Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: almeisan_    30/06/2012    1 recensioni
[Elijah Mikaelson/Nuovo personaggio]
Questa storia prende avvio dalla 3x14, sebbene le sue origini hanno le proprie radici in un passato lontano, in un’epoca passata e colma di segreti.
Dal prologo:
Elijah non si era mai complimentato con lei, sebbene i suoi sorrisi impercettibili fossero la più degna prova di elogio ed encomio che poteva desiderare. Elijah non utilizzava mai troppe parole, le riteneva inutili dopo tanti secoli. Loro riuscivano a comprendersi con un solo sguardo.
Genere: Erotico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
prologo

Prologue

 

Il Sole brillava alto nel cielo terso, privo di nubi e vento, della Virginia. Illuminava ogni luogo con i propri raggi splendenti e, sebbene l’Estate avesse trovato il proprio termine quasi un mese prima, si poteva ancora percepire nell’aria il sapore dei fiumi e dei laghi, meravigliosi specchi d’acqua limpida, poco distanti. Immersa nel verde più puro e incontaminato, tra alberi sempreverdi, conifere secolari e altissime, si ergeva una villa maestosa. Si trovava a pochi kilometri dalla capitale della Virginia, sulla strada verso l’Ohio, ed era quasi sconosciuta. Non molti si avventuravano per quelle strade immerse nei boschi, solo pochi escursionisti e famiglie, nonostante fosse ben visibile dall’autostrada principale. Era completamente bianca, enorme, si estendeva per quasi tre ettari ed era di cinque piani. Per arrivarvici v’era un sentiero ciottolato, bianco e signorile, e davanti a essa v’era una fontana zampillante, di marmo verde smeraldo, che raffigurava il dio Poseidone e alcuni tritoni. V’era una tale pace e una tranquillità che ognuno avrebbe ritenuto che fosse disabitata, invece vi abitavano creature talmente silenziose e accorte da passare inosservate agli occhi del poveri malcapitati che mettevano piede nei suoi confini. Una moto, che portava il simbolo dell’United States Postal Service, percorse il vialetto sino a fermarsi dinanzi all’ingresso imponente della villa. Ai due lati della portone di legno di ciliegio v’erano due leoni rampanti di marmo bianco e lucido e alcune piante di anemone giapponesi erano poggiate a intervalli regolari di uno scalino sui gradini sfarzosi. Un ragazzo spense la moto e avanzò sino al portone. Nulla avrebbe turbato la quiete di quel Paradiso come il suono del campanello. Non dovette attendere molto prima di essere accolto da una giovane ragazza alta e bionda, dai profondi occhi azzurrini e dalle labbra rosee e sottili. Aveva la carnagione così pallida da fargli credere che si sentisse poco bene, ma, dal sorriso che gli rivolse, comprese che era il suo colorito consueto. Indossava una maglietta bianca con un fiocco nero sulla spalla destra, abbastanza scollata da fargli intravedere il pizzo del body bianco, e un blue jeans con delle ballerine di un azzurro più scuro ed truccata abbondantemente sulle palpebre e sulle ciglia. Prima che potesse schiudere le labbra per pronunciare il nome del destinatario della lettera che teneva tra le mani, la giovane uscì, con un scatto fulmineo e lo trasse a sé, facendogli sgranare gli occhi.
