Signore
e signori, ci siamo… È un momento storico per la mia carriera di fanficciaro…
LA
MIA PRIMA FIC SHONEN AI!
Per la verità dello shonen ai c’è stato in un’altra mia fic, ma lì c’erano sia
coppie etero che omo; stavolta invece è la fanfiction tutta incentrata su
un'unica coppia shonen ai!
Quando
ho iniziato, su Manga.it (forse qualcuno se ne ricorda), odiavo lo shonen ai e
lo yaoi, non per omofobia ma perché, anche se come scrittore mi do spesso al
genere romantico, proprio non riuscivo a immaginare due personaggi maschi in
coppia nelle mie storie, in qualsivoglia fandom, e quel tipo di storie mi
faceva un po’ ribrezzo (un bel po’…)… Poi col tempo sono diventato meno rigido,
e poi dopo altro tempo ho cominciato a scrivere su Hetalia, e forse a quel
punto è stata una scelta obbligata visto che qui le femmine scarseggiano… In
ogni caso ora posso dire di aver allargato di un alto pochino i miei orizzonti
creativi ^___^
Buona
lettura, e buona estate!
PS:
GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!
PPS: Un link con la colonna sonora sarà inserito a un certo punto della storia
^__^
Il
mare era tranquillo e le sagome delle loro ombre sembravano nuotare sulla sua
cristallina superficie.
Il
sole dietro le loro spalle scendeva sempre più; l’ombra ormai copriva tutta la
spiaggia, colorando la sabbia di un bruno chiaro e fresco al tatto, un
autentica gioia per i piedi scalzi.
Tra
il rumore delle onde, la brezza, il tramonto e i suoi meravigliosi giochi di
luce su persone e oggetti, e la poca distanza l’uno dall’altro a cui si erano
seduti sulla riva, c’era tutto l’occorrente per battezzare quell’atmosfera come
a dir poco romantica.
“Dai,
passa!”
“Oh, qui!”
“Schnell!”
A
toglier loro la completa intimità c’era una partitella di calcio in pieno
svolgimento dietro di loro, sull’ampia striscia di sabbia che si stendeva tra le
file sconfinate di ombrelloni e il bagnasciuga.
I
loro fratelli erano riusciti a trovare tutti gli elementi necessari per
inscenare una combattuta Italia-Germania. Al momento i tedeschi erano una rete
sopra.
All’inizio
Romano e Gilbert non si erano trovati per nulla simpatici, merito certo dei
loro caratteri difficili, l’uno più dell’altro. Poi, accortisi di quanto erano
uguali, si erano scoperti amiconi, e per dimostrarlo si erano sfidati:
l’italiano aveva chiamato i propri amici, il tedesco aveva facilmente reclutato
qualche altro turista suo compatriota, ne venivano sempre numerosi su quelle
spiagge del bel paese ogni estate, per quel cinque contro cinque. A quell’ora la
spiaggia era ormai poco affollata: c’era tanto spazio e poca gente da
infastidire.
Malgrado
Gilbert lo avesse convocato come perfetto mediano, Ludwig aveva rifiutato, ma
c’erano anche altri motivi per cui si trovava lì a guardare il mare vicino all’altro
grande assente del match, Feliciano, e tutti riguardanti lui appunto. Per
inciso, Romano non si era sprecato a chiamare il fratello di cui conosceva
tanto la pigrizia quanto la scarsa abilità: c’era da far fare al loro paese
bella figura dopotutto.
Per
un po’ i due avevano fatto da pubblico sulle sdraio, ma nessuno dei due era
riuscito a concentrarsi a lungo sul pur emozionante match, avendo l’altro di
fianco. Alla fine, con un semplice sguardo, si erano decisi a sedersi lì in
disparte, per il momento senza parlarsi, a lasciare che il bel panorama e
qualche profondo respiro di buona aria di mare sgomberassero per un po’ le loro
menti, preparandoli al discorso.
“Feli?”
“Si?”
“Ho
pensato un po’ a ieri sera. Un bel po’.”
Il
ragazzo italiano annuì: “L’avevi detto l’avresti fatto.”
