IL SEGRETO
DI KATE
Rukawa, non appena entrato in salotto, vide uno
spettacolo raggelante: Kate era distesa, immobile, in mezzo alla stanza. Il suo
corpo era appoggiato di lato sul pavimento freddo; i capelli nascondevano
parzialmente il volto bianchissimo, e nella mano sinistra teneva ancora la
cornetta del telefono che emetteva il classico suono della mancanza di linea
telefonica.
Il ragazzo corse a soccorrerla, ma non rinveniva. Le
sorresse la testa, spostando i capelli biondi e mostrando ai suoi occhi il
pallore della pelle di lei.
“Kate! Che hai?! Che ti è
successo?!” chiese, urlando, ma non ebbe risposta.
“Kate!” urlò di nuovo, ed
abbracciò il suo corpo caldo per la febbre.
Kaede non sapeva cosa fare: non conosceva il motivo
del malessere della ragazza.
“Ti aiuterò io, vedrai!” le
sussurrò nell’orecchio.
La prese in braccio e si diresse verso l’uscita,
deciso a portarla in ospedale.
-Non permetterò che ti accada qualcosa. Ti
aiuterò in ogni modo!- pensò.
Mentre stava per uscire dalla porta, un’ombra
gli sbarrò la strada.
“Bene sei qui anche tu: in due l’aiuteremo
meglio” disse il misterioso ragazzo, nascosto dall’intensa luce del
sole che stava tramontando dietro di lui.
“Ma tu che ci fai qui?” chiese Rukawa
quando lo riconobbe.
“Presto, sistemala nei sedili di dietro della
mia macchina: non abbiamo tempo da perdere!” e Mitsui si sedette nel
posto di guida.
Rukawa si sedette dietro, appoggiando la testa di Kate
sulle sue gambe.
Si avviò il motore, e l’auto si diresse a
gran velocità in direzione dell’ospedale più vicino.
“Ehi, come va lì dietro? Non si è
ancora ripresa?” chiese Mitsui mentre lottava con il traffico cittadino.
Rukawa osservò con preoccupazione il viso di
Kate. Ora respirava affannosamente e la sua fronte era ancora più calda
di prima; sembrava soffrire molto.
“Accidenti! Con questo traffico non faremo mai
in tempo!” gridò l’amico, entrando in una strada intasata
dalle auto degli operai di ritorno dal lavoro.
“In tempo?! Cosa intendi dire?!”
“Voi farmi credere che Kate non ti ha ancora
rivelato il suo segreto?!”
“Di cosa stai parlando?! Che segreto?!”
Rukawa era sconcertato.
“Se non arriveremo in tempo… Kate…
potrebbe non farcela” disse grave Mitsui.
“Cosa hai detto?!!!” la realtà lo
travolse in un attimo.
“E spostati, lumaca!!!” Mitsui era in
preda ad un attacco di nervi e se la prendeva con gli innocenti automobilisti
davanti a lui.
“Ma tu come fai a sapere che Kate potrebbe non
farcela? E come facevi a sapere che Kate stava male poco fa?”
indagò Kaede.
“La persona con cui era al telefono, ero io; non
appena si è sentita male, mi ha chiamato… è riuscita a
fatica a chiedermi aiuto, poi ho sentito un tonfo: avevo capito che era svenuta
e mi sono precipitato a casa sua. Non immaginavo di trovarci anche te”
“Ma che cos’ha?”
“Hai ragione... hai diritto di saperlo. Kate
è gravemente malata: lo stesso male che ha ucciso il padre. È una
rara malattia ereditaria; attualmente non ne esiste una cura. L’unica
soluzione è provare un intervento sperimentale… la guarigione non
è assicurata. Kate è venuta in questo paese non solo per
realizzare il sogno di suo padre, ma anche per sottoporsi alla sperimentazione:
solo in Giappone è autorizzato il delicato intervento, perché
è qui che si sono compiuti i dovuti studi e solo in questo paese
esistono gli specialisti adatti. Negli altri stati, se una cura sperimentale
non è certificata come efficace, non è consentita”
“Ma allora perché non si è
sottoposta prima alla cura? Perché ha aspettato?” chiese Rukawa.
