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Autore: Yas Venice    24/06/2012    6 recensioni
Il sequel di "Basta parlare"
Se Michiru ha trascorso una giornata pessima, Haruka non è da meno.
Lontana dalla donna che ama ed impossibilitata a starle accanto, la guerriera di Urano prenderà l'unica decisione che il cuore le suggerisce: correre dalla sua Michiru, costi quello che costi. Ma sarà così semplice tornare a casa?
Tra situazioni assurde e riflessioni sull'amore e l'amicizia, ecco il secondo capitolo di questa "saga" romantico-demenziale.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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E se



Hola raga! Eccomi qui con questa nuova "fatica" che costituisce il seguito ideale della mia precedente shot romantico-demenziale dal titolo "BASTA PARLARE".
Questa shot ha per me un significato particolare (come vedrete dalla dedica a fondo pagina) e mi scuso in anticipo se non sono stata in grado di raccontare il tutto come avrei voluto. Questa è la terza versione poichè è stato davvero complicato scriverla, sono andata in crisi totale...
Grazie immensamente a chi mi segue, a chi continua a leggermi in silenzio, a coloro che interagiscono con me e a coloro che hanno inserito le mie storie tra le preferite, ricordate e  seguite. Mi date sempre la forza di impegnarmi a far bene o perlomeno, a tentare di farlo.

Un ringraziamento particolare va a Vale per i suoi preziosi consigli che mi hanno aiutata molto.

Buona lettura!






Parlami ancora

Sfiorare il suo viso con mani tremanti e tenere gli occhi socchiusi per permettere all'olfatto di godere pienamente del delicato odore della pelle che tanto amava poiché per Haruka Ten'ò l'universo nella sua interezza era racchiuso nel corpo della sua donna, dimora di assoluta perfezione e custode della più intima essenza della femminilità.
- Michiru -  sussurrò la bionda, allungando una mano alla ricerca di un contatto che non ci sarebbe stato. In quel momento desiderava averla al suo fianco più di ogni altra cosa, voleva stringerla forte a sé per inebriarsi di vita e d'amore; voleva solo baciare la sua pelle per dirle nel silenzio di quel gesto che tutto il resto era poca cosa e che amarla, adorarla e contemplarla al pari di un mistico dinanzi ad un mistero celeste che cela il Divino, era l'unica vera missione della sua vita.
Si rigirò nervosamente nel letto mentre il tamburellare della pioggia contro i vetri della finestra la riportò completamente nel mondo reale.
Un'espressione di disappunto si dipinse sul volto di Haruka: non avrebbe dovuto trovarsi lì. Erano già parecchi giorni che era lontana da casa a causa dei test invernali che la scuderia effettuava solitamente nel circuito di Suzuka. Nei giorni precedenti aveva chiesto a quelli del team un giorno di permesso ma visti i ritardi nello sviluppo della vettura e i risultati ancora non soddisfacenti, il giorno libero le era stato negato.
- Chissà perché le buone maniere non danno mai i risultati sperati -  si era sfogata la bionda pilota con il suo ingegnere.
Quella decisione sciagurata era giunta proprio nel giorno che precedeva il compleanno di Michiru e la cosa era ancor più ostica da digerire.
- Se il tempo deciderà di regalarci una bella giornata, verrò di certo -  aveva promesso durante una telefonata alla sua ragazza, sapendo bene di illuderla inutilmente essendo consapevole del fatto che il meteo aveva previsto una settimana di piogge torrenziali.
Si sentiva tremendamente in colpa: sarebbe stata la prima volta che avrebbe disertato il compleanno del suo amore e forse proprio questo motivo l'aveva spinta a prendere carta e penna allo scopo di scrivere una specie di lettera d'amore che quasi sicuramente non avrebbe mai consegnato tra le mani di Michiru.
La radiosveglia segnava le 5:25 e la bionda decise di abbandonare i suoi pensieri dentro al letto e si alzò. Con calma si fece una doccia e si preparò facendo anche una veloce colazione.
Alle 6.30 era già alle porte del circuito intenta a parcheggiare in retromarcia la sua Mazda in un enorme piazzale.
L'ora successiva trascorse a studiare telemetrie e bilanciamenti insieme ai ragazzi del team.
- Bene Ruka, adesso vediamo un po' se il nuovo assetto che abbiamo impostato ci darà i risultati sperati -   disse Ross, il capo tecnico che aveva lavorato tutta la notte per effettuare dei miglioramenti sulla vettura.
- D'accordo, mi preparo -  rispose semplicemente lei.
Prelevò la sua tuta dall'armadietto personale e si diresse nella stanza adibita a spogliatoio; dopo aver chiuso la porta, si tolse il giubbotto e lo sistemò sull'attaccapanni. Un piccolo oggetto fuoriuscì da una tasca e cadde sulla moquette: si trattava dell' i-Pod che portava sempre appresso. Si accertò che l'oggetto non avesse riportato danni, sintonizzandolo su una canzone presa a caso dall'elenco.
Le frasi di quella canzone, persa tra tante altre, risvegliarono qualcosa nel suo cuore:

Non andrai più in alto di dove sei
Correndo dietro a te stesso
E non riesci a lasciarti andare...
Continui a nasconderti in quel posto dove non vuoi stare
Respingi la felicità ma lei ritorna da te
Per darti tutto quello che hai dato
Per amarti come ami tu, come uno specchio

...Stai ancora aspettando?



Haruka si ritrovò risucchiata da un turbine di ricordi che conducevano al cospetto di un'unica certezza.
L'immagine di Michiru divenne così nitida nella sua mente che le sembrò quasi di vederla davanti a sé, avvolta nello splendido abito bianco che indossava la sera in cui, con un espediente, l'aveva invitata al suo concerto sulla nave da crociera, allo scopo di aprirle gli occhi sul loro destino e sulla loro missione.
Ricordava bene le parole di quel litigio dettato dalla paura.
La violinista era stata coì diretta da spiazzarla ma lei non poteva certo abbassare le sue difese, non in quel momento.
L'ultimo segreto che riguardava la notte che seguì il litigio in questione, Haruka lo aveva sempre custodito con cura tenendolo per sé. Quella sera si era ritrovata da sola nel suo appartamento che per la prima volta le era sembrato vuoto ed ostile.
Non aveva neanche avuto la voglia di cambiarsi, si era solo tolta la giacca ed il papillon prima di stendersi sul letto, appisolandosi subito dopo.
Durante la notte una presenza che Haruka conosceva bene, si fece strada tra nebulose immagini oniriche. Se la ritrovò in piedi, dinanzi al letto, rischiarata dall'intensa luce lunare che entrava dal balcone aperto e che giocava con le morbide forme della guerriera dai capelli acquamarina.
- Di nuovo tu... -  sussurrò Haruka con voce flebile.
L'altra rispose con un semplice sorriso, poi aggirò il letto e si sedette accanto alla bionda.
Quella "visita" onirica era diversa dalle altre poichè Haruka ebbe la sensazione di avere a che fare con una presenza reale e se avesse allungato la mano per toccarla, stavolta non avrebbe accarezzato solo aria.
- Perché fuggi? -  chiese la guerriera che rendeva insonni le sue notti.
- Perché ho paura -  rispose sincera la bionda.
- Di me? -
Il sorriso triste che ne seguì privò Haruka di ogni intento bellicoso. Aveva solo voglia di parlare, di chiarirsi direttamente con la "fonte" del suo malessere;
- Non di te ma di ciò che rappresenti, di ciò che potrebbe accadermi -
- Perché parli al singolare? -  chiese l'altra
- Perché tutto ciò di cui mi hai parlato riguarda te, il tuo destino, la tua missione. Io non voglio far parte di tutto questo, non sono pronta ad un simile cambiamento e tu non puoi pretendere che io offra in sacrificio la mia vita ponendola nelle tue mani... non ci riesco -
- Io non ti chiedo nulla di tutto questo, ti chiedo solo di fidarti di me -  fu la quasi sorprendente risposta.
- Fidarmi di te? Non so chi sei o meglio, cosa sei; so soltanto che sei piombata nella mia vita attraverso un sogno a cui ne sono seguiti altri e che parli di distruzione, di fine del mondo come se fossero argomenti normali di cui discutere magari davanti ad un caffè e poi che fai? Abbandoni i miei sogni per camminare nel mondo reale e ti presenti ad una mia gara come se nulla fosse... Come posso fidarmi di una "persona" che non fa altro che confondermi? -
La reazione della ragazza vestita alla marinara, la spiazzò totalmente: Haruka si ritrovò con una mano stretta tra le sue in un contatto reale che le provocò sensazioni indescrivibili.
Michiru condusse la mano della bionda all'altezza del suo cuore e lì la trattenne, premendola con forza contro la sua calda pelle.
- Se non riesci a fidarti di me allora fidati di lui -   sussurrò, sperando che il proprio cuore parlasse ad Haruka con quelle parole che solo lui era in grado di pronunciare.
Ten'ò era oramai abituata al contatto con i corpi femminili anche a livelli molto più intimi ma sentire il cuore di quella ragazza battere così velocemente sotto quella pelle vellutata a contatto con il palmo della sua mano, le provocò emozioni intense ed inattese ed in quel momento tutto divenne finalmente chiaro.