E
lui aveva trascorso tutta la giornata aspettandolo, distraendosi con la
compagnia del più esuberante fratello, fin quando Ludwig, assente
ingiustificato, si era degnato di farsi rivedere dalla comitiva, appena in
tempo per dire “passo” a una partita a pallone, come se non fosse già stato
abbastanza insolito con la sua sparizione.
Solo
Feli ne sapeva il motivo, e nessun altro.
“Fermo.”
L’aria
sibilò tra i denti di Feliciano, mentre il batuffolo d’ovatta imbevuto di
disinfettante sfiorava nella maniera più gentile i graffi sopra l’occhio.
“Fermo,
per favore, sto facendo piano.”
Malgrado
le mille premure del biondo, gemette ancora. Aveva altre escoriazioni sul viso
e sulle braccia, un livido sulla spalla e un altro sullo zigomo, e il pianto lo
rendeva ancora più rosso.
Erano
seduti sul letto dell’italiano, nell’appartamento che divideva col fratello per
la vacanza. La lampada sul comodino spandeva una tenue luce sulle pareti rosa
pastello della stanza.
“Aspetta
che ci metto su un cerotto.”
Feliciano
lasciò uscire un altro singhiozzo.
Ludwig,
classico tedesco biondo, alto, occhi azzurri e pure grosso come un atleta, era
davvero un bizzarro crocerossino.
Il
suo occhio era livido, le sue nocche doloranti, e le ferite sulla sua faccia
non avevano ancora ricevuto cerotti: aveva pensato all’amico prima che a sé,
quello stesso amico per cui si era ridotto in quel modo.
Per
quanto lui fosse gracile, non esisteva che piangesse per un po’ di bruciore;
quello sulla pelle non era nulla, il bruciore che aveva nel cuore era molto più
forte, ed era come una fitta ogni volta che posava lo sguardo sul suo occhio
gonfio, sulla macchiolina di sangue che gli faceva capolino a un lato della
bocca, per non parlare delle altre che aveva sulla maglietta. Ed era pure
bianca, e di marca, non era giusto si fosse rovinata per colpa sua.
“Scusami.”
–tirò su col naso. La sua voce, strozzata dal senso di colpa, era ancora più
acuta del solito.
Ludwig
si fermò un attimo a guardarlo, mentre toglieva la pellicola al cerotto.
Glielo
appiccicò piano sulla fronte e poi premette un poco, ma con veemenza: anche nei
suoi gesti gentili sapeva infondere tutta la forza e la decisione che lo
contraddistinguevano.
“Mi
dispiace…” –frignò ancora il ragazzo italiano, stropicciandogli gli occhi- “Ti
hanno ridotto così… per causa mia.”
“Ehi” –sbottò Ludwig, improvvisamente infastidito- “La colpa non è stata tua,
hai capito? Hai capito?”
Feliciano
scostò la testa altrove e tirò di nuovo su; una vocina nella sua testa gli dava
dello stupido e gli ordinava di darsi un controllo, invece di sembrare patetico
come suo solito.
“Non
è colpa tua se al mondo esistono gli idioti.”
Feliciano
batté il pugno sul materasso del suo letto.
“Perché?
Stava andando così bene questa vacanza! Dobbiamo sempre farci riconoscere in
questo paese! Dobbiamo dimostrarci sempre i soliti incivili! Da te queste cose
non succedono non è vero?”
Richiuse
il kit di pronto soccorso: “Non dire stupidaggini. Gli idioti stanno
dappertutto. In Italia, in Germania…”
“Scusami,
non volevo venissi coinvolto.”
“Ancora?”
Si
accigliò. Come ogni volta che lo fissava con quell’espressione, Feliciano
indietreggiò, lasciandosi scuotere da un brivido di timore; non era mai stato
un cuor di leone di suo, ma Ludwig quando si innervosiva faceva una faccia così
scura da fargli dimenticare che fosse suo amico, e che di lui si fidava come la
Torre di Pisa si fida delle leggi della fisica.
