Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
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Autore: Ila_Chia_Echelon    25/06/2012    0 recensioni
Fanfic composta da 6 brevi capitoli a tema marziano...A chi non piacerebbe fare un viaggio su Marte e incontrare quei 3 pazzi? xD
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.Welcome to the universe.
 
Il concetto di spazio era una cosa ormai totalmente astratta per lei. Non c'erano stanze, in quel luogo, non c'erano claustrofobiche pareti o un tetto a coprire il cielo sopra la sua testa.
Vedeva stelle ovunque, ma non erano i soliti puntini luminosi e lontani, oscurati dalle luci della civiltà: poteva toccarle per quanto erano vicine. Enormi masse infuocate e abbaglianti che le vorticavano attorno in una deliziosa danza di colori.
Qualcosa nella sua mente la spinse ad alzare un braccio e toccarne una: un istante più tardi si rese conto dell'avventatezza del suo gesto, ma non scostò la mano dalle fiamme, poichè scoprì che non scottavano. Avevano una strana consistenza, morbida e allo stesso tempo scivolosa, come a ricordarle che se avesse provato ad afferrarle non ci sarebbe riuscita, come a ricordarle che loro erano libere.
Per la prima volta si guardò intorno, riscuotendosi dal torpore che l'aveva avvolta fino a quel momento.
Le sue labbra si aprirono, ma non ne uscì l'urlo che la ragazza aveva pensato di emettere, bensì il silenzio. Infatti aveva appena scoperto con sgomento di trovarsi sospesa a chilometri dalla superficie terrestre, fluttuando chissà come nello spazio infinito.
Dopo essersi assicurata di non poter cadere (non ne era del tutto certa, in realtà, ma che altro avrebbe potuto fare se non mettersi il cuore in pace e sperare che non accadesse nulla di male?) osservò meglio ciò che la circondava e si disse che, in fondo, si trovava in un luogo meraviglioso seppure sconosciuto.
Sotto di lei poteva scorgere in lontananza cumuli di nuvole temporalesche, e oltre esse la Terra. Era tutto estremamente chiaro nonostante la distanza che la separava dal pianeta.
Constatò di essere guidata da una forza sconosciuta lungo un percorso preciso, attraverso stelle e satteliti, buchi neri e piccoli asteroidi.
Con quel poco di lucidità mentale che le era rimasta si stava chiedendo quale fosse la sua meta, quando notò due masse rocciose estremamente famigliari.
Tra sè e sè disse: "Ed ecco Deimos e Phobos.." e inconsapevolmente sorrise mentre alzava lo sguardo e finalmente lo vedeva, in tutta la sua maestosità.
Il Pianeta Rosso.
Marte.
Marte su cui per i più non c'è vita, Marte che per lei era il centro, della vita.
 
2.Stranger in a strange land.
 
