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Autore: Italianulare    29/06/2012    2 recensioni
Cesare.
Emma.
Due storie agli antipodi. Due vite agli antipodi.
Apparentemente incompatibili, ma lo sappiamo tutti come i sentimenti offuschino ogni minima traccia di certezza umana con la loro intensità.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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New York, New York,
E' una scommessa d'amore






«Se dovessero scrivere una storia su di te si riempirebbe un libro di pagine bianche.» mi diceva quell’uomo che si spacciava per mio padre ogni volta che tornavo da scuola con un’insufficienza o una nota.

In effetti la mia vita non è mai stata uno spasso e nulla di entusiasmante, o almeno così credevo all’età di 15 anni.
Un fantomatico padre che mi ricordava di essere una merda ogni qualvolta non davo segni di essere un piccolo genio, una madre che adoravo, ma che non comprendevo, pochi amici piuttosto superficiali per cui non contavo poi molto, una chitarra, una passione per i film horror e una conseguente dipendenza da computer con l’avvento del pc nella mia casa. Insomma, nulla di così interessante da scriverci sopra un libro. Nulla di così figo da farmi sembrare almeno uno Scamarcio dei poveri. Ero solo un ragazzo normale, che conduceva una vita normale con una storia del tutto normale.
Anonimo, era il mio nome.
Era.
All’età di 14 anni ho conosciuto colui che mi ha portato sulla cattiva strada, cioè, sulla cattiva strada alla fine c’ero già, ma non me ne ero convinto fino a quando questo ragazzo me l’aveva fatto notare.
Questo ragazzo si chiamava Johnny. Un nome che gli apriva molte strade, non si sa perché ma i nomi così americani piacevano un casino, ma lui era inglese, di Bristol.
Si era trasferito a Roma a quattro anni con la madre e io l’avevo incontrato in quell’istituto tecnico informatico in cui ero andato a sbattere.
 
Avevo quattordici anni e stavo entrando alla scuola superiore, avevo conquistato qualcosa che poteva assomigliare ad una lontana cugina dell’indipendenza, così, quando ero sceso dall’autobus in cui una anziana signora mi stava raccontando di come suo nipote l’avesse resa orgogliosa, avevo respirato aria pura e avevo sorriso alla vita. Mi si stava aprendo un nuovo mondo.
Quattro passi, ci erano voluti quattro passi per scontrarmi con quello che sarebbe poi diventato, con gli anni, il più forte fattone di tutti i tempi, il più cretino della storia e il migliore amico che io avessi mai potuto desiderare.
«Oh, scusa!» aveva detto immediatamente.
«Scusa te, ero distratto..» mi ero scusato.
«Primo giorno?» aveva chiesto sorridendomi.
«Esatto» avevo ammesso.
«Sai già la sezione?»
«A dire il vero.. no.» avevo riflettuto ad alta voce portandomi una mano sotto al mento.
«Allora vieni, avrai bisogno di una mano per orientarti in questa merda..» aveva concluso pensieroso facendomi strada tra la marmaglia di ragazzi di tutti i tipi.
 
Dopo il nostro primo incontro ogni volta che mi incontrava in corridoio mi salutava, ogni tanto si fermava a parlarmi, giusto due chiacchiere e non so come, in quei pochi minuti mi cambiava la giornata. Sapeva sempre come tirarti su il morale, sempre a terra causa scuola, in due secondi. Annientava in un battito di ciglia il tuo cattivo umore rendendolo solo un lontano ricordo.
Parlare con lui mi rendeva entusiasta della mia vita così anonima e inutile e così, tacitamente, ci eravamo dati appuntamento ogni giorno nel corridoio davanti ai bagni degli uomini, un appuntamento che, ad essere sincero, mi faceva svegliare bene la mattina. Perché Jo somministrava pillole di felicità a piccole dosi e rendeva il mondo molto più colorato.
Fui davvero sorpreso quando, una mattina di febbraio, dopo una settimana che stavo chiuso in casa causa bronchite orribile, suonarono  alla mia porta. Aprii ed un trafelato Jo mi si presentò davanti.
«Non ti ho visto a scuola in questo giorni, così ho chiesto il tuo indirizzo nella tua classe e sono venuto a cercare tue notizie.» spiegò. Da quel giorno, quando realizzai che l’unica persona ad essere interessata a me e al mio stato di salute era lui, Johnny Powel diventò il mio migliore amico.
… anche se.
 
