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Autore: formerly_known_as_A    01/07/2012    2 recensioni
Quando l'acqua si richiude sopra di lui, il corpo va' nel panico, facendo il contrario di quello che, razionalmente, dovrebbe. Spalanca gli occhi e la bocca, agitando le braccia e tentando disperatamente di gridare.
Non giunge nessun suono, solo quello ovattato delle onde. Ingoia acqua.

[Partecipa all'esperimento "Otto Autori Per Un Prompt"]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Danimarca, Islanda, Norvegia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa all'esperimento "Otto autori per un prompt" ed è ispirata al seguente prompt:


Nessuno ha mai pensato a Norvegia come una persona affettuosa, inclusi i suoi fratelli.

Ma Islanda faceva molti incubi quando era piccolo. Invece di andare da Norvegia nel pieno della notte, preferiva strisciare nel letto di Danimarca, che era sempre pronto a coccolare Islanda per farlo sentire al sicuro dopo un incubo.

Norvegia non l'ha mai saputo, perché gli altri due non ne hanno mai realmente parlato. Ma un giorno, in epoca recente, lo scopre ed è probabilmente geloso, forse anche arrabbiato e pieno di risentimento -ma per la maggior parte ferito, perché non avrebbe mai negato l'affetto di Islanda. (Chi scrive su questo prompt è libero di giocare con la reazione di Norvegia, anche se preferirei rimanesse sul negativo).

Bonus: Islanda va' ancora, ogni tanto, da Danimarca per farsi rassicurare.

Bonus2: Il bonus di cui sopra è il modo in cui Norvegia viene a sapere di tutte le altre volte.


A questa iniziativa partecipano anche happylight, Milla Chan, OrochiMary, Rota, s_theinsanequeen, ViolaNera, Adrienne Riordan.


Potete trovare i link alle storie cliccando QUI.





Quando l'acqua si richiude sopra di lui, il corpo va' nel panico, facendo il contrario di quello che, razionalmente, dovrebbe. Spalanca gli occhi e la bocca, agitando le braccia e tentando disperatamente di gridare.

“Danmörk! Noregur!”

Non giunge nessun suono, solo quello ovattato delle onde. Ingoia acqua.

Tenta di sputarla, ma è assurdo provare, quando c'è un muro d'acqua salata che lo cinge da ogni parte.

Cerca di smettere di tossire, perché così facendo ne ingoia ancora, trattiene il respiro finché i polmoni non bruciano, tendendo ancora le piccole braccia verso la superficie del mare, le parole di Dan che rimbombano nella testa.

“Il mare è meraviglioso, ma sa anche essere senza pietà. Chi va' per mare lo sa, potrebbe bastare una sola onda perché ci porti a dormire sul fondo.”

È quello che succederà? Andrà sul fondo del mare, senza Nore, senza Dan?

Non vuole restare solo! Cosa faranno, loro, senza potergli raccontare altre storie?

Grida di nuovo, i polmoni in fiamme.


Si risveglia prendendo un respiro profondo, come se uscisse realmente fuori dall'acqua, dopo una lunga apnea.

Seduto sul letto, ansante, l'adulto Islanda si posa una mano sul petto che sale e scende rapidamente, toccandosi il collo, poi, dove il cuore pulsa furiosamente.

È vivo. Quello non è che un ricordo, è vivo.

Si butta nuovamente sul cuscino, il panico che scivola via.

Chiude gli occhi quando il respiro torna normale, ma il cuore è sempre fuori controllo, il terrore sempre presente, mentre sullo schermo delle palpebre scorrono rapide immagini, non un film, più una serie di fotografie in sequenza.

Le mani che spuntano per tirarlo in superficie, quando già la vista si era quasi scura, le braccia che lo stringono forte, il cipiglio solitamente severo di Nor che scompare come per un incantesimo, quando anche lui si affretta a stringerlo...

