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Autore: CYBERpunk    05/07/2012    5 recensioni
Quanto dura una promessa? Dunstan, studente modello e bravo ragazzo, non ha dubbi: le promesse durano per sempre. Ma allora perché Abel, il suo dolce migliore amico d'infanzia, non ha rispettato la sua? Perché, nonostante i due avessero giurato di scriversi delle lettere per tenersi in contatto, Abel è scomparso nel nulla? Dunstan ha bisogno di saperlo e quando torna nel paese in cui ha passato l'infanzia cerca subito di rintracciare il ragazzo. Ma sono passati sei lunghi anni e Abel non è più lo stesso. Saprà Dunstan scoprire il segreto di quel lungo silenzio durato sei anni? Tra amori scolastici, misteri da svelare, passioni travolgenti, dark ribelli e compagni di scuola fuori dall'ordinario, l'impresa non si rivelerà facile!
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Chapter 1

Photobucket

“I giuramenti sono soltanto parole, e le parole soltanto vento.”
─ Samuel Butler, Hudibras, 1663/78

PhotobucketREW (6 years ago)
«Aspetta!» urlò Abel, uscendo dal cancello del giardino e cominciando a correre in direzione dell'automobile rossa parcheggiata vicino al marciapiede. Sentì il respiro diventare sempre più corto e affannoso e le gambe dolergli un pochino, ma non gli importava. Tutto ciò che voleva era raggiungere la macchina prima che quella si accendesse e portasse via il suo migliore amico per sempre.
«Abel?» disse un bambino dai capelli scuri, affacciandosi con fare incuriosito dal finestrino.
«Dunstan!» esclamò Abel, con voce rotta dalla fatica, felice di aver raggiunto l'automobile in tempo «Non andare via!» lo pregò «Non andare via oggi!»
Dunstan abbassò lo sguardo con aria quasi colpevole, poi però i suoi occhi scuri tornarono a fissare con decisione quelli più chiari dell'amico.
«Non posso. La mamma ha preparato tutte le valigie e in casa non c'è più niente.» rispose, sporgendosi dal finestrino «Ma tanto ci rivedremo, no? La nuova casa non è tanto lontana.»
Abel scosse la testa così tante volte che i suoi capelli biondi divennero una massa arruffata e informe.
«Invece è lontanissima!» protestò, sentendo le lacrime salirgli nuovamente agli occhi, sforzandosi di non farle cadere giù «Non ci si arriva né a piedi né in bicicletta e anche in macchina ci vuole un sacco!»
Dunstan sospirò, cercando di nascondere la tristezza ma non riuscendoci molto bene.
«Se non ci ci vediamo, possiamo sempre scriverci delle lettere.» disse, con una traccia di speranza nella voce «Ce le scambiamo ogni tanto e ci teniamo in contatto finché non possiamo rivederci.»
Era una cosa che aveva già detto ad Abel, ma comunque la ripeté ancora una volta come se fosse la prima, come se potessero restare amici davvero scrivendosi delle lettere. Dunstan ci credeva. Sapeva che tutto sarebbe cambiato, ma quella era una cosa ormai necessaria ed inevitabile. L'importante era che niente svanisse del tutto.
«M-ma...» singhiozzò Abel, che intanto non era riuscito a trattenere il pianto «...io scrivo male!»
Dunstan ridacchiò, ben conscio che la scrittura dell'amico sembrava più un ghirigoro continuo che un insieme di lettere. Poi sfoderò il suo miglior sorriso e cercò di convincere Abel che sarebbe andato tutto bene, più o meno.
«Non ti preoccupare, sono abituato a decifrare la tua scrittura strana. Non sarà un problema.»
Abel tirò su col naso e si strusciò il volto coperto di lacrime con una manica della maglia.
«Va bene...» sussurrò, calmatosi appena.
«Mia mamma sta tornando da casa con le ultime valigie.» disse Dunstan, con voce piatta, prima di osservare Abel «Ti prometto che ci sentiremo! Aspetta la mie lettere, perché te ne scriverò molte!»
Abel fece segno di sì, mordendosi le labbra per non scoppiare nuovamente a piangere e tremando un po'.
«E tu aspetta le mie.» disse, rosso in viso «Te ne scriverò tante tante. Tantissime! E le tue lettere saranno un tesoro, finché non ci rivedremo. Te lo prometto.»
La madre di Dunstan troncò quel dialogo entrando in fretta in macchina ed accendendo il motore, salutando appena Abel con un leggero movimento della mano.
«Me lo prometti?!» urlò Dunstan, affacciandosi fuori dal finestrino mentre la macchina faceva retromarcia per uscire dal parcheggio ed entrare in strada. Abel scese dal marciapiede.
«Sì!» urlò, mentre la macchina partiva «Te lo prometto!»