« Non un fiato,» gli ordinò con la voce tintinnante, come quella di una campana melodiosa. Nei suoi begli occhi le pupille si allargarono, azzerando quasi del tutto l’azzurro delle iridi e il ragazzo obbedì, senza una reale consapevolezza, « Dammi quella lettera e sparisci.» Il giovane porse la carta bianca e volse le spalle per poi tornare alla moto. L’accese e percorse in fretta il viale, non sapendo ciò che stava realmente facendo. La vampira lo guardò scomparire e, quando fu abbastanza lontano perché i suoi attenti occhi potessero scorgerlo, chiuse il portone e si diresse, in un battito di ciglia, verso il secondo piano della villa. Si fermò dinanzi a una porta di ciliegio con una rosa dipinta sul legno chiaro e una maniglia di oro zecchino. Bussò e poi entrò, senza attendere una risposta. Era una camera enorme, la più maestosa di tutta la villa. Pareva una casa in miniatura. Aveva due spazi, uno adibito alla zona letto e l’altro a quella del’armadio che, da solo, occupava più di settanta metri. Era una stanza ariosa, aveva dieci finestre in tutto e un balconcino che si affacciava sul giardino posteriore, coronato da gigli bianchi e da orchidee rosa. Il pavimento era di marmo bianco, dalle venature rosate e i muri erano occupati da quadri raffiguranti scene antiche, da rappresentazioni mitologiche a cacce celebri. Il soffitto, invece, era uno spettacolo unico nel proprio genere. Era il dipinto delle idealizzazioni pagane di tutte le costellazioni con una cornice di oro puro.  Sentiva provenire dei rumori dall’immenso letto a quattro piazze sulla sinistra e osservò una donna a cavalcioni su un ragazzo. La donna, la sua signora, indossava una camicia da notte completamente nera, di pizzo, che la copriva sino a metà coscia. Le dava le spalle e la vampira poteva scorgere solo i suoi lunghi capelli castano chiaro, molto mossi e lunghi, che coprivano una porzione del petto scultoreo, glabro e pallido, del ragazzo sotto di lei. La vampira si avvicinò sino ad arrivare ai piedi del letto. La donna succhiava avidamente dal suo collo mentre il giovane, con gli occhi chiusi e le labbra spalancata emetteva dei gemiti insieme di dolore ed estasi totale. Si muoveva ritmicamente sopra di lui e sembrava non essersi accorta della sua presenza, così presa a gustare quel nettare di vita, ma la vampira sapeva bene che nulla poteva sfuggirle. Il ragazzo svenne lì, sotto di lei, e la donna alzò il capo dal suo collo, dove spiccavano i segni rossi del suo morso, ma non si voltò. 
« Miss Penelope, mi spiace disturbarla, ma è arrivato un invito per lei,» le annunciò la vampira bionda. La più anziana passò l’indice sul petto del giovane esanime sino ad arrivare all’orlo dei suoi boxer neri, poi, a malincuore, si scostò da lui e si volse, spostando le gambe nude e flessuose, olivastre, accanto a quelle del ragazzo. Aveva gli occhi azzurri, ma non di un celeste consueto, bensì cerulei, e il viso ovale, con una fossetta sul mento abbronzato. Un rivolo di sangue scarlatto le scendeva lungo l’angolo delle labbra rosse e piene e la giovane lo leccò in un attimo. Guardò la lettera tra le mani della vampira e le fece cenno di sedersi dall’altra parte del letto a baldacchino.
« Un invito? Per cosa?» le domandò guardandosi le unghie delle lunghe dita affusolate della mano destra, come ritenendo di nessuna importanza ciò che proveniva dal mondo esterno. 
« Non l’ho aperto, signorina,» affermò prontamente. Ogni parola con lei era una prova. Penelope non soleva fidarsi di alcuno, nemmeno dei vampiri della sua cerchia. Era abituata a lavorare da sola e la fiducia che offriva ai pochi adepti non era un dono, ma un mezzo. Per testarli, per farli camminare sul filo del rasoio, passeggiando l’orlo del baratro con una lancia puntata al fianco pronta a farli precipitare o a salvarli. Era un gioco per lei, non erano che pedine per il suo piano di distruzione.   
« Aprilo e leggi,» le ordinò distrattamente, guardandola solo per un istante prima di avvicinarsi alla toletta e guardarsi allo specchio. Non vide che un’ombra, quella della sua anima perduta da troppi secoli per poter rimembrarla. Una spazzola d’oro, rifinita da alcune cesellature d’argento, giaceva alla sinistra del maestoso specchio di cristallo, accanto ai profumi che portava con sé da secoli e secoli, e ai belletti che le avevano donato nobildonne di ogni tempo. Mentre spazzolava i lunghi riccioli dai riflessi dorati, percepiva la vampira aprire la lettera e sorrise tra sé.
« La preghiamo di unirsi alla famiglia Mikaelson questa sera alle sette per una serata di danze, cocktail e festeggiamenti,» recitò atona, senza inclinazioni. Penelope si irrigidì sulla poltrona di tessuto rosso e morbido. Mikaelson. Gli Antichi, i vampiri Originali. Al gran completo dopo dieci secoli. Era buffo, e anche abbastanza ironico, da parte loro invitarla a un ballo. Rise lievemente e vide la vampira scattare e guardarla con gli occhi spalancati. Non si sarebbe mai abituata al suono della sua risata cristallina, sebbene fosse velata dalla rabbia crescente, dal mostro che si muoveva inquieto nel suo stomaco tentando di risalire sino al cuore e avvelenarlo con la propria perfidia. Non che la malignità necessitasse di un mostro per invaderle le arterie. Il pulsante era oramai spento da molti secoli.
