Breathe Me.
Bene,
ci siamo. Non ho idea del perchè sto pubblicando questa
cosa. Per
chi non mi conoscesse, sono Alis.
E, senza ombra di dubbio,
Glee non mi appartiene. Se siete abbastanza coraggiosi da teriminare la
lettura, le note vi aspettano in fondo al capitolo. Vi lascio
alla storia.
Capitolo Uno.
Bianco.
E’
come cadere nel vuoto, così,
inaspettatamente. Quando non hai più niente a cui
aggrapparti per rimanere in
piedi, e tutto sembra terribilmente difficile da affrontare,
più di ogni altra
cosa.
Come quando hai tanti, tantissimi colori
attorno a te, colori ovunque, i colori ti circondano, tutti questi
bellissimi,
spettacolari colori ti accecano, eppure vedi solo bianco. Bianco, e
vuoto. E’
aria, il colore è solo aria.
Realizzi che tutto è solo aria.
Si tratta di crescere in pochissimi, brevi
istanti. E’ la fine di qualcosa di splendido,
l’inizio di qualcosa di
spaventoso. Una voragine, scura e profonda, che fa paura, troppa.
Vederlo lì fermo, la sua mano che scivola
piano verso il basso, fredda, come il lenzuolo che sta per toccare,
inevitabilmente.
Definitivamente, bianco.
Kurt non avrebbe mai pensato che sarebbe
arrivato un momento del genere. Non pensava che sarebbe arrivato un
giorno in
cui ogni sua speranza, ogni suo progetto sarebbe crollato
definitivamente.
Eppure tutto cadeva con lui, scivolava via
insieme alla presa di quella mano, proprio quella che lo aveva sempre
tenuto
su, in alto, che gli aveva mostrato di essere superiore a quello che
dice la
gente, a quello di cui gli altri hanno paura.
Era così Bianco. Il suo volto, tutti quei
tubi, le pareti dell’ospedale. Tutto troppo bianco, troppo
anonimo.
Il suo futuro, le sue certezze, in quel
momento, erano crollate definitivamente, insieme a quella linea Verde.
Piatta.
Verde, era l’ultimo colore che lo aveva fatto sperare. Verde
speranza, perché la
speranza è l’ultima a morire. Aveva sperato di
vedere tutto quel verde muoversi
ancora, con tutto se stesso. Aveva pregato per ore di non dover
rinunciare a
tutto, perché, Dio, non era pronto, per niente. Eppure
eccolo lì. Aveva
sperato, tentando di aggrapparsi a qualcosa che potesse tenerlo in
piedi. Ma anche
quella speranza aveva ceduto, insieme
allo sguardo vuoto. Quello sprazzo di verde, quello era
l’ultimo colore che
Kurt avrebbe mai visto, visto sul serio.
Il verde glielo ricordava. Non sapeva bene
perché, ma c’era qualcosa, nel verde, che lo
tranquillizzava. Gli ricordava che
c’era ancora qualcosa.
Kurt sapeva che non esisteva solo il
bianco. Solo che non vedeva, non più, non come prima, non
avrebbe più visto
come prima.
Tutto stava per assumere forme ed
accezioni diverse da quelle che aveva sempre conosciuto, Amare,
cattive, diverse.
Terribili.
Kurt c’era ancora?
L’arrivo del bianco aveva spazzato via
ogni sprazzo di giovinezza ed adolescenza che gli era rimasta,
portandosi via
suo padre così, dal nulla.
Mentre la sua mano stringeva
impercettibilmente quella del padre, in cerca di qualcosa,
qualcosa che non gli sarebbe mai stato restituito, Kurt
avvertì un fuoco, dentro. Tutto era amplificato, eppure
niente esisteva. Era
circondato dal bianco, lo stava inghiottendo. Lo stava lacerando.
Tutto era ovattato, non c’era rumore, non
più. Non c’era musica.
Quando
sua madre li aveva lasciati, Kurt era ancora troppo
piccolo per capire
sul serio. Era spaventato, e triste, e disperato. Ma aveva ancora Burt.
