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Autore: Audrey Shadows    25/06/2012    0 recensioni
Non era umanamente possibile che Tom -testadicazzo- Kaulitz provasse una qualsiasi attrazione per lei. Se il suo modo di far sapere alle ragazze che era interessato a loro, era torturarle psicologicamente fino ad indurle al suicidio passando per la corsia principale (e quello non era il suo caso, facendo presente le numerose smancerie da playboy con le bionde oche della scuola) allora sì, era interessato a lei.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Con questo scritto, l'autrice non vuole dare alcuna rappresentazione della realtà. I Tokio Hotel non le appartengono e gli eventi sono puramente frutto di fantasia. In questo scritto non vi è scopo di lucro.

I need some distraction or a beautiful release




-Keller 5, Zimmermann 2- la penna tracciò il marchio indelebile sul registro della professoressa.
Era l’ennesima insufficienza in quella lingua insulsa e stupida che era il francese.   
La professoressa era una vecchia frigida, che aveva evidentemente bisogno di scopare.
L’aveva catalogata come una ragazza che non aveva voglia di fare nulla, che non studiava e che non si impegnava. Non era affatto così, ma ogni qual volta che la interrogava, sembrava provasse un sadico piacere nel vedere che era in difficoltà.
Sophie Keller era una ragazza di 17 anni, capelli mori, occhi castani, naso a “patata”, corporatura longilinea.
Era una ragazza carina, nella norma. A scuola sopravviveva, come i suoi compagni di sventura, meglio noti come Bill e Tom Kaulitz; loro due sì che erano forti!
Bill era un ragazzo che ne aveva prese tante a causa del suo aspetto ambiguo, ma lui voleva differenziarsi dalla massa, essere diverso e non conformizzarsi.
Suo fratello gemello, Tom, era un altro tipetto parecchio particolare: lunghi rasta color del grano, maglie oversize, pantaloni beggy, e immancabili capellini da baseball. Aveva un’innata passione per lo skate (attività in cui rischiava di perdere la vita più che entrare in una gabbia di leoni affamati), e i murales/graffiti.
Erano due ragazzi molto simpatici, ovviamente se andavi al di sotto della copertura da strafottenti che avevano.
Aveva tutti e 3 la stessa età, erano in classe insieme e … lei era la migliore amica di Bill, nonché oggetto delle prese in giro del fratello.
Lo odiava,  quasi. Era costretta a sorbirselo durante il viaggio di un’ora di andata e ritorno dell’autobus, durante la ricreazione e il pranzo e quando andava a casa di Bill.
Non capiva perché dovesse essere così stramaledettamente idiota. Era un cazzone/stronzo patentato che non sapeva mettere in fila una frase di senso compiuto … no quella era una cazzata. Le sue uscite un senso compiuto l’avevano, ed erano pure taglienti.
Non capiva che gli avesse fatto di male per essere trattata come l’ultima delle pezzenti.
Ma era decisa a scoprirlo prima del loro diploma.
Ovviamente aveva una certa “ammirazione” (se così si può chiamare una cotta che durava dall’asilo, quando gli chiese se potesse essere la sua fidanzata, e lui le rispose che ne aveva già 4 e avrebbe dovuto mettersi in fila) per quel ragazzo.
Per quanto stronzo, puttaniere e idiota, sapeva che c’era dell’altro … non era geneticamente possibile che tutti i pregi fossero andati al fratello, suo migliore amico.
Lo aveva potuto notare quando era corso alle 2 di notte ad una festa e Bill era ubriaco fradicio, lasciando una biondina a bocca asciutta; l’aveva notato quando si prendeva le botte per il fratello.
Avrebbe voluto che fosse più gentile con lei, non avrebbe preteso altro.
-sei stata brava Keller…- le scoppiò a ridere in faccia l’oggetto dei suoi pensieri
-senti da che pulpito arriva la predica!- Tom non sapeva un’acca di francese aveva la media del 6 e ne andava pure fiero!
-almeno non rischio di essere bocciato- ghignò, aprendosi la merendina
-perché non vai a farti una delle tue puttane?- gli sorrise alzando il dito medio.
-ora che me lo ricordi dovrei andare da Krystel! addio- e scomparve fuori dalla classe.
Non l’aveva nemmeno sentita suonare la campanella.
Un’ombra la sovrastò.
Inutile precisare che era Bill.
Prese una sedia e le si sedette difronte.
