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Autore: LunaSayan    04/07/2012    1 recensioni
Mi chiamo Emma Valenti e sono una spia. Può sembrare molto strano ma il mio distintivo dice a chiare lettere che lavoro da tre anni per i servizi segreti americani, e faccio parte di una strana sezione della C.I.A, la T.I, a Los Angeles più precisamente. T.I sarebbe l’abbreviazione di Teen Investigation, perché io ho quindici anni, come tutti i ragazzi che lavorano con me. Qualche volta per la base si vede in giro qualche bambinetto di dieci anni o al massimo qualche venticinquenne che coordina le attività. L’unico ultracinquantenne è il capo operativo, che però svolge soltanto le pratiche burocratiche e il suo principale lavoro è firmare carte e cercare di impedire che i terroristi israeliani ci ammazzino, o cose del genere. Fin da piccola, intendo fin da quando ricordo, mi sono addestrata e mi hanno trasformata in una specie di macchina da guerra in miniatura. La T.I conta circa tremila agenti in tutto il mondo, ma circa la metà è collocata negli Stati Uniti d’America, io mi sono trasferita in California da Milano, quando avevo due anni; quindi sono americana a tutti gli effetti, ho anche la cittadinanza.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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THIS IS ME

 

Mi chiamo Emma Valenti e sono una spia. Può sembrare molto strano ma il mio distintivo dice a chiare lettere che lavoro da tre anni per i servizi segreti americani, e faccio parte di una strana sezione della C.I.A, la T.I, a Los Angeles più precisamente. T.I sarebbe l’abbreviazione di Teen Investigation, perché io ho quindici anni, come tutti i ragazzi che lavorano con me.

Qualche volta per la base si vede in giro qualche bambinetto di dieci anni o al massimo qualche venticinquenne che coordina le attività. L’unico ultracinquantenne è il capo operativo, che però svolge soltanto le pratiche burocratiche e il suo principale lavoro è firmare carte e cercare di impedire che i terroristi israeliani ci ammazzino, o cose del genere.

Fin da piccola, intendo fin da quando ricordo, mi sono addestrata e mi hanno trasformata in una specie di macchina da guerra in miniatura. La T.I conta circa tremila agenti in tutto il mondo, ma circa la metà è collocata negli Stati Uniti d’America, io mi sono trasferita in California da Milano, quando avevo due anni; quindi sono americana a tutti gli effetti, ho anche la cittadinanza.


Quando mi avevano detto che mi sarei dovuta trasferire alla sezione di Miami avevo sbuffato ed ero tornata a casa a preparare le valige. I miei genitori erano contentissimi, continuavano a ripetere che la Florida è bellissima e che il mare laggiù è stupendo, e quando facevo notare che l’umidità era all’80% tutto l’anno e che era pieno di zanzare loro scuotevano la testa e ritornavano a correre freneticamente da una parte all’altra della casa controllando di non avere dimenticato niente.

Ero arrivata da due giorni quando un tizio sui vent’anni si era presentato alla porta dandomi l’indirizzo della nuova base. Ora squadravo scettica una palazzina di mattoni rossi in periferia, l’indirizzo era quello, ma sulla porta c’era scritto: Centro di ricerca scientifica. Scrollai le spalle ed aprii la porticina di vetro opaco, la prima stanza era una triste sala d’aspetto con una bacheca di sughero cosparsa di cartoncini pubblicitari.

Però c’era anche un bancone e un ragazzo annoiato che sfogliava una rivista con scarso interesse. Non sembrò accorgersi del mio ingresso, così mi schiarii la gola e inforcai gli occhiali da sole sulla testa, a mo’ di cerchietto. “Questa è la base della T.I Miami, giusto?” mi scandagliò con lo sguardo e poi si alzò in piedi.

“Dipende da chi sei.” Rispose acidamente. “Emma Valenti, sono stata appena trasferita da Los Angeles. Se vuole le consegno il distintivo.” Dissi irritata cominciando a frugare nella borsa. “Non c’è bisogno di darmi del lei, ho diciotto anni, non cinquanta. Comunque dovresti essere quella nuova.” Concluse.

Alzai gli occhi al cielo: davvero perspicace. “Infatti. Allora, devo andare nell’ufficio di un certo Smith.” Lessi la busta che mi era arrivata per posta prima di partire. “Oh, il capo Augh, esatto. Non dovresti avere difficoltà a trovarlo, è sempre in giro per i corridoi a fare la ronda. Adesso vattene e non mi scocciare.” Armeggiò con il computer e la parete dietro di lui si spalancò, mi fece cenno di passare e io mi incamminai lanciandogli un’occhiataccia: l’accoglienza che mi aveva riservato era stata davvero calorosa.

Il corridoio oltre il muro/porta era molto lungo e completamento spoglio, le pareti erano di un grigio deprimente e i neon lo rendevano ancora più noioso. Ci voleva un bel tocco di colore, a Los Angeles i colori delle pareti cambiavano di piano in piano, e poi l’illuminazione era composta da lampadari di cristallo, strano ma vero.

