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Autore: Milla Chan    01/07/2012    4 recensioni
Islanda non vuole davvero il caffè, ma è un buon metodo per alzarsi da quel tavolo e sfuggire allo sguardo mellifluo di Nor. Un ottimo stratagemma per dargli le spalle.
“Sto aspettando.” dice Norvegia con il mento appoggiato sulle mani.
“Spero che tu ti stia riferendo al caffè, perché non avrai altro.” sbuffa spazientito il ragazzo, stando ben attento a prolungare il più a lungo possibile la preparazione, scottandosi però un paio di dita con la bevanda bollente ed imprecando sottovoce.
“Non avrò altro?” mormora, stiracchiandosi un poco sulla sedia, con un tono di voce che fa sentire Islanda terribilmente preso in giro.

[ Partecipa all'esperimento "Otto Autori Per Un Prompt" ]
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Danimarca, Islanda, Norvegia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa all'esperimento "Otto autori per un prompt" ed è ispirata al seguente prompt:

“Nessuno ha mai pensato a Norvegia come una persona affettuosa, inclusi i suoi fratelli.
Ma Islanda faceva molti incubi quando era piccolo. Invece di andare da Norvegia nel pieno della notte, preferiva strisciare nel letto di Danimarca, che era sempre pronto a coccolare Islanda per farlo sentire al sicuro dopo un incubo.
Norvegia non l'ha mai saputo, perché gli altri due non ne hanno mai realmente parlato. Ma un giorno, in epoca recente, lo scopre ed è probabilmente geloso, forse anche arrabbiato e pieno di risentimento -ma per la maggior parte ferito, perché non avrebbe mai negato l'affetto di Islanda. (Chi scrive su questo prompt è libero di giocare con la reazione di Norvegia, anche se preferirei rimanesse sul negativo).
Bonus: Islanda va' ancora, ogni tanto, da Danimarca per farsi  rassicurare.
Bonus2: Il bonus di cui sopra è il modo in cui Norvegia viene a sapere di tutte le altre volte.”
 
A questa iniziativa partecipano anche  happylightOrochiMaryRotaViolaNeras_theinsanequeen, AmyLerajieadrienne riordan.
 
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Danimarca butta un’occhiata all’orologio, sghignazzando assonnato.
“Is, lo sai che gli incubi arrivano verso mattina?” sussurra gentile, avvolgendolo tra le braccia non appena si infila nel letto.
Islanda non risponde, se non con un mugolio strano, facendo frusciare un po’ le coperte e affondando la testolina contro di lui. Pabbi non dice mai cose molto sensate, quando sguscia nella sua stanza dopo un brutto sogno.
Il bambino stringe la maglietta di Danimarca tra le mani, stando ben attento a non guardare il buio, che lo spaventerebbe ancora di più.
“Qualunque cosa sia...” gli mormora il danese all’orecchio, muovendo piano la mano sulla sua schiena. “...Sa che non si deve avvicinare, quando c’è pabbi nei paraggi.” asserisce risoluto, abbracciandolo forte, contento di sentire il piccolino ridacchiare contro il suo petto.

 

Forse non se ne rendono conto, ma si stanno tenendo stretti come se fossero due orsacchiotti di peluche. Almeno dal punto di vista emozionale.
Nor prova per interminabili minuti a bucare la superficie legnosa del tavolo, passando e ripassando nervosamente la punta della matita per i solchi che ha creato precedentemente.
Tiene le braccia piantate sul tavolo, la testa sorretta dalla mano, fissando con fare annoiato il suo passatempo che, se ne rende conto, ha un non so che di vandalico.
Conficca un po’ più forte la matita nel legno, con un sonoro scricchiolio, facendo rompere la mina quando Danimarca ride forte. Riceve uno dei suoi ingombranti e soffocanti abbracci, con tanto delle solite frasi profonde ma banali dette in modo superficiale a proposito della loro meravigliosa famigliola speciale e blah blah blah.
Sente la porta chiudersi e capisce che se n’è andato.
Oh, finalmente. Silenzio, questo sconosciuto.
Tira un lungo sospiro, facendo tamburellare le dita contro il tavolo.
“Allora?” dice annoiato.
“Allora cosa?”
Islanda sembra nervoso mentre guarda dalla finestra quel danese fastidioso che se ne va via e probabilmente non sta neanche prestando attenzione a ciò che gli sta dicendo l’altro.
Non succede con gran frequenza, pensa Norvegia, ma abbastanza spesso da notarlo.