-hey … mi dispiace …-
Ma Sophie alzò una mano per stopparlo –ti prego no. Parliamo d’altro-
Bill annuì –che succede con mio fratello?-
-cambia ancora argomento- Bill sapeva della sua cotta, e la spingeva a parlargli. Ovviamente era il gemello, che caspita poteva fare??
-diamogli un nome in codice- propose
-stronzo-
-bene, lo stronzo non sa niente, non gli ho detto niente- “ti conviene” pensò Sophie –però tu dovresti almeno cercare di farti rispettare. Mi fa male vederti come ti tratta …-
-e perché non glielo dici?- gli chiese
-perché penserebbe che ho una cotta per te .. e sinceramente? Che schifo! Il solo pensiero mi viene male…-
-oh molte grazie Bill, davvero! La mia autostima è alle stelle!- gli disse sarcastica.
-non è perché sei brutta, perché sai benissimo che non è vero … è che sei come una sorella, mi farebbe schifo …-
Sophie annuì e lo lasciò continuare con la sua epopea
-comunque … tornando al nostro discorso … io vorrei che gli parlassi, veramente … magari potresti piacergli …- sapeva qualcosa che Sophie non sapeva? Ovviamente … ma quello proprio non poteva essere. Non era umanamente possibile che Tom -testadicazzo- Kaulitz provasse una qualsiasi attrazione per lei. Se il suo modo di far sapere alle ragazze che era interessato a loro, era torturarle psicologicamente fino ad indurle al suicidio passando per la corsia principale (e quello non era il suo caso, facendo presente le numerose smancerie da playboy con le bionde oche della scuola) allora sì, era interessato a lei.
-e anche nella possibilità? Essere una delle sue puttane? No grazie, passo il ruolo a Kathrine- rispose sbuffando, incrociando le braccia al petto e stravaccandosi sulla sedia.
Bill rimase in silenzio, (cosa degna di nota), evidentemente pensava (apriti cielo …).
Poi si ridestò dalla sua trance e parlò (manco fosse stato l’oracolo di Delfi) –oggi vieni a pranzo da noi, tanto è venerdì e resti a dormire da me … come abbiamo fatto migliaia di volte.-
-che hai intenzione di fare?- chiese sconcertata –anzi non voglio saperlo. Accetto e basta … tanto so che mi avresti scartavetrato  i maroni finché non avessi acconsentito…-
Bill si illuminò di un sorriso a 34 denti –hai capito come funziona finalmente! Bene, vado a mangiare le mie patatine… ciao!- e scappò dalla classe senza che, per l’ennesima volta, Sophie potesse chiedergli dove andava a finire tutto quello che mangiava.
La ricreazione passò velocemente, e l’ora di filosofia cominciò quanto prima.
Il professor Hoffmann decise di interrogare; il suo dito percorse i nomi sull’elenco, fermandosi a metà.
Sophie sudò freddo.
-Kaulitz- disse il professore ghignando (o forse pareva a lei) facendo pigliare un colpo ad uno dei due, precisamente ad un piccolo cucciolo di foca spaurito che non sapeva un cazzo di Freud -Tom- aggiunse poi, facendo prendere un sospiro di sollievo a Bill.
Tom sorrise beffardo si alzò e raggiunse la cattedra.
Sophie lo guardò con schifo.
Quel dannato ragazzo non apriva un libro, passava tutti i santi pomeriggi a scopare come un riccio, e nel miglior caso a giocare alla play, e sapeva tutto! Aveva la media del 2 in tutte le materie tolta educazione fisica (nella quale faceva altamente merda, ance se lui dava la colpa agli altri compagni che gli tiravano i capelli) e per l’appunto francese.
L’interrogazione come previsto andò benissimo, e mentre Tom si accingeva a tornare a posto le lanciò un’occhiata sorridente e strafottente.
Dannati i suoi occhi.
Sapevano parlare, l’avrebbe giurato. Se avesse dovuto diventare muto (avrebbe per prima cosa ringraziato il signore) i suoi occhi avrebbero parlato per lui.
Si trattenne dal tirare un pugno al banco e seguì la lezione.
Sentiva i suoi occhi perforarle la schiena (e la sensazione era raddoppiata a causa di Bill).
Pregò che quella giornata finisse, così da rintanarsi in camera dell’amico e scomparire.

La campanella dell’ultima ora suonò; Sophie aveva già lo zaino pronto, e attese pazientemente i gemelli.