“Non devi scusarti, per nessun motivo, sarebbe come ammettere che hai qualche
torto. Quelli ti hanno attaccato in cinque, e per un motivo dei più stupidi e
ignobili che esistano: sarei pronto a dar loro un’altra lezione anche subito!”
Prima
che con la superiorità numerica prendessero il sopravvento e lo bloccassero,
era riuscito a stordirne un paio con un cazzotto ciascuno, ed era sicuro di
aver mandato a segno almeno un calcio. Di sicuro almeno due di loro erano
tornati a casa con un bel ricordino della Germania in piena faccia. Al di là
della loro vigliaccheria, non valevano un soldo contro di lui: né come
avversari, né come persone.
Ludwig
mise una mano in testa all’amico e gli scompigliò un po’ i già arruffati
capelli: “Quindi basta piangere e basta scuse, va bene? L’importante è che li
abbia fatti smettere prima che potessero farti di peggio.”
Feliciano
chinò il capo, facendosi piccolo piccolo. Anche la sua voce, uscendo, aveva un
che di minuscolo.
“Hanno
dato del “frocio” anche a te…”
“……”
La
mano di Ludwig si mosse ancora su quella testolina castana, mentre Feli si
asciugava ancora gli occhi.
“Pensi che me ne importi che mi abbiano dato del “frocio” perché sono amico di
uno di loro?” –domandò a bassa voce- “Se indica persone come te allora quella
parola è un complimento.”
“Non
è… Non è giusto che…”
“Che
cosa non è giusto allora? Che io mi sia beccato delle botte che giustamente
erano destinate a un “frocio”? Vuoi farmi arrabbiare?”
“No!” –si affrettò a rispondere!
Il
tedesco si morse la lingua: era già stato spaventato abbastanza per quella
sera. Ancora tremava. Tornò con la mano tra i suoi capelli e gli sorrise. Era
un sorriso solido, deciso, anche se macchiato di sangue, anche se dietro
quell’apparente indifferenza ai colpi si sentiva gonfio come un pallone. Uno
meno muscoloso di lui ci sarebbe andato davvero male, pensò.
“Feli,
sei un bravissimo ragazzo, senza dubbio l’amico più gentile che io abbia: per
una persona così vale la pena di rischiare di prendere delle botte.”
Il
solito sbruffone idealista, si punzecchiò da solo subito dopo aver parlato.
Insoliti erano invece tutti quei complimenti all’indirizzo di Feli: in anni che
si conoscevano era stato più generoso di rimproveri per i suoi difetti, ma quei
difetti non gli erano mai parsi così piccoli come adesso, confrontandoli con
quelli ben peggiori che la gente può avere.
“Alla
fine devi sempre togliermi dai guai…”
“Così pare.”
“Anche
tu sei una persona magnifica.”
Per
lui d’altro canto non era la prima volta che gli rivolgeva simili frasi.
Feliciano
prese un bel respiro e poi toccò la grossa mano che aveva in testa,
un’abbozzata carezza di ringraziamento, per quella e tutte le altre volte che
gli aveva ridonato il coraggio, che l’aveva fatto sentire di nuovo al sicuro in
un mondo che per quelli normali è già un casino, per quelli come lui può essere
un inferno.
“Grazie
Ludwig… Se non fossi arrivato tu… Grazie.”
“Queste sono le uniche parole che voglio sentire!”
Gli mollò una pacca sulla spalla, dimenticandosi delle botte…
“Ahio!”
“Verddamt! Scusa!”
“N-non
è niente…”
Gli
passò un fazzoletto per asciugarsi gli occhi: era ancora rosso fuoco, ma almeno
non singhiozzava più.
“Sei
grandioso Ludwig, hai tenuto testa a cinque avversari insieme!”
“Guarda
che anche tu non te la caveresti male se fossi un po’ più deciso.”
“Dai,
non prendermi in giro.”
“Non sono stato io quello che ha dato un calcio nelle palle a uno di quei
balordi quando ha visto il suo amico tenuto fermo e prendere pugni dappertutto.”
Un
altro rossore si aggiunse in lui, mascherandosi in quello che già c’era.