Dev'essere uno dei pochi momenti in cui ricorda di essere stato apertamente coccolato dal fratello. Non che siano mancati momenti di affetto. Non è convinto che il norvegese lo odi, al contrario... ma i momenti in cui ricorda delle carezze o una voce dolce sono soltanto quelli del risveglio o di un malanno, distorti dal sonno e dalla febbre alta.

Cerca di mandare via l'angoscia, una mano a stringere il pigiama all'altezza del cuore, massaggiando come se potesse veramente servire a qualcosa. Ma non succede nulla. L'angoscia del resto del ricordo, dalla lite tra quelli che aveva, allora, imparato a chiamare genitori, fino al momento in cui i due l'avevano lasciato sull'isola, da solo, senza altre spiegazioni che questa: il mondo è troppo pericoloso. Torneremo a trovarti, avevano detto... l'avevano fatto, ma non erano mai rimasti tanto, solo il tempo necessario ad aggiornarsi sugli anni che trascorreva solo, spaventato dall'assenza di due corpi che di notte l'avevano sempre scaldato, dall'assenza di un battito su cui aveva calibrato il proprio sonno, che agiva come una ninna nanna.

Solo quando ormai era troppo tardi, quando era cresciuto abbastanza da abbandonare le vesti bianche, erano tornati. Danimarca abbastanza forte e cambiato da ignorare l'opinione del norvegese, tutto il resto irrimediabilmente perso per sempre.

Fa una smorfia, cercando di soffocare il dolore nel cuscino, di dirsi che non è nulla, che basta richiudere gli occhi per fare un sogno migliore, qualcosa che non è successo, che non succederà... i tempi sono cambiati, sono in pace, il danese sta bene, è possibile tornare...

Ma chi vuol prendere in giro? Non tornerà mai come allora. Non si addormenterà in mezzo a loro e non potrà mai più guardarli con ammirazione mentre raccontano le loro storie. Non ne raccontano più, ormai, come se davvero credessero a quello che dice, come se davvero pensasse che l'odio continuo che finge di provare, quel rancore mai sopito.

Si alza dal letto, andando a tentoni fino alla camera del fratello, esitando, però, ascoltando alla porta e chiedendosi se possa, davvero, parlare con lui, confessargli quello che prova.

La sensazione di soffocare ritorna, quando posa la mano sul pomello. Esita, i polmoni che si bloccano come in quel ricordo, prima di ritirarla e scuotere la testa.

Non ha importanza. Deve soltanto imparare ad essere forte, andare oltre quelle paure, rendersi conto che il peggio è già successo, che non tornerà ancora.

Fa un passo all'indietro e torna a respirare, smettendo di pensare al muro d'acqua che lo separa dal cielo limpido, incamminandosi verso la cucina per versarsi un bicchiere d'acqua, restando seduto al tavolo -quel grande tavolo al quale possono sedersi tante persone, che, ironicamente, ha il nome che può definirli tutti quanti- mentre beve, non ancora convinto che riuscirà a riaddormentarsi, la gola secca ed il mal di testa che lo assalgono, sottolineando la propria teoria.

Sospira, allontanando il bicchiere e guardando l'ora, prima di accasciarsi con la testa ben premuta sul legno. Sono solo le due di notte. Solitamente gli incubi così complessi non dovrebbero mai avvenire prima di una certa ora, no? Ha tutte le fortune!

“Is?”

Alza la testa, confuso, perché non si aspettava sicuramente la voce del danese. Lui lo guarda, sollevato, avvicinandoglisi ed accendendo la luce, abbagliandolo. Si lamenta in un borbottio, chiedendosi quando diventerà un po' più furbo.

“Mi hai spaventato, credevo non stessi bene.” si giustifica Dan, sedendoglisi accanto e toccandogli la fronte come se nulla fosse. Come se non fossero esistiti anni di tristezza, solitudine, odio, anche, come se fosse ancora il piccolo Islanda e quello fosse il suo pabbi.

Cerca di trattenere il singhiozzo, ma non ci riesce, perché esplode con una violenza che non ricorda.

Dev'essere il sonno. Fa troppo caldo, in casa del danese e non dorme bene da qualche notte. Sì, dev'essere quello, non...