« Nient’altro, Candice?» le domandò con la voce arrochita da quei pensieri pregni di significanza. Se fosse stato lui a mandarle quell’invito, che si aspettava essere scritto con un’elegante calligrafia baroccheggiante, allora avrebbe aggiunto altro. Lo conosceva bene. E dopo quell’abominevole arrivederci avrebbe sentito la sua mancanza, ne era certa. Lei gli mancava. Sorrise, sorniona e maliziosa, e tornò a guardare la vampira che si stava rigirando l’invito tra le piccole dita di bambina. L’aveva trasformata quando aveva sedici anni. Candice Cooper, era quello il nome. L’aveva trovata dinanzi ai binari della metro di New York, alla stazione di South Ferry, sulla linea 9, grigia e apatica. Li guardava con tale desiderio e già si poteva percepire il soffio del vento causato dal mezzo che si avvicinava a velocità supersonica. V’era una folla intorno a lei, ma nessuno si era reso conto di ciò che era in procinto di fare, così preso dalle proprie vite, dai problemi e dal corso inutile di un’esistenza destinata a spezzarsi troppo presto, il tempo di un respiro. Era stato un attimo. Non vi aveva pensato due volte. Mentre alzava il piede sinistro per buttarsi sotto le ruote del mezzo, Penelope era stata più veloce e l’aveva afferrata per la vita, promettendole che la sua morte non sarebbe stata tanto sciocca e sconsiderata.
« Sì, signorina,» esclamò Candice, osservando il retro dell’invito e riportandola al presente di quella bella stanza che aveva fatto erigere ella stessa. Erano trascorsi secoli da quando non ne possedeva una tanto magnifica. Con la fine dell’Ottocento e l’avvento delle Guerre gli umani avevano perso di vista la vera arte, abbandonandosi alle Avanguardie. Non aveva vissuto così a lungo, non aveva trascorso i decenni più felici della sua esistenza in Grecia, in Italia o in Egitto per poi perdere gli insegnamenti antichi, « C’è una scritta dietro,» le annunciò con un lieve sorriso. La vampira anziana poteva persino percepire il lieve profumo di lui entrarle nelle narici, « Penelope, non rifiutarti. Non puoi mancare. Sarà una serata magica. Elijah,» recitò con più sentimento sapendo quanto attendesse di sentir pronunciare nuovamente quel nome tanto amato. Un sorriso sincero le increspò le labbra rosse e si portò due dita su di esse. Pareva che il suo cuore, morto da tanti secoli, fosse tornato a battere nel solo sapere che lui era ancora vivo e si era finalmente riconciliato con la propria famiglia. Aveva realizzato il suo più alto desiderio. Una serata magica. Soffiò leggermente e scosse il capo. L’avrebbe convinta già solo scrivendole il suo nome, ma quella prospettiva l’attirava. La strega originaria. Avrebbe voluto incontrarla da secoli, quella spregevole e infima donna, solo per ucciderla. Mikael. Aveva sentito che era sopravvissuto da un vampiro che abitava nei dintorni di Mystic Falls. Le aveva raccontato che Bonnie Bennett, l’ultima discendente di una stirpe straordinaria, non aveva potuto permettere che l’unica arma che avevano per uccidere Klaus potesse essere spezzata da lui stesso e aveva incendiato il paletto di quercia bianca. Mikael, il cacciatore di vampiri, il più spietato e perfido degli Originali. Poi v’erano i figli. Elijah, Finn, Niklaus, Kol e Rebekah. Sospirò lievemente. Li aveva conosciuti tutti in vari secoli e l’unico dato che era stata in grado di estrapolare da quella accurata analisi era che la meno temibile era quella bambolina ricolma di disprezzo verso il prossimo, ma bramosa d’attenzioni. Sarebbe stata davvero una serata magica. Lo avrebbe rivisto, dopo che credeva di averlo perduto per tanti, innumerevoli secoli quando avevo scorto Klaus perforargli il petto con il pugnale. Invece era vivo e doveva ringraziare il caro Damon Salvatore per quello. A Sage avrebbe fatto piacere sapere che il suo allievo preferito era diventato un vampiro degno di nota. Si issò in piedi e avanzò verso il letto, lentamente, mentre sentiva rinvenire il giovane uomo che aveva ammaliato. Non aveva dovuto usare una forte costrizione mentale. Aveva ceduto subito notandola così vestita, o svestita. Quasi rise nel ricordare l’espressione di puro diniego, misto a un sorrisetto ironico e sarcastico, che le avrebbe rivolto Elijah se l’avesse vista con quella camicia da notte che non le copriva praticamente nulla per com’era trasparente. Eppure l’avrebbe guardata a lungo, ne era certa. l’avrebbe condotta lontano da ogni sguardo maschile e l’avrebbe osservata, forse senza far nulla, ma quegli occhi neri, come i fondali di un Oceano profondo e terribilmente attraente, sarebbero stati la sua unica linfa vitale per l’eternità.