Chissà,
magari era stato proprio quel colpo a convincerli ad andarsene davanti una
difesa tanto accanita da parte di quelle due checche. Purtroppo prima di farlo
avevano finito di sfogarsi rifilando un occhio nero all’uno e buttando a terra
l’altro; Feli era caduto sulla breccia che ricopriva il vialetto dei
giardinetti in cui, approfittando del buio e del luogo appartato, cinque
perditempo avevano deciso di movimentare la propria serata dandole alla
“femminuccia senza palle”.
La
femminuccia senza palle, cadendo, aveva strusciato con la fronte, ferendosi
sopra l’occhio, dopo che, già dolorante e a terra per i colpi subiti prima, su
di un fisico tanto debole, aveva avuto la forza di rialzarsi per soccorrere il
suo soccorritore.
“Hai
più palle tu di tutti loro messi insieme.”
“A-anche
tu le hai! Più grandi delle mie. Scusa, che sto dicendo, voleva essere una
specie di complimento… Ehm, non ho detto niente.”
Si
carezzò la spalla, anche se non ne aveva realmente bisogno, se non per calmarsi
un po’…
“Ludwig?”
“Si?”
“Io
penso che tu…”
Ludwig
restò ad aspettare, squadrando ogni singola vibrazione sulle labbra dell’altro
fattesi improvvisamente mute, come a volerne carpire i pensieri che le
scuotevano. Pensieri che non riuscivano a prendere forma, o che forse l’avevano
già nella sua mente, ma che non sentiva di poter far uscire.
“Che
tu sia… Il miglior amico che un mezzo scemotto gay come me possa avere!”
“Mi
fa piacere sentirlo.”
Sembrava
avesse buttato a caso le parole con quell’ultima frase. Aveva
quest’impressione, come non fosse stato ciò che realmente volesse dirgli.
Ludwig
passò ad occuparsi delle proprie sbucciature (si era lasciato prendere così
tanto dal discorso e dal prendersi cura di lui che aveva richiuso troppo presto
il kit!): esattamente all’opposto dell’italiano, non fece una smorfia né disse
un acca, cosa per la quale quest’ultimo lo guardò con malcelata ammirazione
In
quel mentre, Feli si guardò attorno, come furtivo, come se non conoscesse più
la sua stanza. Ludwig lo notò: anche questo era da attribuire al fatto che
fosse ancora scosso? Più probabilmente, si disse, non c’era altro da dire e stava
semplicemente aspettando finisse, e lui dal canto sua stava pensando forse più
del dovuto.
Si
rialzò e chiuse nuovamente il kit.
“Tutto
bene?”
“Si, tranquillo, mi conosci, a differenza tua sono di ferro, o così dicono…”
Il
panzer, così l’avevano definito suo
fratello e gli altri suoi amici italiani dopo che nessuno di loro era riuscito
a batterlo a braccio di ferro dopo averlo sfidato: “sboroni”, sembrava fosse il
termine italiano adatto per la figura che avevano fatto…
“Oh,
se lo so…” –ridacchiò Feliciano, tastandosi il braccino.
“Bene”
–disse la voce del suo salvatore dal bagno, da dove era andato a riporre il
pronto soccorso- “Io stasera dormo qui.”
“COME?!”
“Nel
salotto hai un bel divano, e con le finestre spalancate si sta bene.”
“Ma…”
Feliciano, passando improvvisamente da un sacco sfatto a una lepre, si lanciò
giù dal letto, infilò le infradito e corse nel soggiorno dell’appartamentino
che si era affittato per quelle vacanze estive. Suo fratello per quella sera
avrebbe dormito da un amico che stava un paio di paesi più in là, e non voleva
che il poveretto dovesse trovarsi a trascorrere da solo la notte con quello che
gli era capitato.
“Avrai
preso una bella paura, immagino tu voglia un po’ di compagnia, specie nel caso
tu non riesca a prendere sonno.”
“Ludwig…
Hai già fatto tantissimo per me stasera, non voglio approfittarmi di te.”
