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Autore: Northern Isa    28/06/2012    4 recensioni
965 d.C., gli Jotunn hanno invaso Midgard e gli Asgardiani, guidati da Odino, sono intervenuti a difenderla. Lo scontro è filtrato attraverso gli occhi di un signore scandinavo: Odino ascolterà le sue preghiere?
Terza classificata al contest War Tales, indetto da Filira e giudicato da My Pride.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Odino
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Legami di fede

Negli anni della mia vita sono stato tante cose: un figlio, un marito e un padre, ma, sopra ogni cosa, un proprietario e lavoratore della terra. Si tratta di una vita semplice, ma che mi ha sempre dato tutto ciò di cui avevo bisogno. Ciò che mi lega a questa terra è qualcosa di immenso e inscalfibile: è la terra dei miei padri, è qui che sono nato e cresciuto, ed è qui che, lo so, morirò. Non si tratta di una speranza o di un pronostico: ne sono certo. Anzi, forse è già successo senza che me ne accorgessi.
Stringo i denti e mastico terra e sangue. Il sapore è pessimo, mi avvelena la lingua, ma, se riesco a percepirlo, vuol dire che sono ancora vivo. Nonostante tutto, un brivido euforico mi percorre, eppure ho molto poco di cui gioire al momento.
Mi arrischio ad aprire le palpebre; devo sbatterle più volte prima di mettere a fuoco ciò che mi circonda. Terra d’ombra e ghiaccio: è tutto ciò che riesco a vedere. Un rantolo strozzato fuoriesce dalle mie labbra mentre cerco di protendere le mani davanti a me. È questo quello che rimane della mia campagna?
«Tu sei un fedele adoratore degli dei Asgardiani, vero?» mi domanda una voce rasposa all’orecchio. I muscoli del mio collo sono come pietrificati, non riesco a voltarmi per guardare in faccia chi mi sta parlando.
I miei occhi sono fissi sui mucchietti di terra raggruppati intorno alle mie ginocchia; qualcosa ci sta gocciolando sopra. Con un brivido freddo mi accorgo che le gocce provengono dal mio collo.
«Rispondimi» ordina imperiosa la voce gutturale.
Una mano salda mi strattona i capelli, costringendomi ad alzare la testa; qualcosa mi brucia la pelle del collo, strappandomi un gemito dalle labbra.
Con la coda dell’occhio lo vedo: è il braccio dell’essere che mi trattiene, trasfigurato in una lama di ghiaccio trasparente, ad accarezzarmi la gola. Ripenso alle gocce che impastano il terreno sul quale premo le ginocchia: sangue o acqua?
Sì, prego ogni giorno il Padre degli Dei, e con questo?, penso con un fremito di rabbia, subito stroncato da un altro potente strattone.
«Voglio Odino, adesso» ordina la voce dello Jotunn, quasi abrasiva all’orecchio.
Cosa crede che possa fare? Non sono che un uomo che vive ben lontano da Asgard e che del volto degli dei ha visto solo l’effige. Certo, mentre lo Jotunn mi colpiva ho invocato mentalmente il nome di Odino, ho pregato affinché intervenisse in mio aiuto, ma dentro di me so già che sperare davvero di vederlo accorrere in mio aiuto in groppa a Sleipnir sarebbe stupido. Prego perché mi è di conforto; che il Padre di tutti faccia di me ciò che vuole.
«Non ti aiuterò» ribatto. Avrei voluto risuonare fiero e convincente, ma dalle mie labbra è uscito poco più di un rantolo.
Lo Jotunn aggira la mia figura inginocchiata, continuando a mantenere una presa salda sui miei capelli. Quando si china, la sua pelle nera-bluastra occupa tutto il mio campo visivo, i suoi occhi rossi si insinuano nei miei. Mi alita contro; dopo un primo brivido violento, perdo la sensibilità del viso.
«Così non dovrò sentirti urlare» spiega il Gigante con un sorriso sgradevole. «In questa guerra sono risuonate fin troppe voci».
Tento di costringere i muscoli delle mie mascelle a scattare: vorrei morderlo, anche sputarlo, urlargli contro che è la sua specie ad aver dichiarato guerra alla Terra, che sono i suoi simili ad aver invaso la mia campagna. Tutti i miei sforzi però sono vani: quell’essere immondo mi ha congelato il volto.
La mano dello Jotunn lascia i miei capelli con un ultimo strattone, ma la creatura continua a sorridere. Stende un palmo davanti a me, come a invitarmi a guardarlo. Riesco solo a rendermi conto del fatto che, dove prima c’era la lama di ghiaccio che aveva puntato alla mia gola, adesso c’è di nuovo la sua mano, coperta da pelle coriacea.