“L’intervento è molto delicato ed
inoltre può essere eseguito solo quando la malattia è arrivata ad
uno stadio gravissimo: prima non si riesce a riconoscere il punto esatto dove
operare… Chi si sottopone alla cura sa che, se fallirà, non sopravviverà…”
Rukawa non riusciva a credere alle sue orecchie. Tutte
quelle rivelazioni l’avevano atterrito: non immaginava che Kate si fosse
tenuta dentro una cosa simile.
-Come ho potuto essere così cieco? Come posso esserle
stato accanto per tanto tempo e non aver capito nulla di lei?- si chiese dentro
di sé, mentre guardava impietrito il suo viso febbricitante e dolorante.
“Come
hai saputo tutte queste cose?” chiese improvvisamente.
“Intendevi chiedermi se me l’ha detto lei,
non è vero? No, sta tranquillo, di sicuro l’avrebbe detto prima a
te che a me… A lei non piace parlarne. L’ho saputo da Anzai: me
l’ha detto perché credeva che avrebbe avuto bisogno di qualcuno
con cui poter parlare. Non ho mai fatto domande specifiche, è per questo
che, come avrai capito dalla mia spiegazione scientifica, non ne so molto
riguardo la sua malattia”
“Capisco…” e rimase in silenzio.
-Nessuno vorrebbe restare da solo… nessuno
vorrebbe affrontare una cosa del genere senza nessuno accanto…- e
guardò fuori dal finestrino, ripensando alla frase che aveva detto
quella stessa mattina mentre parlavano sulla riva del fiume.
-Sei stata veramente sommersa da tutto
ciò… Il mio problema è così…
insignificante…- e le accarezzò una guancia bollente.
“Kaede… Kaede…” disse piano
una voce sofferente.
“Kate! Ti sei ripresa? Come ti senti?”
chiese piano Rukawa per non spaventarla.
“Kaede… devo… devo dirti una
cosa…”
“Dimmi!” era preoccupassimo.
“Voglio rivelarti… quello che… ho
pensato quando… ho tirato il sasso… nel fiume…” la sua
voce si stava affievolendo: era una grande sofferenza per lei parlare.
“Non ti sforzare. Me lo dirai quando ti sarai
ripresa, ok?” e le sorrise.
“Non ho più molto tempo…” e
fece un sorriso sofferente “Voglio dirtelo…” e tossì
ripetutamente.
Il ragazzo le sollevò il busto, e con la mano
le appoggiò il viso alla sua spalla.
“Ora basta: non voglio vederti soffrire in
questo modo” le sussurrò.
“Mentre ho tirato… quel sasso… ho…
pensato… alla mia paura di morire…”
Rukawa spalancò gli occhi.
“Ho… tanta paura… tanta…
paura…”
Lui la strinse a sé.
“Non devi avere paura: ci sono qui io. Prometto
che non ti accadrà niente” e la guardò intensamente; i suoi
occhi erano socchiusi, quasi a rifiutare gli ultimi raggi del sole che
penetravano dai finestrini della macchina.
Poi la ragazza sorrise tristemente.
“Mi fido… di te… Ti amo…
Kae… de…” e chiuse gli occhi, svenendo nuovamente per il
dolore; un’unica lacrima aveva bagnato la sua guancia caldissima.
“No!!! Kate!!!” ed osservò il suo
volto pallido.
“Qui non ci muoviamo di un millimetro e Kate sta
sempre peggio” concluse Mitsui, osservando la strada piena d’auto.
“A mali estremi…” fu l’umica
frase che disse Rukawa.
Aprì lo sportello; prese con sé la
ragazza, adagiandola sulla sua schiena, tenendola per le gambe e piegando un
po’ il busto per non farla cadere all’indietro.
-Ti porterò io all’ospedale- e cominciò
a correre tra le vetture più in fretta che poteva.
-Bravo amico! A mali estremi, estremi rimedi-
pensò Mitsui, vedendolo sparire tra il traffico.
Arrivò dopo poco all’ospedale.
Entrò immediatamente, urlando a gran voce che aveva bisogno di un medico.
Fu subito raggiunto e lui spiegò la situazione.
Kate fu adagiata su un lettino e portata subito via.
Il ragazzo la seguì fin che poté,
tenendole la mano, poi si divisero all’entrata della sua stanza.
“Lei non può entrare qui” gli disse
un’infermiera, chiudendo la porta dietro di sé.
Kaede rimase ad osservare Kate dalla finestra interna
della stanza per un po’; poi si sedette nella sala d’aspetto, in
attesa di notizie.