“Per me non è un problema, in campeggio ho dormito praticamente sui sassi, un
divano…”
“Ma per me non devi… Cioè… Anche tu sei stanco e devi riposare, se poi resto
sveglio non riposi, quindi…”
Anche
l’italiano sapeva essere premuroso; nello specifico, lo era molto più spesso
rispetto a lui in effetti…
Si
tirò su un sorriso: “Dai, poi sembra che ti sto sempre appiccicato, magari gli
altri cominciano a “sospettare qualcosina” e sai com’è quindi…”
Veramente
era Ludwig ora, lì in quella stanza, a star “sospettando qualcosina”… E si
disse era il caso di controllare.
Alzò le mani: “Va bene allora, ammiro la tua tempra, Feli. Scampare a un
pestaggio e andare a letto come se niente fosse, mi sorprendi.”
Era
quello che aveva detto di volere fino a un attimo prima, ma tanta velocità nel
cambiare idea, quando si sarebbe aspettato un po’ più di resistenza, l’avevano
del tutto spiazzato.
“Allora
io vado, eh?”
Cominciò
a chiudere lentamente la porta.
“A
domani.”
Rallentò ancora, per dargli il tempo di reagire.
“Aspetta!”
Beccato.
Tornò
dentro e si richiuse la porta alle spalle.
Era
più alto di lui e quando si avvicinava troppo, come in quel caso, Feli non
vedeva che il suo petto e dovevano l’uno alzare il capo e l’altro abbassarlo
per guardarsi negli occhi.
“Tu
non vuoi che io me ne vada, giusto?”
“N-no.” –balbettò lui.
Feliciano
si sentì la bocca impastata. Ancora una volta, la severità nello sguardo del
tedesco fece sentire il suo effetto: si sentì teso, come sull’attenti, e
l’ordine che gli stava imponendo, era quello di essere sincero.
“Non
voglio…” –riprese fiato- “Che tu te ne vada.”
“Solo
per quello che ti è successo prima? O anche per altro?”
“Per… Per…”
Come
ipnotizzato da quella domanda, Feliciano restò bloccato un’interminabile
manciata di secondi.
Esattamente
come si era aspettato, Ludwig lo osservò salire sulle punte degli infradito:
sembrò stesse affrontando una scalata, tanto aveva il fiatone.
Chiuse
gli occhi e fu sincero, fino in fondo.
Quando
si allontanò, le labbra di Ludwig erano scomparse nella sua bocca, come il
tedesco stesse analizzando quella novità assoluta.
Feliciano
si batté una mano sulla fronte, nascondendo la faccia: “Che cavolo ho fatto?”
Lo
sospettava da un po’, e ora che ci aveva sbattuto il naso, o meglio le labbra,
ora che Feliciano era lì, nervoso, a balbettare le solite scuse di quando si è
fatta una gran stupidata, lui si isolò completamente nei suoi pensieri,
chiedendosi come prenderla, come reagire.
“Non
volevo… Io… Scusami, Ludwig, io lo so che tu non sei come me, lo so. Vai pure,
non ti preoccupare, io starò bene.”
Ludwig si portò le dita sulle tempie: come se quella sera non ne avesse subiti
abbastanza di colpi, forse poteva risparmiarsi di indagare tanto e farsi venire
un cerchio alla testa tanto stretto.
Guardò
l’italiano, suo amico da diversi anni, che, poteva essere da poco come poteva
essere dal primo istante, provava qualcosa per lui.
Uno
scemotto, un piccoletto svampito, un altro maschio, un “frocio”.
“Senti…
Puoi rifarlo?”
“…
Cosa?”
“Rifallo.”
–ripeté lui, dopo un attimo di incertezza e rossore di guance.
L’aveva
mai visto arrossire così, pensò Feliciano? Accidenti se diventava carino…
Fedele
allo stereotipo del passionale italiano, non restò con le mani in mano davanti
a quella richiesta, ma le andò ad incrociare dietro la sua testa, posando di
nuovo le labbra sulle sue.
Le
labbra di un altro uomo. Il suo primo pensiero.
Ma
sono quelle di Feli. Quello subito dopo.
Io
gli voglio bene, bene sul serio, gli disse il dolore che pulsava nell’occhio
nero che si era procurato nel dimostrarglielo.