Ma di questo si parlerà in futuro, la mia storia è troppo “vuota” per essere spiegata in poche righe di introduzione.
Quindi veniamo a noi. Veniamo ad ora.
Ora mi trovavo seduto sul divano di casa mia, l’apatia e la noia mi stavano sopraffando in quel periodo, in una maniera talmente prepotente che mi ero addormentato vestito, seduto e incatramizzato alle due di notte guardando pubblicità sugli aspirapolveri in grado di risucchiare anche tua madre.
Il perché non mi era del tutto sconosciuto in fondo. Era sempre per lei.
Lei per la quale avevo perso la testa da cinque anni a quella parte che però non mi aveva mai voluto. L’amore unilaterale è una maledizione, chissà che male avevo fatto inconsapevolmente per meritarmi quell’inferno.
Ci suono assieme, nel nostro gruppo, l’ho vista soffrire per i peggiori stronzi, ho retto in silenzio e poi non ce l’ho più fatta e mi sono allontanato per alcuni mesi da lei e da tutti gli altri di conseguenza, poi sono tornato, quando pensavo di averlo superato.
Ma poi l’altra sera Mauri ci ha chiamati tutti, mega riunione a casa sua, lei aveva qualcosa da dire – contro la sua volontà – il fatto è che era andata a letto con quel Marco.
Chi era lui?
Perché gli è bastato così poco?
E perché a me è bastato così poco per ricadere nell’apatia? Due parole e quel bruciore alla bocca dello stomaco si era rifatto vivo, bruciando tutti i miei sforzi passati. Mi sforzavo di credere che fosse solo un fastidio, ma faticava ad andarsene e ora dovevo rivederla, lei e quei suoi maledettissimi occhi verdi, perché Jo ci aveva invitati a casa sua, comunicazioni di servizio, diceva.
E io di voglia non ne avevo, proprio nessuna voglia.
Però ci dovevo andare, perché ormai il gioco era fatto, avevo ammesso di averlo superato e ora ne pagavo le conseguenze.
Fissai il caffè ormai freddo davanti a me, posato sul tavolino pieno di mozziconi, presi un respiro e mi feci forza «Non sarà così tremendo, dai. Alza questo culo e portalo fuori da qui» mi dissi afferrando la tazzina.
Bevvi tutto d’un fiato e mi battei le mani sulle ginocchia, sarebbe stata una lunga giornata, un caffè freddo e amaro avrebbe di certo aiutato.
Presi il portafoglio e le sigarette rimaste e mi avviai dal mio migliore amico.
 
Le idee confuse non mi permettono di essere chiaro nel mio racconto, tutto si chiarirà col tempo, sappiamo tutti come i pensieri nella testa confondano le parole sputate fuori dalle labbra.
E la stanchezza psicologica non mi permette di prendermi la briga di chiarire i vostri dubbi ora. Con il tempo lo sistemeremo.
 
Questo è il mio cervello.
Questo è Cesare.




***
Goodmorning!
Sono a conoscenza del fatto che faccia abbastanza cagare l'inizio di questa FF, probabilmente anche il proseguimento, ma questo è un altro discorso.
Ci sono, però, alcune cose da chiarire.
Prima di tutto questa FF non è a sè stante, bensì, è nata all'interno di un'altra storia: Tra Palco e Realtà [Che però è su Marco Mengoni e quindi non è presente su EFP].
Diciamo che due giorni fa mi è balenata l'idea di comporre qualcosa riguardo a Cesare, uno dei favoriti all'interno dell'altra FF e quindi eccomi qui.
Non dico altro, spero solo che non sia un totale cacco (?) come penso io.
L'inizio è campato in aria e non si capisce una mazza, ne sono al corrente, ma non posso mica svelare tutto subito, no?
Questa è la storia di Ce.

PS: Il titolo è tratto da una canzone di un altro Cesare, Cesare Cremonini, e si intitola La nuova stella di Broadway.
Ho finito sul serio.
Love you all!

  
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