-che fai? Hai paura di perderti?- le chiese Tom avvicinandosi
-no. Si da il caso che io debba venire a casa tua-
-che bello!- ghignò Tom –e io che pensavo di non avere distrazioni questo pomeriggio, e mi stavo già disperando…- la superò e si avviò all’uscita di scuola.
-io lo ammazzò …- sibilò Sophie stringendo i pugni. Si calmò quando sentì una stretta alle spalle: Bill, più alto di lei di 20 cm buoni, gliele aveva circondate con un braccio –tanto sei consapevole di non volerlo fare …- le sorrise mieloso
-lo so … è questo il punto- sbuffò lei in risposta spostandosi dal contatto –andiamo!- e una volta usciti salirono sull’autobus, che riuscirono a prendere per miracolo.
Una volta arrivati a Loitsche, paesino di poco più di 200 anime, si affrettarono ad arrivare a casa. Una cosa che li accomunava, senza distinzioni di simpatie, era che il loro stomaco fosse un buco nero.
Entrarono in casa, e Simone li accolse calorosamente; li fece sedere in sala da pranzo e apparecchiò anche per Sophie, servendo poi pasta al forno.
-wow … sono buonissime Simone!- esclamò poi la ragazza, facendo sorridere Bill, e sbuffare Tom.
Sophie scosse la testa, non sapeva proprio che fare con quello.
Finirono il pranzo in silenzio, e poi Tom si dileguò in camera sua, e Simone tornò a lavoro.
-finalmente il pomeriggio tutto per noi!- esclamò Bill
-si certo immagino … Bill, che ne dici di andare a prendere un buon gelato alla gelateria buona a 10 minuti da qui?- chiese con occhi da cerbiatto Sophie.
Non voleva avere Bill in casa mentre parlava con Tom.
-ma perché.. vacci tu!- Sophie assottigliò lo sguardo.
5 minuti dopo Bill si era infilato il suo giubbotto di jeans ed era uscito.
Sophie inspirò ed espirò più volte prima di salire le scale e avvicinarsi alla porta di Tom.
Da dentro proveniva una melodia delicata dio una chitarra acustica.
Era Tom.
In contrasto al suo essere, sapeva suonare la chitarra veramente bene. E visto che era un tizio pragmatico, potente e abbastanza silenzioso, riusciva ad esprimere ed esternare i suoi sentimenti con quello strumento.
Non che lei avesse potuto constatarlo, questo glielo aveva detto Bill.
Bussò e un semplice “avanti” la invitò ad entrare.
-oh sei tu …- disse poi Tom alzando lo sguardo per pochi secondi, prima di donare nuovamente attenzione alla sua chitarra.
-si … sono solo io.-
-che vuoi?-
-Bill se ne è andato e mi scocciava stare sola …-
-oh… e quindi? Io che posso fare?- le chiese sarcastico
-niente.- rimase in silenzio, a guardarlo mentre riprendeva a suonare.
-non è vero è una cazzata- affermò poi, stranamente sicura di sé. Catturò la sua attenzione, e lui puntò gli occhi in quelli di Sophie.
-perché mi tratti così?- chiese poi con un filo di voce
-così come, scusa?- chiese Tom divertito
-mi tratti come se mi odiassi … anche se sono abbastanza sicura di questa cosa …-
Tom rise ancora più forte –io non ti odio!- a giù a ridere.
Sophie era una ragazza intelligente, ma proprio non capiva cosa ci fosse da ridere.
-e allora perché mi tratti così?-
-Keller hai bevuto? Perché dovrei odiarti?- chiese poi cercando di darsi un contegno –non mi hai mai attaccato una cicca nei dread-
Questo fece sorridere Sophie.
-no … però sembrerebbe che tu ce l’abbia con me … e non mi piace la maggior parte delle volte .. cioè, mi fai stare male…-
Tom la guardò, soppesando la sua affermazione. Possibile che non se ne fosse mai accorto? La ragazza incassava bene…
-mi dispiace se ti ho dato questa impressione … ma proprio non avevo intenzione. Non volevo farti star male … cioè io mi divertivo, tu mi reggevi il gioco …- le disse posando la chitarra e facendo cenno di sedersi.
-quindi non ce l’hai con me?- chiese per assicurarsi Sophie
-no… decisamente no … solo che i nostri botta e risposta mi piacciono- si grattò la nuca, con un’espressione imbarazzata in volto. Evidentemente gli costava parecchio ammetterlo.
-ah ok … bene …- Sophie si rialzò. Aveva raggiunto la soglia massima di sopportazione alla sua presenza.
