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Autore: OtoyaIttoki    29/06/2012    1 recensioni
La figlia di un temibile serial killer e il figlio del più grande detective del mondo si incontrano fortuitamente all'insaputa dei propri padri, innescando così uno strano "gioco" del destino. A cosa porterà tutto questo?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Beyond Birthday, Naomi Misora, Near, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Armato di un cappuccino da passeggio e di una pazienza incrollabile, Stephen Loud, meglio conosciuto come Gevanni, percorreva a grandi passi un lungo viale asfaltato, puntellato di ciliegi in fiore che segnavano l’arrivo della primavera.

E la primavera, per milioni di persone, coincide anche con…

«Etciù! La mia solita allergia stagionale, cavolo.» borbottò l’uomo, mentre si soffiava il naso e si inoltrava in un complesso residenziale che ormai conosceva bene. Infatti, anche dopo che la vicenda Kira era stata archiviata, aveva deciso di rimanere un collaboratore di Near, trasformandosi anche in una sorta di suo “tuttofare”.

Se da un lato la mente brillante di Near “firmava” la risoluzione dei casi, dall’altro era lui a doversi occupare di interrogare le persone coinvolte negli omicidi o di recarsi sui luoghi dei delitti per ottenere maggiori informazioni.

In poche parole, era lui a rimetterci la pelle e a vivere sotto stretto contatto con il pericolo. Tuttavia, fin dai tempi in cui frequentava l’accademia, Gevanni aveva mostrato una certa insofferenza per il lavoro d’ufficio, preferendo essere operativo sul campo per mostrare il proprio valore effettivo. Preparatissimo sull’impiego di qualunque arma da fuoco o sulle più efficienti tecniche di spionaggio, non era, però, in grado di stilare un semplice verbale.

«Devo muovermi, altrimenti il cappuccio si raffredderà e Near mi sgriderà come al solito…»

Near andava protetto sempre e comunque, perché rappresentava una sorta di “speranza invisibile” per il genere umano.

Una speranza vicina, eppure così distante.

Con la morte del vero L, Near si era fatto carico di tutti gli oneri che comportava quella posizione e, agendo nell’ombra, cercava di far rispettare l’ideale di giustizia, protetto strenuamente dal suo predecessore.

Ovviamente agendo a modo suo.

Giunto in prossimità di un cancello grigio, rovinato in alcuni punti dalla ruggine, suonò al terzo citofono alla sua sinistra e gli venne aperto immediatamente.

Gli sembrava ancora impossibile il fatto che Near, per lui assolutamente incapace di tessere legami con qualcuno, si fosse sposato e avesse avuto addirittura due figli; anche perché nel corso degli anni non era affatto cambiato (forse aveva solo guadagnato qualche centimetro in altezza e un paio di occhiaie che diventavano ogni giorno più marcate): era rimasto il solito “nanetto” asociale.

Eppure, nonostante Near non concedesse agli altri la possibilità di conoscerlo, lui era riuscito a guadagnarsi uno spicchio della sua fiducia, che lo portò ad usare un tono più confidenziale e colloquiale, ma pur sempre rispettoso, con il suo capo. Al contrario, quando dovevano dare la caccia a Light Yagami, si sentiva quasi impacciato con lui, o addirittura inferiore.

Schiacciato dal suo genio.

Invece, con il passare del tempo, si era reso conto che Near fosse simile in tutto e per tutto ad un regalo: andava “scartato” poco alla volta per conoscerne il reale contenuto.

Oltrepassato il cancello e salita una rampa di scale, Gevanni trovò Ate ad accoglierlo sulla porta, il quale, colore dei capelli a parte, era praticamente la copia esatta di suo padre. L’uomo considerava sia lui che Nia come una sorta di figli adottivi, dato che li aveva visti crescere giorno dopo giorno: si ricordava ancora dei primi passi di Ate, dell’imbarazzo di Nia nel raccontargli la sua prima volta e dei guai che combinavano quando erano entrambi più piccoli.