Delicatamente, senza emettere alcun suono, i suoi piedi si posarono sulla superficie del pianeta. Aveva sempre immaginato un ambiente in cui non era possibile respirare, vivere, un luogo in cui la forza di gravità l'avrebbe tenuta sospesa a metri dal terreno ad ogni salto, eppure poteva muoversi perfettamente e non sentiva nessun dolore o difficoltà nel fare ciò che solitamente faceva sulla Terra.
Emise una risatina leggermente isterica mentre pensava alle facce che avrebbero fatto vedendola tutte quelle persone che le ripetevano in continuazione di scendere da Marte e smetterla di vivere con la testa per aria.
Ma quello su cui si ritrovava spesso non era il vero Marte, ma uno altrettanto bello: quello dei 30 Seconds to Mars.
Sì, loro, con la loro musica, la trasportavano direttamente in un'altra dimensione, un universo parallelo fatto di canzoni meravigliose, di amicizia, di famiglia. La famiglia che non aveva mai avuto.
I Mars non facevano altro che stimolare la sua fantasia già di per sè molto sviluppata, aumentando consistentemente i suoi infiniti viaggi mentali. Ciò infastidiva molte delle persone che la circondavano, che la rimproveravano ogni qual volta era ce n'era la possibilità e la costringevano a chiudersi in se stessa e a cercare sempre maggior conforto nella musica.
Si considerava una persona felice, ma non sarebbe stato affatto male se tutti avessero compreso quanto quei tre uomini erano importanti per lei. "Be', in questo momento ho altro a cui pensare..." Si disse sorridendo.
Il paesaggio mozzafiato del pianeta la lasciò letteralmente a bocca aperta: la prospettiva da cui lo vedeva era in un certo qual modo distorta, infatti riusciva a distinguerne anche i dettagli più lontani, come se un gigantesco specchio trasmettesse le immagini alla sua mente.
La superficie di Marte era divisa in due parti ben distinte: la prima era quasi totalmente ricoperta da fitte foreste e prati punteggiati di fiori, la seconda era invece l'opposto: una spessa lastra di ghiaccio si estendeva per tutta la sua lunghezza e candidi fiocchi di neve ricadevano su di essa, per poi lasciar spazio a un sole splendente nella zona "primaverile".
Helena, questo era il suo nome, rimase completamente affascinata dallo strano comportamento del clima, ma anche dal fatto che le anomalie del pianeta non le sembrassero affatto bizzarre, anzi, si sentiva completamente in sintonia con esse, si sentiva a casa.
Una casa che, però, non conosceva, e dunque necessitava di un'esplorazione.
Da dove iniziare? Eterno, freddo inverno, o mite e assolata primavera?
Non era così amante del gelo, ma quella neve all'apprenza perenne l'attraeva terribilmente...La curiosità era sempre stata uno dei suoi peggiori difetti, o pregi, a seconda dei punti di vista.
La ragazza si trovava esattamente al congiungersi delle due parti, quindi avanzò un passo verso destra, sul ghiaccio. In quell'esatto momento davanti a lei lampeggiò una luce bianca che in un secondo svanì, lasciandole intravedere la persona che aveva (possibile?) portato con sè.
Aveva i capelli scompigliati e il viso assonnato, ma conservava negli occhi quella solita scintilla d'arguzia e vivacità che sarebbe stato impossibile non riconoscere.
«Questi turisti...arrivano sempre nel momento sbagliato...»
Inoltre la sua voce era inconfondibile.
«Piacere, Jared Leto; ma deduco tu lo sappia già visto che ti trovi qui.» Proseguì, accompagnando alla presentazione un sorriso che brillava più del sole estivo.
«Chissà perchè il mio cervello decide sempre di andare in stand-by quando il suo funzionamento sarebbe maggiormente apprezzato...» Pensò Helena.
Ma era almeno in grado di fare una cosa.
Sorrise.
 
3.Hurricane.
 
Un uragano di proporzioni catastrofiche.
Ecco cos'era la sua testa.
I pensieri si attorcigliavano, inciampavano uno sull'altro, le domande litigavano tra loro per farsi strada alla bocca, le frasi si spezzavano in due e tutte le parole si staccavano, cadevano e andavano per la loro strada, il più lontano possibile dal sentiero dei concetti di senso compiuto.
In questi casi di estrema confusione l'unica soluzione plausibile è il silenzio, ed è per questo che Helena teneva le labbra ben serrate e si limitava ad ascoltare e annuire a Jared, il quale aveva colto il suo sorriso come il via libera per iniziare a parlare, parlare, parlare.
Non le dispiaceva affatto sentire la sua voce angelica, e oltretutto le avrebbe dato spiegazioni sul perchè si trovasse lì.
Si erano avviati lungo un sentiero innevato lungo cui la ragazza si sarebbe sicuramente persa, ma Jared camminava con sicurezza in una precisa direzione, apparentemente senza pensare a dove stesse andando.
I batuffoli di neve cadevano copiosi dal cielo, e nonostante la maglietta leggera che indossava, Helena non sentiva freddo. Il clima sembrava costante, in un certo senso immobile, bloccato ad una temperatura stabile e apatica, nè calda nè fredda. Il paesaggio era incantevole, collinette bianche si alternavano a ghiaccio brillante, e le parve di scorgere un orso polare in lontananza.
«Qui arriva un sacco di gente – stava dicendo in quel momento Jared – persone che hanno appena iniziato a conoscerci, persone che hanno per caso letto di noi su una rivista, che hanno sentito una nostra canzone...bambini, adulti, ragazzi..a volte c'è persino della gente che viene qui per insultarci! Non ti immagini neanche quanto sia difficile, e allo stesso tempo meraviglioso, gestire una tale quantità di persone...Gli Echelon! Come ho fatto a dimenticarmene? Soprattutto gli Echelon vengono a farci visita, com'è ovvio. La nostra disfunzionale famiglia.»
Helena era stata felice scoprendo di non essere l'unica ad essere finita lì, anche se inizialmente aveva percepito un pizzico di delusione al pensiero che quella fortuna non fosse capitata soltanto a lei. Comunque stava ancora aspettando che Jared le dicesse il motivo del suo viaggio e soprattutto com'era avvenuto, visto che aveva semplicemente aperto gli occhi a chilometri di distanza dalla Terra.
E poi dov'era tutta quella gente di cui parlava il cantante? Attorno a lei vedeva soltanto desolazione e percepiva quella sorta di silenzio ovattato causato dalla neve, spezzato soltanto dalla voce di Jared.
«Io sono un'Echelon, e vorrei ringraziarti Jared, vorrei ringraziare i 30 Seconds to Mars. Senza di voi...è difficile da spiegare. Se la vostra musica scomparisse per un qualche misterioso motivo...scomparirebbe una parte di me.» Helena aveva trovato il coraggio di parlare, quasi senza rendersene conto. Aveva sempre desiderato ringraziare i creatori della musica che l'accompagnava nei momenti difficili, e anche in quelli piacevoli; ora ne aveva la possibilità e intendeva sfruttarla al meglio.
Jared sorrise dolcemente. «Lo so, so che sei un'Echelon.»
«Ma come fai a saperlo? E dove sono tutti questi visitatori di cui parli? Dove sono Shannon e Tomo?! E soprattutto come ho fatto ad arrivare fin quassù?»
Il cantante rise per la veemenza della ragazza, e i suoi occhi divennero ancor più luminosi.
«Curiosetta, eh?...Eccoci. Una risposta te la posso dare. Qui troverai un po' di compagnia.» disse continuando a sorridere, e indicò l'apertura nella parete immacolata di una collina nevosa.
Helena avrebbe finalmente incontrato gli altri visitatori di quel mondo, e forse avrebbe ottenuto le risposte agognate che Jared non aveva intenzione di darle.
«Ok – pensò – ma Shannon e Tomo?»
 