Che alchimia.” sibila, giocherellando con la matita ormai spuntata.
“Cosa?” chiede, ostendando una tranquillità che non c’è affatto, distogliendo lo sguardo dal vetro e sedendosi sulla sedia accanto a quella del fratello.

“Cosa cosa?” ribatte, provando a tirar fuori la mina dal buco in cui l’ha conficcata, finendo quasi col graffiarsi.
Islanda scuote la testa con un’espressione a metà tra il compassionevole e il divertito, osservandolo con una nota di curiosità. “Stai incasinando la situazione, Nore.”
“Sei tu che devi rispondere.” replica lapidario.
“Non mi hai fatto domande.”

L’obbiezione del fratello è più che giusta, Norvegia se ne rende conto, ma quel senso di irritazione lo sta facendo impazzire e non vuole troncare il discorso, questa volta.
Già, perché è veramente stufo di lasciare tutto in sospeso. Sicuramente anche il suo tavolo ne ha abbastanza di essere maltrattato.
Non parla per un po’, incrociando le braccia sul tavolo e sporgendosi verso di lui con fare fiducioso, lo sguardo che lascia trasparire un senso di rammarico che, per quanto Islanda ci provi, non riesce proprio a farsi sfuggire.

“Hai qualcosa da dirmi a proposito di Dan?” mormora sottovoce, allungando una mano e spostando con lentezza delle ciocche chiare dalla sua fronte.
“No. Proprio no. Non è una domanda molto sensata, sai?” dice con calma, incrociando gli occhi in modo buffo per seguire la mano del fratello. “...Ma se sei geloso di lui, puoi dirmelo.”
“Non sono geloso. Non sono geloso di quel danese imbarazzante.” afferma in tutta sicurezza, mentre Islanda lo squadra e alza un sopracciglio, ben poco convinto.
“...È che c’è qualcosa che non va e tu lo sai.”
“Non mi piace molto questo discorso.” ridacchia nervoso il ragazzino, provando ad allontanare la mano del fratello. “Non sei il tipo di persona con cui è piacevole parlare di queste cose.”
“Vedi?” Norvegia sembra quasi rabbuirsi, facendo resistenza contro il palmo di Islanda, che sta provando a scostarlo. “...Mi mandi via. In tutti i sensi.”
“Ti dà fastidio?”
“Oh, vorresti saperlo, Is? Come sei sensibile.”
“...Odio quando capisci solo ciò che vuoi capire.”
 
 
“...E poi mi sono svegliato.”
“Accidenti, quella balenottera con le zanne doveva fare davvero una gran paura.”
Danimarca sorride ma sa che, per quanto possa sembrare ridicolo, un sogno può davvero spaventare un bambino –ma anche un adulto, dannazione!- tanto da farlo scappare nel letto con qualcun altro. Se poi nel letto in questione c’è qualcuno che lo aspetta a braccia aperte come lui, beh, allora ciò non può che diventare un’abitudine. Una piacevole abitudine. Per entrambi.
“Buona notte.” Gli mormora mentre gli lascia l’ennesimo bacio in fronte, sentendolo aggrapparsi ancora al suo collo.
“Noo...” mugola il bambino, alzando la testa. “Non ho più sonno...!”
“Oh, io sì, eccome.” Dan sorride, allungando la mano e facendogli il solletico al fianco, sentendolo ridere e farsi un più piccolo di quanto già non fosse.
“E se... Mi aspetta per mangiarmi?” chiede dopo un po’, preoccupato.
“Se oserà farlo, sarò io a mangiare lei.” risponde con semplicità e decisione, mettendo a posto le coperte e coprendo entrambi fin sopra la testa.