-che hai? Sei pallida come uno straccio … stai bene?-
-ottimamente … volevo solo dirti che ho disprezzato la tua persona a livello molecolare- sorrise –ma sono contenta di aver chiarito-
-anche io … ma sappi che non è una tregua- le disse Tom tornando quello di sempre, e ghignando.
-ovviamente Kaulitz. Adieu- e se ne andò.
Una volta chiusasi la porta alle spalle inspirò ed espirò. Era ancora viva. Ora doveva attendere il ritorno di Bill.

Il pomeriggio e il resto della serata passò tranquillo, per quanto possa essere definito così, quando hai nella stessa casa due persone che non possono fare a meno di prendersi a parolacce.
Il giorno seguente Sophie tornò  a casa felice e riposata, e trascrisse tutto nel suo diario.
Era una cosa alquanto infantile, ma le piaceva l’idea di poterlo rileggere in un futuro.
Dedicò il resto del week-end allo studio e ai compiti.
La settimana seguente iniziò con un bestemmione alle 6 di mattina appena salita in bus.
Aveva dimenticato la tesina del professor Freeman a casa.
Sperò di averne una copia nella chiavetta. Pensò di trovare conforto in Bill, ma al suo solito posto vi era invece Tom, che le sorrise cordialmente.
-Bill è ammalato, ma posso allietarti io con la mia presenza …- la cosa la sconcertò alquanto, ma non disse di no.
-ci sei alla festa di Annekatrine?- le chiese poi.
-non sono stata invitata, mi dispiace- rispose alzando le spalle
-ti invito io.. dai vieni …-
-cosa c’è sotto?- chiese curiosa –in pratica uscirei con te-
-è un male?-
-per quanto riguarda l’accompagnatore sì-
-forza.. non sarà così male- le sorrise –ti prego …-
-addirittura mi preghi?- chiese esterrefatta –chissà cosa c’è di così importante! Dico di sì solo perché sono curiosa-
Tom sorrise compiaciuto e il resto del viaggio si accoccolò accanto al finestrino, sonnecchiando.
Una volta arrivati davanti al Joachim-Friederich-Kurfust-Gymnasium, a Sophie sorse una domanda; richiamò Tom e gli chiese quando ci sarebbe stata la festa .. e dove.
-stasera, a casa di Annekatrine, sai dov’è?-
 Sophie annuì. Come non saperlo? Era la ragazza più ricca della scuola, era come non sapere dove si trovasse Berlino o Roma. O meglio ancora Los Angeles.
Il pomeriggio a casa fece le corse: si lavò, si truccò si acconciò i capelli, e per le sette era pronta.
Uscì di casa lasciando un biglietto a sua madre, e con il suo motorino si avviò.
Una volta arrivata, parcheggiò al buio e vi restò finché non vide Tom.
Gli andò incontro, attraversò la strada che li divedeva … ed eccolo che stava limonando con una tipa, non bene identificata.
Il cuore di Sophie quasi le sfondò la cassa toracica, e fece per riattraversarla, ma Tom la chiamò.
-hey raggio di sole! Vieni qui!- per tutta risposta lei alzò il dito medio e fece per andarsene, ma pochi secondi dopo, o forse solo qualche frazione di secondo, si sentì spingere e poi cadere per terra, scorticandosi braccia e gambe.
Un grande stridio di freni,una botta e una più lieve.
Si rialzò a fatica, vedendo una macchina blu scappare a gran velocità.
Immediatamente, il fagotto in mezzo alla strada non lo identificò.
Ma avvicinandosi e sentendo la ragazza di prima urlare capì tutto.
Corse verso quel coso immobile, si inginocchiò e lo voltò verso di sé.
Tom era tutto un’escoriazione e perdeva parecchio sangue dalla testa.
-chiamate un’ambulanza! Presto!- ebbe la forza di gridare appena in tempo.
Poi concentrò nuovamente l’attenzione su Tom.
Le aveva salvato la vita … e lei si preoccupava se la prendeva in giro.
Si appoggiò la sua testa sulle gambe –Tom? Mi senti? I soccorsi stanno arrivando- aveva un magone in gola, che presto si trasformò in un pianto inconsulto.
-Tom? Ti prego … non morire … chi mi prenderà in giro poi?- diceva cose senza senso, dandosi della stupida, perché se lei non fosse scappata, lui non sarebbe ridotto così.
Non sarebbe lì, immobile fra le sue braccia.