Rukawa si era addormentato in quella sala, sdraiandosi
su diverse sedie imbottite.
Fu svegliato da Mitsui che era riuscito a
raggiungerlo.
“Ehi, dormiglione… è già
notte, lo sai?”
“Notte…?” non pensava che fosse
già così tardi.
“Ti va? L’ho preso al distributore, non so
se sia buono…” e gli porse un caffé, cominciando a bere il
suo.
“Ti ringrazio” prese il bicchiere di
plastica, sedendosi e sorseggiando lentamente.
“Hai saputo qualcosa?”
“No, non mi hanno ancora detto niente” e
guardò il pavimento con sguardo distratto.
“Vedrai che starà bene” e Mitsui
chiuse la conversazione.
“Chi di voi due è un parente della
signorina Brandon?” chiese un medico, raggiungendo i ragazzi.
“Veramente, nessuno dei noi” ammise
Mitsui.
“Allora non posso dirvi niente” e fece per
andarsene.
“No, senta, lei mi deve dire come sta!”
disse Rukawa, prendendogli una spalla e fermandolo.
“La ragazza non ha nessun famigliare”
intervenne Mitsui.
“Lei, cos’è per la ragazza? Il
fidanzato, forse?” chiese il vecchio signore a Kaede.
“Beh…” non sapeva cosa rispondere.
“Sì, è esatto: è proprio il
fidanzato. Gli parlerà ora?” si intromise di nuovo Mitsui.
Rukawa lo guardò male.
“E va bene: visto che la ragazza non ha parenti,
dirò a te la diagnosi. Seguirmi” e il dottore si allontanò.
“Ma come ti è venuto in mente di dirgli
che sono il fidanzato?!” lo prese per il collo Kaede, rosso in volto.
“E dai, su. Guarda il lato positivo: ora saprai
come sta Kate. Questo è l’importante” cercò di
giustificarsi Mitsui, prendendolo un po’ in giro.
“Per questa volta te la sei cavata” e
lasciò la presa, seguendo poi il vecchio dottore.
Quando era ormai alla fine del corridoio, e stava per
entrare in un altro, Mitsui urlò
“E comunque è vero che sei il suo
fidanzato: si capisce da come arrossisci per lei” e si mise a ridere.
Rukawa si fermò e rivolse il suo sguardo,
imbarazzato e furioso allo stesso tempo, verso l’amico.
“Piantala di dire sciocchezze!” e si
allontanò.
-Spero di avergli tolto un po’ di tensione.
Chissà come starà Kate…- pensò Mitsui. Rimasto solo
si sedette nuovamente ed, immerso nei suoi pensieri, finì di bere il
caffé.
Rukawa entrò nello studio del dottore.
“Si sieda, la prego” gli disse il signore,
e lui eseguì.
“Allora, com’è la
situazione?” chiese nervoso.
“Molto seria. La malattia della sua fidanzata
è attualmente in uno stadio gravissimo. Sapeva che era malata,
vero?”
“Sì”
“Sa, per caso, se qualcuno della sua famiglia soffrisse
della stessa cosa?”
“Il padre”
“Capisco…”
“Ma ora come sta?!”
“Per il momento le abbiamo solo abbassato la
febbre; è sotto sedativi: il dolore la sfiniva…”
Rukawa deglutì.
“Dovremo aspettare che si svegli per decidere il
da farsi”
“Cosa intende dire?”
“Se non la operiamo in fretta potrebbe non
farcela, ma senza il consenso di lei non possiamo procedere”
“Acconsento io!” urlò Rukawa,
sbattendo i pugni sulla scrivania del dottore, alzandosi in piedi.
Il vecchio signore, osservò lo sguardo deciso
del ragazzo.
“Apprezzo la sua determinazione, ragazzo, ma lei
non è un parente diretto e la sua concessione non vale; la legge
è chiara: solo l’interessato, o un parente stretto, può
autorizzare un intervento tanto difficile e con una percentuale di successo
così bassa”
“Quindi non può fare niente per
lei?!”
“Ho le mani legate”
“Non è possibile! Sa come aiutarla, ma
non può farlo per un motivo tanto stupido?!”
Il medico annuì.
“Mi dispiace”
“Maledizione!!!” e si voltò, quasi
come se volesse rifiutare la realtà.