Ma non riesce a terminare il pensiero, avvolto in un profumo familiare, come burro e vaniglia. Un tempo lo riconosceva anche per il profumo di salsedine che aveva in comune con il norvegese. Anche loro sono lontani, ora e nulla tornerà mai come prima.

"Hai fatto un incubo, eh? Calma, calma, è tutto finito..." mormora Matt, accarezzandogli i capelli e prendendolo in braccio come se non pesasse nulla. Succedeva spesso, in passato, che l'islandese facesse degli incubi spaventosi -poco realistici, con mostri e cose quasi infantili, ma sempre terrificanti- ed andasse a cercare proprio lui, infilandosi nel letto senza una parola, ma incontrando soltanto le sue braccia, senza domande.

Allora, se voleva, raccontava l'incubo, altrimenti si lasciava accarezzare la testa come sempre e si riaddormentava, al sicuro dalle creature malvagie che volevano portargli via la famiglia, inconsapevolmente conscio di averla già persa.

Si chiede perché, in fondo, sia ancora così. Ancora accetta di essere messo a letto e si abbandona a singhiozzare contro il petto di quello che chiamava pabbi, ancora pensa che potrebbe esserci una speranza, piccina piccina, che tutto torni come quando erano felici, che non esistano più frasi che cominciano con è complicato, che questa sia l'ultima volta in cui si sveglia chiedendosi se non sia propria, la colpa, la ragione ultima della propria infelicità.

Si stringe, smettendo piano piano di singhiozzare, calmandosi, ma non allentando la presa neppure un po'. Lo scenario perfetto prevederebbe che qualcun altro si unisse a quell'abbraccio caldo, che lo rassicurasse e gli dicesse che va' tutto bene, che si vogliono bene e sono una famiglia e che smetteranno di vedersi soltanto per i compleanni, dimenticando cosa piace agli altri e finendo per fare regali che non piacciono, come se non avessero vissuto gran parte delle loro esistenze insieme, fianco a fianco in ogni prova, come se non avessero finito per conoscere ogni minimo dettaglio della personalità degli altri...

Ma Noregur non verrà. Per lo stesso motivo per cui non è mai andato da lui per farsi consolare, il norvegese non è il tipo da pensare che le carezze e le parole rassicuranti possano risolvere qualcosa. Non è il tipo affettuoso, lui, preferisce scene più innaturali, come ninna nanne in segreto.


Ha sentito i passi andare su e giù dalle scale, i primi felpati, quasi privi di suono, i secondi pesanti ed incoerenti, appartenenti senza ombra di dubbio all'irritante danese. Ha sbuffato, lui che ha il sonno leggero e la camera situata proprio accanto alla rampa di scale, cercando di addormentarsi di nuovo e finendo per alzarsi a sedere quando qualcosa non tornava più. Ha sentito soltanto i passi del danese che tornavano in camera, quelli di Islanda, invece, si fanno ancora aspettare.

Che non riesca a dormire? Si stiracchia, scendendo dal letto, preoccupato. Teme si senta male ed abbia mentito a Matt, eternamente preoccupato dal suo stato di salute -l'hanno guardato ammalarsi fin troppo, quando era ancora un bambino, lo capisce perfettamente-, l'islandese è troppo orgoglioso per ammetterlo, ma potrebbe sentirsi seriamente male.

Scende le scale senza fare rumore, ma in cucina non c'è nessuno. Soltanto un bicchiere vuoto abbandonato sul tavolo.

Si dice che deve essersi addormentato dopo i passi del danese, ma decide di controllare comunque la camera di Eirik, salendo al primo piano e bussando lievemente alla seconda porta sulla destra. Non ottenendo risposta, la apre, attento a non fare rumore, ma la stanza è vuota.

Dove può essere?

Esce dalla stanza e passa davanti al bagno, che è aperto e vuoto. Non si sente male, quindi... è un sollievo, questo... ma dov'è?