Sentì le sirene dell’ambulanza, sentì portarsi via Tom dal grembo e lei issata sull’ambulanza insieme al ragazzo.
Gli prese la mano, mentre i paramedici lo soccorrevano.
Il viaggio verso l’ospedale fu il più lungo della sua vita. E l’attesa, nella quale dovette fornire i propri dati anagrafici e quelli generali dell’amico, fu la più straziante fino a quel giorno.
Vide Gordon e Simone entrare di corsa in ospedale, preoccupatissimi e forse anche arrabbiati.
Vide Bill bianco come un cadavere (quindi ancora più bianco del solito) con le lacrime agli occhi.
Forse era vero che nei gemelli omozigoti, quando uno stava male anche l’altro ne subiva le conseguenze.
Si scusò più volte e Bill la strinse a sé. Piansero insieme, si sfogarono e si consolarono.
Tom, quel dannato imbecille, doveva farcela.

I dottori lo tennero parecchio tempo in sala operatoria; qualcosa come 4 ore e mezza.
Dopo quel lasso di tempo, nel quale Simone e Gordon avevano detto a Sophie di non stare così male, e che non erano arrabbiati con lei, un dottore uscì e chiamò Simone.
-è la madre?-
-si …- rispose questa titubante
-suo figlio ha subito un grave trauma alla testa, abbiamo riassorbito un’emorragia interna e ora è in come farmacologico  Simone si portò le mani alla bocca e cercò sostegno da Gordon.
-oddio … e adesso?-
-adesso deve riposare, non può ricevere visite- disse il dottore prima di andarsene.
Simone scoppiò a piangere, Bill continuò nel suo pianto disperato, e Sophie rimase immobile con lo sguardo perso nel vuoto.
Era tutta dannatamente colpa sua. Si alzò dalla sedia e corse fuori dall’ospedale.
Si sedette a terra, con la schiena contro il muro, noncurante del vestito.
Si prese la testa fra le mani e pianse, pianse e pianse.
Non sapeva quanto avesse pianto, sapeva solo che si era calmata quando Bill l’era venuta a chiamare, per dirle che si poteva entrare in camera.
Subito si alzò e entrò con lui.
Tom era disteso su di un letto, attaccato ad un respiratore e ad un macchinario per controllare le funzioni vitali.
Gli avevano tagliato i dread, ma questa era la meno. Lui era lì, vivo … beh quelli erano punti di vista. Lui era lì per colpa sua.
Non se lo sarebbe mai perdonato.
Rimase in stanza poco più di 5 minuti, e Bill la seguì all’esterno.
-che hai?- le chiese
-che ho?- rispose Sophie arrabbiata riprendendo a piangere –ho che è colpa mia se tuo fratello è in un letto d’ospedale, se è in come … è tutta colpa mia cazzo!- e giù a piangere.
-non è colpa tua … Sophie, ascoltami …- Bill la strinse a sé –facciamo così … adesso ci diamo dei turni, così gli stiamo sempre accanto … puoi insultarlo se ti va, ma dobbiamo stargli accanto, e parlargli…-
-Bill, hai visto troppe puntate di E.R- Bill rise sommessamente
-può darsi, ma ti va di farlo?- Sentì Sophie annuirgli contro il petto –bene… ora lasciamo i miei genitori dentro … noi torniamo dopo … vieni a sederti qua con me, ci riposiamo un po’-
Bill se la fece praticamente stendere addosso, e piano piano, Sophie si addormentò.

I giorni seguenti, come accordato, Bill e Sophie facevano turni al capezzale del ragazzo.
Circa 8 giorni dopo l’incidente, un pomeriggio alquanto caldo, toccava a Sophie stare in quella stanza.
Si sedette nella sedia affianco al letto, prese una mano di Tom fra le sue e la strinse.
-mi senti Tom? Sono Sophie …- ogni volta che stava dentro quella stanza, aveva perennemente gli occhi lucidi –ti ho comprato Playboy, ma l’ho dato a Bill … non mi sembrava molto intelligente portarlo qui … l’edicolante mi ha guardato malissimo- sorrise e rimase in silenzio qualche minuto.
Guardò il suo profilo immobile, il suo naso perfetto, la bocca distorta dal respiratore.
Era bello persino in quelle condizioni.
-mi manchi Tom …e ti voglio bene … non è vero che ti odio- tirò su con il naso –dovevo esserci io qui al tuo posto … non è giusto. Dovevi lasciare che quella macchina mi investisse. Perché sei così idiota?- ormai le lacrime facevano il suo corso, e dovesse staccarsi da Tom per asciugarle.
