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Autore: Alina Alboran    25/06/2012    3 recensioni
Si poteva perdonare una bugia?
Sì…
Si poteva perdonare un tradimento?
Con il tempo…
Si poteva perdonare un abbandono?
Forse…
Si poteva perdonare la violenza?
No…
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Violenza

 

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Arrabbiata, delusa, triste, amareggiata…         
Era così che Gabriella si sentiva. Ogni giorno si chiedeva dove avesse sbagliato, cosa avesse fatto per meritarsi tutto ciò.            
L’aveva amato… Dio solo sa quanto grande fu quel suo amore.    
Gli aveva dato tutta se stessa e desiderava non averlo mai fatto.  
Era orgogliosa Gabriella, ma per lui, per il suo amore, per la sua felicità, aveva sempre ignorato quella voce che le diceva di starsi umiliando per qualcuno che non la meritava.  

L’aveva amato e ora stava soffrendo.    
Si poteva perdonare una bugia?             
Sì…  
Si poteva perdonare un tradimento?    
Con il tempo…        
Si poteva perdonare un abbandono?     
Forse…  
Si poteva perdonare la violenza?            
No…

Le bugie erano diventate centinaia, i tradimenti decine e gli abbandoni poteva contarli sulle dita di una mano.           
Gabriella l’aveva sempre perdonato, per lei, sua figlia.         
Non le importava delle bugie, dei tradimenti; l’unica cosa importante per lei era che sua figlia stesse bene e che, tutto sommato, avesse un padre presente.        
Gabriella soffriva, ogni notte si svegliava piangendo… la situazione era insopportabile.         
«Cos’hai?».  
Uno schiaffo!          
«N-niente, è ch-».  
«Non mi interessa!».                    
Un altro schiaffo, ancora più forte del precedente. Ma Gabriella era forte, Gabriella lo amava e, nonostante tutto, lei ci credeva a quel suo misero “Mi dispiace, perdonami, non lo rifaccio più”.

Gabriella gli credeva, Gabriella lo perdonava, Gabriella lo amava.           
«No, non fare del male alla mamma».             
Un giorno, la piccola Giulia, sentendo le urla del padre e il pianto mal trattenuto dalla madre, entrò in camera e, con la sua gracile voce, chiese al padre di smetterla, di non colpire la sua mamma.          
«Mi dispiace».         
Un sussurro. La bambina sorrise felice e abbracciò il padre, orgogliosa di aver protetto la mamma.  
«Ti voglio bene papà e… grazie».            
Una bambina che ringrazia il padre di non aver picchiato la madre è felice?     
No, non lo è, ma Gabriella non capiva, lei pensava di fare bene!    
Gabriella era forte, Gabriella poteva sopportare qualche schiaffo, qualche pugno; per la felicità della sua piccolina avrebbe fatto di tutto. 

Si era fatto tardi, il lavoro era durato più del previsto e ora Gabriella aveva paura di ritornare a casa, sapeva cosa l’aspettava… sperava solo che la piccola fosse in camera sua. Aprì la porta con timore, come se si aspettasse di veder comparire un mostro da un momento all’altro e, tanto torto non aveva, il mostro c’era. Quel mostro era suo marito!     
«Dove sei stata? Mi hai tradito, vero?».           
Pugni, schiaffi, calci… Faceva male, faceva tremendamente male, ma Gabriella sopportava perché quel mostro lei lo amava, e sperava di cambiarlo.  
«No, come puoi crederlo, io ti amo…».            
«Bugiarda!», gridò lui furioso.     
«Sei mia, solo mia».            
Queste parole riportavano in mente a Gabriella dolci ricordi.       

«Mia, solo mia».    
«Tua, per sempre».
           

Se lo ricordava bene quando sussurravano queste parole.     
Dopo l’ennesimo pugno se ne era andato furioso.     
Gabriella stava in un angolo, le ginocchia raccolte al petto, e piangeva.  
Piangeva perché ormai era troppo tardi per reagire, non aveva nessuno, tutti le avevano voltato le spalle.           
«Se ti sposi con quello lì, dimentica di essere mia figlia».   
Il padre lo disse con le lacrime agli occhi, sperando di far ragionare la figlia…  
Era poco più di una bambina Gabriella quando incontrò Stefano.            
Era bello, con i suoi occhi azzurri come il cielo e i biondi capelli, forse un po’ troppo lunghi, che gli ricadevano sulle spalle.

«Allora tu dimenticati di avere una figlia». Fu la risposta di Gabriella.  
Era poco più che una bambina e non capiva la preoccupazione del padre, lei era certa che con Stefano al suo fianco sarebbe stata felice… per sempre.  
«Sorellina mia, te ne pentirai, dai retta a papà, lui non fa per te».           
Non si sarebbe mai perdonata per aver deluso gli unici uomini che l’amavano veramente: suo padre e suo fratello.             
Il fratello, allora trentenne, conosceva Stefano e conosceva i suoi vizi; aveva fatto di tutto per persuaderlo a lasciare la sorella, ma ogni suo tentativo fu vano.

Il male di Gabriella non era solo fisico, ma anche psicologico…    
«Mamma, non piangere più!».   
Faceva male, faceva male vedere la figlia di neanche cinque anni piangere assieme a lei e tastarle i lividi.            
«Ti voglio bene, mamma».          
«Anche io, piccola mia, anche io».         
Ignorando tutti i dolori, Gabriella strinse la figlia al petto più forte che poteva, era lei l’unica sua ragione di vita, era lei che le dava la forza di sopravvivere!             
Si addormentarono, madre e figlia dormivano abbracciate, legate per l’eternità.  
«Non ti permetterò di fare i miei stessi sbagli», sussurrò alla figlia prima di cadere in un sonno profondo, un sonno senza sogni.

Quando Stefano ritornò, erano le quattro di mattina e, non trovando la moglie in cucina ad aspettarlo, si arrabbiò ancora di più.             
La cercò in ogni camera, l’ultima che controllò fu quella della figlia.      
Quell’immagine non gli piaceva.           
«Stai cercando di mettere mia figlia contro di me, vero?».             
Stefano urlò furioso, svegliando sia Gabriella che la piccola Giulia che scoppiò subito a piangere, terrorizzata dalle grida del padre.          
Ed ecco che ricominciava, ma questa volta faceva ancora più male: sua figlia era presente.  
«Esci da qui, tesoro mio, vattene!».      
Nonostante i forti dolori, Gabriella non pensava a sé, ma al suo piccolo angelo, a quella creatura nata dal suo ventre, a sua figlia.          
«No, io ti proteggerò, mamma!».           
Non capiva, Giulia non capiva!   
«Lasciala, lasciala, non fare del male alla mia mamma».    
Gli occhi pieni di lacrime, il terrore nelle sue parole. Non era una scena adatta ad una bambina di quattro anni e mezzo.       
«Sparisci!».  
Uno schiaffo!          
Due schiaffi!            
Tre schiaffi!             
«Togli le mani da mia figlia, pezzo di merda!».          
Gabriella non poteva accettarlo, Gabriella avrebbe dato la vita per salvare quella creatura.  
Spaventata, anzi, terrorizzata, Gabriella prese un vaso e colpì la testa del marito!       
Un rivolo di sangue uscì dalla testa del mostro.        
Era morto.   
Gabriella aveva ucciso suo marito per salvare sua figlia.     
Gabriella era forte, ma ancora più forte era Giulia che, nonostante le lacrime che scendevano copiose dai suoi piccoli occhi azzurri – come quelli del padre – con un timido sorriso disse:  
«Grazie, mamma».

 

   
 
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