4.Fallen.
 
Turbini di neve, cupa foschia, sibilo di vento impetuoso.
L'eco di un ululato distante quanto la memoria di se stessa, la morbidezza di una candida coltre sulle guance.
Buio, silenzio, bianco...
Luce, suono, colore...
Fili brillanti intrecciati alle dita, tiepida brezza leggera.
Un vociare indistinto e famigliare, scariche statiche: forse una radio? Il cinguettare degli uccelli.
E infine, profumo di rose sbocciate al sole, sentore d'erba fresca, raggi penetranti di luce attraverso il verde delle foglie d'estate...
Helena socchiuse le palpebre a causa del sole che filtrava tra i rami degli alberi e si concesse un minuto per riprendersi. Un canto leggero si diffondeva nell'aria, cullando i suoi pensieri in un abbraccio che certamente non l'aiutava a concentrarsi.
I ricordi sfuggivano dalle mani come bolle di sapone, non capiva dove fosse o dove fosse stata in precendenza.
Aprì gli occhi.
Ogni cosa apparve improvvisamente chiara, per quanto le concedevano le informazioni a sua disposizione: dopo aver oltrepassato l'entrata del rilievo qualcosa l'aveva trasportata fino al prato gremito di folla in cui ora si ritrovava sdraiata. Quella era la compagnia di cui Jared parlava, i presunti visitatori di quel pianeta lontano e bellissimo. Ma che ci facevano tutti lì?
Il potente riff di una chitarra precedette le possibili risposte.
Helena sapeva precisamente cosa quel suono significasse, unito al canto che aveva udito e ai colpi di batteria che iniziavano a farsi spazio oltre lo sciame di voci agitate.
Ciò che pensava venne confermato dal suo sguardo che, nel momento in cui si alzò in piedi, andò a posarsi sul gigantesco palco di fronte a lei: su di esso un estasiato Jared urlava a più non posso il ritornello di From Yesterday, mentre Tomo saltava e roteava suonando la chitarra e Shannon percuoteva il suo strumento con un'energia quasi percettibile.
Tutt'intorno le persone cantavano, dando vita a un meraviglioso coro che sembrava unire ogni voce, ogni individuo a quello che si trovava al suo fianco.
Era la sua famiglia.
E quello era un concerto.
La voce iniziò a percorrerle la gola senza che se ne accorgesse, e Helena cantò, cantò con tutto il suo cuore, cantò fino a che l'ultima goccia di suono sulla sua lingua non si perse nel vento.
 
5.Edge of the Earth.
 