“Ma non si preoccupi: per il momento è
salva; dovrebbe riuscire a risvegliarsi nei prossimi giorni, così
potremo chiedere il suo consenso. Però se non riuscirà a
svegliarsi entro una settimana…”
“Se non si risveglierà entro una
settimana…?!”
“Credo che non potrò più fare
più nulla per lei” concluse con voce grave.
“No!!!” urlò Rukawa.
Uscì dallo studio, sbattendo la porta dietro di
sé, e corse verso la camera di Kate; la osservò a lungo,
appoggiandosi al vetro della finestra interna, sentendosi inutile.
-Riuscirò a mantenere la promessa…
guarirai presto- pensò.
E tornò nella sala d’aspetto per spiegare
a Mitsui la situazione.
Passarono sei giorni, e niente cambiò.
Rukawa andava a trovarla ogni giorno, dopo la scuola.
Si sedeva sempre accanto al letto di Kate, prendendole la mano. La osservava in
silenzio; le sistemava la coperta, nascondendo il corpo fino a metà
busto; le sistemava i capelli, incorniciandole il viso con la sua chioma
biondissima; infine, osservava il volto dall’alto, posizionandosi in modo
da avere il suo viso a pochi centimetri da quello di lei, sperando di rivedere
i bellissimi occhi blu che l’avevano cambiato così tanto in
così poco tempo.
Questo, però, non avveniva mai. Quindi si
risedeva e rimaneva a fissarla per molto tempo, senza fare niente.
Ogni tanto veniva a fargli compagnia anche Mitsui,
quando non era impegnato con il suo lavoro d’allenatore; ma le sue visite
non erano mai lunghe, e Rukawa si ritrovava di nuovo solo.
A volte capitava che si addormentasse sul letto di
Kate, esausto per la giornata passata a sperare in qualcosa che non accadeva, e
che solo l’infermiera lo risvegliasse di mattina all’ora delle
visite mediche.
Anche il sesto giorno si ripeterono le stesse azioni,
e la sera stava avanzando velocemente.
-Perché non ti svegli? Oggi è
l’ultimo giorno… e sta per finire- pensò stringendole la
mano, appesantita dalla flebo.
Poi le alzò il braccio in modo che le dita
senza forza di lei gli accarezzassero la guancia; chiuse gli occhi e si fece
trasportare dal gesto involontario di Kate. Subito dopo si alzò dalla
sedia e la baciò sulla fronte, accarezzandola successivamente.
Fece per andarsene, ma fu fermato da un suono
bellissimo.
“Kaede” sussurro la ragazza, compiendo uno
sforzo immenso.
Lui si voltò di scatto.
“Kate!” si limitò a dire, e corse
ad abbracciarla.
Rukawa poté rientrare dopo molto: quando i
medici la lasciarono in pace, avendole fatto tutti gli esami che dovevano farle.
“Allora, come ti senti?” le chiese piano.
Lei sorrise; quell’espressione serena
rincuorò il ragazzo: era da tanto che la voleva rivedere.
“Kaede, senti…” ora parlava quasi
normalmente.
“Dimmi”
“Mi dispiace”
“E di cosa?!” non riusciva a capire di
cosa stesse parlando.
“Di non essere stata onesta con te: non ho avuto
il coraggio di dirtelo. Tu mi hai rivelato ogni cosa del tuo passato, io
invece…”
Lui le sorrise.
“Davvero credi che io possa avercela con te per
un motivo tanto stupido” e le accarezzò la fronte con delicatezza.
Lei cominciò a piangere.
“Che ti succede? Perché stai piangendo
ora?” chiese preoccupato.
“Ho paura. Ho paura dell’operazione”
“Quindi hai accettato”
“Sì, ma ci sto ripensando…”
“Per quale motivo?!”
“Non vedo perché dovrei farla… non
c’è nessuno che mi aspetta fuori dalla sala operatoria: mio padre
non c’è più, mia madre è morta in seguito al
parto… Io non servo a nessuno: la mia nascita a ucciso mia madre, sono un
mostro!” e si nascose gli occhi con le mani, continuando a piangere a
dirotto.
Lui le prese i polsi, allontanandoli dal suo volto.
“Come puoi pensare delle cose simili?!” le
urlò contro.
Kate si spaventò per il tono del ragazzo.
“Come puoi fare dei discorsi tanto
egoistici?!” ora strinse la presa.
