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Autore: Varekai    14/01/2007    8 recensioni
Sotto la luce flebile e bianca della luna c’è un corpo che si contorce su se stesso. Ma no, ma no! Non è un corpo solo, sono due. E a ben guardare non sono neanche due corpi uguali: uno è maschile e l’altro è femminile. Anzi, non sono solo due corpi, sono un uomo e una donna. Forse hanno anche un nome, ma non oggi. Nella notte l’hanno dimenticato.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allison Cameron, Greg House
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sotto la luce flebile e bianca della luna c’è un corpo che si contorce su se stesso.

Ma no, ma no! Non è un corpo solo, sono due.

E a ben guardare non sono neanche due corpi uguali: uno è maschile e l’altro è femminile.

Anzi, non sono solo due corpi, sono un uomo e una donna.

Forse hanno anche un nome, ma non oggi. Nella notte l’hanno dimenticato.

Oggi sono solo un uomo e una donna che, l’uno dentro l’altra, si stanno amando.

Lei è bella ed è anche molto giovane. Venticinque, forse trent’anni.

Lui invece bello non è, ma – dicono in tanti – ha fascino. Non solo per quegli occhi blu che trapassano ogni cosa, né per la sua aria maledetta.

E’ un genio. E’ l’incubo dei virus, il terrore dei batteri! Il più brillante medico di tutto il New Jersey.

Anche lei è un medico, lavora per lui.

Ma ora non importa: fanno solo parte di un’unica Grande Entità con quattro braccia, quattro gambe e due teste che si muove lenta e inesorabile.

***

Al principio ci fu attrazione. Ci fu il bisogno di innamorarsi e ci furono dei sentimenti nati troppo presto. Ci furono delle speranze e delle delusioni, ci fu paura di farsi e di fare del male.

Poi ci fu rassegnazione e negazione. E tutto sembrò finito.

Ma qualcosa rimase aggrappato alla parete del dirupo e, lentissimamente, tornò in superficie.

Quanti furono gli sguardi complici, fugaci e intensi, che si erano scambiati? Quanti?

Nessuno li ha contati, ma ce ne furono… oh sì, ce ne furono!

E poi quelle mani. Quel giorno grigio e anonimo, di cui nessuno si ricorda neanche se era martedì o mercoledì…

Un paziente di appena otto anni, reduce da due inspiegabili attacchi cardiaci. Attaccato a centinaia di tubi che lo tenevano in vita.

Lei era seduta accanto al letto del bambino per controllare che non avesse un terzo attacco, ma la sua aria compassionevole faceva intendere che non fosse lì solo per quello. I genitori non erano rimasti con lui in ospedale, il che le provocava una gran pena: un bambino lasciato da solo, malato, in un ospedale freddo e vuoto.

Lui entrò, zoppicando come suo solito. Non la salutò ma la guardò; lei ricambiò appena lo sguardo, tuttavia nel momento in cui gli occhi si incrociarono sentì il cuore implodere.

Anche lui si sedette, sul letto del bambino. Lei lo sapeva, non stava lì per intervenire in caso di attacchi cardiaci né per pena di un povero bimbo solo: era lì per la malattia. Probabilmente aveva notato qualcosa di strano e doveva verificarla. Non era un caso che ci fosse andato di notte, quando il bambino dormiva: minimo contatto con il paziente.

Entrambi guardavano il paziente, sebbene con occhio diverso. Fingevano che l’altro non ci fosse, pur sapendo di essere terribilmente vicini, pur sapendo di avere le mani così dannatamente vicine le une alle altre.

La più coraggiosa delle quattro mani si avvicinò a quella dell’altro, la sfiorò per un momento. Ambedue si ritirarono, velocissimamente, spaventate dal contatto e dall’audacia della prima mano.

Ma qualcosa era scattato. Le due mani, piano, si riavvicinarono, così impercettibilmente che era impossibile stabilire quando si fossero nuovamente sfiorate. La mano di lui si voltò su se stessa, tenendo in su il palmo. Era un segno di resa. Le dita di lei iniziarono a scalare quelle di lui, arrivando a carezzare lievemente i suoi polpastrelli. Era una danza, un passo a due lento ed intimo. Le due mani si chiusero una sull’altra, le dita di lei scorsero tra quelle di lui, trovando il perfetto incastro. La mano di lui si serrò, allentò la presa e poi si serrò di nuovo.

Nessuno disse nulla, non si guardarono, non si movettero. Ma la notte ad un tratto sembrò meno lunga.

***

Avevano stretto un taciturno accordo: far finta di niente. Non una parola, non un accenno, nulla di nulla. Tutto sembrava sparito insieme al paziente e alla sua malattia.

Ma era straordinario vederli affannarsi e tentare disperatamente di ritrovarsi di nuovo soli in una stanza. Perfino lui, un vero bastardo, rude e scortese, aveva sentito che, mentre stringeva la mano di lei, qualcosa in mezzo al petto – qualcosa che non aveva mai studiato sui libri di anatomia, ma sapeva che c’era – si distendeva per la prima volta da lunghissimo tempo e pensava: “Oggi è una buona giornata”.