« Candice,» chiamò la vampira prima di poggiare il viso sul collo del giovane che stava schiudendo gli occhi verdi.
« Sì, Miss?»
« Prepara i miei bagagli. Necessito di partire con la massima urgenza,» le comunicò perentoria prima sentire i canini sguainarsi. Lo morse, con forza, con il preciso intento di ferirlo e non di portagli via quell’ultima stilla di vita. Il ragazzo gemette, sussultò e poi urlò dal dolore, tentando di scansarla via. Candice non aveva ancora obbedito, forse per vedere cosa avesse intenzione di fargli. Uccideva molto raramente un umano. Solitamente beveva da loro, lasciando un’unica parvenza di vita, per poi abbandonarli a qualche vampiro della sua cerchia che lo finiva per lei. Non voleva sporcarsi le mani, ma quella mattina, dopo la lettera, aveva perso quella maschera di magnanimità. La collera le invase ogni cellula del suo essere. Sbatté il ragazzo, che era scattato a sedere, sul letto, mettendogli solo una mano sul petto glabro e lo morse talmente forte da spezzargli l’osso del collo. Ricadde tra le coltri bianche, gli occhi spalancati dal terrore, le labbra schiuse in una mite preghiera che nessuno mai avrebbe potuto realizzare. Penelope si voltò subito dopo, passandosi il dorso destro sulle labbra e passando la lingua su esso per ripulire il sangue che le aveva macchiato il mento e Candice tentò di non sobbalzare per ciò che vide nei suoi begli occhi resi mostruosi dalla trasformazione. Non era bella in quel momento, no, era soltanto terribile e quello era il suo vero viso, ma Candice le portava la riconoscenza di averle mostrato di poter avere un’esistenza migliore, « Porgimi quell’invito,» le ordinò con la voce falsata dai canini distendendo la mano sinistra verso di lei. Candice, impaurita e tremante, obbedì subito e il bel volto ritornò a essere quello di angelo. Guardò soltanto il retro, dell’invito vero e proprio poco le importava. Era la calligrafia elegante e nobile di lui, non v’era alcun dubbio. Le lettere allungate, quasi per ampliare il messaggio, il segno deciso delle panciute vocali. Carezzò quelle lettere con il polpastrello dell’indice destro, ammirandone ogni lieve dettaglio, « Elijah, da quanto tempo,» esclamò infine con voce calma e calda, avvolgente, come se dinanzi a sé avesse quell’Antico vampiro dai modi cortesi e affabili, freddi e composti. Sollevò gli occhi azzurrini dalla carta bianca e liscia per guardare la vampira, « Candice, chiama il sarto,» mormorò con la voce arrochita dalla passione che l’aveva colta in una scarica di adrenalina. Uccidere quel ragazzo si era dimostrato fruttuoso. Aveva potuto nuovamente percepire la reale condizione del suo essere senza inibizioni e regole che da sola si era imposta tanti secoli prima.