-Non so cosa darei per vederti aprire gli occhi, guardarmi e dirmi che mi odi. Me lo meriterei tantissimo.- silenzio –facciamo una cosa … quando ti sveglierai, smettiamo di attaccarci, di stare insieme … non sopporterei di vedere i tuoi occhi che mi guardano …-
Sentì un flebile ed impercettibile movimento. Credette di sognare.
Ma questo si riprodusse: Tom le stava stringendo la mano.
Rimase a guardarlo, immobile e con il fiato sospeso; vide le palpebre tremare e a fatica alzarsi e puntarsi nei suoi occhi.
Sophie gli mollò la mano e corse fuori dalla stanza per chiamare qualcuno.
In pochi secondi dottori e infermieri stavano aiutando Tom.
Sophie si strinse nelle spalle e andò in sala d’attesa, quell’orrenda sala d’attesa.
Passò circa un’ora prima che vedesse arrivare Simone trafelata insieme all’altro figlio. Non la guardarono nemmeno e corsero in stanza.
Sophie sorrise, prese il suo giubbotto e se ne andò.

Non andò più in ospedale, la promessa che si era fatta, ovvero scomparire dalla vita di Tom, l’aveva mantenuta. Era dura, perché per quanto sia le aveva salvato la vita.
Un lunedì mattina di giugno, tutti parlavano solamente di Tom. Sarebbe tornato a scuola lo stesso giorno.
Si era ripreso bene, e si diceva fosse più in forma di prima.
Sophie non lo guardò, anzi cercò proprio di evitarlo, in qualsiasi momento della giornata.
Era in cortile a pranzo, e sentì una ragazza, che successivamente identificò come quella che stava limonando con Tom poco prima dell’incidente, chiamarla.
Alzò lo sguardo e questa le riversò addosso un fiume di parole
-è tutta colpa tua razza di cretina! Non hai visto cosa gli hai fatto? Gli hanno dovuto tagliare tutti i dread … adesso si che ti odierà ancora di più! Sei solo una poco di buono …- ma Sophie, colpita da un attacco di rabbia le tirò un pugno.
-impara a farti i cazzi tuoi- ma di lì si scatenò una vera a propria rissa.
Il risultato fu che Sophie fu messa in punizione (e ciò consisteva nel pulire la scuola per una settimana, con nota di demerito sul registro) mentre quell’altra, che si scoprì essere una certa Silke (congedo scolastico per i seguenti due giorni).
Sophie cominciò la sua punizione il giorno stesso.
Era in palestra a pulire il pavimento, quando un’ombra la sovrastò.
-Keller?- la sua voce era profonda, ma senza un particolare tono di rabbia.
-non ci sono-
-dovresti essere più convincente, tu che dici?- Sophie sbuffò e alzò lo sguardo. Era bellissimo anche senza i suoi dread color del grano.
-che vuoi?- gli chiese spigolosa alzandosi
-sapere perché non sei più venuta in ospedale … o perché tu non mi abbia mai chiamato o perché non ti sei fatta più sentire nemmeno con Bill…-
Sophie sbuffò. Poco ci mancava perché scoppiasse a piangere di nuovo –Tom, io voglio uscire dalle vostre vite, ti è chiaro il concetto? È stata colpa mia se tu sei finito in coma e ti hanno tagliato tutti i dread … io non sono buona a niente-
-smettila … non è stata colpa tua, ma del cretino che andava oltre il limite di velocità …-
-smettila tu … Perché mi hai salvato? Con la fortuna che potevo avere adesso sarei due metri sotto terra e non qui a sentirmi uno schifo perché tu non mi hai lasciata andare…-
Adesso piangeva, e urlava quasi. Tom fece un gesto inaspettato. La strinse a sé.
-Sophie … io ti ho voluto salvare perché ci tengo a te ... capito?-
Sophie rimase immobile fra le sue braccia. Quanto aveva sognato quel momento? Davvero troppe volte, ed ora che si ritrovava lì con lui,non riusciva a goderselo appieno a causa di un cazzuto incidente.
-e non sono arrabbiato con te, e nemmeno ti odio … sono stato felice di sapere che tu stessi  bene …-
Gli occhi di Sophie piansero ancora più lacrime se possibile.
-e non piangere …- se la staccò di dosso e la guardò.