PhotobucketPLAY (today)
Dunstan socchiuse gli occhi, lasciando filtrare un po' di luce mattutina dalle palpebre. Nella sua mente vedeva ancora e ancora quella scena come se fosse stata un film. Si ricordava il volto rosso e accaldato di Abel, i suoi capelli spettinati che si scompigliavano al vento fresco dell'estate e la sua voce alta che parlava un po' indecisa. Si ricordava il motore della macchina che si accendeva ed il proprio cuore che perdeva un battito, conscio che non avrebbe rivisto per molto tempo la sua casa ed il suo migliore amico. Dunstan si ricordava questa parte della sua vita come poche altre. Era stata la più dolorosa e straziante, la più ingiusta e quella che sempre gli tornava in mente. A scuola, a casa, a letto, in macchina. Dunstan aprì completamente gli occhi, sprofondando nel sedile e sospirando d'insoddisfazione e di stanchezza mentre sentiva la cintura di sicurezza irritargli il collo. Aveva molte foto di Abel, ma non servivano a niente, perché Dunstan se lo sarebbe ricordato comunque. Aveva passato i primi undici anni della sua vita appiccicato a quel ragazzino timido e impacciato. Aveva condiviso con lui ogni cosa, tanto che quel bambino biondo e magrolino non era stato né un fratello né un amico per lui, ma entrambi. Giusto: era stato.
«Dunstan?» domandò Anika, la madre del ragazzo, gettando un'occhiata nello specchietto retrovisore per controllare cosa stesse facendo il figlio.
«Mamma.» rispose Dunstan, semplicemente «Tutto okay. Non hai bisogno di preoccuparti.» le disse, conoscendo fin troppo bene la natura ansiosa e iperprotettiva della madre. Quest'ultima sospirò, intimandosi mentalmente di stare calma, cercando di fare una scaletta delle cose più importanti. Non riuscendosi a controllare, lasciò perdere la scaletta e chiese al figlio: «Cosa pensi di fare con Abel?»
Dunstan le lanciò un'occhiata glaciale dal finestrino, così nera e fosca che la madre si zittì di colpo e non pretese alcuna risposta. Tuttavia, insperatamente, la risposta arrivò comunque:
«Per prima cosa mi accerterò che abiti ancora nella vecchia casa.» disse Dunstan, con voce strana, quasi disinteressata «Se così non fosse, non avrei più alcun problema.» concluse. Ma il suo fare distaccato e disinteressato era soltanto una stupida maschera creata dal suo orgoglio. In realtà Dunstan sperava ardentemente di incontrare ancora una volta Abel. Voleva vederlo, voleva disperatamente vederlo. Così avrebbe potuto dirgli in faccia che lo odiava.