Nella maggior parte dei casi i loro disastri e i loro capricci erano dei chiari segnali che lanciavano al padre per richiedere la sua attenzione, e Gevanni non aveva potuto fare a meno di chiedersi perché Near li ignorasse in quel modo.

Non si sentiva all’altezza?

Non era in grado di trasmettere loro un po’ di affetto?

O semplicemente non aveva recepito i loro messaggi?

Quest’ultima ipotesi era pressoché impossibile, dato che Near era in grado di capire ogni cosa con una facilità disarmante.

«Salve, Gevanni. Lui la stava aspettando piuttosto impazientemente.»

L’agente salutò il secondogenito, entrando poi in casa e sospirando alla vista di una moltitudine di spartiti, sparpagliati a terra insieme alla divisa scolastica dell’istituto privato che il ragazzo frequentava.

Evidentemente, il concetto di “ordine” non era stato geneticamente trasmesso ai figli di Near.

«Ate, capisco che ti stia esercitando per…»

«Perdoni la mia intromissione, ma sono io il responsabile di questo disordine. Stavo aiutando Ate a scegliere il brano da portare al prossimo concorso.»

La ramanzina di Gevanni venne interrotta dalla comparsa di un coetaneo di Ate che si prodigò a raccogliere con solerzia tutti i fogli abbandonati sul pavimento. Aveva i capelli rossi (chiaramente tinti), gli occhi castani e un piercing all’altezza del labbro inferiore.

«Mmh, pare un teppista travestito da bravo ragazzo.»

«Mi chiamo Kai Teshigawara e sono un compagno di classe di Ate. Piacere di conoscerla!» il ragazzo accompagnò la sua presentazione con un inchino e un sorriso cordiale, riconsegnando poi all’amico i suoi preziosi spartiti.

«Però, a prima vista, sembra più affabile di Ate.»

«Il piacere è mio, Teshigawara-kun. Il mio nome è Gevanni e sono…»

«Il nostro maggiordomo.» Ate completò la frase con naturalezza, lanciando al sottoposto di suo padre uno sguardo neutro «non le conviene perdere altro tempo o quel cappuccino sarà imbevibile.»

«Mi sa che hai demolito il vecchietto, Ate.»  mormorò Teshigawara divertito.

Gevanni fissò Ate con gli occhi spalancati: stava diventando dispotico quanto Near. Dov’era finito il tenero Ate che da piccolo si divertiva un sacco a giocare con lui?

Probabilmente, era scomparso con la madre.

Se da un lato Nia aveva trovato la forza di reagire di fronte a una perdita così grande, Ate si era chiuso a riccio in se stesso, rifiutando lo scorrere del tempo e reagendo apaticamente a ciò che gli accadeva intorno.

Era come se avesse negato a se stesso la condizione di vivere.

Viveva aspettando.

L’unica cosa che riusciva a scuotere il suo animo era il pianoforte e Gevanni era stato ben felice quando lui gli aveva chiesto di comprargliene uno, perché significava che anche Ate aveva trovato un appiglio.

Un appiglio che lo aveva salvato dal baratro.

Infine l’agente, rassegnato, si congedò dai due ragazzi, per poi dirigersi verso una porta, chiusa da un dispositivo computerizzato. Gevanni digitò una sequenza di numeri e questa si aprì, mostrandogli il “regno” di Near: una stanza circondata da monitor, perennemente accesi, tramite i quali il detective osservava il mondo e anche la vita in casa sua.

Si era sempre chiesto se Near non trovasse frustrante “spiare” i propri figli con delle telecamere, piuttosto che parlargli apertamente.

In mezzo a quel locale enorme e illuminato soltanto dalla luce artificiale dei computer, spiccava una figura bianca, rannicchiata su una poltrona.

«Ciuf, ciuf.» biascicò Near con voce atona, facendo scorrere un trenino sulla propria scrivania, dove stava studiando i dati relativi ad un caso.

«Ciao, Near. Ti ho portato il tuo solito cappuccino.» sentenziò l’ex membro dell’FBI, avvicinandosi al suo superiore e porgendogli la bevanda nella mano libera.

«Salve a te, Gevanni e grazie. Ci sono novità?»