Alla fine c’era un bivio, nessuna indicazione. Non mi ero mai fidata del mio senso dell’orientamento, ma sentivo che la destra era la direzione giusta. Tanto ero in una specie di bunker segreto, che cosa mi sarebbe potuto succedere? Al massimo avrei vagato per un po’ nell’edificio e avrei di sicuro incontrato qualcuno, anche se sembrava tutto deserto.

La prima porta che incontrai era abbastanza semplice, sulla targhetta c’era scritto: SALA 1. Magari il capo aveva il suo ufficio nella prima stanza. Spalancai la porta e feci un passo in avanti. Non vedevo niente, era tutto buio. Per fortuna i miei altri sensi erano sviluppati, altrimenti non sarei riuscita ad abbassarmi in tempo per evitare un coltello da cucina che mi avrebbe trapassato la gola. La luce si accese di colpo e una figura in nero cadde da una trave, mentre il ragazzo rimasto per terra mi fissava come se fossi aliena. Era stato lui a tentare di uccidermi.

Socchiusi gli occhi e staccai il pugnale conficcato nel muro, poi lo feci roteare in una mano e presi bene la mira.” No! Aspetta! Non l’ho fatto apposta!” alzò le mani, spaventato. “No. Certo che no. Era diretto casualmente verso la mia gola con una precisione millimetrica.” Sbuffai sarcastica.

“Volevo soltanto colpire Charlotte.” Fece un cenno con la testa verso la figura in nero accanto a lui, che si era sfilata il passamontagna. Era una ragazza che doveva avere la mia stessa età. “Allora, mi spiace dirlo, ma hai una mira un po’ scarsa, amico.” Abbassai l’arma ma ero decisa a mantenere alta la guardia. “ Pensavo si fosse spostata li. Non c’era nessun altro nella stanza prima.” Spiegò a mo’ di scuse. “Potevi anche evitare di schiacciare l’interruttore che fa aprire le travi. Mi sono quasi rotta una spalla!” ringhiò la tipa.

“Ma non è successo, quindi non scocciare.” La rimbeccò il ragazzo biondo. “ Comunque sono Jesse Miller. Piacere.” Mi raggiunse e allungò la mano, la strinsi, circospetta. Era un bel ragazzo: capelli biondi, occhi verdi, alto e snello, ma allo stesso tempo muscoloso. “Emma Valenti. Sono nuova. “ mi presentai. Ma nel frattempo guardavo la fantomatica Charlotte.

“Odio i novellini.” Disse la suddetta facendo una smorfia. “Lei è la simpaticissima Charlotte Wilde. Scusala, è arrabbiata perché ha perso contro di me.” Ridacchiò Jesse. “Non ho perso!  Avevo la meglio, ma poi è arrivata questa… tipa!” sbottò digrignando i denti.

“Mi spiace. Dovreste mettere qualche indicazione, non sapevo proprio dove andare. E il corridoio sembra un mortorio, ci vuole più colore!” commentai incrociando le braccia al petto. “Interessante. Sei qui da cinque minuti e già non ti sopporto.” Sibilò la ragazza. “L’antipatia è reciproca.” Ribattei guardandola negli occhi. Era alta come me, pressappoco. Aveva gli occhi color azzurro ghiaccio e fluidi capelli scuri che le incorniciavano il bel volto.

“Calma, calma. Adesso vieni con noi dal capo Augh.” Si mise in mezzo il biondo, cercando di calmare gli animi. “ Nel noi ero compresa anche io?” domandò Charlotte. Jesse le lanciò uno sguardo omicida abbastanza eloquente. Lei alzò gli occhi al cielo ma ci seguì. “Da dove vieni?” domandò lui, cercando di allentare la tensione. “Los Angeles, mi hanno trasferito qui perché vogliono mettermi a capo della squadra d’infiltrazione.

Ma credo che se non avessi accettato mi avrebbero obbligata comunque a venire.” Alzai le spalle, con noncuranza. “Allora devi essere piuttosto brava. Più di Lily, a quanto pare. Augh non la sostituirebbe per una principiante.” Osservò, come se riuscissi a capire qualcosa. Innanzitutto dovevo scoprire chi fosse il tanto rinomato capo Augh. “Chi è Augh?” borbottai.

“ Il nostro capo, in realtà si chiama Smith, ma per noi è il grande capo Augh. Ma non credo sia al corrente del nomignolo che gli abbiamo affibbiato, quindi chiamalo semplicemente capo.” Spiegò con un sorriso. “E’ un idiota, ovviamente. Ma sempre meglio del branco di cretini che gira da queste parti.” Si fece sentire la gelida Charlotte, che camminava impettita e a lunghe falcate.

