Inattendu voyeur
Sherlock
Holmes è sempre stato tuo amico, la vostra conoscenza risale
ormai a tanto
tempo fa. Hai sempre pensato che sareste stati compagni per la vita,
perché lui
non aveva amici, solo uno.
E
invece ti sei ritrovato messo da parte, a impolverarti sul camino,
mentre John
scavalcava il tuo posto nel cuore – no, nel cervello
– del detective e ne creava uno per sé, che non
aveva una definizione precisa,
ma era più di quanto tu, povero teschio, avessi mai avuto.
Più di quanto
qualcuno avesse mai significato per Sherlock.
«John»
la voce del consulting detective, seduto sulla sua poltrona davanti al
camino,
ruppe il silenzio dell’appartamento al 221B di Baker Street e
mise fine alle
tue elucubrazioni.
«Sì?»
gli rispose John, seduto di fronte a lui, alzando gli occhi dal
portatile che
teneva sulle gambe.
«Mi
annoio.»
John riportò gli occhi sul
computer.
«John,
nessuno ha suonato al
campanello del nostro appartamento.»
«Lestrade
non ha chiamato.»
«E
nessuno ha richiesto i miei servigi tramite il tuo blog.»
Vedesti
John sostenere una lunga battaglia con la sua esasperazione prima di
riuscire a
rispondere che no, non c’era nessun caso per lui neanche sul
blog. Si accorse,
poi, che quella di Sherlock non era una domanda e, alzando la testa dal
portatile,
capì perché: il compagno gli si era avvicinato e
dalle sue spalle guardava lo
schermo del computer.
«John…»
«Per
l’amor del cielo, Sherlock, sta’ zitto»
lo interruppe il dottore. «Metti in
pausa il cervello.»
«Le
persone normali possono permettersi di non dare ascolto al cervello, io
no. Non
saprei neppure come fare!»
L’irritazione
di John aveva ormai raggiunto i massimi storici; dunque non ti stupisti
tanto
della sua reazione.
Gli
bastò girare la testa per ritrovarsi faccia a faccia con
Sherlock e precipitarsi
sulle sue labbra. Lo baciò per pochi secondi, ma con
l’irruenza dettata
dall’esasperazione. «Ecco come le persone normali
spengono il cervello» disse
John, dopo essersi allontanato dalla sua bocca, a sottolineare la
pratica
dimostrazione avvenuta poco prima.
Sherlock,
notoriamente interessato alle sperimentazioni, sorrise e poi
baciò John, per
provare ancora quella teoria. «Funziona!»
esclamò trionfante quando si
separarono.
John
rise e scosse la testa prima di volgere nuovamente lo sguardo al suo
blog.
«Oh,
no, John, mi annoio» gli
ricordò
Sherlock, che prese il portatile e lo mise via, prima di mettersi in
ginocchio
sulla stessa poltrona su cui sedeva John, con le ginocchia ai lati
delle sue
gambe per non fargli male. Lo baciò, ancora, mentre le sue
mani afferrarono il tessuto del maglione che l’altro indossava. John lo attirò a
sé, premendo le
mani alla base della sua schiena. Si baciarono a lungo, con sommo
gaudio del
brillante detective, che non sentiva più la noia, ma altro. Non era distrazione, no, aveva
semplicemente trovato un
nuovo soggetto di studio per passare il tempo e combattere la noia:
John che si
morse le labbra quando Sherlock cominciò a sollevare il suo
maglione, John che
chiuse gli occhi quando le mani di Sherlock vagarono senza meta sul suo
petto,
John che trattenne il respiro quando quelle mani si avvicinarono alla
cintura,
John che gemette quando gli abbassò i pantaloni, John John John.
Come
caddero dalla scomoda poltrona e finirono sdraiati a terra
né tu né John
riusciste a capirlo, ma quest’ultimo, in quel momento
totalmente in potere di
Sherlock che intendeva dimostrare sulla sua pelle la teoria formulata
poco
prima, esplorando nuovi campi del sapere, non se ne curò.
John slacciò la sua
camicia e la strinse forte fra le mani quando Sherlock gli tolse le
mutande e
lo accarezzò. Quando riuscì a sfilargliela la
lanciò nella stanza, non preoccupandosi
di dove sarebbe andata a finire: ti centrò esattamente, sul
camino, coprendoti
gli occhi di teschio, innocente
spettatore che, giustamente, avrebbe desiderato essere altrove, per
esempio in
una tomba.
Pur cieco, non ti fu impedito
di sentire i sospiri – «Ah…»
–, i gemiti – «Sherlock!»
–, che i due uomini sul
pavimento non riuscivano a soffocare e quando tutto divenne
semplicemente
troppo – «Dio, Sherlock!» «Oh,
John…» – preferisti distrarti pensando a
una
confortevole bara, dalle pareti imbottite su cui poggiarti comodamente
ed
eternamente. Era questo il tuo modo
di passare il tempo.
Qualche tempo
dopo, il
silenzio della camera era rotto solo dai respiri dei due uomini. Affannati, accaldati,
ansanti. Sicuramente
sudati, anche se questo non potevi vederlo. Immaginasti Sherlock supino
sul
pavimento, col viso arrossato e umido di sudore; non l’hai
mai visto così
scomposto e nemmeno in quel momento lo vedesti. Probabilmente per
quella
visione così inusitata, sentisti John ridere.
***
«John.»
«Sì?»
«Mi
annoio.»
«E
hai idee per passare il tempo?»
«Oh,
sì» decretò il detective, avvicinandosi
al suo coinquilino e baciandolo.
E
tu pregasti che qualche altro indumento, magari corredato di
paraorecchi,
scendesse dal cielo a graziarti.