Improvvisamente lo Jotunn mi afferra le braccia con entrambe le mani: sento la pelle bruciare come percorsa da lava incandescente. Ogni poro della mia epidermide nella sua stretta urla con tutta l’energia di cui è capace; il bavaglio di ghiaccio però mi trattiene: dalle mie labbra non esce alcun suono.
«Dovrei andare a chiamare re Laufey» dice distrattamente quando si stacca da me, studiandosi scrupolosamente i palmi, come sorpreso di ciò che hanno appena fatto. Poi tace: non sembra avere alcuna intenzione di muoversi.
Perché non vai?, vorrei urlargli, percorso da ondate di rabbia che fustigano il mio corpo indolenzito. Sadico bastardo!
Facendo leva sulle ginocchia, mi alzo tremando vistosamente. Il Gigante mi spinge con facilità irrisoria e mi ritrovo per terra, con le gambe tese davanti a me e nuove scariche di dolore a percorrermi.
«Non sei libero di andare, almeno finché Odino non deciderà di esaudire le tue preghiere e venire a salvarti» sussurra lo Jotunn.
Istintivamente mi porto le mani alle tempie: è come se il Gigante avesse letto i miei pensieri, o forse i pensieri di un uomo in un momento come questo sono solo scontati. Con una guerra in corso sulla Terra contro gli Jotunn, perché Odino dovrebbe soccorrere proprio me, che non sono nessuno? Nella sua immensa saggezza saprà come operare al meglio. E qualsiasi cosa è meglio di un prigioniero di guerra.
Il Gigante respira pesantemente, e so che non è nulla di positivo: è eccitato dalla prospettiva di ciò che sta per fare.
Con due gesti repentini ricopre le mie gambe di ghiaccio fino a metà coscia; ancora una volta non posso fare nulla per resistergli. Il Gigante colpisce i due blocchi glaciali con i pugni chiusi; sgrano gli occhi quando li vedo percorsi da alcune incrinature.
La mano dello Jotunn si avventa sul mio volto, procurandomi altro insopportabile dolore, e mi costringe a fissare i suoi occhi rossi. Le dita libere si serrano nuovamente in pugno e il Gigante mi colpisce per la seconda volta le gambe. Al tonfo sordo seguono gli scricchiolii del ghiaccio che si sfalda.
«Devi guardarmi negli occhi» ordina il Gigante.
Non riesco a vedere altro che le sue iridi rosse, ma so ugualmente che sta sorridendo: lo percepisco dalla sua voce.
Cerco di serrare le palpebre, ma invano. Se è giunta la mia ora, non voglio che l’ultima cosa percepita dai miei occhi sia il brutto muso di questo Jotunn. Vorrei poter dare un ultimo sguardo a questa campagna, cercando di ricordarmela verde e rigogliosa come sempre, e non spoglia e brulla a causa dell’invasione dei Giganti di ghiaccio. Vorrei che mi rimanesse impresso nella mente il profilo delle spighe al vento e dei manti d’erba, unico vero aspetto di questo mondo tanto amato dagli Asgardiani da portarli qui per combattere per esso.
Quando sono ormai certo che il Gigante mi ha frantumato le gambe a colpi di pugni, credo di aver dimenticato cosa sia il dolore. Mi sento venir meno; attraverso gli occhi sbarrati non vedo né la campagna, né le iridi rosse del mostro, ma solo oscurità.

La prima cosa che vedo, ritornando in me, è una voragine nera e grumosa, tanto che in un primo momento dubito di essere tornato cosciente. Solo successivamente mi rendo conto che si tratta di un’orbita vuota.
Due mani mi afferrano per le spalle e tentano di rimettermi in piedi; poi il proprietario delle stesse desiste dal suo inutile tentativo. Quando abbasso gli occhi capisco perché: dove prima c’erano le mie gambe, ora ci sono due poltiglie sanguinolente.
Il mio braccio viene fatto passare sulle spalle di qualcuno che, sorreggendomi, inizia a portarmi via.
«P-padre degli Dei» mormoro incredulo, mordendomi più volte la lingua. E io che credevo che fossero le Valchirie a setacciare i campi di battaglia alla ricerca di eroi da portare nel Valhalla. Non avrei mai immaginato di vedere il volto di Odino così presto; la Terra è un unico immenso campo di battaglia, ma io non sono un eroe.
«Le tue preghiere sono state molto accorate. Qual è il tuo nome?»
Sento la testa ciondolare ad ogni passo, la terra sotto i miei piedi è sfocata, ma la sento in tutta la sua materialità. Sono ancora nella mia campagna.
«E-einar…»
«Nonostante le torture, mi sei stato fedele fino in fondo, Einar» mi dice ancora Odino. «Non devi più temere niente: Laufey, il re degli Jotunn, è stato sconfitto e si è arreso. Midgard non corre più alcun pericolo».
Midgar. La Terra. La mia campagna. Non riesco a pensare ad altro.