Lo sguardo gli cade sulla porta della camera di Matt, mentre la mente esclude le possibilità improbabili -come un rapimento alieno- e finisce con arrivare alla conclusione che il ragazzo dev'essere lì. Non è molto probabile sia con Sve o con il finlandese, è l'unica teoria che, per quanto assurda, ritiene possibile.

Si avvicina alla porta, appoggiandovi l'orecchio, ma dalla stanza non proviene nessun suono. Che stiano dormendo?

Insieme?! Ma andiamo! Non dormono insieme da quasi mille anni -no, a dire il vero un po' meno, ma allora Islanda era piccolo e...- come è possibile che siano in quella stanza insieme?

Un'ondata di panico irrazionale lo colpisce, mentre una vocina insinua cose che tenta di non immaginare, come si trattiene dallo sfondare la porta con una frontata sul pomello, un'alternativa molto vichinga del colpo di pistola che spesso ricorre nei polizieschi.

Esclusa dopo una lunga lotta l'ipotesi dell'incesto -ecco, ci ha pensato-, bussa alla porta, piano, quasi intimidito dalle teorie che non riesce ad immaginare. Una voce gli risponde qualcosa di simile ad avanti, ma è bloccata da uno squittio che riconosce perfettamente.

Non esita un secondo a spalancare la porta, sperando di non sembrare inorridito quando posa lo sguardo sul letto.

Non è nulla di che... davvero, ha immaginato molto peggio, ha immaginato di dover smembrare Dan, negli scenari più orribili, perché aveva osato toccare quello che ancora considera come un figlio... ma l'immagine lo disturba. Ancora più di disturbarlo, vedere l'islandese rifugiato sul petto del danese gli causa una fitta al cuore.

E non ha ancora considerato le mani, che scorrono lentamente lungo la schiena del ragazzo albino, lo sguardo di Matt, triste, mentre di fatto sta consolando l'altro.

Matt non ha mai sopportato che il piccolo piangesse. L'ha sempre portato ad uno stato di ansia e tristezza in cui si dava automaticamente ogni colpa.

“Eirik... cosa ci fai qui?” chiede il norvegese, stranito, facendo un passo in avanti e poi restando lì, come gelato dalla paura, forse, ma anche da qualcosa di molto diverso.

Qualcosa gli dice che non è la prima volta. Qualcosa gli dice che l'islandese si infila nella camera del danese spesso, che ci sono spesso carezze e rassicurazioni e che lui non ne sa nulla.

“Ha fatto un brutto sogno.” mormora Dan, facendo un piccolo sorriso triste -è da tanto che non ne vede uno- ed un'altra lunga carezza nella schiena del ragazzo. “Ora è passato, però, vero, Eirik?”

L'islandese annuisce, ma non da' segno di volersi allontanare, anzi, cerca di nascondersi il più possibile.

“Succede spesso?” si ritrova a chiedere, la voce come un'eco lontana, come se non gli appartenesse neppure. Non sa perché lo chiede, forse vuole semplicemente togliersi il dubbio.

Allo stesso tempo, però, teme che la risposta gli faccia capire che è stato lasciato indietro.

“Quando era più piccolo sì, ora non più di tanto.” risponde semplicemente l'altro, mettendo una mano sulla spalla del ragazzo e spostandolo leggermente.

Restano in silenzio a fissarsi, per moltissimo tempo, finché non è il più giovane a cedere, distogliendo lo sguardo. Gli da' modo di fare una domanda che lo fa tremare da testa a piedi.

“Perché... perché non sei mai venuto a cercarmi?”

Islanda stringe nel pugno il lenzuolo, vaga con lo sguardo ed è ancora apparentemente distratto, quando risponde.

“Non sei esattamente il tipo di persona da cui andare per essere consolati.”

Danimarca scuote la testa e sbuffa.

“Stai esagerando. Eirik, Lukas può darti lo stesso sostegno che...” inizia, ma il norvegese lo interrompe, alzando il palmo verso di lui per intimargli di tacere.

