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Autore: dragon82    26/06/2012    1 recensioni
“chi si macchia del sangue della morte brancolerà in eterno nell’oscurità del male e non potrà mai aver salva la sua anima!”
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    IL FIUME DI ZOLFO

 

Già erano state sei le vittime in quell’anno e l’alone di terrore che avvolse la città aveva suscitato l’interesse della polizia federale e di tutti i giornali della nazione. La città dell’assassino bianco! Così era chiamata la cittadina di Saveran – venti chilometri a sud di Fairbanks – nello Stato dell’Alaska, all’inizio degli anni 50’. E da qui che inizia la mia storia e quell’incontro che ebbi nell’estate del 1955 cambiò totalmente la mia vita.

Mi chiamo Brian! Brian Vilmond, ed all’epoca ero solo un bambino: avevo dieci anni e vivevo con mio padre in un casolare in legno alle sponde di un fiumiciattolo che scorreva presso la fabbrica di plastica Morton, “uno che si era fatto i soldi sulle spalle della povera gente”(almeno così si diceva in città). Di mia madre non ricordo nulla, morì in un incidente stradale a pochi mesi dalla mia nascita e di lei mi rimane solo qualche vecchia fotografia ed i ricordi di mio padre. 

Richard Vilmond! Questo era il nome di mio padre: un uomo abbastanza scontroso che non aveva contatti con nessuno in città; eroe di guerra – decorato al valor militare alla fine della seconda guerra mondiale – unico sopravvissuto della sua compagnia nello sbarco in Normandia, un miracolo si potrebbe pensare, ma così non era per mio padre, per lui i miracoli non esistevano, aveva perso la fede in Dio durante la guerra e si era chiuso ancor più in sé stesso dopo la morte di mia madre. Il trauma psicologico che ebbe durante la missione non gli permise di continuare a svolgere alcuna mansione nel corpo dei marines e pertanto lo congedarono assegnandogli, come indennizzo, un vitalizio di cinquecento dollari che ricevevamo bimestralmente e che ci permetteva, anche se a stento, di sopravvivere. Unico suo passatempo era la caccia per la quale era disposto a perdere anche intere giornate. Mentre quelle volte che rimaneva a casa soffocava spesso le sue tristezze e le sue frustrazioni nell’alcool.

Non avevamo un buon rapporto e con quello che stava accadendo in città non mi permetteva quasi mai di uscire, anche se quasi sempre lo disobbedivo ed uscivo di nascosto dalla finestra della mia stanza per andare a giocare con Milo. Milo era un ragazzino di colore che abitava a poche centinaia di metri da casa mia, passava sempre le giornate per strada perché la sua famiglia era molto povera ed i suoi genitori per mantenere lui ed i suoi tre fratelli minori erano costretti a lavorare dodici ore al giorno, per pochi dollari, nella fabbrica di Morton. Mi tirava tutti i giorni dei sassolini alla finestra per farmi scendere a giocare, stando sempre attento a non farsi notare da mio padre. Giocavamo sempre vicino al fiume, anche se devo ammettere che non era il posto ideale per dei bambini: il fiume era un ammasso di fango e detriti, ed emanava un odore talmente maleodorante che era soprannominato il “fiume di zolfo”, soprattutto a causa degli scarichi della fabbrica di Morton che lo inquinavano. Però noi, dopotutto, eravamo abituati a quell’odore, e poi ci divertivamo un mondo ad arrampicarci sopra alcuni alberi che pendevano sul fiume: erano molto lontani dalle nostre abitazioni, ed erano dislocati in una radura a due chilometri di cammino verso est, nel tratto in cui il fiume curvava e si allargava, un angolo di bosco coperto dal sole e non visibile dalla strada la cui esistenza, per quella che era la nostra idea di ragazzini, era nota solo a noi due, perciò lo chiamavamo il posto segreto.

Milo era il mio migliore amico, ed anche se il destino quell’estate ci avrebbe separato non lo dimenticherò mai.

  
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