«Ti porterò al tempio, dove troverai ricovero presso gli altri umani».
Il tono di voce di Odino è l’unica cosa che mi mantiene sveglio. Continuo a caracollare accanto a lui, o meglio a lasciarmi trascinare dalla sua stretta energica e decisa. Non riesco ancora a realizzare compiutamente quello che sta succedendo.
Sotto ai miei piedi, di cui non rimangono che poche dita, la landa brulla lascia il posto a pietre lisce, bianche e irregolari. Le pietre si sollevano in gradini; li percorriamo fino a che il pavimento non torna piatto sotto di noi. La pietra bianca adesso è striata del rosso del sangue dei feriti e dei morti, accatastati in alcuni angoli del tempio.
Qualcuno mi forza a sollevare il braccio dalle spalle che sto stringendo, dopodiché vengo costretto a terra. Una voce di donna, melodiosa come quella del ruscello dietro la mia casa, mi dice di sdraiarmi perché ho bisogno di riposo, ma non posso, non ora. Mi piego gattoni, ignorando le fitte terribili che mi attraversano le gambe, e afferro un lembo del mantello di Odino, che mi volge le spalle.
«Grazie» sillabo tra uno sputo di sangue e un altro. «Grazie, mio unico signore…»
Con gesto quasi paterno, Odino si china su di me e stacca le mie mani dal suo mantello. Mi rivolge un sorriso indulgente quando mi esorta a obbedire alla guaritrice. Mi decido così a sdraiarmi, mentre alcune sagome intorno a me si affaccendano per medicarmi. Il mio sguardo però non riesce ad abbandonare la schiena di Odino, che si aggira tra i feriti nel tempio, dispensando attenzioni e suggerimenti.
I corpi riversi non appartengono solo a uomini: anche molti Jotunn ingombrano il pavimento. Il Padre degli dei si rivolge anche a loro con sollecitudine. Alla vista di quei gesti, sento i miei occhi inumidirsi.
Solo per un secondo perdo di vista la figura di Odino, e allora inizio a dimenarmi tra le proteste dei guaritori. Ma loro non possono capire: qualcosa che va oltre la fede ci ha uniti quando mi ha salvato la vita, la sua vista per me è il migliore dei rimedi.
Mi tranquillizzo solo quando il Padre di tutti riemerge dalla schiera di corpi e medicazioni: tra le mani tiene un fagotto. Mi sollevo puntellando i gomiti per vedere meglio e allora scorgo un corpicino bluastro. Dalla carnagione sembrerebbe uno Jotunn, ma la corporatura è troppo minuta. Odino guarda la creatura come se non esistesse nient’altro al mondo.
«Ti porterò con me» le sussurra, come se un neonato potesse davvero capire. «Ad Asgard. Sarai il sigillo di questa nuova e perpetua pace… Loki».
Odino scende i gradini che portano fuori dal tempio, tenendo il fagotto in braccio. Distolgo gli occhi dalla sua figura solo quando l’angolo del suo mantello sparisce alla vista.

Osservo le mie rotule biancastre che si intravedono tra i lembi di pelle delle mie ginocchia. Queste ferite non si rimargineranno, mi hanno detto i guaritori, e non potrò tornare a camminare.
I primi tempi che fissavo le ferite che lo Jotunn mi ha sadicamente inflitto, non riuscivo a contrastare un brivido di disgusto. Subito la mia mente andava al terreno brullo, spaccato, coperto di brina: anche quelle erano ferite. La mia campagna non si è ancora ripresa da quelle lesioni; provo un moto di scoramento ogni volta che mi chiedo se, come le mie ginocchia, non sia destinata a non guarire mai.
Si può dire che abbia perso tutto: la mia terra non produce, non sono in grado di cacciare o pescare per il mio sostentamento, non ho più una famiglia, spazzata via dagli Jotunn. Sono un uomo finito, è questo ciò che ripeto a me stesso ogni volta che fisso lo sguardo sulle mie rotule, bianche come sclere, doloranti come fitte, penose come pianti.
Eppure, pensandoci meglio, potrebbe andare peggio di così: dopotutto sono ancora vivo. Devo solo ringraziare Odino per questo, e in effetti lo faccio ogni giorno. Senza il suo intervento la guerra non sarebbe terminata e gli Jotunn non sarebbero stati sconfitti. Senza di lui, Laufey non si sarebbe arreso e io non sarei qui.
C’è un’altra cosa che riesce a farmi sentire meglio. Nessuno, mai più nessuno al mondo proverà ciò che sto vivendo io sulla mia pelle. Anche in questo caso, il merito è solo di Odino, che ha accolto quel piccolo Jotunn, portando la pace.
Oggi è solo pensando che nessun altro corpo subirà più alcuna battaglia che posso guardare le mie rotule senza rabbrividire più.
   
 
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