Fu
solo verso la fine, ma ricambiò il bacio.
E
lui a quel punto, fattosi coraggio, baciò ancora.
Con
le finestre spalancate e il mare solo un paio di strade di distanza si stava
davvero freschi: l’aria entrando dava i brividi sulla pelle sudata sotto le
magliette, ma al contempo si sentivano bruciare.
“Ludwig…
Voglio… dormire con te…”
E
come faceva ora a tirarsi indietro, dopo essersi proposto per primo di “dormire
lì”?
La
radio del bungalow-bar poco distanze prese ad allietare quel finale di giornata
sulla spiaggia con uno degli ultimi successi dell’estate.
http://www.youtube.com/watch?v=qjHlgrGsLWQ
Nel
frattempo, un coro di urla annunciava che l’Italia era riuscita a pareggiare.
L’aria
era satura di mare, allegria, libertà, tutto l’occorrente per un’estate
meravigliosa. Ma i due seduti sulla riva ancora aspettavano a tuffarcisi.
Feliciano
comunque ne aveva già avuto un assaggio la sera prima, trasformatasi da una
delle più brutte a una delle più belle; ma l’ultima cosa che voleva era che per
Ludwig valesse l’esatto opposto.
“Non
vorrei tu dessi troppo peso a quello che abbiamo fatto dopo il bacio.” –disse
l’italiano- “In certe situazioni delicate può capitare che due persone…”
“Si,
mi è capitato qualcosa di simile con una ragazza, tempo fa.”
Rise:
“Poi succedono cose del tipo quando ti svegli e fai “Oh, cavolo! Ma che ho
fatto?!”... Hai presente?”
“No, non è che io sia proprio pentito di quello che è successo.”
“No?”
“No.”
Alla
fine era riuscito a prendere sonno, un sonno sereno, che nessuno spregevole
insulto o violenza subita aveva potuto scuotere, dal quale si era risvegliato
con in mente un altrettanto classico scenario da mattino dopo: loro due su un
letto, mezzi addormentati e nudi, che si cercavano dietro gli occhi
appiccicati, per poi trovarsi e stringersi l’uno all’altro nel migliore dei
buongiorno.
Ovviamente
una stupenda scena per qualche film, ma nella vita reale il romanticismo non si
dispensa tanto facilmente, specie considerando la loro situazione.
Si
era spaventato quando, riaprendo gli occhi, non aveva visto nessuno accanto a
sé sul lenzuolo tutto stropicciato. Uno spavento di quelli che senti dolore al
cuore. Ma poi aveva trovato il suo messaggio su un foglietto di carta posato
sul comodino ed era subito ritornato il sereno.
Non ti preoccupare, sono solo
andato a fare due passi per schiarirmi le idee
Dopo ne parleremo con calma
A più tardi
Era
sparito praticamente tutta la giornata.
“Ludwig,
va tutto bene?”
“Se ti riferisci alle botte, si.”
L’occhio
si era decisamente sgonfiato: doveva averci dato dentro di ghiaccio per non
farsi notare e dover dare spiegazioni; anche Feli aveva ben poche tracce
visibili, salvo il cerotto sulla fronte, che con suo fratello aveva spacciato
per una porta.
“Mi
riferivo anche… Beh, a dentro.”
Ludwig
poggiò le mani nella refrigerante sabbia, sgranchendo un poco il collo: “Ah,
quello…”
Già,
quello; di cos’altro poteva preoccuparsi? Non solo gli si era dichiarato un
amico, e già quello di solito è una mazzata, l’aveva fatto un suo amico
maschio; quindi un doppio colpo per un etero su cui nessuno (specie sé stesso)
aveva mai avuto dubbi.
Lo tenne sulle spine qualche altro secondo, poi iniziò a parlare, guardando però
fisso verso il mare, mentre Feli non gli staccava gli occhi di dosso.
“Ti
starai chiedendo cos’abbia fatto tutto questo tempo, vero?”
“Se ti va di dirmelo…”
“All’inizio ero confuso su come affrontarla, poi mi è venuta un’idea.”
“Che
idea?”
“Ho visto un film porno, un porno gay.”