« Quale stoffa desidera?» le domandò Candice avvicinandosi alla porta, senza interrompere quel divertente gioco di sguardi. A Penelope piaceva essere osservata, scrutata, direttamente negli occhi. Comprendeva cosa risiedesse nelle anime di coloro che erano accettati al suo fianco, quei pochi che osavano avvicinarsi a lei, solo con un semplice sguardo. Era una dote che possedeva quand’era ancora umana e quella, come mille altre piccole sfaccettature del suo carattere temprato dall’antico vigore degli uomini norreni che avevano esplorato il mondo superando ogni ostacolo dettato dal timor di Dio, era stata intensificata dalla trasformazione. Ponderò quella richiesta come se fosse della massima importanza. La prima volta che aveva visto Elijah non indossava propriamente un bell’abito. Avrebbe dovuto rimediare.
« Un abito di Chiffon, un colore forte, lungo, con uno strascico evidente,» lo descrisse affidandosi per la tonalità al suo caro amico, « Devo brillare, Candice,» le rivelò, issandosi in piedi e avanzando verso la toletta. Si passò la spazzola tra i lunghi capelli per poi acconciarli fermandoli appena sopra la tempia destra con un fermaglio di perle e d’oro, che era appartenuto a una contessa francese nel Settecento.
« Lo fa senza un abito sontuoso, Miss Penelope,» esclamò la giovane vampira con voce quasi carezzevole, ilare e leggera, veramente convinta di ciò che asseriva. Penelope non rise, né mostrò di essere lusingata da quel complimento. Non lo era davvero. Non era lei la persona da cui bramava essere osannata. Elijah non si era mai complimentato con lei, sebbene i suoi sorrisi impercettibili fossero la più degna prova di elogio ed encomio che poteva desiderare. Elijah non utilizzava mai troppe parole, le riteneva inutili dopo tanti secoli. Loro riuscivano a comprendersi con un solo sguardo. Aveva scorto un rapporto simile al loro, sebbene fosse certa che nulla avrebbe potuto eguagliare ciò che lei nutriva profondamente per l’Antico, soltanto in quello di Finn e Sage, la sua migliore e più cara, nonché anziana, amica. Avrebbe dovuto avvisarla che Finn era oramai tornato in vita, ma sicuramente l’Antico aveva già provveduto a invitarla a quel principesco ricevimento.
« Voglio essere brillante per lui,» chiarì subito, atona e incolore, « Adesso vai,» esclamò subito dopo, scegliendo una cipria di qualche secolo prima, l’Ottocento, se non rimembra male, che sembra rifulgere come se fosse stata costituite dall’oro sbriciolato, « Penso mi tratterrò a lungo lì,» aggiunse con un sorriso, prendendo il pennello dalle setole marroncine e folte. Sarebbe rimasta a Mystic Falls sino a quando il suo piano non si fosse attuato e realizzato. E, con tutti i vampiri e le streghe presenti in quella cittadina sperduta tra Charlottesville e Lynchburg, non sarebbe stato semplice. 
« Ma il marchese ha espressamente richiesto la vostra presenza alla corte la prossima settimana,» ribatté la vampira sulla soglia, osservandola incredula, con le sopracciglia dorate aggrottate in un’espressione confusa e sbalordita. Il marchese Forneus, avente le sembianze di un immenso mostro marino, uno dei demoni più famosi e temuti dell’Inferno poiché mutava a proprio favore la buona reputazione degli uomini, facendoli amare sia da amici che da nemici. Penelope sorrise sorniona. Il marchese l’aveva invitata innumerevoli volte nella corte infernale, ma aveva preso parte a pochi ricevimenti. Detestava quelle creature con tutta se stessa. Il loro aspetto era ripugnante, ma necessitava di alcuni favori alle volte e il marchese intercedeva sempre per lei. Sospettava fosse per la propria soave avvenenza, o forse per aveva compreso da chi discendesse. A Penelope non importava davvero conoscere quell’ennesima verità. Dopo innumerevoli secoli la mente era ingombra di eventi storici, realtà private e incalcolabili vicissitudini.
