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Autore: Vals Fanwriter    05/07/2012    5 recensioni
Ripensai ai milioni di battibecchi che ingaggiavamo ogni giorno e non potei evitare di rimuginare su quanto fossero inutili e superflui… o forse era quella carezza allo zigomo a distrarmi e a rendermi meno stronzo?
Per il compleanno di Lady_Thalia.
Thadastian | OS | Fluff, Sentimentale, Romantico
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jeff Sterling, Sebastian Smythe, Thad Harwood, Warblers/Usignoli | Coppie: Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Qualunque cosa succederà,

non mi perderai mai…

Buon compleanno, Robs.

 

Sunstroke

 

 

 

Se qualcuno, anche solo uno di voi, oserà chiedermi cosa ci facessi in spiaggia, a metà Maggio, sotto il sole rovente, a guardare quei dementi dei Warblers fare emerite stronzate, come giocare a mosca cieca o scavare buche nella sabbia e sotterrarsi a vicenda, beh, potrete dire addio alla vostra preziosa vita.

Sì, perché, fosse stato per me, non mi sarei scomodato a uscire dall’Accademia con asciugamani e costume da bagno, per lasciarmi rosolare dal sole; ma il fato – e quando parlo di fato intendo Jeff Sterling – ha voluto che mostrassi al mondo i miei indiscutibili addominali.

 

 

 

‹‹Vieni con noi, Sebastian?›› mi chiese quella pulce del mio compagno di stanza, quella stessa mattina, mentre me ne stavo tranquillo, per i fatti miei, a studiare in camera.

‹‹Lascialo perdere.›› rispose Sterling al posto mio, ‹‹Lui non si abbassa ai nostri livelli.››

Mi stavo appunto chiedendo perché diavolo il biondino fosse in camera mia, quando Harwood proseguì: ‹‹Ma andiamo praticamente tutti.››

Il buonismo di quel ragazzo è vomitevole a volte.

Alzai gli occhi al cielo, appoggiando stancamente le spalle allo schienale della sedia e dicendo addio alla mia meritata quiete, e prestai loro la mia attenzione, senza tuttavia proferire parola.

‹‹Sì, ma non è che Smythe se ne va tutti i giorni in palestra ad allenarsi, come facciamo noi.›› replicò Sterling, scoccandomi un’occhiata di scherno ogni tanto, ma continuando a fingere che io non ci fossi, ‹‹Deve aver paura di mostrare i rotolini di ciccia, Thad.››

Harwood abbozzò un sorriso incerto. Evidentemente la battuta di Sterling gli era parsa divertente, ma il vedermi gironzolare in camera mezzo nudo, tutte le volte che uscivo dalla doccia, lo aveva reso sicuramente testimone della mia linea perfetta.

‹‹Forse hai ragione…›› assentì Harwood a mezza voce, con le gote leggermente arrossate, simbolo evidente che stava mentendo e, intanto, prese un paio di asciugamani dall’armadio, infilandoli successivamente in un borsone.

Quella tattica, finalizzata a smuovermi dall’Accademia, era veramente infantile e prevedibile.

‹‹Sicuramente al posto della tartaruga, ha una balena.›› sghignazzò la biondina.

Infantile, prevedibile… ed efficace.

Mi alzai dalla sedia e mi avvicinai a Sterling, fronteggiandolo.

‹‹Che hai detto?›› ringhiai, gonfiando il petto, e lui fece lo stesso, sollevando il mento per guardarmi in viso.

‹‹Che hai una balena al posto della tartaruga.›› rispose, sfidandomi con lo sguardo.

Harwood lasciò cadere il borsone a terra e si avvicinò a noi. Poggiò le mani sui nostri petti, cercando di tenerci lontani l’uno dall’altro.

‹‹Vi prego, non iniziate.›› esclamò il nanerottolo con decisione, ma nessuno di noi due si prodigò a calcolarlo.

‹‹Ritira quello che hai detto, testa-bionda.››

‹‹Solo se vieni con noi in spiaggia e mi smentisci.››

La tensione era palpabile, la sfida era stata lanciata ed io, con tutto il mio stupido orgoglio, stavo per accettare. Non avevo nulla da nascondere e poi, detto francamente, in spiaggia non ci sarebbero stati solo quei deficienti dei Warblers. Sicuramente avrei accalappiato qualcuno, no?

‹‹Quando si parte?›› dichiarai, mentre il viso di Thad Harwood si illuminava e il ghigno vittorioso di Jeff Sterling si allargava a dismisura.