La guardai in modo strano, poi ci fermammo davanti a una porta con una targhetta d’ottone, recitava:” Gregory Smith, capo operativo T.I. Miami.” Memorizzai la strada. Dovevo prendere la sinistra al bivio, non la destra; poi si andava avanti per cinquanta metri e alla fine c’era la porta. “Avanti!” sbraitò una voce abbastanza isterica. “Qualcuno è di cattivo umore…” tossicchiò la ragazza curandosi di farsi sentire dall’uomo, che però fece finta di niente.

“Oh, salve ragazzi.” Mi guardò e poi fece un largo sorriso. “Sei Emma giusto? Benvenuta a Miami.” Si alzò in piedi e fece il giro della scrivania piena di scartoffie, poi mi diede un bacio appiccicoso sulla guancia. “Il primo che mi da il benvenuto non cercando di uccidermi.” Dissi a mezza voce guardando di sottecchi Jesse. “Cosa!?” esclamò Smith. “Non sono stata io!” Charlotte fece un passo indietro. “Sono stato io. Ma non l’ho fatto apposta.” Confessò il ragazzo.

“Lasciamo perdere. “sospirò il capo. “Ho qui il tuo dossier, Emma. Permettimi di leggere i tuoi dati. “ estrasse una cartelletta dal cassetto e inforcò gli occhiali. “Ti chiami Emma Valenti, sei nata a Milano nel 1997, sei alta 1.74 cm, hai iniziato l’addestramento al Pentagono, poi hai fatto due anni all’Intellitgence, in seguito tre all’Interpoll, e poi hai iniziato a lavorare per la C.I.A. Sei specializzata in infiltrazione, e hai dei master in arabo, giapponese, indiano, spagnolo e francese. “concluse congiungendo le mani, molto soddisfatto della sua presentazione.

Annuii, sorpresa. “Perfetto. Vi comunico che da oggi si formerà la nuova squadra: Wilde, Valenti, Miller e Johnson.” Si affrettò a precisare mentre cominciavamo ad avviarci verso l’uscita. Charlotte s girò come in trance. “Che cosa!?” sputò con fare omicida. “Niente obiezioni, a meno che tu non voglia finire di nuovo al campo militare.” La avvertì Augh.

“Di certo è meglio che stare qui!” ringhiò come una furia. “Charlie…” disse piano Jess. “Niente Charlie! Io lavoro da sola!” scandì bene le parole. “ Da oggi in poi avrai compagnia. Bello, no?” sdrammatizzò il capo. “Non è bello! E’ orribile!” ruggì divincolandosi dalla presa del biondo, che l’aveva afferrata per un braccio prima che potesse fare gesti avventati.

“Ti ci abituerai. Adesso devo andare in conferenza con il presidente esecutivo dell’ F.B.I in Arabia Saudita. Ci vediamo domani.” Scappammo fuori e a quel punto Charlotte sembrò calmarsi un poco, ma dallo sguardo del ragazzo intuii che quella pazza stava di sicuro progettando qualcosa. “Rilassati Charlotte. Non sarà poi così male.” La tranquillizzò. “Jess! Sono in squadra con uno stupido biondo slavato, un’insopportabile italiana e… e con Daniel.” Esitò sulle ultime parole.

“Perché devi sempre prendertela con i miei capelli?” sembrò offeso, ma poi tornò a sorridere. “Perché sei uno stupido slavato.” Borbottò lei digrignando i denti. “Ehm… gli orari degli addestramenti dove sono?” domandai incerta se intervenire.” Al piano di sopra.” Disse Jesse prima che l’altra potesse intervenire con uno dei suoi commenti sarcastici. “Se vuoi ti accompagno.” Aggiunse il ragazzo.

“E’ poco evidente che tu ci stia provando.” Sibilò Charlie sarcastica.” Si chiama gentilezza.” Ribatté lui lanciandole una strana occhiata. “Certo, sei sempre gentile con le ragazze carine.” Affermò lei scostandosi una ciocca scura dal viso. “Allora perché con te non sono gentile?” sbottò lui.

Charlotte scoppiò a ridere. “Ecco, appunto. Mi hai appena detto che sono carina. Adesso flerti con due ragazze contemporaneamente?” ridacchiò. “Sei…” “Lascia perdere. Me ne vado.” La ragazza si incamminò verso l’uscita  e poi sparì oltre al muro. “Wow… simpatica.” Commentai incrociando le braccia al petto.

“Non preoccuparti. E’ arrabbiata perché ha perso. Qui è considerata la migliore, e le dà fastidio essere sconfitta. Però se impari a conoscerla diventa simpatica.” Jess alzò le spalle e mi sorrise. “Siete molto amici.” Constatai con tono falsamente disinteressato. “Ci conosciamo dalla prima elementare. Per me è come una sorella.” Rispose.

“Ah, capisco…” borbottai. Jesse era davvero carino, tralasciando il fatto che aveva tentato di uccidermi, inoltre sembrava simpatico e gentile. “Allora, lo vogliamo fare questo giro?” domandò. Annuii, contenta di aver trovato subito un amico. 

  
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