Cosa comporta, l'inaspettato?
Ciò che ti sorprende, ciò che ti affascina, ciò che ti rende felice.
Ciò che racchiude dentro di sè la sua stessa antitesi, un sentimento di nostalgia infinita e profonda tristezza verso un'emozione giunta al culmine, un'emozione che, lo sai, non si ripeterà.
Tutte le persone meravigliose che hai conosciuto, tutti i sentimenti, tutti gli eventi gioiosi che hai vissuto sono destinati a finire.
Helena osservava un puntino lontano sopra la sua testa, sapeva che avrebbe dovuto farvi ritorno, prima o poi. Ma da lì, sdraiata su quel prato buio, la Terra pareva così infinitamente piccola, così vuota, così inadatta ad ospitare una vita. Cercò di afferarla, nel palmo di una mano. Voleva toccarla, svelare ogni suo segreto, ricordare i motivi per cui sarebbe stato giusto tornare a casa.
L'unica cosa che riusciva a fare era ripercorrere i suoi pensieri, le memorie del suo breve viaggio sul Pianeta Rosso.
Aveva cantato, aveva conosciuto persone come lei, persone con la sua stessa passione.
Aveva ascoltato, la musica che da tempo amava ma che lì aveva un suo suono tutto diverso, speciale, ancor più di quanto non fosse già.
Aveva parlato, soprattutto. Aveva parlato con Jared, Shannon e Tomo, aveva scoperto quali persone incredibili fossero. Erano quel genere di spirito che riesce a fare di un difetto un punto di forza, di una lacrima un'esperienza vissuta, di un suono il sorriso più sincero.
Voleva bene a quei tre.
Ma doveva lasciarli. Lo sapeva. L'aveva capito, dentro di sè. Non poteva togliere ad altri il privilegio di incontrarli per un suo stupido capriccio; qualcuno aspettava pazientemente di prendere il suo posto, anche se non se ne rendeva conto, ed era giunto il momento che Helena lasciasse un vuoto, uno spazio pronto ad accogliere quel qualcuno.
Sentì dei passi leggeri sull'erba, si alzò e li vide.
Erano venuti a dirle addio, proprio come si aspettava. No, non era un addio, ma un arrivederci, si disse. Sarebbe stata con loro, attraverso la musica. E forse un giorno sarebbe potuta ritornare, chissà?
«E' ora di andare.» Sussurrò Shannon, e la abbracciò.
Una lacrima sfuggì a Helena, rotolando giù per la guancia.
Tomo le diede un colpetto con l'indice, sotto il mento, e sorrise, con quella sua espressione contagiosa. «Su, su, cara Helena. Saremo con te, lo sai..? Sii felice, non scordarti della tua visita qui. Oh, e continua a suonare la chitarra, mi raccomando!» Le fece l'occhiolino e lasciò che Jared la salutasse a sua volta. «Buon viaggio.» Disse lui semplicemente, ma le sue labbra si curvarono in un sorriso che non aveva bisogno di ulteriori parole.
«Un'ultima cosa...» mormorò all'improvviso Tomo. Prese la mano destra di Helena tra le sue, le posò qualcosa sul palmo e vi richiuse le dita.
«Ciao.» Disse infine.
Helena sentì una piccola forma tra le dita, le pareva un triangolo, ma era leggermente arrotondato ai vertici.
I tre le diedero una spinta delicata sulla schiena e la ragazza si ritrovò, chissà come, al margine del pianeta.
E cadde.
Non provò paura, nè tristezza.
Vide miliardi di stelle scorrere al suo fianco, polvere dorata e luce, accogliente silenzio.
Si sentì avvolgere dalle tiepide spire del sonno, come fumo sottile che sfalda i contorni dell'universo.
E poi attraversò il fuoco, la rossa coda di una fenice che, con le sue ali di fiamma possente, la riportò a casa.
 
6.Was it a dream?
 