Ormai Gevanni era abituato al fatto che Near gli desse sovente le spalle e si girasse a guardarlo solo nel momento in cui qualcosa destava il suo interesse.

E parecchie persone erano state ferite dalla sua costante freddezza.

«Sì, e per nulla confortanti. E’ stato trovato un altro cadavere; questa volta si tratta di una certa Emiko Sugiyama, un’idol. La polizia si è già messa all’opera e, se vuoi la mia opinione, credo che ci sia lo zampino di quel serial killer.»

Near sorseggiò il suo cappuccino, mettendo un attimo da parte il suo giocattolo e arricciandosi una ciocca di capelli intorno al dito indice. Ogni volta che rifletteva, ripeteva involontariamente quel gesto che si portava dietro fin dalla sua infanzia.

«La penso anche io allo stesso modo. Inoltre, sono convinto che molto presto la polizia chiederà il mio aiuto…fanno sempre così quando sono con l’acqua alla gola.»

«A proposito, Near, prima sono stato all’ospedale in cui lavora tuo figlio e, oltre ad aver incontrato Penber, mi sono imbattuto proprio in Nia. Gli ho parlato per qualche istante e mi ha riferito che ha assistito all’autopsia di quella ragazza. Era davvero sconvolto, forse…»

«Cosa ti aspetti che faccia, Gevanni? Ha scelto lui questa strada, sapendo a cosa andava incontro. E’ un’esperienza che gli servirà per crescere.» ribatté Near perfettamente calmo, mentre terminava di bere il suo cappuccino.

Per la seconda volta in quella giornata, Gevanni era stato interrotto da un componente della famiglia River.

In quel frangente, però, decise di obiettare.

«Near, stiamo parlando di Nia, non di uno dei tuoi giocattoli. Perché fuggi dai tuoi figli? Perché non hai il coraggio di dire loro la verità? Hanno il diritto di sapere che la loro madre è stata uccisa da quel serial killer, da quel B…»

Gevanni si pentì istantaneamente dell’ultima frase che aveva pronunciato con una certa durezza; con Near non aveva mai affrontato l’argomento, perché gli aveva sempre dato l’impressione che si sentisse in qualche modo colpevole per la morte della moglie.

«Mi dispiace, Near. Non volevo rievocarti brutti ricordi.» si scusò Gevanni, imbarazzandosi come quando un bambino viene colto con le mani in un barattolo di marmellata.

Il cigolio delle rotelle della poltrona e lo scricchiolio del tessuto di cui era formata, lo fecero sobbalzare leggermente, e notò con un certo ritardo che Near si fosse finalmente girato verso di lui.

Incontrava di rado quelle iridi color carbone, solitamente fisse sui giocattoli o sui computer, e si stupiva ogni volta di come fossero in grado di “trattenere” le emozioni.

«Gevanni, ascolta.» esordì apaticamente, torturando uno dei bottoni della sua camicia immacolata.

L’uomo tese le orecchie e sentì una melodia provenire dalla sala, segno che Ate si stava nuovamente allenando con il pianoforte.

Era una melodia delicata, ma impetuosa al tempo stesso che ben rappresentava i sentimenti contrastanti che si agitavano nell’animo di Ate: il suo comportamento distaccato e indifferente celava in realtà una grande solitudine e un’altrettanto grande insicurezza.

«Fino a qualche giorno fa sbagliava questo passaggio di continuo, adesso deve averlo imparato.»

 

 

«Near, quindi tu…»

Il detective tornò a dare le spalle al suo collaboratore e a concentrarsi sui monitor.

«Le batterie del mio treno elettrico si sono scaricate, potresti andare a comprarne delle altre, per favore?»

 

 

Ringraziamenti et similia:

Questo capitolo è stato un parto nel vero senso della parola.

Ho cercato di rendere Near il più IC possibile, dato che io per prima storco il naso quando sento puzza di OOC.

Grazie a tutti quelli che commentano, leggono in silenzio e inseriscono la storia in una delle tre liste <3

Yours sincerely,

OtoyaIttoki

  
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