dirmi che cos'hai, però ho pensato... che qualcosa di buono, ecco...” confessa semplicemente il danese, cercando di evitare il suo sguardo.

Allora... era solo questo? Non lo vuole indietro? Non vuole vendicarsi? Solo...

Non dovrebbe sorprenderlo. Fa spesso l'errore di pensare che sia sempre lo stesso, che voglia tutto per sé senza dare nulla in cambio, che nulla sia cambiato da Kalmar. Ma non è così.

Matt ci tiene. Matt è quello che gli porta i biscotti caldi ed il caffè la domenica mattina, che gli riempe la casa di coniglietti cuciti a mano, rigorosamente rosa. Che non ha nessuna vergogna ad entrare in un negozio di giocattoli, con un sorriso enorme, chiedendo se è uscita una nuova versione di Miffy, da regalargli.

Per quasi due anni non ha fatto altro che trovargli difetti, dal disordine al modo in cui facevano l'amore, nella speranza di perdonare a se stesso di avere un amante, rimproverandogli tutti i dettagli che ha amato, in un tempo neppure troppo lontano.

Mi dispiace. Dovrebbe dirlo, ma non riesce. Fa fatica persino a pensarlo. Non è nel proprio modo di essere ammettere un errore, non ha le parole giuste per ammettere di non essere la persona logica che tenta di essere.

Può solo sperare che Matt lo perdoni, che dimentichi, con il tempo, che...

“Non ha mai avuto senso, eh? Noi due.”

Danimarca interrompe il flusso dei suoi pensieri, in quel modo, ma sembra pronto a rispondergli, anche senza pensare a come.

“Non dire idiozie, Matt.”

Sembra bastare. Basta, almeno, a far sorridere il danese, a dargli la spinta necessaria a rinchiuderlo in un abbraccio che non sa di addio.

E lì si abbandona, ad occhi chiusi, senza ricambiare, ma grato del gesto.


Dovresti dire a Tino che sei innamorato di lui.” mormora, gli occhi fissi sul soffitto grigio. C'è poca luce e tutta la stanza è in un'interessante scala di grigi. Gli capita spesso di guardarlo, quel soffitto, eppure c'è sempre qualcosa di interessante. Dev'essere per i particolari, per i nodi nel legno delle assi, le venature che si prolungano nella parete, fino a scomparire dietro mobili rustici ma curati nei particolari, costruiti negli anni dalle abili mani di Berwald.

Lo invidia, per quell'abilità. Ogni volta che si perde ad osservarlo, nella calma di quella casa in mezzo al nulla, passa in rassegna i propri pochissimi pregi. Lui sa suonare il violino. Parla con esseri che nessun altro vede. Legge. Ai propri occhi, poter creare una testiera dalle intagliature particolareggiate come quella su cui sta facendo scorrere le dita, è straordinario.

La risposta è un piacevole brivido che parte dal collo, un bacio leggero ma sensuale. Un bacio in cui, stupidamente, legge troppe cose.


Quando gli è sembrata una buona idea, quella? Rinunciare ad una cena di lavoro, saltare una parte dei festeggiamenti della Festa d'Indipendenza, prendere un aereo ed arrivare nella casa che hanno condiviso per anni, solo per guardarla da lontano.

Stupido ricordare dove si trova la chiave di riserva, stupido entrare solo per un minuto e sentirsi invaso da una violenta nostalgia, di quelle che ti spingono a chiederti se tutto quello che ricordi è successo per davvero, se quel letto è proprio il loro, se quel divano è davvero quello su cui leggevano e guardavano la televisione, ma, soprattutto, se tutto è finito senza mai essere iniziato.

“Lukas.”

Non sobbalza, nonostante la vicinanza della voce di Berwald, un soffio caldo accanto all'orecchio. Sospira, invece, rifiutando di voltarsi, neppure quando le braccia lo avvolgono, più strette e possessive di quanto si aspettasse.

Per favore, non guardarmi.

Come se gli leggesse nella mente, lo svedese si allontana e lo fa voltare, cercando il suo sguardo. Lo tiene basso, Norvegia, timoroso di leggere qualcosa che non vuole, in quell'acquamarina.

Le sue labbra sulla fronte sono inattese, eppure, in qualche modo, se le aspetta, come è naturale chiudere gli occhi e lasciarsi baciare come se non fossero trascorsi mesi da quell'ultimo incontro, accogliendo il suo abbraccio.

Interrompere quel contatto ed indossare una maschera d'indifferenza sembra contrario ad ogni natura, persino la propria, perché quello che riesce a vedere in Berwald è solo delusione, paura, l'impossibilità di capire perché quello che c'era, quello che non è mai iniziato davvero, gli sia tolto.

“Devi sposare Tino.”

Lo svedese scuote la testa e gli sembra anche che sospiri, come rassegnato, ma è con un debole sorriso che lo guarda, dopo quella pausa.

I suoi sguardi, sotto l'espressione corrucciata, sono una delle parti che adora, in lui. Esprimono molto di più delle parole, dei baci, del tocco delicato delle sue mani.

Sono quelli che lo feriscono di più, ora che sa che non ha più diritto a quella tenerezza che ha sempre finto di detestare.

“Non devo sposare nessuno.” risponde, aggrottando le sopracciglia. “Tino non era serio. Come pensi che possa essere serio, a riguardo?”

Cosa, in quella domanda, non va'? Non è il tono con cui è stata posta, anche se è rassegnato, più che ferito, non è il modo... Non è neppure la naturalezza con cui Svezia gli ha appena detto che non si sposerà, che possono ancora avere tutti quegli inafferrabili istanti, quelli destinati a scomparire dietro la porta di quella casa di legno sempre troppo fredda, eppure accogliente come poche altre.

Non deve sposare nessuno. Non sposa Tino.

Perché non gli basta? Che cosa vorrebbe, ancora?

“Gli ho... gli ho detto di noi.”

Fa un passo indietro, veramente sorpreso, indeciso tra il prenderlo a pugni e baciarlo fino ad ucciderlo. La seconda reazione lo stupirebbe.

Berwald gli posa l'indice sulle labbra e sorride.

“Mi ha detto che era felice. Stupido, eh? Anni a pensare che mi avrebbe odiato, invece... è felice per me, perché...” il discorso lo mette in difficoltà, si blocca un attimo, cercando le parole, ma poi prosegue con calma, sincero. “Sei la mia anima gemella.”

Cosa?

“Non dire...”

“Perché?” lo interrompe lo svedese, le dita posate sulla sua guancia, con una delicatezza che fa male. Non vuole questo. Nessuna tenerezza, nessun affetto.

“Con chi altri riesco a parlare in questo modo, Lukas? Chi altri riesce a rendere un silenzio prezioso, con chi... con chi mi sento così bene? Per te non è lo stesso?” chiede, trasformando il tocco in carezza.

Non gli risponde. È impegnato a domare una tempesta di pensieri contrastanti, il battito furioso del proprio cuore. Sta esplodendo, vero?

Come rispondere a qualcosa di così intenso? Come riuscire a formulare anche solo un pensiero razionale?

Resta inerme, ma Berwald si affretta a stringerlo, senza aspettarsi parole.

“Resta con me. Qui. Fuori di qui. Resta.” lo prega, semplicemente.

Norvegia annuisce ed alza le braccia per ricambiare quell'abbraccio.

C'è una risposta. È semplice, ma terribilmente importante. Bastano due lettere soltanto. La differenza tra il vagare tra sentimenti che non accetta ed essere felice.

“Sì.”


   
 
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