“Ve?!” –si lasciò scappare Feliciano, la sua personale esclamazione.
Il
tedesco si guardò intorno, per assicurarsi che gli altri fossero ancora tutti
presi dal gioco; ci teneva alla sua sfera privata, specie ora che per colpa di
Feli tutto al suo interno stava venendo messo in discussione.
“Finora
sono stato solo con ragazze, e naturalmente ho visto quel genere di film solo
con ragazze dentro… Ieri… Non posso dire non mi sia piaciuto… Così oggi ho
fatto un test.”
L’ingenuo Feli era arrossito al solo pensiero (non che non ne avesse visti di
porno gay, ma non era un argomento di cui credeva si potesse parlare così
facilmente…): “E… il risultato?”
“Se
devo essere sincero... Non mi ha fatto per nulla un bell’effetto: dopo poco più
di dieci minuti ho messo pausa. Non mi piaceva, né mi provocava granché dove
sai. Questo e un po’ di giri a vuoto per casa mi hanno convinto
definitivamente.”
Solo
allora si girò verso i suoi occhi castani, come quelli di un bambino che
aspetta col fiato sospeso il finale della fiaba che gli stavano raccontando.
“Io
non sono gay.”
Feliciano
annuì e si girò verso il mare. Anche lui aveva impiegato coscientemente quella
giornata a togliersi dalla testa illusioni eccessive. Uno non cambia mica
sponda da una sera all’altra per il bel faccino da ventenne efebico come il suo.
“Ho
fatto quel che ho fatto con te, ma la realtà è questa. A me non piacciono gli
uomini.”
Naturale,
continuò ad annuire Feliciano, contento che il ragazzo a cui aveva confessato i
sentimenti che aveva dolcemente covato in silenzio si fosse dimostrato così
maturo con lui: alla sincerità che gli aveva mostrato quando la sera prima l’aveva
chiesta, aveva risposto con la propria, non si sarebbe aspettato nulla di
diverso dal tipo a cui aveva affidato il suo amore.
Alla
fine non lo aveva certo deluso, per questo, sotto i suoi occhi tristi, regnava
sovrano un piccolo sorriso.
“A
me piaci tu.”
Feliciano
annuì. Poi si rese conto e drizzò la testa!
“Eh?!”
“A
me piaci solo tu.” –continuò il biondo, divertito dalla sua espressione.
“……”
Vistolo
così paralizzato, Ludwig provò a vedere se con una delle solite carezze in
testa riusciva a risvegliarlo.
“Io…
Io ti… piaccio?”
“Se
sei l’unico maschio con cui ho fatto sesso anche non essendo gay qualcosa
significherà.”
Quella
era la conclusione a cui era giunto in un giorno di isolamento, passi a vuoto e
porno omosessuale. Una conclusione che spalancava nuovamente il libro di fiabe
che Feli aveva chiuso con troppo anticipo.
“Quindi…
Non ce l’hai con me?”
“Dovrei?”
“Temevo pensassi che volessi farti diventare…”
“Non mi hai fatto diventare niente, Feli.”
“E io ti piaccio?”
“Si.”
“Come
ti sono piaciute le tue ragazze?
“Si.”
La
canzone sembrava essere diventata la loro colonna sonora.
“Quindi
non ci sarebbe niente di male se io… e te…”
Accidenti,
sbottò, non riusciva a dire più niente con una conclusione sensata!
“Sarà strano per me certo, ma… Penso valga la pena di provare.”
Per
lui si, ne valeva la pena, anche se era un altro maschio.
Il cuore di Feli batteva più forte ad ogni frase: doveva dare sfogo a
quell’esplosione che aveva dentro, ma le parole avevano fallito.
Così si rivolse alla sua mano, che scivolò sulla fine e profumata sabbia fino a
raggiungere la sua. Le loro dita si incrociarono strette.
“QUELLO
ERA FALLO!”
Adesso
si: anche con i loro esuberanti fratelli a gridare e insultarsi la spiaggia era
diventato un posto romantico, oltremodo romantico.
Poi
smisero di ascoltare anche la canzone.