Un irritante spiraglio di luce filtrò tra le sue ciglia, spingendola a chiudere immediatamente gli occhi per poi riaprirli con più cautela.
Tra le nebbie agitate del sonno, osservò apatica il soffitto di un bianco abbagliante che si stagliava al di sopra del suo naso.
Dov'era finito il manto nero punteggiato di bagliori stellari che la circondava un attimo prima?
Dov'erano le lingue di fuoco del corpo della fenice, i suoi occhi vivi e scintillanti?
Dove il profilo suggestivo della Terra che si stagliava contro il cielo?
Oh, la Terra! La ragazza si ritrovò a farfugliare, mentre si rigirava sul divano.
Mmm..I Mars...la Terra...mm, sono dovuta ritornare!...No! Perchè? Perchè non sono rimasta?...Avrei dovuto...
Un colpo improvviso le giunse alle orecchie, e come una freccia affilata le attraversò il cervello, spazzando via ogni rimasuglio di quella foschia che le avvolgeva la mente in un abbraccio d'ingannevole torpore.
Immediatamente si voltò, raccolse l'iPod caduto rumorosamente a terra e rise.
Rise, di una risata sorpresa, con un pizzico d'amarezza, la risata di chi malinconicamente si accorge di essere tornato alla quotidiana, monotona realtà, e allo stesso tempo il sorriso di una persona grata alla sua testolina per averle offerto un breve momento di piacevole illusione.
Si era addormentata con le auricolari alle orecchie, la musica a un volume improponibile, l'iPod sintonizzato, come spesso accadeva, sulla playlist dedicata ai 30 Seconds to Mars.
Si concesse uno stiracchio rumoroso, dopodichè si alzò e andò in cucina. Afferrò un bicchiere dalla lavastoviglie e lo riempì di succo di frutta.
«E tu, piccolo Phobos? Hai fatto bei sogni?» Chiese, posando la mano sul musetto del gatto appena entrato in cucina.
In tutta risposta l'animale emise un miagolio assonnato e, come si richiede a un bravo
cacciatore di topolini, dopo aver ricevuto le coccole di rito si voltò e corse in tutta fretta fuori dalla stanza.
Helena sospirò fortemente e bevve una lunga sorsata di succo.
Era stato un sogno così reale, così coinvolgente. Poteva ancora vederne le immagini impresse sulla superficie del tavolo a cui sedeva.
La candida neve, i fiori fragranti che punteggiavano metà della superficie di Marte, la voce di Jared durante il concerto...le sembrava di percepire ancora i profumi nelle narici, i suoni nelle orecchie, la morbidezza dell'erba e della neve sulle punte delle dita.
E la fenice. Era un animale affascinante, energico, così incredibilmente elegante, possente, con quell'aura di eterna vivacità e fantasia, da schiacciarti e immobilizzarti con la sua bellezza.
Pareva un fuoco, con le sue fiammelle guizzanti e vive; proprio dal fuoco e dalla cenere rinasceva.
E quelle stesse fiamme bruciavano ogni volta come lettere stracce i sogni e le fantasie di Helena. Perchè era questo, il suo problema. La sua mente esageratamente creativa la condannava ad un'eternità di bellissimi ed irrealizzabili sogni, che al momento della loro invenzione suscitavano emozioni piacevoli, ma al successivo consumarsi nell'opaca luce della normalità causavano un'indicibile tristezza.
La ragazza tornò nel salotto in cui si era assopita.
Scostando il cuscino su cui aveva posato il capo durante il sonno notò un oggetto che inizialmente non riconobbe come suo. Era molto piccolo, triangolare, bianco e solcato da una x nera. Sembrava proprio un plettro.
Non ricordava di averlo mai posseduto, ma visto che era lì, invitante sul palmo della sua mano, decise di provarlo. Afferrò la sua classica lì accanto e iniziò a strimpellare.
Le note fuoriuscirono come un fiume in piena dalle corde, diffondendo nella stanza una calda melodia. Helena smise di suonare e si morse un labbro. Le sembrava...le sembrava di non aver mai suonato così bene. "Non dovrei sottovalutarmi così.." si disse ridacchiando. Non che i suoni fossero stati più limpidi o precisi del solito, semplicemente avevano avuto un effetto diverso su di lei. Si sentiva decisamente meglio rispetto a prima, si sentiva più rilassata, più felice.
«Phobos?..Phobos?»
Ed ecco arrivare il gatto.
Helena lo prese in braccio e iniziò a parlargli, senza sapere bene il perchè.
«Lo sai? E' meglio non rinunciare ai sogni. È vero, per un attimo ho pensato diversamente, per un attimo avrei voluto smettere di sognare, in modo da placare anche la mia sofferenza. Ma adesso non soffro. No. Mi sento bene, più che bene. Così bene che vorrei alzarmi, uscire da qui, gridare al mondo la mia pazzia! Dire a tutti che sto facendo un discorso filosofico al mio povero gattino. Difendete i vostri sogni, ecco cosa vorrei che ognuno capisse. Vorrei che ogni persona ascoltasse Kings and Queens, vorrei che ogni persona cogliesse il messaggio di speranza che quella canzone contiene. È la fantasia, sì, The Fantasy, che ognuno di noi deve imparare a coltivare e conservare anche da adulto. È questo ciò che ci rende veri, ciò che ci rende noi stessi. I sogni, i pensieri, le assurde fantasie. E sono sicura, Phobos, che tu possa capirmi meglio di chiunque altro.»
Helena fissava i baffetti vibranti del gatto e i suoi profondi occhi dorati, pieni di una quasi umana consapevolezza.
«Miao..»
 
 
   
 
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