- Rukaaa! -  
Il vocione di Satoshi irruppe da dietro la porta.
- Ma che combini oggi? Devo venire io a vestirti? -
Addio bei ricordi.
- Più che vestirmi a te piacerebbe spogliarmi -  bofonchiò tra sé la bionda mentre spegneva l' i-Pod per rimetterlo in tasca dopodichè si ritrovò in piedi a fissare il nulla.
Pensieri, mille pensieri, troppi pensieri.
Haruka si sentiva come drogata dalle immagini e dalle parole che di abbandonare la sua mente non volevano saperne proprio.
- Sei ancora viva? -  sbraitava ancora il meccanico dietro la porta.
Ad un tratto un sorriso comparve sul volto della bionda pilota:
 - Ma si, al diavolo tutto -  disse convinta;
Indossò di nuovo il giubbotto e aprì la porta.
- Ma... ma come? Non hai indossato la tuta? -  chiese con un'espressione interrogativa Satoshi.
- La indosserò dopo... -  rispose lei, incamminandosi verso la zona del garage dove i meccanici avevano ultimato da qualche minuto i lavori di messa a punto.
- Dopo? Quando dopo? -
Una domanda che non ricevette risposta.
La ragazza attraversò l'interno del box, diretta verso l'uscita.
- Haruka, dove vai? -  chiese l'ingegnere capo.
Cosa rispondere?
- A casa... -
Molte facce assunsero un'espressione perplessa, quasi sbalordita mentre Ross esclamava:  
- Ten'ò, piantala di fare la cretina, guarda che "lei" è pronta e ti sta aspettando! -   indicando la vettura nera come la notte, tempestata di sponsor.
- Hai detto bene: lei mi sta aspettando -  replicò Haruka, con i pensieri rivolti ad un'altra "lei".
- Scusatemi... -  disse infine mentre usciva dai box, ritrovandosi sotto la pioggia.
- Ruka, non pensare di farla franca! -  tuonò l'ingegnere quando oramai lei era già lontana, intenta a correre verso il luogo dove l'attendeva la donna che le aveva stregato l'anima e che ogni giorno distruggeva ogni sua certezza per poi resuscitarla a nuova vita.
Haruka non sentiva sulla pelle neanche la fredda pioggia; voleva solo appagare il suo bisogno di annegare nell'oceano blu cobalto di quegli occhi che tanto amava e di perdersi nel fresco aroma di quel corpo che sapeva di buono.
Niente e nessuno avrebbe potuto fermare la sua corsa e oramai il mondo che la circondava era solo un misero dettaglio che non meritava alcuna considerazione, un elemento estraneo che era divenuto d'intralcio nel suo tragitto verso casa.
Ignorare tutto, lasciarsi ogni cosa alle spalle, guardare avanti senza realmente vedere.
Senza vedere...
Persa com'era nei meandri della sua mente, Haruka finì realmente con il non vedere ciò che aveva dinanzi, ovvero degli operai intenti a spostare un grande cartellone pubblicitario con relativo sponsor, uno di quelli che facevano bella mostra di sé a bordo pista.
La facciata che Ten'ò prese contro l'oggetto di resistente plastica fu micidiale: in un attimo si ritrovò a terra con le gambe all'aria, con un tremendo dolore al fondoschiena che aveva sbattuto al suolo con una certa violenza.
- Signorina! Si è fatta male? - chiese uno degli operai, preoccupato.
Haruka non poteva certo dire di sentirsi bene. Per qualche istante le sembrò di vedere stelle di ogni colore e grandezza, prima di realizzare il fatto di trovarsi a terra al pari di una tartaruga capovolta alla ricerca di una mano che l'aiutasse ad alzarsi.
- Tranquilla, la aiutiamo noi -
Mani forti la afferrarono e la rimisero praticamente in piedi.
- Tutto bene? -  chiese un ragazzo bagnato fradicio, protetto da una giacca a vento ed un elmetto.