 
 
Islanda non vuole davvero il caffè, ma è un buon metodo per alzarsi da quel tavolo e sfuggire allo sguardo mellifluo di Nor. Un ottimo stratagemma per dargli le spalle.
“Sto aspettando.” dice Norvegia con il mento appoggiato sulle mani.
“Spero che tu ti stia riferendo al caffè, perché non avrai altro.” sbuffa spazientito il ragazzo, stando ben attento a prolungare il più a lungo possibile la preparazione, scottandosi però un paio di dita con la bevanda bollente ed imprecando sottovoce.
“Non avrò altro?” mormora, stiracchiandosi un poco sulla sedia, con un tono di voce che fa sentire Islanda terribilmente preso in giro.
Corruccia la fronte, continuando a trafficare con le tazze e riuscendo a trasportarle una per volta. “No.”
“Non avrò un fratello che vuole parlare come dovrebbero fare tutti i fratelli?”
“Smettila di dirlo.” Lo interrompe secco, alzandosi sulle punte per prendere il vasetto dello zucchero dalla credenza.
Norvegia ghigna, guardandolo sornione. “Che cosa? Fratello?”

Sa che, in situazioni come quelle, Islanda non avrebbe probabilmente retto a lungo. Presumibilmente vuole solo somigliargli, assumendo quegli atteggiamenti, no?

“Esattamente.” risponde infatti, con sguardo falsamente annoiato e distante, appoggiando la zuccheriera sul tavolo e sedendosi comodamente.
“...Sai, sei viziato.” azzarda Nor, sapendo di star silenziosamente colpendo proprio dove voleva, mentre prende un cucchiaino scarso di zucchero da mettere nella sua tazza. “E non sono certo stato io a viziarti.”

Islanda alza lo sguardo su di lui.
“Dan non mi ha viziato.”
“Sì che l’ha fatto.” risponde immediatamente, con tranquillità, mescolando piano il caffè e bevendone un sorso.
“Dan ha sempre fatto le cose giuste per me.” mormora velenoso Islanda, tendendo gli occhi ametista fissi su di lui e versando il quarto cucchiaino di zucchero in quella bevanda davvero troppo amara.
“Beh, quando mai mi hai chiesto di fare qualcosa per te?” chiede acido, appoggiando con un tintinnio il cucchiaino sul tavolo.
“Infatti, chi ti ha chiesto niente!?”
Il ragazzo mette fine al discorso con voce forse un po’ troppo alta, alzandosi dal tavolo con un verso infastidito e girandosi indietro, verso il fratello, solo quando fu sullo stipite della porta.
Si sente ribollire, non notando alcun cambiamento nell’espressione statica di Norvegia. Ringhia e sa che potrebbe esplodere, viste le sue guance eccessivamente rosse.
“Dannazione, Nore!”
Urla, sbattendo la porta. La chiude dietro di sé, lasciando la casa silenziosa.
 
Norvegia guarda il suo riflesso tra le increspature del caffè senza muovere un muscolo od aprir bocca.
Non è mai piacevole vedere Islanda andar via in quel modo, ma lo lascia fare. Non è certo la prima volta, da quando la visto nelle braccia di Danimarca.
Non vuole mai evitare il discorso, Norvegia. Vuole capire meglio. Ma finisce sempre così.
Si chiede perché, ogni volta che sbatte la porta, lui si sente strappare un pezzo di cuore, contemporaneamente  all’invadente e doloroso flash di Islanda accoccolato contro un Danimarca che lo dondola peternamente. Questo lo divora dall’interno.
 
Stringe debolmente la tazza di ceramica tra le dita, incassando la testa tra le spalle.
“Non ti avrei negato niente.” mormora al nulla.
È una cosa patetica parlare da soli, se ne rende conto, ma non può fare a meno di dirlo, perché lo rattristisce troppo pensare di non riuscire a dirglielo in faccia, guardandolo negli occhi, pensare che riuscirà solamente a fare commenti sarcastici e frecciatine fastidiose, senza arrivare mai al fulcro della questione.
“...Niente.” ripete pigolando, con voce altalenante, mentre allontana il caffè da sé e si abbandona allo schienale della sedia.
 