Aveva
il suo papà, l’uomo che lo avrebbe stretto a
se’ ogni volta, che lo avrebbe
protetto e salvato dal mondo, nonostante tutto, nonostante i problemi.
Lo
avrebbe salvato, gli avrebbe spiegato cosa era giusto e cosa no, lo
avrebbe
reso una persona migliore, una persona di cui essere fieri, fieri sul
serio.
Kurt non era pronto alla sua morte. Non
era pronto a rimanere solo, solo sul serio.
Non era pronto a lasciare quella stanza d’ospedale,
così fredda e anonima, eppure piena di significati, e
tornare in una casa piena
di ricordi, ma terribilmente vuota.
Aveva paura di scoprire cosa avrebbe
trovato.
Kurt aveva diciassette anni. E di lui era
rimasto un nome, un numero, e troppa gente pronta ad odiarlo.
Nessun appiglio. Nessun rifugio. Non aveva
nessun porto sicuro, nemmeno se stesso.
Aveva sempre pensato che avrebbe pianto
sul capezzale di suo padre. Tutti lo immaginano. Fu sorpreso di
scoprire che
non ci riusciva. Riusciva solo a tenere gli occhi sbarrati, fissi in
quelli
identici di suo padre, ancora aperti, e tentare di trovare una via di
fuga.
Kurt voleva scappare. Voleva svegliarsi. Voleva esistere, Voleva sapere
che era
stato solo un sogno. Avrebbe dato qualsiasi cosa per avere qualcuno che
lo prendesse per
mano e gli dicesse che era tutto finito,
che andava tutto bene.
Rimase immobile, così, impassibile, mentre
le infermiere passavano al suo fianco, e tentavano di spostarlo da
lì.
Semplicemente non poteva crederci. Si
rifiutava di crederci.
Era successo. Era solo.
Poi, la rabbia.
Ricordava solo rabbia, rabbia. Rosso
ovunque, rosso scuro, come il sangue. Rosso ovunque. Grida, panico. Ma
solo
dentro. All’esterno, rimaneva il bianco. Solo bianco.
Era un guscio. Il bianco lo stava
distruggendo, lo stava facendo crollare e affondare. Sarebbe affogato
nel
bianco, e nessuno avrebbe potuto rendersene conto.
All’esterno di Kurt, un mare di voci
preoccupate. Calore attorno a lui, braccia che lo stringevano
delicatamente,
lacrime. Kurt nemmeno si rendeva conto che fossero le sue.
All’improvviso, un
calore diverso dagli altri. Persone
familiari. Troppo. Un
abbraccio
diverso, impacciato. Sapeva di casa. E quel profumo, quel dopobarba.
Kurt non
voleva andare a casa. Ovunque, ma non a casa. Non con due persone che
chiamava
famiglia, ma che erano estranee. Ormai erano estranee.
Mani,
troppe mani. Kurt Non era più responsabile delle sue azioni,
e se ne rendeva
conto solo in quel momento. Tentando di bloccare quelle mani
disperatamente, si
stava affannando in cerca del verde. E poi lo afferrò, il
verde.
Disperatamente.
Ti
portiamo via.
Occhi
verdi.
Kurt
era perso. Kurt aveva annuito, e si era calmato, mentre tutti
ammutolivano.
Mentre quel minimo sprazzo di verde lanciava uno sguardo infuocato al
resto
della massa, e lo trascinava via. Dietro di loro, qualcun altro
camminava a
passo svelto.
E,
mentre un ragazzo con la cresta metteva metodicamente in moto la
macchina ed
una ragazza dai capelli fuxia gli allacciava la cintura con delicata
decisione,
seppe che non sarebbe più
stato lo
stesso.
Aveva
bisogno di qualcosa che gli ricordasse il verde. Sempre. Prima che lui
potesse
dimenticarlo. Prima che il bianco sostituisse tutto quanto.