Dunstan prese il suo zaino e se lo mise in spalla, sentendo il peso dei libri di scuola, dei vari CD di musica classica e di qualche altro vecchio e inutile oggetto che aveva voluto tenere con sé durante il viaggio. Sceso dalla macchina, riconobbe in un solo istante l'edificio davanti a sé. Era la sua vecchia casa e, nonostante l'avesse lasciata ad appena undici anni, se la ricordava molto bene. Il giardino con un alberello dai fiori celesti, le pietre tonde e lisce che dal giardino erboso portavano all'ingresso della casa, le pareti giallognole con diversi graffi, ma non troppi... tutto era così bello e familiare. Aveva soltanto ricordi belli di quella casa. Forse era proprio per questo che tornarci dopo così tanto tempo gli faceva quello strano effetto. In quei sei anni passati erano cambiate così tante cose – e per primo era cambiato lui stesso – che non riusciva più a guardare quella casa con gli occhi di quando l'aveva lasciata.
«Dentro dovrebbero già esserci almeno i mobili essenziali, perciò io intanto entro!» urlò la madre, trascinando due o tre valigie che aveva voluto portare tutte in una volta. Dunstan fece scorrere gli occhi sulla propria casa, ma non riuscì a vincere l'istinto di voltarsi per osservare ancora più attentamente l'abitazione vicina. Quella che, almeno sei anni prima, era stata di Abel e della sua famiglia. Con un enorme sollievo che lui stesso odiò provare, vide che la casa non era né stata demolita né abbandonata in tempi recenti. Tutto sembrava essere al proprio posto e anche il giardino, discretamente curato, indicava che qualcuno abitava lì. Il problema era chi fosse questo “qualcuno”. Dunstan rimase per un attimo fermo, impalato in piedi sul vialetto della sua vecchia-nuova casa. Poi decise di colpo che voleva togliersi la soddisfazione di vedere se quel bastardo di Abel viveva ancora lì oppure no. Appoggiò lo zaino sul vialetto di casa, uscendo dal cancello e sbirciando il campanello della villetta vicina. Con suo grande fastidio notò che il nome era praticamente cancellato del tutto, tanto da diventare illeggibile. Nonostante ciò, Dunstan rimase a guardare quel quadratino di plastica incomprensibile chiedendosi cosa avrebbe fatto se Abel fosse stato ancora lì. Lo avrebbe trattato male? Lo avrebbe salutato come un amico? Sarebbe stato curioso di rivederlo? O forse, molto più semplicemente, gli avrebbe chiesto il perché del suo lungo silenzio? Gli avrebbe chiesto: “Ehi, come mai non ti sei fatto sentire per sei anni nonostante ti abbia mandato un sacco di lettere? Perché hai rotto la promessa?”. Ma sapeva che farlo sarebbe stato un gesto piuttosto infantile e sciocco. Probabilmente se Abel non gli aveva scritto significava che non gli voleva abbastanza bene o che la questione non gli importava a sufficienza. Ma a Dunstan di Abel importava. Era rimasto come uno sciocco ad aspettare per un intero anno anche una sola lettera dell'amico. E invece... niente. Nulla. Vuoto totale. Abel gli doveva almeno una spiegazione logica. Era passato tanto tempo, ma ciò non importava. Le promesse non hanno una scadenza.

