Memento mori
Sei solo un ghigno, l'osceno mostrar di denti di un lupo.
Sei una bestia randagia e senza nome, a cui hanno pensato di poter mettere una catena.
Tra quel pugno di lenzuola sgualcite, sei il lattiginoso di un orgasmo silente e il cremisi di un morso vorace.
Dentro quella sala riunioni, un amico, un collega: il sorriso disarmante di chi beve sangue e trova in esso la sua gloria.
Sono passi di cenere e polvere quelli con cui affronti un uccellino dalla pelle bianca e il cuore nero.
Gli artigli il petto, trovandovi un vuoto annichilente e divorante, il nulla esangue dei morti.
Scarnificato, vi è solo l'ombra di un nemico passato tra quelle costole, occhi durissimi e indagatori.
Occhi che hai visto chiudersi, per sempre.
In quel guscio niveo, sono gemme d'ossidiana purissima a condannarti, mani sottili e nervose rapirti l'animo e il futuro.
È l'ululato disperato del predatore che diventa preda quello con cui tenti di sbranarlo , salvo poi scoprire che è vetro e nebbia quell'uccellino.
Ti incide la dignità e ti sfugge dalle dita.
Muori con rabbia, Light Yagami, un nucleo ribollente al posto del cuore e un sangue che pare lava.
Bruci e avvampi, baciando la Morte e rovinando tra le sue braccia.
Inghiotti e grondi le tue stesse bestemmie, perché è in quel candore accecante che muori davvero.
Sulla tua lingua, tra i tuoi denti, la lezione più amara, più crudele.
Non si possono uccidere i fantasmi.
E il tuo, di fantasma, aveva i suoi occhi.