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Autore: Legar    02/07/2012    11 recensioni
Sherlock Holmes è sempre stato tuo amico, la vostra conoscenza risale ormai a tanto tempo fa. Hai sempre pensato che sareste stati compagni per la vita, perché lui non aveva amici, solo uno.
E invece ti sei ritrovato messo da parte
[...]
«John.»
«Sì?»
«Mi annoio.»
«E hai idee per passare il tempo?»

[Seconda classificata al contest "I am Johnlocked" indetto da DonnieTZ sul forum di EFP.]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Inattendu voyeur



Sherlock Holmes è sempre stato tuo amico, la vostra conoscenza risale ormai a tanto tempo fa. Hai sempre pensato che sareste stati compagni per la vita, perché lui non aveva amici, solo uno.
E invece ti sei ritrovato messo da parte, a impolverarti sul camino, mentre John scavalcava il tuo posto nel cuore – no, nel cervello – del detective e ne creava uno per sé, che non aveva una definizione precisa, ma era più di quanto tu, povero teschio, avessi mai avuto. Più di quanto qualcuno avesse mai significato per Sherlock.

«John» la voce del consulting detective, seduto sulla sua poltrona davanti al camino, ruppe il silenzio dell’appartamento al 221B di Baker Street e mise fine alle tue elucubrazioni.
«Sì?» gli rispose John, seduto di fronte a lui, alzando gli occhi dal portatile che teneva sulle gambe.
«Mi annoio.»
John riportò gli occhi sul computer.

«John, nessuno ha suonato al campanello del nostro appartamento.»

«Lestrade non ha chiamato.»

«E nessuno ha richiesto i miei servigi tramite il tuo blog.»
Vedesti John sostenere una lunga battaglia con la sua esasperazione prima di riuscire a rispondere che no, non c’era nessun caso per lui neanche sul blog. Si accorse, poi, che quella di Sherlock non era una domanda e, alzando la testa dal portatile, capì perché: il compagno gli si era avvicinato e dalle sue spalle guardava lo schermo del computer.
«John…»
«Per l’amor del cielo, Sherlock, sta’ zitto» lo interruppe il dottore. «Metti in pausa il cervello.»
«Le persone normali possono permettersi di non dare ascolto al cervello, io no. Non saprei neppure come fare!»
L’irritazione di John aveva ormai raggiunto i massimi storici; dunque non ti stupisti tanto della sua reazione.
Gli bastò girare la testa per ritrovarsi faccia a faccia con Sherlock e precipitarsi sulle sue labbra. Lo baciò per pochi secondi, ma con l’irruenza dettata dall’esasperazione. «Ecco come le persone normali spengono il cervello» disse John, dopo essersi allontanato dalla sua bocca, a sottolineare la pratica dimostrazione avvenuta poco prima.
Sherlock, notoriamente interessato alle sperimentazioni, sorrise e poi baciò John, per provare ancora quella teoria. «Funziona!» esclamò trionfante quando si separarono.
John rise e scosse la testa prima di volgere nuovamente lo sguardo al suo blog.
«Oh, no, John, mi annoio» gli ricordò Sherlock, che prese il portatile e lo mise via, prima di mettersi in ginocchio sulla stessa poltrona su cui sedeva John, con le ginocchia ai lati delle sue gambe per non fargli male. Lo baciò, ancora, mentre le sue mani afferrarono il tessuto del maglione che l’altro indossava. John lo attirò a sé, premendo le mani alla base della sua schiena. Si baciarono a lungo, con sommo gaudio del brillante detective, che non sentiva più la noia, ma altro. Non era distrazione, no, aveva semplicemente trovato un nuovo soggetto di studio per passare il tempo e combattere la noia: John che si morse le labbra quando Sherlock cominciò a sollevare il suo maglione, John che chiuse gli occhi quando le mani di Sherlock vagarono senza meta sul suo petto, John che trattenne il respiro quando quelle mani si avvicinarono alla cintura, John che gemette quando gli abbassò i pantaloni, John John John.
Come caddero dalla scomoda poltrona e finirono sdraiati a terra né tu né John riusciste a capirlo, ma quest’ultimo, in quel momento totalmente in potere di Sherlock che intendeva dimostrare sulla sua pelle la teoria formulata poco prima, esplorando nuovi campi del sapere, non se ne curò. John slacciò la sua camicia e la strinse forte fra le mani quando Sherlock gli tolse le mutande e lo accarezzò. Quando riuscì a sfilargliela la lanciò nella stanza, non preoccupandosi di dove sarebbe andata a finire: ti centrò esattamente, sul camino, coprendoti gli occhi di teschio, innocente spettatore che, giustamente, avrebbe desiderato essere altrove, per esempio in una tomba.
Pur cieco, non ti fu impedito di sentire i sospiri – «Ah…» –, i gemiti – «Sherlock!» –, che i due uomini sul pavimento non riuscivano a soffocare e quando tutto divenne semplicemente troppo – «Dio, Sherlock!» «Oh, John…» – preferisti distrarti pensando a una confortevole bara, dalle pareti imbottite su cui poggiarti comodamente ed eternamente. Era questo il tuo modo di passare il tempo.

Qualche tempo dopo, il silenzio della camera era rotto solo dai respiri dei due uomini.  Affannati, accaldati, ansanti. Sicuramente sudati, anche se questo non potevi vederlo. Immaginasti Sherlock supino sul pavimento, col viso arrossato e umido di sudore; non l’hai mai visto così scomposto e nemmeno in quel momento lo vedesti. Probabilmente per quella visione così inusitata, sentisti John ridere.

 

***

«John.»
«Sì?»
«Mi annoio.»
«E hai idee per passare il tempo?»
«Oh, sì» decretò il detective, avvicinandosi al suo coinquilino e baciandolo.

E tu pregasti che qualche altro indumento, magari corredato di paraorecchi, scendesse dal cielo a graziarti.

   
 
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