 

 

 

Diciamo che aggrapparmi alla prospettiva di fare conquiste in spiaggia si era rivelata un completo fallimento nell’esatto momento in cui avevo scoperto di starmi dirigendo in un lido privato, completamente a disposizione di quel figlio di papà di David Thompson. E Dio solo sa quanti modi avevo escogitato per riuscire a gettarmi dal finestrino. Tuttavia ciò avrebbe comportato escoriazioni e lividi e, di conseguenza, avevo lasciato perdere.

L’unica speranza che mi restava, per salvaguardare la mia sanità mentale, consisteva nel rimanermene sdraiato sulla mia asciugamano per tutta la giornata. Se vi state chiedendo perché, rivalutate l’opzione di passare una giornata al mare con dei tizi che hanno scommesso quattrini sulla vostra venuta.

Come dicevo, speravo di starmene per conto mio e, in un certo senso, ci stavo anche riuscendo, ma gli occhi di Harwood erano fissi su di me il settanta per cento del tempo. Puntualmente veniva sorpreso dai suoi migliori amici, parlottavano e probabilmente lo prendevano anche in giro.

Continuò così per un’oretta: io spaparanzato al sole, mezzo asfissiato, a leggere un libro e loro a fare le stupidaggini più disparate; se non che, ad un certo punto, un’ombra si avvicinò a me e fui costretto ad alzare lo sguardo, per puntarlo su un Harwood completamente bagnato.

Inizialmente non mi accorsi di starmelo praticamente mangiando con gli occhi. Diavolo, se non era un bel vedere! Le gocce d’acqua, sulla sua pelle leggermente abbronzata, luccicavano sotto il sole, i capelli gli ricadevano disordinatamente sulla fronte e il costume da bagno… beh, cazzo, magari questo me lo tengo per me.

‹‹Ti serve qualcosa, Harwood?›› domandai, concentrandomi di nuovo sul suo viso.

Mi sorrise titubante, forse imbarazzato dal mio sguardo a raggi x, e si chinò leggermente in avanti, poggiando le mani sulle sue ginocchia.

‹‹Volevamo giocare a pallavolo, ma ci manca un attaccante.›› spiegò.

Tornai a squadrare distrattamente il mio libro e borbottai: ‹‹Problemi vostri.››

‹‹Ma non ti annoi a startene fermo?›› ribatté Harwood indispettito e, dal suo tono di voce, dedussi che avesse la fronte aggrottata, ma non mi dispensai ad accertarmene.

‹‹No.›› risposi semplicemente con nonchalance, senza guardarlo.

Il nanerottolo stette in silenzio per un po’ a contemplarmi e, prima di andarsene definitivamente, mi consigliò, da brava mammina: ‹‹Potresti almeno bagnarti un po’. Ti sentirai male se rimani ancora al sole.››

Emisi un mugugno sconnesso in risposta, ma ormai aveva già raggiunto il resto del gregge.

Dio, non poteva lasciarmi in pace e basta?

Lo guardai allontanarsi di sottecchi, o meglio, guardai il suo fondoschiena allontanarsi. Ma com’è che non ero ancora riuscito a farmelo?

Non era proprio il momento giusto per pensarci, dato che il caldo mi stava già uccidendo di per sé.

Emisi uno sbadiglio, mentre Harwood scuoteva la testa, in lontananza, rivolto ai suoi amici, e poggiai la testa sull’asciugamano, osservando le due squadre mettersi in posizione. Le palpebre mi si fecero pesanti e, proprio quando Duval stava per battere, mi appisolai col libro poggiato sul petto.

 

 

 

Non so bene se furono le urla di giubilo di quel gruppo di mentecatti, il colpo al braccio da parte di un oggetto non identificato o la quantità immane di sabbia che mi si riversò sulla faccia, a svegliarmi. Fatto sta che, quando aprii gli occhi, il sole mi accecò e i granelli di sabbia mi costrinsero a sbattere più volte le ciglia. Quando mi fui svegliato completamente, scoccai uno sguardo truce al pallone che mi stava accanto. Ecco cosa mi aveva colpito!

Mi misi a sedere e mi scompigliai i capelli con una mano, per ripulirli dalla sabbia.

‹‹Smyyythe! La palla!›› urlò qualcuno, forse Wilson, mentre risuonavano distintamente le risa di Sterling e di Nixon.