Poi
smisero di ascoltare anche il mare.
Restarono
soli sul serio.
Ludwig
si mosse.
“Ludwig,
sei sicuro? Siamo in spiaggia, davanti a tutti.”
Il
tedesco sgranò gli occhi, come al risveglio da un trance; si guardò intorno
frettolosamente, ma nessuno sembrava averlo visto avvicinare il viso a quello
di Feli.
E
dire che dei due non era certo lui quello che di solito agiva senza pensare!
“Ludwig,
non sforzarti, se ti causa imbarazzo non devi.”
Però aveva già il fiatone: anche lui stava per esplodere!
“Beh,
però ci starebbe proprio bene a questo punto...”
“…
Sei sicuro?” –gli chiese, lanciando una rapida occhiata ai loro amici e
fratelli.
“Se qualcuno avrà da ridire, lo sistemo come ho fatto ieri: così mettiamo
subito le cose in chiaro!” –scherzò lui carezzandosi le nocche d’acciaio.
Feliciano
rise. Se gli avessero chiesto cosa lo avesse fatto innamorare del suo amico
tedesco avrebbe detto senz’altro la sua forza, ma non quella fisica. Ludwig era
forte nell’animo, e accanto a lui non c’era un solo istante in cui non si
sentisse forte a sua volta, sicuro, protetto da un principe azzurro che non
digerisce ipocrisie o ingiustizie.
Una
sbarra di solido acciaio che però sapeva fondersi al calore che emanava un
piccoletto sciocco e dolce come un lui.
Ludwig
guardò un’ultima volta intorno a sé, nervoso come un bambino, ma poteva
permetterselo solo per un altro attimo ancora.
Perché
Feli era già vicinissimo.
Gilbert
staccò gli occhi dal pallone e casualmente questi cascarono proprio su di loro
nel momento in cui le labbra stavano abbracciandosi.
“Was?!”
E
cascarono così anche la sua mandibola e le sue braccia…
Romano
si avvicinò e capì tutto in uno sguardo:
“Aò!” –provò a svegliarlo- “Che
non lo
sapevi che mio fratello era una checca?”
“Ich glaube…” –cominciò a dire nella sua
lingua madre- “Non sapevo… che lo fosse il mio…”
L’abbronzato
italiano gli diede una pacca: “Eh, lo so, quando lo scopri è dura. Non ti dico
io all’epoca, che mazzata… FREGATO!”
Approfittando
del suo stato confusionale, quel bastardello gli aveva soffiato il pallone da
sotto il naso! Gilbert si era subito lanciato dietro di lui, ma quello si
sbrigò a segnare il vantaggio della squadra italiana!
“Alé!”
Gilbert
non si risparmio in ingiurie e imprecazioni teutoniche, solo che non sapeva se
rivolgerle allo scorretto avversario o a suo fratello che continuava a baciarsi
in pubblico con un uomo!
“Allora,
battete o no?”
Si
menò un paio di ceffoni in faccia e cercò di togliersi quell’immagine di testa:
c’era una partita da vincere!
I
loro fratelli l’avevano già vinta e ora potevano finalmente fare il tifo,
ognuno per la propria nazionale.
Ludwig
e Feliciano vincono così la loro partita sull’omofobia: gli ignoranti violenti
tornano a casa con la violenza, e chi invece ha voluto bene ottiene un momento
meraviglioso su una spiaggia col tramonto. Ognuno raccoglie ciò che semina, che
sia etero o gay ^__^
Questa
cosa del “Non sono gay, non mi piacciono gli uomini, mi piaci tu” mi è venuta
in mente parecchio tempo fa e mi è subito piaciuta come concetto. Personalmente
credo nella possibilità che qualcuno possa innamorarsi di qualcuno dello stesso
sesso pur non essendo omo: se c’è amore, se c’è volontà di voler bene, perché
limitarsi? Perché non tentare?
Sono
contento di questa fic, per come è venuta, per messaggio che trasmette, e anche
per il tono estivo-vacanziero in cui è riuscita a calarmi e spero abbia fatto
calare anche voi!
Buon
proseguimento d’estate!
PS:
GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!