Aveva
bisogno di vivere cose diverse, aveva bisogno di Essere diverso. Aveva
bisogno
di trovare la forza di crescere, perché era questo che il
mondo gli stava
imponendo. Ma Kurt non sapeva se era davvero pronto a farlo. Kurt non
sapeva
più niente.
Kurt
aveva di fronte l’estate più lunga della sua vita.
Ma avrebbe combattuto, lo
aveva sempre fatto. Suo padre gli aveva insegnato a farlo. Adesso
doveva
dimostrare a suo padre che poteva credere in lui. Doveva trovare un
modo. Poteva
farlo. Perché era tutto quello che gli era rimasto. Ma con
niente in mano, come
avrebbe trovato la strada? Come, senza di Lui?
***
Quella
notte non aveva dormito troppo bene. Tornare alla scuola pubblica lo
agitava,
non poco. Ma era deciso ad affrontare i suoi fantasmi. Era cresciuto, era
responsabile di se stesso e di
quello che succedeva attorno a lui. Non avrebbe lasciato che dei bulli
lo
sottomettessero di nuovo. Avrebbe mantenuto un profilo basso, questo
era certo,
ma non si sarebbe lasciato spaventare. Lui era più forte. E
se i suoi genitori
ritenevano la storia della scuola privata una sciocchezza, era pronto a
farlo
anche lui. Blaine sapeva come difendersi, ora. Blaine era fiero di
quello che
era, e non aveva niente da invidiare a nessuno. Per questo, forse,
faceva di
tutto per non focalizzare la sua attenzione sulle scritte che ricoprivano i muri del
bagno maschile della
McKinley High School. Non voleva sapere. Non subito.
Osservò
il contorno delle sue labbra, e tentò
di distenderle, per non risultare subito antipatico a tutti. Era
arrivato molto
prima dell’inizio delle lezioni, lo sapeva, ma
l’ansia di arrivare in ritardo
gioca brutti scherzi, a volte. Si allontanò leggermente
dallo specchio, e fece
un respiro profondo, prima di stringere al petto il laccio della sua
borsa.
Era
un Anderson. Gli Anderson non hanno paura
di niente.
Mosse
qualche passo verso la porta, e la spalancò, diretto verso
la segreteria.
Avrebbe scoperto i suoi orari, e magari, con un po’ di
fortuna, avrebbe fatto
qualche nuova conoscenza, chissà.
La
segreteria dava proprio sul parcheggio della scuola.
Un’’anziana
signora, sulla settantina, propose al ragazzo di fare un giro turistico
in
attesa dell’inizio delle lezioni, ma Blaine
rifiutò l’offerta. Aveva già
visitato la scuola nei dieci minuti precedenti, e quando aveva visitato
lo
stabile con i suoi genitori ed il preside. A lui piaceva fare le cose
da solo.
Lo faceva sentire indipendente. Aver bisogno di qualcuno era difficile,
a
volte. Magari era colpa dei suoi se la pensava così.
Una
volta recuperati gli orari, Salutò la signora addetta alla
segreteria, e si
avviò fuori attraverso l’ingresso, per aspettare
in macchina, magari ascoltando
un po’ di musica.
Mentre
camminava, però, avvertì delle voci.
Voci
che non promettevano niente di buono.
Spazio di Alis.
*Si
nasconde in un angolino per evitare i pomodori.*
LO SO che mi state odiando. Mi odio anch'io, odio pensare a
Kurt in quelle condizioni. Ma non è colpa mia,
è l'Angst che si impossessa di me(?)!
In ogni caso, pensavo di scriverla da un po', e ci tengo
particolarmente. Non ho idea di cosa ne verrà fuori, non so
di quanti capitoli si tratterà. Ma se vi piace, se non vi
piace, se avete consigli per migliorarmi e migliorare questa.. cosa(?),
potete recensire. Oppure mi trovate qui: https://twitter.com/GoodCrisser
Sono aperta a tutti i pareri, sono la prima a a pensare che faccia un
po' schifo, quindi non fatevi problemi xD
Ah, se riesco a mantenere un ritmo regolare, vorrei pubblicare ogni
settimana. Quindi, Alla prossima. <3