“Mi stai facendo male!” urlò per
cercare di fermarlo.
“Non pensi agli altri?! Alle persone che ti
stanno accanto?! Non pensi a come reagirebbero alla tua morte, sapendo che ti
sei arresa in questo modo?!”
“Ma tu che ne sai di come reagirebbero le
persone?! Che ne sai di come mi sento?! Tu non sai come ci si sente quando si
è soli!” gli urlò contro.
Lui le lasciò i polsi, e le rivolse uno sguardo
severo.
“Hai ragione. Io non so come ci si sente”
disse in tono sarcastico.
Si voltò ed uscì dalla stanza.
“Kaede, aspetta!” urlò.
“MI dispiace” sussurrò.
Si sdraiò di nuovo e, voltandosi dall’altra
parte, riprese a piangere.
Rukawa non ritornò a trovarla nei giorni
successivi.
Kate aveva rinunciato all’intervento ed era
peggiorata moltissimo; ormai era al limite della sopportazione: il dolore era
fortissimo, anche i sedativi non facevano più effetto.
Mitsui la vedeva sempre più debole e triste.
Non poteva stare lì senza fare niente: decise di parlare con
l’amico cocciuto.
Lo trovò al campetto del primo allenamento con
Kate, che si stava esercitando. Lo osservò per un po’, mentre
cercava le parole adatte da dirgli, e lo vide sbagliare canestri facilissimi.
“Ehi, amico. Come va? Che fai: ti alleni?”
Lui non rispose e fece come se non ci fosse.
“Ignorarmi non ti aiuterà a giocare
meglio. Scusa se telo dico, ma fai veramente pena. Che ti è successo?”
“Smettila di distrarmi!” e tirò
nuovamente, mancando di molto il tabellone.
Si sedette a terra per prendere fiato, umiliato
dall’insuccesso.
Mitsui si sedette al suo fianco.
“Non ho bisogno di una balia” disse
asciugandosi il sudore con la maglia.
Lui lo osservò con sguardo punitivo.
“Per quale motivo non sei più andato a
trovare Kate?” chiese grave.
Rukawa si fermò, spalancando gli occhi:
ripensò a lei sul letto d’ospedale sofferente.
“Non credo che siano affari tuoi” si
rialzò cercando di allontanarsi da Mitsui.
L’amico si alzò in piedi, parlando alla
schiena di Kaede.
“Non so cos’è successo tra voi, e
non m’interessa neanche, ma lei e peggiorata…”
Lui si fermò.
“Quindi si è arresa
definitivamente?”
“Esatto. Sta morendo. Devi farle cambiare idea!
Devi farla ragionare!”
“La scelta è sua”
“Vuoi dire che non ti interessa se soffre in
quel modo?! Mi vuoi far credere che non t’interessa se si sta spegnendo
lentamente?!”
Rukawa non rispose.
“Fai come ti pare! Fai puro il duro! Lasciala
fare, ma non ti disperare poi quando non potrai più fare niente per
lei!” e se n’andò, adirato.
-Kate…- pensò Rukawa; poi si
allontanò dal campetto, lasciando la palla a terra.
Si fermò sulla riva del suo fiume preferito; si
sedette e raccolse un sasso. Lo guardò a lungo, poi lo lanciò con
tutta la forza che aveva.
“Maledizione!!!” urlò.
Subito dopo, ripensò a quanto aveva appena
fatto e gli venne l’idea giusta; raccolse un altro sasso e attuò
il suo pensiero.
Kate stava fissando la città dalla finestra che
dava all’esterno; dalla sua stanza, all’ultimo piano, quella
città le era apparsa davvero bellissima. Voleva uscire da quel luogo e
correre per le strade senza una meta precisa, invece era bloccata lì
senza nessuno che l’andasse a trovare.
Poi, finalmente, ricevette una visita. Era al settimo
cielo: non vedeva qualcuno da molti giorni. Voleva alzarsi, ma era troppo
debole e rimase sdraiata. Non riusciva a riconoscere quella persona
perché vedeva tutto offuscato; vide solo un’ombra entrare e
chiudere la porta dietro di sé.
“Chi è?” chiese con un filo di voce
che quasi non si sentì.
“Come chi è? Non mi riconosci?”
chiese con voce dolce quella persona.