Quei bellissimi occhi color cioccolato distrutti dal pianto, le gote leggermente arrossate e i capelli scompigliati.
Tom credeva di non averla mai vista così bella prima d’ora.
Secondo gesto insensato della giornata: la baciò.
Sophie sgranò gli occhi, ma non si staccò da lui; al contrario, allacciò le braccia dietro il suo collo.
Si ritrovarono al buio in uno stanzino degli attrezzi ginnici.
Tom la spinse contro il muro e avvicinò il capo al suo collo. Sophie sentì il suo respiro caldo.
-Tom?- Le era uscito uno strano sospiro, un misto fra un gemito e una richiesta. Difficile da spiegare. Lui non rispose, semplicemente avvicinò maggiormente la bocca all’incavo del suo collo e lo baciò piano.
Dalle labbra le sfuggì un sospiro stupito.
-Cosa diavolo stai facendo?-
-mi sembra abbastanza evidente …- sorrise
Non aggiunse altro. Lei chiuse gli occhi, li riaprì. La gola era secca. Il respiro affannato. Le mani sudate.
Era tutto cosi dannatamente strano. Si erano presi a parolacce fino a qualche tempo prima, poi aveva tagliato i ponti e ora …
Sophie non aveva mai pensato a Tom in quel modo, si era follemente cotta di lui, ma non aveva mai pensato a lui in quegli atteggiamenti.
Pudica? Forse.
Eppure…in quel momento stava crescendo in lei una grande voglia. Voglia si capire che sapore avesse quella lingua che lui aveva sempre usato solo per stuzzicarla. Voglia di conoscere il suo corpo al di sotto dei vestiti taglia XXL. Per Tom era esattamente lo stesso.
Con forza strinse il corpo di Sophie al suo. Le uscì un sospiro un po’ più pesante dei precedenti. Lo sentiva. Cercò con gli occhi il suo sguardo…era buio. Non lo trovò, ma scoprì qualcos’altro. Qualcosa di soffice e allo stesso tempo di ghiacciato che le sfiorava la bocca. Erano le labbra di Tom. Che piano piano si incastrarono con le sue, perfettamente.
Lentamente Tom afferrò le cosce di Sophie e la sollevò da terra. I due toraci si alzavano e abbassavano ad un ritmo talmente veloce che sembrava avessero corso per quaranta chilometri in un minuto. Lui spinse il bacino verso il suo. Affondò le mani nei suoi capelli arruffati. Dopo di che scese verso la maglietta. La sfilò e la gettò a terra.
Appoggiò il palmo sul seno sinistro.
Per quanto la notte avesse sognato quella ragazza, e quella scena … nulla poteva eguagliarla.
Sorrise mordendo  goloso il labbro inferiore della ragazza.
Portò le mani sotto la sua gonna, che vennero a diretto contatto con gli slip di lei. Abbassò l’intimo, fino alle ginocchia, lei, nel frattempo, aveva allacciato con forza le gambe dietro la sua schiena.
Lei portò indietro la testa e lui ne approfittò per attaccare le labbra al suo collo. Riempiendolo di piccole macchiette rosse.
Fece scorrere la mano destra lungo la sua coscia e risalì fino all’ombelico, lasciandosi dietro una scia umida. Se non fosse stato buio avrebbe notato l’evidente rossore colorare le guance della ragazza. Si vergognava. Si vergognava perché provava piacere.
Si irrigidì. Tom sospirò.
Sophie strinse la maglia di lui. Poggiò la fronte imperlata di sudore alla sua spalla. Il ragazzo la strinse più forte e la schiacciò al muro. Le uscì un gemito…non sapeva se per il dolore o se per il piacere.
La sua mano sinistra si inoltrò sotto la maglietta XXL. Accarezzò delicatamente la schiena leggermente umida di Tom. Era un tocco molto delicato, ma quando lui diede una forte spinta, le unghie si conficcarono nella sua pelle.
Sollevò la testa e portò la mano destra sul volto del ragazzo. Lui invece aveva completamente perso la cognizione del tempo, dello spazio, di tutto insomma. Lei era cosi…vera. Istintivamente la strinse ancora di più a se. Stava per scoppiare…voleva scoppiare…ma, nello stesso momento, non lo desiderava. Arrivare all’apice significava arrivare alla fine. E lui non voleva. Ma il suo corpo ormai agiva da solo. Qualcosa di troppo forte li stava avvolgendo…li catturava in un turbine di sensazioni.
La campanella suonò.