- Eh? -
Brutta risposta, pensò l'operaio, vedendo la bionda totalmente rincoglionita: probabilmente si trattava di un trauma cranico.
- Signorina, la prego, venga dentro e si sieda -
La prese per mano e cercò di condurla all'interno del garage ma lei lo fermò:
- No, no! Sto bene, davvero... -
- Ne è sicura? -
- Si... -  rispose, con il tono di chi sapeva bene di mentire ed altrettanto bene di non essere creduta.
- Devo andare -  esclamò subito dopo, come posseduta da una forza che la attirava verso una precisa direzione.
Non diede all'altro neanche il tempo di replicare che già era svanita dietro l'angolo.
Giunse nella piazzola dove aveva parcheggiato l'auto. Dopo pochi istanti era già dentro l'abitacolo; mise in moto e con una singola sgommata lasciò un chilo di pneumatici sull'asfalto.
Il peggio giunse quando udì un gran botto e si ritrovò a dar capocciate contro il poggiatesta: aveva dimenticato di togliere la retromarcia, beccando in pieno un palo su cui era montata una delle telecamere di sorveglianza del parcheggio.
Ma che caspita di giornata era quella?
Non ebbe il coraggio di controllare i danni che aveva fatto al retro della sua "bambina". Mise la prima e si disincagliò dal palo, udendo chiaramente il fracasso del materiale che si era staccato dall'auto piombando al suolo.
Un sospiro, poi partì.
La attendevano circa 280 Km di autostrada.
Fortunatamente non ci furono altri intoppi lungo il tragitto e l'auto rispondeva bene il che fu accolto con sollievo dalla bionda: la Mazda aveva solo riportato solo danni alla carrozzeria nel piccolo incidente.
Quando uscì dall'autostrada ed imboccò la statale che l'avrebbe riportata a casa, si sentì sollevata come se avesse visto una luce in fondo ad un lungo tunnel.
Un sorriso da ebete si dipinse sul suo volto quando scorse la scritta che indicava l'ultimo tratto restante prima di casa.
Dopo cinque minuti era già nel cortile davanti alla villetta, intenta a parcheggiare sotto la tettoia.
Le uscirono fuori dalla bocca litanie in lingue conosciute e sconosciute quando una tremenda fitta di dolore al fondoschiena le rese particolarmente complicato abbandonare il sedile di guida e uscire dall'auto.
L'ultima cosa che si aspettava era quella di dover assistere allo spettacolino che le si palesò davanti agli occhi: dinanzi all'ampia finestra vide una figura quasi mitologica a metà tra uno Yeti ed una ballerina del Moulin Rouge, intenta a lanciare sassi contro la finestra. Peccato che il piccolo masso rimbalzò contro il resistente vetro, come fosse di gomma, ritornando tra i piedi di colei che lo aveva lanciato.
Quella scena risultò incredibilmente ridicola agli occhi di Haruka, che a stento riuscì a trattenere una risata e visto che per sua natura amava stuzzicare la sua dolce metà (che a dire il vero in quel momento non aveva nulla di dolce), decise di far irruzione nel bizzarro contesto, prendendo un grosso sasso e porgendolo a Michiru, che stava sacramentando in tutte le lingue del mondo.
- Prova con questa -   disse la bionda.
- Grazie! -  esclamò Michiru che era talmente inviperita da ignorare la presenza di Haruka per qualche secondo, ma da persona intelligente quale era, i suoi neuroni si domandarono automaticamente da dove provenisse il grosso masso che teneva in mano. Si girò di scatto ed il suo sguardo in pochi attimi raccontò tutto ciò che la vista della sua donna le stava suscitando dentro.