‹‹Porc-›› imprecai, afferrando con una mano l’oggetto incriminato ed alzandomi in piedi. Posizionai il braccio dietro la testa per rilanciargli il pallone e mi bloccai quando mi prese un improvviso cerchio alla testa. Lasciai cadere a terra la palla e portai la mano sulla mia fronte, scoprendola impregnata di sudore. Respirai forte. La gola mi si era fatta secca e la vista mi si stava annebbiando. Pian piano le figure divennero scure e perfino le voci si tramutarono in suoni indistinti, fino a che ogni più piccola sensazione scomparve e il mio corpo si accasciò al suolo, inerte.

 

 

 

Pensavo che morire fosse più eccitante e soprattutto più avventuroso. Immaginavo tipo di morire tra le braccia di Chris Hemsworth, mentre abusava di me come solo Dio può sapere. E invece niente, era finito tutto così, con una stupida pallonata e un po’ di sole rovente, ed ora mi ritrovavo a pochi passi dalla cosiddetta “luce” con fin troppi rimpianti: annegare Sterling, sotterrare Nixon a testa in giù e, cosa più importante di tutte, almeno limonarmi Harwoodalmeno.

Che poi non capivo come fosse possibile che la “luce” fosse così fioca. Diamine, non doveva accecare come in “Ghost”? D’accordo che l’aldilà è un mistero, però…

Aspetta.

Misi a fuoco meglio e, altro che paradiso. Ero sotto un tendone e… c’era anche un angelo accanto a me, però…

‹‹Ehi, ti sei svegliato.››

I lineamenti di Harwood si fecero più nitidi e convenni che – grazie al cielo – non fossi ancora morto.

Mi passò una mano sulla fronte e la scoprii bagnata e fresca. Sentivo la testa pulsare e il corpo ancora mezzo intorpidito e accaldato.

‹‹Che cosa…?›› cercai di dire, ma la voce mi uscì roca e mi sentivo debole, quindi mi fermai.

Harwood mi scostò i capelli dalla fronte, mentre mi accarezzava la tempia dolcemente. La mia testa giaceva su un suo braccio e metà busto era appoggiato sulle sue gambe.

‹‹Ti sei sentito male in spiaggia.›› mi rispose, mentre mi inumidiva un po’ anche la guancia, ‹‹Devi aver preso un’insolazione.››

Sospirai e socchiusi gli occhi, nel sentire le sue dita sfiorarmi il viso.

‹‹Dio, che tonto…›› farfugliai, abbozzando un sorrisino e tornando a guardarlo.

Harwood fece una smorfia e rispose: ‹‹Già.›› poi immerse una mano nel secchiello pieno d’acqua che gli stava affianco, poggiato sul muretto dov’eravamo io e lui, e successivamente la posò sul mio collo, facendola scendere cautamente in direzione del petto.

‹‹Ti sei anche scottato…›› disse a mezza voce, con le gote un po’ più colorite e gli occhi concentrati sul movimento della sua mano.

In effetti, mi sentivo un po’ bruciare, ma ero indeciso su se fosse per il troppo sole che avevo preso, o per quelle carezze dannatamente piacevoli.

Continuai ad osservare la sua espressione assorta, in silenzio, fino a che a un tratto si bloccò, allontanando la mano di scatto e tornando a guardarmi allarmato.

‹‹Io… scusa, Sebastian… stavo solo…›› farfugliò arrossendo.

‹‹Puoi continuare fin quando vuoi. Non mi lamento mica.›› ghignai.

‹‹Scemo, non ti stavo… circuendo.››

‹‹Infatti, non lo stavi facendo…››

Probabilmente se non fossi stato così debole e indifeso, Harwood mi avrebbe volentieri preso a schiaffi e invece si limitò a sospirare e a tornare a bagnarmi la fronte.

‹‹Sei senza speranza.›› borbottò.

‹‹Non è che tu stia messo meglio.››

‹‹Sì, ma almeno io ho il buon senso di non lasciarmi abbrustolire dal sole.››

‹‹Ma… mi sono addormentato…››

A quel punto, assunsi un’espressione talmente dolce che avrebbe fatto intenerire anche Dart Fener in persona, infatti quando riprese a parlare, Harwood apparve decisamente più docile alle mie orecchie.

‹‹Però io ti avevo avvisato. Te l’avevo detto che ti saresti sentito male.››

‹‹Quanto sei noioso… Non puoi semplicemente continuare a fare la crocerossina? Ce l’ho già una madre, sai?›› sbuffai.

Harwood stava quasi per replicare, magari dicendomi “Riprenditi da solo!” e andandosene da lì indignato, quando una voce lo stroncò sul nascere.