Kate lo riconobbe subito; man mano che si
avvicinò, riuscì anche a vederlo.
“Rukawa!” urlò, con gli occhi
bagnati da lacrime di felicità.
“Esatto. Sono proprio io. Come va? Ti trovo in
ottima forma”
“Bugiardo…”
Lui le sorrise.
Lei cominciò subito a scusarsi per il loro
ultimo incontro, ma fu fermata da lui che le mise un dito sulle labbra.
“Non parlare. Ti ho portato un regalo”
“Davvero?!” era felicissima.
“Ora chiudi gli occhi”
Lei eseguì. Il ragazzo le prese la mano e vi
porse il dono, chiudendo poi le dita in modo che non lo vedesse subito.
Lei riaprì subito gli occhi; osservò con
attenzione il contenuto della sua mano e riuscì ad alzare il busto e
abbracciarlo con tutte le forze che le rimanevano.
Lui si stupì in un primo momento, poi
ricambiò l’abbraccio.
“Hai capito il senso del regalo, vero?”
chiese.
“Certo! Come avrei potuto non capirlo? Le parole
che hai scritto sono bellissime! Ora sono pronta per sottopormi
all’intervento…”
Lui sgranò gli occhi, poi li richiuse subito
per godersi la dolcezza dell’abbraccio della ragazza.
Dopo alcune ore dalla comunicazione della scelta della
ragazza, la sala operatoria fu finalmente pronta e Kate fu trasportata
d’urgenza.
Mentre il lettino veniva spinto a gran velocità
per i corridoi, Kate chiese all’infermiere di fermarsi un attimo.
“Kaede…”
“Sono qui. Dimmi” si mostrò ai suoi
occhi.
“Mi stavi seguendo fino alla sala operatoria,
vero?”
“Sì. Ti aspetterò fuori”
“Quindi quel giorno parlavi di te: eri tu quello
che avrebbe reagito male alla mia morte”
Lui arrossì ed annuì.
Lei sorrise.
“Ora ho una persona che mi aspetta. Ora non sono
più sola. Sono felice”
“Io ti aspetterò. Quando sarai uscita torneremo
ad allenarci: ricordati che mi devi portare in America” ed alzò il
pollice in segno di vittoria.
“Farò più in fretta che
posso” e sorrise.
“Ora basta parlare! Non c’è
più tempo!” intimò un’infermiera, allontanando
Rukawa, e facendo sparire Kate dietro una porta chiusa.
Il ragazzo rimase a lungo ad osservare la luce
dell’insegna luminosa della sala operatoria, in attesa di buone notizie.
Kate, mentre si stava addormentando per effetto
dell’anestesia, riguardò il regalo che le aveva fatto Kaede.
Lesse le parole scritte su quella pietra di fiume
-La mia più grande paura è perderti per
sempre-
Era scritto con un pennarello indelebile con la
calligrafia di Rukawa.
-Lui l’ha scritto su questo sasso per farmi
sapere qual è la paura che lo sta angosciando in questo momento; solo io
posso aiutarlo a vincerla: devo riuscire a sopravvivere. Vincerò la mia
paura di morire, e ritornerò da lui- pensò.
Subito dopo si addormentò ed incominciò
il lungo e difficile intervento.
Rukawa stava seduto fuori da quella sala operatoria da
molte ore ormai.
“Come sta andando?” chiese Mitsui, che
sopraggiunse all’improvviso.
“Non so: l’operazione non è ancora
finita”
“Ho appena incontrato il dottore che
l’aveva in cura. Mi ha detto che forse è troppo tardi, che ha
aspettato troppo prima di accettare…”
“Ma che dici?!!!”disse in preda al panico.
“Io non gli credo: sono sicuro che ce la
farà. Riuscirà a tornare da te!”
Rukawa fece un sorriso triste e rassegnato.
“Anche tutti noi ne siamo più che certi:
Kate guarirà!” dissero in coro tutti gli amici di lui.
“E voi che ci fate qui?” chiese sorpreso.
“Anche noi siamo preoccupati per lei, cosa
credi?!” intervenne Aruko.
“Vi ringrazio di essere qui” si
limitò a dire.
Così tutti (Mitsui, Miyagi, Hanamichi, Eric, le
matricole e Aruko) rimasero a fare compagnia a Kaede. Aspettarono insieme, con l’ansia
nel cuore, l’esito dell’operazione.