- Haruka ?! -
Si, il suo angelo biondo era proprio lì accanto a lei, anche se ovviamente non poteva non approfittare di quella ghiotta occasione per prendersi gioco di lei e ridersela a crepapelle.
Quando si comportava in maniera così infantile, le faceva letteralmente perdere le staffe.
- Beh, c'è la remota possibilità che tu mi dia una mano dopo aver riso delle mie disgrazie? -  chiese la violinista, stizzita.
Dopo essersi scusata e aver posto un freno alla ridarella che l'aveva colta alla sprovvista, Haruka comprese il motivo del bizzarro comportamento di Michi: era rimasta chiusa fuori e stava cercando di sfondare i vetri della finestra a sassate pur di rientrare. Aprì la porta con la copia delle chiavi che si portava sempre appresso, facendo accomodare l'altra per prima, che stava tremando dal freddo.
Ci volle un buon quarto d'ora e tutta l'arte oratoria di cui Haruka era fine interprete per far rilassare del tutto Michiru, provata da una giornata che per lei era stata davvero difficile, trascorsa in totale solitudine ed in balia di imprevisti assurdi.
Si ritrovarono sdraiate sul divano scaldate dal piacevole calore del camino e cullate da un calore ancora più intenso: quello dei loro corpi pronti ad unirsi in una sensuale danza d'amore.
- Basta parlare -  aveva sussurrato Michiru, pronta a concedersi totalmente ma proprio quando le sue mani avevano iniziato a pretendere di più insinuandosi sotto la camicia di Haruka, quest'ultima la fermò:  
- Non adesso -  le disse.
Uno sguardo sorpreso unito ad un estremo disappunto fu la risposta di Michiru a quel gesto inatteso: quella giornata era iniziata male e stava proseguendo peggio poichè mai avrebbe immaginato di essere respinta anche dalla sua ragazza.
In un moto istintivo dettato dalla frustrazione e dalla delusione, Michiru interruppe il contatto con quel corpo tanto amato, pronta ad abbandonare il divano per dirigersi in cucina o in qualche altra stanza; in quel momento la cosa importante era allontanarsi da lì.
La mano di Haruka stretta nella sua, la fermò.
- Resta qui con me -
La bionda la attirò nuovamente su di sé, con un gesto deciso e quasi disperato.
- Stai pensando che non ho voglia di fare l'amore con te? -  chiese.
- Cos'altro dovrei pensare? -  rispose la ragazza dagi capelli acquamarina, deglutendo.
Un sorriso imbarazzato si stampò sul volto di Haruka, che disse:  - Perdonami... ma non mi sento molto bene -
Era una situazione assurda: aveva fatto 300 Km e messo a rischio persino il suo contratto di lavoro per trascorrere qualche momento di intimità con Michiru e adesso non poteva neanche appagare il desiderio della sua donna per via dei postumi di quella ridicola caduta.
- Parlami ancora -  disse infine la guerriera dei venti.
- Parla tu, sei quella che deve farsi perdonare... -  protestò la violinista, ancora seccata per l'accaduto.
Un attimo di silenzio e poi la voce di Ten'ò si levò, calma:  - Mi capita spesso di pensare a molte cose che riguardano te e me -
- Che tipo di cose? -  
- Ecco... quando ti sento gemere ad ogni mio tocco, ogni volta che sfioro la tua femminilità e che ti sento dentro me è come se tutto ciò che sono cessasse di esistere all'istante perchè in quel momento pongo la mia vita nelle tue mani. E' quello che ho fatto sin dal primo momento in cui ho imparato a fidarmi di te: porre la mia vita nelle tue mani. -