‹‹Come sta il malato immaginario?››

Ci mancava anche Sterling…

Il nanerottolo si voltò e fissò il suo migliore amico, tornando ad avere un sorriso raggiante.

‹‹Meglio, visto che sta tornando a dire cose stupide.›› gli rispose.

Emisi un grugnito a quell’insinuazione e voltai il capo dal lato opposto rispetto alla testa-bionda che, dal canto suo, si limitò ad ignorarmi e a continuare a rivolgersi ad Harwood.

‹‹Io e gli altri vogliamo andarci a prendere un gelato. Vuoi venire?››

Gli occhi scuri della pulce si puntarono su di me ed io lo squadrai con la coda dei miei.

‹‹Andate voi, Jeff. Io rimango qua.››

Sterling fece una smorfia

‹‹Avanti, Smythe non muore mica se ti allontani per dieci minuti?››

E anche se morisse non ce ne fregherebbe più di tanto, ero sicuro che stesse pensando questo, quella sottospecie di killer dai capelli improponibili. Sì, perché se non mi avesse tirato quella pallonata – ed ero certo che fosse stato lui – sarei rimasto a poltrire in santa pace, come una lucertola spaparanzata al sole. Deglutii. O forse sarei morto…

Rilassai i muscoli del viso e feci sparire il broncio che avevo stampato in faccia.

‹‹Ha ragione. Vai, Harwood, me la caverò…›› cercai di ordinargli, ma il mio tono di voce invece lo pregava di restare. Avete presente quando avete la febbre e non volete che vi lascino da soli? Boh, a me capita sempre.

‹‹Non se ne parla.›› si impuntò lui, poggiandomi nuovamente la mano sull’addome e stringendomi leggermente un fianco, ‹‹E se poi ti senti di nuovo male? Davvero, Jeff, va’ tu.››

Quest’ultimo sbuffò prima di esclamare arreso: ‹‹Come preferisci. Se hai bisogno di qualcosa, ho il cellulare con me.››

Harwood lo ringraziò e, quando quella zecca fu abbastanza lontana, mi fissò con un sorriso di scherno.

‹‹Te la caverai da solo, eh?›› mi chiese.

‹‹In realtà non so come potrei fare senza le tue mani…›› sussurrai con fare provocante, al che lui arrossì di nuovo, distogliendo lo sguardo dai miei occhi e cercando di nascondere un’espressione compiaciuta, senza molto successo.

‹‹Che idiota…›› borbottò.

‹‹La vita di quest’idiota ti importa però.››

Tornò a guardarmi e sembrò infastidito dalla mia noncuranza.

‹‹Ridi pure, ma io mi sono veramente preoccup-›› si bloccò, ‹‹Voglio dire…››

‹‹Sì…?›› lo incitai a continuare con un sorriso apparentemente innocente.

Esitò un attimo, poi sospirò e ammise: ‹‹Mi sono spaventato, va bene?››

‹‹Non l’avevo capito, guarda.›› lo canzonai io, ma dentro di me ero felice che quel nanerottolo l’avesse detto, che avesse ammesso che qualcosa contavo per lui, anche se questo voleva dire soltanto non perdere il tipo che rende insopportabili le tue giornate, ma senza il quale queste ultime sarebbero fin troppo monotone. Ripensai ai milioni di battibecchi che ingaggiavamo ogni giorno e non potei evitare di rimuginare su quanto fossero inutili e superflui… o forse era quella carezza allo zigomo a distrarmi e a rendermi meno stronzo? Magari faceva parte delle mille tecniche di Harwood per mettere k.o. il sottoscritto, nelle quali rientrava anche il camminare sinuosamente per evidenziare il proprio fondoschiena, perché era ovvio che fosse al corrente delle sue qualità e che le usasse a mio discapito.

‹‹Ti ho visto cadere a terra.›› disse a un certo punto, interrompendo le mie fantasie sulle sue grazie.

Non mi guardava negli occhi, era fermo ad osservare qualcos’altro, forse le mie labbra o forse il punto in cui mi stava rinfrescando con le dita bagnate. Non me ne curai più di tanto. Ero intento a memorizzare il modo in cui le sue ciglia lunghe e scure sbattevano di tanto in tanto.

‹‹Gli altri pensavano che fosse uno scherzo, ma io mi sono avvicinato subito e mi sono accorto che non stavi bene.›› continuò, ‹‹Nick mi ha aiutato a portarti all’ombra.››

‹‹Che anima pia…›› dissi con un filo di voce, come in trance.