Aveva visto in quelle coccole una confidenza costruita in secoli e si era sentito escluso.
Ha l’immagine delle braccia di Danimarca attorno al petto del fratello che lo tortura e lo amareggia.
Vede ancora nitidamente la testa di Islanda sulla spalla dell’uomo e la gelosia gli stacca lo stomaco a morsi.
L’espressione rilassata e felice sel ragazzino gli brucia in testa e lo fa sentire umiliato. Come fratello e come membro della famiglia.
Sente di aver fallito e di aver perso tutto, sa che non può tornare indietro e costruire un’esistenza perfetta, non può ribaltare il passato ed ormai è troppo tardi, qualsiasi cosa egli sia intenzionato a fare.

Islanda ha sempre preferito Danimarca a lui, perché Dan è ed era tutto ciò che lui non è mai stato.
 
Non può biasimare il fratello; in fondo qualcunque bambino avrebbe preferito andare la un paio di forti braccia danesi, protetto dal suo sorriso rassicurante e dalla sua voce che si imponeva senza problemi.
Si sente male, Norvegia, e si maledice per non essere mai riuscito ad essere quello che avrebbe voluto. Un buon fratello, qualcuno da cui andare per una banale insicurezza e semplicemente per piacere ed affetto.
 
Tutto ciò si era amplificato a dismisura quando era venuto a sapere dei momenti piacevoli, celati e profondi, fatti di abbracci infiniti e coccole silenziose, di cui lui non sapeva neanche l’esistenza.
 
Norvegia l’ha sempre sospettato, ma vederlo con i suoi occhi ha fatto molto più male. Pensa che se gliel’avessero subito detto adesso non starebbe così male e si sarebbe abituato.
Ma non sa se questo è vero o se è solo una scusa.
Se ne sta in silenzio, senza neanche la voglia di finire il caffè o di temperare nuovamente la matita, non sapendo ancora cosa fare per perdonarsi di aver lasciato bruciare l’infanzia di Islanda e sradicarsi dalla testa la consapevolezza di non essere mai riuscito ad essere un punto di riferimento.


Islanda è grande, ormai, e non riuscirà più a fargli cambiare il modo di vedere gli altri. E di vedere lui, soprattutto.
 
Non può fare altro che provare a stabilire un contatto ma, se lo sente, Islanda non lo lascerà mai avviccinare.
 
Sa che è chiedere troppo, ma vorrebbe che sgusciasse in camera sua e gli chiedesse di abbracciarlo.
 
 
“...E poi potresti sgusciare in camera sua e chiedergli di abbracciarlo.” conclude Danimarca, ormai con il bambino sdraiato sul suo grande petto, continuando a carezzargli piano la schiena.
“Non... Secondo me non... vuole.” mugola timidamente, tormentandosi le mani e fissando la porta con insistenza.
“Gli farebbe piacere, invece.” gli dice, strizzandogli l’occhio.
“Il fratellone mi vuole bene?” chiede come se stesse parlando di un segreto inenarrabile e scendendo da sopra di lui con un versetto.
“Ti vuole un gran bene.” annuisce convinto, carezzandogli la guancia con il pollice e guardandolo negli occhi.
“Davvero?” mormora, strusciando la testa sul cuscino, un po’ poco convinto di ciò che l’altro sta dicendo.
“Ti fidi di me?”
“Sì, ma...”
“Allora promettimi che prima o poi andrai da lui.” lo interrompe con calma, abbassando le palpebre e sorridendogli, sfinito e stanco.
Il bambino annuisce e fa un mugolio di assenso.

 

Se Dan avesse tenuto gli occhi aperti, si sarebbe accorto che la sua espressione già faceva vacillare la promessa.

 

   
 
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