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Autore: Mushroom    02/07/2012    3 recensioni
"La prima volta che l’aveva visto – visto davvero, intendeva – l’aveva fatto attraverso gli occhi di Sherlock."
[Affetta da Shipping compulsivo, partecipo all'iniziativa del forum « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest.]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Molly Hooper
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Sguardi, caffè e cadaveri
Fandom: Sherlock (BBC)

Personaggi: Molly Hooper, John Watson
Rating: Verde
Avvertimenti: slice-of-life,
post 2x03
Wordcount: 1379
Note:
Ho scoperto di non essere capace a scrivere di Molly. Davvero... io... non ci posso riuscire, ecco. Non in modo coerente o decente come vorrei D: povera Molly. E povero John, che è stato leggermente lasciato andare in questa storia.
La premessa di tutto questo è: John è andato avanti, Molly si sente in colpa perché - ormai è headcanon - ha aiutato Sherlock a falsificare la sua morte.
Sento di star divagando. Scusate, il caldo ha uno strano effetto su di me.
@Collection of Starlight, per I Love Shipping, per la sfida di Ranerottola, che mi ha girato una "John/Molly" dove compaiano nel discorso l'Afghanistan e la medicina legale (ovviamente non in maniera marginale devono essere parte importante della storia). Diciamo che io ho provato veramente a inserire di più L'Afghanistan, solo che... non so, voi, tornati da una guerra, sareste felici di parlarne? Quindi ho avuto qualche problema a inserirlo nella storia, e non l'ho fatto in modo decente. Spero che Ranerottola mi possa perdonare D:


La prima volta che l’aveva visto – visto davvero, intendeva – l’aveva fatto attraverso gli occhi di Sherlock.
Si chiamava John. John Watson. E l’unico motivo per il quale faceva fatica a ricordare il suo nome era, prima di tutto, perché difficilmente lo si notava.
Ragionò solo dopo su questo: non è che non si notasse (era l’unica persona che Sherlock non insultava. Non si poteva non notare questo, soprattutto quando ti prendevi una stupida cotta per Sherlock Holmes), semplicemente lo si dava per scontato. Era un po’ come quei pensieri che ti potevano venire di tanto in tanto, nel mezzo di giornate assolutamente normali e che non hanno motivo di esistere. Arrivava come “Il buon vecchio John! Chissà come se la passa” e si dissolveva in pochi minuti, nascosto da qualcosa che aveva più importanza del buon vecchio John.
Eppure John l’aveva, la sua importanza. A suo modo, ovviamente. E Molly, nonostante tutto, non era mai riuscita a simpatizzare per quell’uomo. Non perché fosse una persona sgradevole, ma perché – oh, quanto si vergognava di ammettere questo – Molly aveva odiato vederlo attraverso lo sguardo di Sherlock.
Per questo, quando si incontrarono in ospedale, Molly non poté far a meno di guardarlo e rivederci Sherlock, anche se Sherlock si trovava (ufficialmente) tre metri sotto terra nel cimitero di Londra.
John aveva un camice, un tesserino e un sorriso amichevole; John aveva ancora addosso quella stessa aria di temprata pazienza che sempre l’aveva caratterizzato, anche quando Molly, pensando a lui e non riuscendo a rammentare il suo nome, lo appellava come “Quello che passava il telefono a Sherlock Holmes", non senza una punta di accidia.
«Mi hanno assunto in chirurgia d’urgenza» aveva detto, davanti a un caffè «A quanto pare, l’Afghanistan ti da’ la giusta preparazione anche per questo» non rise, e per qualche motivo a Molly diede fastidio la leggerezza nelle sue parole. Lo ignorò con una scrollata di spalle, cercando di liberarsi di questo suo lato poco carino. Ma parlare con John era come venir immersi in una bolla e una sensazione di disagio le attanagliava lo stomaco. Stupida, si disse.
«Credevo che servisse un’abilitazione, dopo il servizio militare» rispose, con tono cordiale. John assottigliò le labbra, ma non si scompose.
«Ho avuto la reintegrazione da una psicologa. Dovrebbe andare tutto bene» sorseggiò il proprio caffè lanciando uno sguardo verso l’orologio. Posò la tazzina sul bancone, facendola ruotare con un dito e osservandola per una frazione di secondo. Fu lì che Molly scorse il disagio. Quel genere di imbarazzo che si ha quando mancano gli argomenti per una conversazione; oppure quando uno scambio colloquiale prendeva pieghe poco gradite. «Ora devo andare» disse. A Molly non sfuggì la fretta nella sua voce «Devo lavarmi. Turno in sala operatoria. È stato un piacere rivederti».
Anche se non lo disse, era stato un piacere anche per lei.