Cosa non era capace di farmi quel piccolo bastardo…

Mentre le sue dita si spostavano e affondavano tra i miei capelli, carezzandoli lentamente, chiusi gli occhi. Il vento caldo mi soffiava sul viso e mi aiutava a rallentare il respiro. Ad ogni tocco ed ad ogni movimento della sua mano, una strana morsa mi stringeva lo stomaco e i battiti del mio cuore aumentavano. Se non fossi stato così poco cosciente e debole, avrei detto che quella situazione di impotenza mi stesse eccitando e invece, per la prima volta da quando dividevo la stessa stanza con Harwood, l’unica cosa di cui avevo voglia era rimanere così… a farmi coccolare deliberatamente da lui.

‹‹Sei ancora caldo…›› bisbigliò, quando il suo palmo si fermò sulla mia fronte.

Ghignai continuando a tenere gli occhi chiusi.

‹‹Non è per quello che pensi tu, Harwood.››

‹‹Per quello che...?››

Sollevai le palpebre, per niente intenzionato a perdermi la sua reazione. Mi guardava truce, con le gote arrossate e la mano ferma sulla mia tempia.

‹‹Dio, ti odio...›› mugugnò.

‹‹Potevi lasciarmi là per terra allora.››

Non gli stavo rinfacciando nulla, lo stavo semplicemente prendendo in giro come mio solito, ma sembrò prendere sul serio le mie parole, dato che reagì in maniera inaspettata.

‹‹Sei un idiota!›› mi urlò con la voce tremante, quasi stesse per piangere, ‹‹Tu non mi hai visto! Non sai quanto ero preoccupato! Continuavo a chiamarti e a scuoterti ma tu non rispondevi! E tu mi dici... mi dici che potevo lasciarti lì?!››

‹‹Beh, non mi sopporti…›› risposi cauto. Il non avere la forza di alzarmi e scappare dalla sua furia mi costrinse a procedere con i piedi di piombo.

‹‹Cosa c’entra questo?!›› strillò ancora, avvicinandosi minacciosamente al mio viso, poi si calmò e proseguì, abbassando il tono di voce, ‹‹Io non ti vorrei mai morto…››

Boccheggiai un paio di volte, poi dissi: ‹‹Harwood, ma io non sono morto…››

Si inumidì le labbra e respirò a fondo un paio di volte, prima di mormorare un paio di parole sconnesse che non compresi a pieno; dopo di che si morse un labbro, mi sollevò il capo con il braccio e mi strinse forte a sé. E se prima ero accaldato per quel colpo di sole, adesso ero letteralmente in fiamme. Avere il suo petto nudo a contatto col mio e le sue labbra che mi sfioravano casualmente la mascella era qualcosa di... di assurdo. Non ricambiai l’abbraccio, sentivo ancora il corpo pigro e fiacco. Mi limitai a fare mio il suo profumo che sapeva così tanto di mare e a sentirlo bisbigliare debolmente al mio orecchio.

‹‹Non dirlo più.››

‹‹Cosa?››

‹‹Che non mi importa niente di te…››

Sospirai. Quella manciata di sussurri non mi stavano giovando per nulla. Mi sentivo mancare l’aria.

‹‹Non l’ho mai detto…›› risposi a fatica.

Si allontanò giusto un poco, per potermi guardare in viso. La mano destra mi accarezzò la mascella e le sue palpebre si abbassarono leggermente, mentre il suo respiro si faceva più veloce, oltre le labbra dischiuse. Si avvicinò di nuovo ed inclinò la testa. Il mio cervello era andato in corto circuito nel momento in cui avevo avvertito il fiato caldo di Harwood a contatto con la mia pelle.

Era dannatamente irrazionale. Mille volte avevo immaginato quel momento e diciamo che nella maggior parte dei casi ero io a baciare lui e non il contrario, senza contare che non c’era nulla di così stucchevole e dolce nelle mie fantasie. Era tutto un mangiarsi a vicenda, i nostri corpi, beh, quelli erano sempre troppo vicini e le nostre mani di certo non si giravano i pollici, però…

Dio, quando le nostre bocche si congiunsero, pensai che quello fosse il miglior bacio che avessi mai ricevuto. Ero immobile e le labbra di Harwood erano così delicate e belle nei loro movimenti… ed erano così morbide… e sapevano di sale e…

‹‹Non fa un po’ caldo sotto questo tendone, ragazzi?››

Harwood lasciò andare la presa, sobbalzando, e sollevò la testa in direzione della voce che – porco diavolo – aveva interrotto quel momento paradisiaco…

L’intera compagnia dei Warblers ci fissava divertita.