Il campanello suonò con un trillo acuto. Dunstan sobbalzò, sorpreso nel sentire quel suono fastidioso nonostante fosse abbastanza lontano dalla casa. Si sentiva nervoso e non era sicuro di voler fronteggiare Abel proprio in quel momento, ma il desiderio e la curiosità di rivedere il suo vecchio migliore amico erano troppo forti. Per questo aveva suonato. Inoltre voleva togliersi da subito la tortura del non sapere se Abel viveva ancora lì oppure no. In ogni caso era convinto che, qualunque fosse stata la risposta, sarebbe stata una delusione.
Il cancello di ferro si aprì con un “clank” arrugginito e Dunstan, dopo sei anni di assenza da quel luogo a lui caro, tornò in quel giardino. Si diede un'occhiata intorno, notando che ben poco era cambiato, per poi dirigersi in fretta verso la porta principale. Quest'ultima si aprì qualche attimo dopo, mostrando un giovane dark con degli enormi occhiali da sole scuri intento a masticare rumorosamente un chewing gum rosa. Dunstan strinse i pugni, deluso al pensiero che, ovviamente, Abel non abitava più lì. Ma ormai tanto valeva chiedere.
«Mi scusi il disturbo,» cominciò Dunstan, elegante e preciso come era nel suo stile «vorrei soltanto chiederle un'informazione. Anni fa in questa casa abitavano gli Harp, per caso sono ancora qui o nelle vicinanze?»
Il ragazzo dark fece una bolla rosa con la gomma da masticare e poi la fece scoppiare con un rumore secco, cosa che diede oltremodo fastidio ai nervi di Dunstan.
«Sì, sì, abitano qui. Che vuoi?» rispose il ragazzo, il volto mezzo nascosto dagli occhiali enormi. Dunstan sollevò le sopracciglia, sorpreso e contento da quella risposta inaspettata. Nonostante tutto, rivedere ancora Abel gli avrebbe fatto molto piacere. Anche se ovviamente non l'avrebbe mai ammesso.
«Cercavo Abel. Sa se è in casa? Sono un amico.» disse, cercando di mantenersi calmo e riuscendoci, almeno apparentemente parlando, perché in realtà la sua mente stava diventando sempre più scura e vuota.
Il tipo vestito di nero esitò un attimo, poi si mostrò alquanto interdetto. Beh, probabilmente. Dunstan non poteva dirlo con certezza perché non riusciva a vederlo molto bene, a causa degli occhiali che gli coprivano quasi metà volto.
«Sono io.» disse lo sconosciuto, prima di far scoppiare un'altra bolla di chewing gum «E tu chi sei, scusa?»
Dunstan rimase per un attimo fermo, senza rispondere. Squadrò ripetute volte la figura del dark senza riuscire a riconoscervi Abel. Sì, quel tipo aveva i capelli biondi e la pelle chiara, ma... non assomigliava al suo vecchio amico. Non poteva essere lui.
«Sei Abel? Abel Harp?» chiese nuovamente Dunstan, nonostante lui stesso avesse affermato diverse volte di odiare le persone che si ripetevano in continuazione. Il ragazzo si appoggiò con noia allo stipite della porta e sembrò abbastanza scocciato.
«Sì, ma si può sapere chi sei? E poi, non ti hanno aggiornato? Adesso mi chiamo Ai.» disse, mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni scuri di jeans. Dunstan spalancò gli occhi. Come aveva fatto il suo amico Abel, timido e strano, sempre in cerca di attenzioni, dolce e gentile, a diventare una persona del genere? Dunstan non riusciva a capire. Si era immaginato diverse volte il loro incontro, dopo tutti quegli anni, ma per quanto spesso la sua fantasia gli avesse suggerito scene strane o irreali, lui non si sarebbe mai aspettato qualcosa del genere.
«Sono... sono Dunstan. Abel... sono Dunstan.» disse, semplicemente. I suoi propositi di mostrarsi arrabbiato erano svaniti in parte per la sorpresa, in parte per la felicità di rivederlo. Sì, era felice di poterlo incontrare di nuovo. Dopo quel terribile anno durante il quale non era arrivata nessuna lettera, Dunstan si era convinto che non avrebbe potuto vedere mai più Abel. Eppure, non era così. Anche se adesso tutto era cambiato... poterlo rivedere di nuovo era una buona cosa.
Il ragazzo dark rimase fermo, immobile. Soltanto dopo diversi secondi portò lentamente la mano agli occhiali e se li tirò su, scrutando con gli occhi azzurri Dunstan e spalancando appena la bocca. Quando Dunstan vide gli occhi belli e fini del ragazzo poté finalmente riconoscere in lui Abel. In un secondo, entrambi si riconobbero a vicenda e fecero un passo indietro.
«Dunstan!» esclamò Abel, sorpreso e contento, spalancando gli occhi chiari.
Dunstan non riuscì a non sorridere, e stava già pensando di abbracciare Abel come se niente fosse, perdonandogli qualsiasi cosa avesse fatto in passato, quando lo sguardo di quest'ultimo divenne arrabbiato ed il biondino si riabbassò di scatto gli occhiali.
«Dunstan, non avrei pensato di dirlo.» sussurrò Abel, incrociando le braccia «Ma visto che ne ho l'opportunità... VAI AL DIAVOLO!» urlò, e gli sbatté la porta in faccia.

Chapter 1 --- Fine


\\inizio trasmissione in corso...
salve, sono CYBERpunk. se avete letto tutto il primo capitolo, spero vi sia piaciuto. nel caso voleste recensire, sia positivamente che negativamente, oppure farmi domande o altro, sarò contentissima di leggere i vostri commenti. un saluto ;-)
\\fine trasmissione



Ogni riferimento a fatti realmente accaduti è da considerarsi puramente casuale.
Per l'immagine di inizio capitolo ringrazio fennyy (http://fennyy.deviantart.com/).
Il testo qui presente appartiene a CYBERpunk (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=208397),
è perciò vietata la sua riproduzione in qualsiasi forma. Ringrazio per l'attenzione.
  
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