«Ho sentito che hanno sparato a un tizio» esordì così, la seconda volta che John Watson le offrì un caffè. Lo portò giù in anatomopatologia, con lo stesso sorriso cordiale della volta precedente e due occhiaie violacee stampate come un marchio sotto gli occhi.
E effettivamente era vero: avevano sparato a un tizio in Whitechapel, e la sua salma giaceva sul tavolo anatomico per una parziale autopsia. Attendeva l’arrivo dei periti, i risultati delle tac e del tossicologico del sangue; poi avrebbe iniziato. Come John sapesse del tizio – Ernie McGoy, secondo la carta di identità – era una specie di mistero, dato che il corpo era lì da un paio d’ore. Qualche inserviente avrà parlato, pensò.
La seconda domanda era: perché a John Watson interessava delle spoglie del povero Ernie? Salvare vite era così noioso da aver bisogno dei morti per potersi sentire un po’ più allegri?
Non chiese, ma accettò il caffè con un cipiglio in volto, mente John osservava il morto.
Si trattava di una ferita d’arma da fuoco, ma questo l’aveva già detto.
Foro d’entrata, nessuna uscita. Bruciatura. Dilatazione della pelle, estensione di un danno superficiale. Lacerazione, distasi del tessuto. Richiesta di un’analisi più approfondita da parte del medico legale.
Lesione occipitale (caduta, danno tuttavia limitato) e costola incrinata; necessaria una tac per ematoma ingiustificato dai precedenti danni.
Due, tre, quattro
ecchimosi sul fianco destro. Probabilmente risalenti a qualche giorno prima. Servivano i periti del medico curante per poter rispondere, ma data l’entità del danno e lo stato, escluse che potesse trattarsi di danni causati dall’omicidio.
John Watson indicò con un dito ogni dettaglio, girando intorno al tavolo.
«Sai, in Afghanistan non importava a nessuno come morivi. Tanto eri bello che defunto, e sapere come non modificava il risultato finale» dichiarò, osservando con ostentato interesse il livor mortis che stava andando a formarsi. Si protese un po’ di più, per studiarlo meglio.
Molly stava ancora sorseggiando il suo caffè. Pensò che John avesse sviluppato qualche inclinazione da Coroner, a furia di bazzicare per le scene del delitto di Londra; nonostante non l’avesse mai più visto scendere in obitorio, sembrava stranamente a suo agio in mezzo a tutto quel freddo.
John Watson non aveva mai parlato troppo – diciamo che chiacchierava del più e del meno quando era consono – per questo si protrasse un silenzio di quelli lievemente imbarazzati.
«Scusa se ti disturbo» continuò «Sembra che Anderson abbia fatto qualche casino e Lestrade mi ha chiamato disperato perché non ci capiva niente del referto. Così sto controllando adesso. Ti devo un favore, Molly» sputò le parole una dietro l’altra, tutte molto velocemente.
Molly alzò un sopracciglio. Credeva sinceramente che non si occupasse più di quelle cose, ma qualcosa nel tono del dottore le fece capire che si trattava di un’emergenza. Di quelle simili al “è un pasticcio così grosso che neppure quegli idioti di Scotland Yard avrebbero potuto fare” e “Non voglio essere licenziato. John, fai qualcosa”. Poteva immaginare chiaramente un dialogo con quelle frasi nella sua testa. Sorrise appena, scuotendo la testa come a voler scacciare un pensiero molesto.
«Il caffè è stato un ottimo primo passo»
John estrasse il cellulare dalla tasca e digitò un messaggio.
Uno strano senso di déjà-vu si impossessò della ragazza. Lo scacciò via così come aveva allontanato i dialoghi precedenti. Qualche volta, Molly credeva che John fosse arrabbiato con lei. Le piaceva pensarlo, così smetteva di sentirsi arrabbiata con se stessa. Invece John sorrideva e le portava il caffè e a Molly venne in mente lo sguardo di Sherlock. Si vide costretta a deglutire e schiarirsi la voce, cercando di scacciare quel fastidioso nodo alla gola.
Forse
, pensò Molly, quando si sopravviveva a così tanta merda quanta ne poteva generare una guerra, alla fine si sopravviveva un po’ a tutto. Per cui ti potevi ritrovare in un obitorio, offrendo un caffè a un medico legale e facendo osservazioni su una morte violenta come se parlassi del tempo.
«Che ne dici di una cena?» propose John, togliendosi un i guanti. Il rumore del lattice si sovrappose a un verso sorpreso di Molly. John la guardò come se si stesse chiedendo se avesse detto qualcosa di sbagliato. «Sai, sì…» il tono di John si fece un po’ incerto. Si incrinò qualcosa anche nel suo volto, ma cercò di non farlo pesare sulla ragazza «Così potrei ringraziarti e potremmo parlare un po’: tempo, cadaveri e quel genere di cose alla “come te la passi?” » alzò le spalle «E potrei raccontarti di come siano incompetenti le infermiere del primo piano e di quella volta che ho bruciato metà base»
Il viso di Molly si tese in un sorriso «Hai bruciato metà base?».
«E le provviste» alzò le sopracciglia, sorridendo a sua volta.
Sentì di nuovo il senso si colpa, prepotente, che la divorava dall’interno e la faceva sudare dietro alla nuca.
La prima volta che vide John Watson, e lo fece attraverso gli occhi di Sherlock Holmes, ebbe la stessa sensazione di disagio, come se si fosse intromessa in qualcosa di privato. Che non la riguardava, ma dentro alla quale voleva stare comunque.
Si sentì così a accettare quell’invito.
«Ora ho… beh, sì, una appendicectomia» sospirò, rimettendo il cellulare in tasca «Sembra che ora sia tutto apposto. Ci vediamo più tardi, per la cena. Finisco alle otto»
Molly annuì «Abbiamo il turno che coincide?» borbottò, aguzzando lo sguardo.
John le regalò un altro sorriso. «Appendicectomia» rispose, deviando il discorso.
«Ah, giusto. Poi mi racconterai come sei finito in chirurgia d’urgenza – e generale, a quanto sembra»
«Questo è semplice» rispose John, aprendo la porta «Mi annoiavo».

 

Crack, fanon o canon? Slash, Het, Threesome? GOD SAVE THE SHIP!
I ♥ Shipping è un'idea del « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »

   
 
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