Parole belle ma che risultarono incomprensibili per la guerriera di Nettuno, che chiese:
- Non riesco a capire dove vuoi arrivare -
- A volte mi chiedo che cosa sarebbe accaduto se il nostro legame fosse stato diverso -
- Diverso? In che senso? -  
- Se noi due non fossimo amanti, cosa saremmo? -
La violinista accolse divertita le seghe mentali della sua donna.
- Che scema che sei... -  esclamò.
- Davvero, Michi, cosa saremmo? -
- Non lo so! Forse amiche? -  si decise infine a rispondere Michiru.
La bionda sorrise, poi proseguì quel discorso strano e apparentemente senza senso:
- E se ciò che siamo adesso venisse spazzato via, se il nostro amore finisse, noi... cosa saremmo? -
- Santo cielo, non riesco a capire il senso di questo discorso, se hai qualcosa da dire, dillo e basta! -   esclamò l'altra, spazientita.
Haruka non sembrò minimamente turbata dall'atteggiamento scorbutico della guerriera delle acque profonde, a cui rivolse uno sguardo pieno di immensa tenerezza e poi, con voce roca, sussurrò:
- Sto cercando di dirti che non sarebbe cambiato nulla. Il destino ha voluto che fossimo unite dall'amore ma anche se tra noi fosse andata diversamente o se questo amore che ci fa bruciare il sangue nelle vene e che fa ardere i nostri corpi spingendoci a possederci fino allo sfinimento, se tutto questo finisse, continueremo ad appartenerci in maniera diversa perchè la dedizione, la devozione, l'affetto e ciò che di veramente puro vive nei nostri cuori rimarrebbe intatto, oltre il tempo, oltre ciò che siamo adesso -
Michiru tacque.
Aveva finalmente capito.
In quel momento, chissà perché, ripensò alla notte in cui per la prima volta non aveva invaso i sogni di Haruka ma era andata da lei essendo semplicemente e finalmente se stessa: una ragazza in carne ed ossa con addosso un' uniforme che rappresentava la sua condanna.
- Se non riesci a fidarti di me, allora fidati di lui -  aveva detto ad Haruka mentre conduceva la mano di quest'ultima sul suo cuore preda di immensa tristezza perché temeva che nessun suo gesto potesse essere accettato dalla bionda e che quel sincero affetto non potesse essere mai ricambiato.
Voleva solo che Haruka comprendesse che le persone, per quanto diverse e distanti possano essere, sia fisicamente che caratterialmente, possono incontrarsi e comprendersi in quel luogo dell'anima che tutto custodisce e tutto accoglie.
Si, il destino aveva scelto diversamente per loro facendole innamorare ma Haruka aveva ragione: il rispetto reciproco, la fiducia, la devozione stavano alla base del più puro e limpido dei sentimenti: l'amicizia, in grado di unire persone diverse tra loro e se mai un giorno tutto sarebbe finito, quella passione e quell'amore smisurato, avrebbero trovato un degno e dolce sostituto che le avrebbe accompagnate per sempre.
Un tenero ed inatteso bacio fu depositato da Michiru sulla guancia di Haruka.
- Ti voglio bene, amica mia -  le disse ridendo divertita.
Haruka le lanciò un'occhiata ironica ma non pronunciò parola alcuna: aveva detto sin troppo.
E mentre il fuoco del camino continuava a bruciare, le due ragazze rimasero lì, sdraiate sul divano unite da un tenero abbraccio stranamente privo di desiderio, cullate da quel sentimento che era incondizionata unione non di corpi ma di anime.





A te, Maestra, con quel sincero affetto capace di annullare ogni distanza e ogni diversità.
 









   
 
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