‹‹Non… non eravate andati a comprarvi un gelato?›› balbettò Harwood, arrossendo vistosamente.

Vidi Wilson scuotere la testa.

‹‹Non ci andava di perderci lo spettacolo.›› disse.

‹‹Abbiamo mandato Jeff in avanscoperta e ci siamo nascosti.›› aggiunse Thompson, mentre la testa-bionda, dietro di lui, gonfiava il petto.

‹‹Ne è valsa la pena, no?›› esclamò Sterling.

Al suo fianco, Duval si portò una mano sugli occhi.

‹‹Scusa, Thad, non sono riuscito a fermarli.››

Harwood strinse le labbra indignato. Sembrava sul punto di ucciderli con un solo sguardo, anzi, se non ci fossi stato io ad impedirgli di alzarsi, non si sarebbe fatto tanti problemi a saltargli al collo e a sporcarsi le mani. Ed io non ero da meno… Certo, ero ancora stordito da quel bacio inaspettato, ma una piccola parte del mio cervello imprecava già.

‹‹Siete veramente… degli stronzi!›› sbottò Harwood in risposta e uno sciame di risate si sollevò da quel gruppetto di deficienti.

 

 

 

Qualche ora dopo giungemmo alla Dalton. Duval mi accompagnò in camera, aiutandomi a fare un passo dopo l’altro, dato che Harwood da solo non ce la faceva a reggermi, e Sterling ci seguì giusto per fare qualche commento sporadico su quanto fossi floscio in quel momento. E fidatevi, cogliere doppi sensi nelle sue di battute, invece che nelle mie, era segno che non ero proprio nel pieno delle mie facoltà fisiche e mentali. Riuscii soltanto a maledirlo sommessamente, prima che se ne andasse con la sua mogliettina, lasciandomi da solo… insieme ad Harwood.

‹‹Riguardo al bacio…›› mugugnai, mentre lui mi sistemava le coperte con estrema cura.

Le sue mani strinsero saldamente il lenzuolo e lui deglutì, imbarazzandosi notevolmente.

‹‹S- sì?››

Puntò gli occhi nei miei ed io gli rivolsi uno dei miei soliti sorrisi strafottenti che però, a differenza degli altri, stavolta aveva qualcosa di dolce, nascosto da qualche parte. Mi sollevai leggermente sui gomiti e mi feci più vicino al suo viso.

‹‹Credo che tu mi abbia reso dipendente dalle tue labbra…›› gli sussurrai, accostandomi maggiormente a lui, che adesso mi fissava incantato.

‹‹Sebastian…››

 

 

 

Quella sera riconsiderai seriamente l’idea di partecipare alle eventuali gite future organizzate dai Warblers. Insomma, se ogni volta potevo avere tutti quei baci – quei baci così diversi dai miei standard e così belli – allora tanto valeva mettersi il cuore in pace e partire.

Dal canto suo, Harwood parve prendere possesso di quella nuova tecnica di convincimento molto in fretta. Non sarebbero più servite Sterling e le sue insinuazioni da quattro soldi, a farmi fare i bagagli per una giornata al mare o in qualunque altro luogo. Bastava Harwood, il suo sorrisino pudico e innocente, il labbro inferiore stretto tra i denti e…

‹‹Allora vieni?››

Si avvicinava, fingeva di baciarmi, il bastardo, e si distanziava subito.

‹‹Vieni?››

Un ghigno mi spuntava sul viso.

‹‹Vengo.››

E gli poggiavo le mani sui fianchi, attirandolo a me e azzerando definitivamente la distanza tra le nostre labbra.

 

Fine.

 

~

 

Note finali

Sì, Robs, un’altra Thadastian per te. E no, non mi sono risparmiata i miei scleri da “Dio, questa fanfiction fa schifo” nemmeno questa volta. Per le rassicurazioni devo ringraziare Sere del comitato “trolliamo Robs prima del suo compleanno”. Abbiamo fatto un lavoro fantastico, ragazze! Sì, anche tu, Silvia! Aspetto di vedere online anche la tua, per finirla di leggere. E sto facendo spam, lo so, ma dovete spulciarle. *annuisce* Insomma, io mi sono divertita un sacco a sclerare con loro per questa missione segreta e, boh… Robs, tu le meriti delle amiche così, punto.

Quindi buon compleanno, vecchiarella mia. Un grosso abbraccio.

Vals

 

 

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