« V’è una persona in quella città molto più importante del marchese, mia cara ragazza,» sussurrò con un filo di voce, mentre anche il sorriso si spegneva. Era da stolti mostrare il proprio cuore tanto apertamente e Penelope v’era riuscita soltanto con Elijah, poiché la fiducia che serbava nei suoi confronti era così forte e pura, senza la macchia della loro dannata immortalità, da farle credere che nulla avrebbe mai potuto intaccare il loro rapporto, nemmeno il sangue. Eppure si erano allontanati, se mai erano stati realmente insieme. Sospirò lievemente. Era a causa sua, di quel contatto che non avrebbe mai potuto sciogliere, per quell’uomo che a stento le aveva rivolto la parola durante i secoli, « In verità, ve ne sono due,» rammentò tra sé. Quell’uomo era troppo importante per dimenticarsi della sua imponenza. Aveva quel ruolo nella sua storia che mai nessuno aveva osato rubargli, come se lo scettro del potere potesse esistere solo nelle sue grandi mani bianche dalle dita affusolate e macchiate del sangue innocente di infinite persone. Un’espressione colma di sdegno malcelato occupò le sue labbra piene, poi scosse il capo e ritornò in sé. Non poteva odiarlo, no, sebbene l’avesse separata da Elijah, semplicemente non poteva. Aveva quel posto nel suo cuore che nemmeno l’Antico dagli occhi color delle pece e il sorriso tenebroso aveva mai occupato, « Scrivi ed esponigli tutto il mio rammarico. Gli presterò una mia legione di vampiri come pegno di riconciliazione,» esclamò infastidita da quei pensieri. Candice, capendo che non era l’occasione migliore per essere al suo fianco, annuì e lasciò la camera, abbandonandola alle proprie riflessioni. Si issò in piedi, dopo aver passato un lieve strato di rossetto appena brillantinato sulle labbra e un ombretto bianco sulle palpebre. Non aveva necessità di altro, anzi a Elijah sarebbe parso eccessivo e avrebbe riso di quella futile vanità che avrebbe attirato gli altri uomini come in una ragnatela mortifera. Guardò il giovane sul suo letto e non sentì nulla. L’umanità era spenta, non del tutto, lasciava soltanto lo spiraglio per i ricordi lontani di Elijah. V’era solo e soltanto il suo nome nella sua mente e mai sarebbe stato cancellato. Guardò l’invito che aveva adagiato sulle coltri candide e rise leggermente, « Mystic Falls, che cittadina complessa. Siamo ritornati agli antichi tempi felici, mio caro amico?» Nessuno le rispose, probabilmente non avrebbe proferito parola nemmeno il diretto interessato di quel soliloquio che la vedeva l’attrice protagonista, sola e unica interprete di un Destino avverso che l’accompagnava da secoli. Un suono, un lieve bussare alla sua porta, la destò da quelle riflessioni e si volse di scatto verso di essa. Sulla soglia scorse un uomo, un vampiro in verità, il suo sarto personale dal 1850. Non l’aveva mai abbandonata, adorava abbellirla con i propri abiti sontuosi e perfetti per ogni occasione. Affermava sempre che era la donna più malleabile che aveva mai incontrato. Avrebbe potuto indossare di tutto senza parere né troppo austera né eccessiva. Aveva quarantacinque anni quando l’aveva trasformato e i suoi occhi neri e profondi erano stati porti sicuri dove aveva sempre potuto far ritorno quando si spingeva troppo oltre, in mare aperto.   
« Signorina, ho ciò che mi ha richiesto,» esclamò dolcemente con la sua voce baritonale e possente. Penelope gli sorrise e con un ampio gesto della mano lo invitò ad accomodarsi nell’enorme camera. Portava tre abiti con sé e la vampira, che poteva avere non più di trent’anni, sorrise con la leggerezza di una bambina.
« Prego, Benjamin, entra nelle mie stanze,» mormorò delicata quando il sarto non accennò a entrare. Obbedì prontamente e si accomodò nella camera avvicinandosi al separé di legno di ciliegio con alcune rifiniture in oro che ritraevano piante ornamentali. Lì poggiò i tre abiti, con le relative calzature, e Penelope li osservò assorta, « Sei sempre il benvenuto. Che splendide vesti,» aggiunse tra sé, appropinquandosi a esse e sfiorandone la stoffa. Quella alla sua sinistra mostrava un abito ottocentesco, sul rosato antico, senza spalline e con strascico vaporoso e ampio. Il corpetto aveva delle pieghe sull’addome e alcune rifiniture di pizzo sopra il satin mentre la gonna, di una tonalità più chiara, aveva delle fantasie in rilievo a rombi della stessa tonalità del bustino. Al centro v’era un abito molto più semplice, ma che le sembrò ancora più elegante. La stoffa della gonna longilinea era di un celeste impalpabile ed etereo. Aveva una fascia in vita con al centro una linea di piccoli diamanti bianchi e sopra si estendeva un corpino brillante e delle spalline che si intrecciavano dietro il collo. Alla destra v’era un vestito rosa e abbastanza sensuale per la mancanza di stoffa dietro le spalle. Il tulle della gonna la colpì subito per l’elaboratezza della tinta, ma lo scartò quasi senza pensarci due volte.