Aspettarono così tanto quel momento che, quando si ritrovarono di nuovo soli in una stanza, nulla accadde. Tutto era sembrato perfetto, il posto, il momento, la situazione. Era sembrato assolutamente casuale che fossero in quella stanza in quel momento, anche se era stato tutto programmato.

E nulla accadde. Forse perché era stato tutto programmato.

Si guardarono. Si guardarono a lungo.

E lui pensò che, se tutto era stato pianificato, uno come lui doveva fare di tutto per sabotare i piani.

E lei pensò che, se tutto era stato pianificato, quel momento aveva perso il suo brio.

Ed entrambi si diedero dell’idiota quando si accorsero che l’occasione era sfumata per una testarda stupidaggine, sapendo che un’occasione altrettanto ottima non si sarebbe più ripresentata.

E invece si ripresentò.

Quasi due mesi più tardi. Dieci pazienti dopo quelle mani coraggiose che si erano allacciate e strette per lungo tempo.

Stavolta niente fu previsto e programmato.

Lei da sola, in laboratorio, ad aspettare i risultati di esami che lei riteneva assolutamente inutili.

Lui che passava di lì solo perché sapeva che la capa lo stava cercando al piano di sopra e si infilò nel laboratorio perché lì i suoi doveri non l’avrebbero cercato.

Lei non si voltò, mentre lui richiudeva la porta alle sue spalle.

Lui s’insospettì. Si avvicinò ancora un po’ con la sua camminata claudicante, per vedere se si sarebbe accorta del suo arrivo.

Lei si era resa perfettamente che lui era entrato in laboratorio (avrebbe riconosciuto i suoi passi tra mille) ma non si voltò.

Lui si avvicinò ancora, chiedendosi fino a quando non si sarebbe accorta della sua presenza.

Lei rimase immobile, chiedendosi per quanto si sarebbe avvicinato ancora.

E lui si avvicinò ancora un po’, e poi ancora un pezzetto. Fino a quando lei fu costretta a girarsi dalla strana sensazione di avere un’ombra.

E si accorse che lui era molto più vicino di quello che aveva calcolato.

Aveva vinto lui e la guardava negli occhi con aria sorniona e soddisfatta.

Poi inevitabilmente il suo sguardo scese, giù giù fino alle mani, rilassate lungo il corpo.

Le aveva strette, quelle mani, le aveva toccate ed esplorate. Poteva dire l’esatta tonalità della pelle, lo spessore delle ossa, la lunghezza delle dita e la delicatezza della sua pelle sotto la sua.

Le conosceva, quindi erano sue.

Gli piaceva questa sensazione di “proprietà” data dalla conoscenza, tuttavia si rese conto che di lei conosceva così bene solo le mani.

Tante parti del suo corpo richiedevano di essere conosciute ed esaminate: i capelli, la fronte, le orecchie, gli occhi, il naso, gli zigomi, la bocca…

E senza pensare, la baciò.

Le teneva vigorosamente la nuca, mentre con l’altra mano si sosteneva con il bastone.

Lei accettò il bacio come se fosse la più naturale delle cose e strinse le sue mani intorno alla faccia di lui, carezzandola pesantemente.

Sussultarono entrambi quando le loro lingue s’incontrarono.

Lentamente, il corpo di lui si appoggiò a quello di lei, eliminando totalmente lo spazio tra loro.

Rimasero così qualche minuto, ma ad entrambi sembrò essere passato solo un attimo.

Poi lui si liberò dalla stretta di lei, scivolò dalle sue mani e dalle sue labbra impazienti, la guardò con malizia, dunque si voltò e uscì dal laboratorio.

Nulla sarebbe stato come prima.

***

La Grande Entità si è placata. Dopo aver emesso un grido soffocato con le sue due voci, il suo immenso corpo unico si è diviso nelle sue parti originarie.

Ci sono respiri e sguardi, sguardi e respiri. Ancora pelle su pelle, corpi ancora troppo vicini per distinguere i loro confini.

Le gambe sono intrecciate tra loro, le braccia sono ognuna sull’altro, i volti distanti appena pochi centimetri.

C’è un bacio, che bacio non è. E’ un carezza lenta e leggera, un contatto, due labbra che si sfiorano e si cercano per non perdersi.

La luce della luna fa luccicare le gocce di sudore, rende le pelli ancora più chiare.

Presto entrambi ricorderanno il loro nome, i loro corpi avranno di nuovo una forma definita, torneranno ad avere la loro personalità, saranno di nuovo quello che erano prima.

Ma forse non saranno identici a se stessi: si renderanno conto di aver dentro di sé qualcosa dell’altro, opposto ma perfettamente conforme al resto.

E allora saranno lo Yin e lo Yang.





Recensire è un modo per aiutare l'autore, incoraggiandolo a continuare e facendogli capire i suoi errori. Quindi, recensite! Non costa tempo e mi aiuta a capire se il lavoro è andato bene o se è stato un fallimento.
Grazie
Varekai
  
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