“No, ha ragione, non mi importa nulla.” sussurra, con la solita calma, voltandosi ed abbandonando rapidamente la stanza, la funzione del respiro che si inceppa mentre chiude la porta e sente un singhiozzo.

Potrebbe essere Islanda, potrebbe essere lui stesso. Decide di non volerlo scoprire, soprattutto nel secondo caso.

A passi svelti si dirige verso il proprio letto, coprendosi fino a spuntare soltanto con gli occhi e poi stringendoli, come per scacciare tutti i pensieri terribili che gli affollano la mente.

Davvero sembra una persona con così poca empatia? Anche ad Islanda? Si sarebbe aspettato di essere compreso dal fratellino, perché, in fondo, sono così simili che non capirsi è davvero la cosa più terribile.

Non potrebbe mai pensare di rifiutarsi di tranquillizzare il fratello. Mandarlo via, dirgli che le sue sono stupidaggini... come potrebbe? Ha mai agito in un modo egoista, di fronte a lui?

C'è stata quella volta, però...

Quella volta.... quella volta è rimasto immobile, gli occhi spalancati, a non capire. Non riuscendo a trovare un motivo valido per cui il piccolo -il suo piccolo- non fosse più su quel barile a guardare l'acqua. A dirsi che non poteva... Non poteva essere caduto.

Dan ha agito in fretta, ha recuperato il bambino che aveva già le labbra blu, gli ha fatto sputare l'acqua, l'ha salvato e stretto forte.

Allora è riuscito a pensare soltanto che la propria disattenzione avesse provocato la morte di Islanda, che per colpa sua avrebbe provato la terribile sensazione dell'anima dilaniata da mille lame, prima di rinascere.

Ma non è successo. Islanda, in un modo o nell'altro, non ha mai dovuto subire quel passaggio obbligato tra le Nazioni. Sono riusciti a proteggerlo. È riuscito a proteggerlo.

Nonostante la propria freddezza apparente, nonostante nessuno pensi che sia una persona da cui andare quando si è tristi, l'ha protetto ed è quello che conta.

Allora... perché il petto fa tanto male?

Perché non può fare a meno di stringersi su se stesso, ogni battito del cuore un'agonia simile a quella della rinascita, se non peggiore?

Non dimostra molto amore, Norvegia. Non con i gesti abituali. Non ci sono mai troppi abbracci, ma ci sono quando ce n'è bisogno. Quando qualcosa fa male, è sempre pronto ad abbracciare. Ma nessuno lo cerca mai, quando potrebbe essere utile per il cuore.

Quando è iniziata? Possibile che fosse lì, mentre guardava il punto in cui il piccolo islandese era scomparso? Possibile che nessuno abbia capito quanto stesse urlando e disperandosi, in quel momento?

Possibile che nessuno si renda mai conto che anche lui, a volte, di quell'abbraccio ne ha un bisogno quasi violento?

Stringe i denti, trattenendo il dolore e cercando di annullarlo, annullarsi, anche, con un sonno che spera vuoto di sogni, senza nulla di spaventoso ad attenderlo, perché solo questo, restare solo ad abbracciarsi, è già più terribile di qualsiasi incubo.



Non sente la porta aprirsi, si sveglia solo quando il materasso si abbassa da un lato e dall'altro.

Non apre gli occhi. No, è troppo terrorizzato per farlo. Neppure quando le braccia lo avvolgono completamente, come forti rami da una parte, timidamente dall'altra.

Al contrario, stringe gli occhi il più possibile, forse per schermare le lacrime, forse semplicemente per rafforzare la volontà di non aprirli, di lasciarli chiusi per non vedere, restare soltanto a percepire il respiro lieve sul collo e la presenza sul petto, oppure, più semplicemente, perché ha paura di rendersi conto che non è altro che un'allucinazione causata dalla propria mente stanca, qualcosa che inventa per non impazzire.

Le persone che ama sono lì, hanno capito che, nel fondo, ha bisogno di loro più che dell'aria che respira.

Non è rimasto solo.

   
 
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