Né Tom, né Sophie la sentirono.

Sapeva di aver fatto una grossa ed enorme cazzata.
Erano stesi su un tappeto di gomma, uno affianco all’altra.
Sapeva di avere addosso lo sguardo di Tom.
E non lo sopportava. Era caduta nella sua trappola, ed ora era una sgualdrina come tante.
Come quelle tante che aveva sempre odiato.
Si alzò e a tentoni cercò i suoi vestiti.
-che fai?- le chiese Tom non capendo.
-me ne vado … finisco il pavimento e poi vado a casa …-
-ma … perché non vuoi restare con me?-
-Tom … lo sappiamo tutti e due …- disse sbuffando e sentendo quell’inconfondibile male al petto.
-cosa sappiamo?- chiese serio. Sophie sentì un movimento affaticato. Probabilmente si stava sedendo.
-che … che mi hai scopato, hai avuto quello che volevi e mi lascerai perdere come fai con tutte. Io non sono diversa-
-Sophie  …- cominciò Tom
-ti prego almeno risparmiami le cazzate. Ti prego …-
-e se non ti volessi lasciar perdere?-
-sarebbe una bugia- rispose sicura Sophie.
-e chi te lo dice?- ora la voce era più dura –tu ti sei mai chiesta se quello che io provo per te è qualcosa di diverso?-
-no. No perché non sarebbe possibile …-
-per quale ragione?- sentì che s era avvicinato perché sentiva il suo respiro –dici che se non fossi interessato a te avrei mai saltato delle lezioni?-
-è un scopata Tom … l’avresti fatto per qualsiasi ragazza-
-come devo fare per convincerti del contrario?- chiese poi esasperato
-non lo so …-
Sophie si era rivestita, uscì dallo stanzino e lo lasciò al buio.
Tom tiro un pugno al muro. “fanculo!”.
E lentamente si rivestì. La sua maglia sapeva ancora di lei.

Il mattino dopo,Sophie si accorse di avere il suo profumo sulla pelle, di sapere ancora di lui. Nonostante le due docce che si era fatta.
Pianse, pianse tanto. Si era donata per la seconda volta ad una persona che amava, ma che purtroppo non ricambiava i suoi sentimenti.
O meglio, voleva prenderla per il culo.
Le suonò il cellulare, uscì dalla doccia e guardo il mittente.
Bill.
-pronto?-
-mi vuoi dire che succede?- aveva la voce abbastanza incazzata
-che succede cosa?- chiese disorientata.
-mio fratello non è ancora tornato a casa… tu c’entri qualcosa? Visto che gli piaci da una vita?-
Stop. Recap.
“visto che gli piaci da una vita?”
-che cazzo dici …-
-si Sophie, cazzo! Gli piace, va bene? Che è successo?-
-devo andare-
Sophie si vestì velocemente, e uscì di casa. Prese il motorino per andare a scuola.
Era in un fottuto ritardo come sempre, ma non gliene fregava assolutamente niente.
Sapeva benissimo dove trovarlo. L’avrebbe trovato e … non sapeva che cazzo avrebbe fatto.
Eccolo la … appoggiato ad un muretto che ascoltava la musica.
Gli si avvicinò a passo spedito, e catturò l’attenzione di non pochi ragazzi.
Arrivatagli difronte gli tolse le cuffie.
Lui la guardò mezzo incazzato.
-sei un idiota presuntuoso… ti prendi sempre quello che vuoi … e …-
-e?- la incitò lui sibilando
-e non è vero un cazzo che ti odio … e vaffanculo per questo dannato di un Kaulitz!-
Lo spinse –e ancora vaffanculo perché mi sono innamorata di te! E tu diciamolo ti sei comportato abbastanza da stronzo perché lo sapevi … sei …-
Tom rimase in silenzio.
-sei imperdonabile. Ma il fatto è che non sono nemmeno incazzata con te … mi hai salvato la vita … e per tutto il resto di questa dovrò ringraziarti- gli occhi erano lucidi, ma non avrebbe pianto
-io ti amo Tom Kaulitz …- disse poi più piano.
-dillo che volevi che ti notassero tutti- disse Tom sorridendo –vieni qui …- la invitò tra le sue braccia e la baciò dolcemente.


I need some distraction oh beautiful release
Memories seep from my veins
They may be empty and weightless and maybe
I'll find some peace tonight
In the arms of an Angel fly away from here

_In the arms of the angels_
_Sarah Mclachlan_


   
 
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