« Può…»
« Ho necessità di sceglierne una, mio caro,» lo interruppe, sfiorandogli il braccio, a malincuore. Le avrebbe portate con sé, tutte, ma desiderava viaggiare il più leggera possibile e sapeva che in quella cittadina non v’erano degli eventi così sofisticati da richiedere degli abiti di quel calibro. Sebbene avesse già preso la sua decisione, sorrise e gli domandò consiglio, « Dimmi, dovrei puntare alla sontuosità, all’eleganza, o alla sensualità?» Benjamin rise lievemente e si avvicinò a lei, quasi sfiorandole la leggera camicia da notte per osservare gli abiti con la sua stessa prospettiva. Si massaggiò il mento glabro e candido, poi scrollò le spalle. Egli stesso non avrebbe saputo scegliere, non tra i suoi abiti che curava con la massima considerazione.
« Dipende dal tipo di uomo che vuole incantare,» optò infine per una risposta neutra. L’uomo che voleva incantare. Guardò l’abito al centro quasi con ossessiva bramosia. Era quello che avrebbe scelto anch’ella. Era fine e perfetto, Elijah l’avrebbe osservata per tutta la durata del ballo, ne era certa.
« Eleganza. Raffinata e splendida. Come farò senza di te in questo tempo?» aggiunse ilare, incominciando a spogliarsi dinanzi a lui. Non era la prima volta, e non sarebbe stata l’ultima, ma Benjamin l’osservò meravigliato da tutta quella spontaneità. Rimase soltanto in intimo bianco, rifinito dal pizzo etereo, per poi indossare l’abito. Era splendido, come una carezza sulla sua pelle lievemente abbronzata. Sorrise nel ricordare che lo stesso tocco di Elijah.
« Miss Penelope, è tutto pronto,» si affacciò Candice, prima di sgranare gli occhi azzurrini nel notare quegli splendidi abiti. Li avrebbe donati a lei se tanto le piacevano. A Penelope era sufficiente quella veste che le lambiva la pelle morbida, « Fernand è appena arrivato con la sua auto,» le annunciò mentre poteva percepire il suono rovente della sua Aston Martin dbs v12 nera metallizzata.
« Se vi dovesse essere qualche inconveniente, non esitate a chiamarmi,» li raccomandò prima di scomparire in una folata di vento gelido. Arrivò sino all’ingresso prima di percepire che Candice l’aveva seguita.
« Non porterà nessuno con lei? Potrebbe essere rischioso,» aggiunse intimorita che qualcuno avesse potuto arrecarle qualche dispiacere. Aveva sentito chi abitava in quella cittadina ed era da irresponsabili recarvisici senza alcuna protezione, persino per una vampira antica quanto lei. Penelope sorrise per quell’accortezza. Quella giovane fanciulla l’aveva colpita sin dal primo istante. Le sfiorò la guancia pallida in una lieve carezza, materna quasi, poi aprì lo sportello posteriore mentre Fernand le rivolgeva un sorriso di benvenuto.
« Candice, bada alla villa sino a quando sarà via e, te ne prego, scrivi al marchese una missiva di accorata afflizione,» la sollecitò con finto dispiacere, portandosi una mano sul cuore e l’altra sulla fronte, facendola ridere per la quella secentesca melodrammaticità.
« Felice ballo, Miss Petrova.»

 

_-_-_-_-_

Buon giorno a tutti voi. Questa è la mia seconda longfic ed è incentrata sul pairing Elijah/OC, ossia Penelope Petrova. Nulla è ciò sembra in questa storia, nemmeno l’ovvio. Questo è soltanto il prologo, ma spero lascerete una piccola recensione. Intanto vi lascio le immagini dei tre vestiti:

                     http://i50.tinypic.com/3355szt.jpg                      
http://i49.tinypic.com/a5b0op.jpg
   http://i50.tinypic.com/2mgw7du.jpg
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: almeisan_