Colori
vividi e sussurri
It’s
the
best thing that you ever had,
The best thing you have
had has gone away.
Dominic
stava male, interiormente e psicologicamente, seduto su quel
divanetto di pelle nera, la musica a rimbombargli nel cervello, nelle
arterie e
nelle vene insieme ai litri di alcool ingurgitati come fossero semplice
acqua
fresca.
Il dolore poteva diventare sempre più pungente di
quello, così chiuse gli occhi e cercò di pensare
alla cosa più bella che gli
fosse mai capitata. E tra tutte le cose, tra tutti i sogni realizzati,
gli
occhi incontrati, i corpi abbracciati e le labbra sfiorate, gli apparve
Matt,
tanto vero e perfetto che gli venne quasi voglia di alzare una mano per
toccarlo di fronte a sé. Immaginare Matthew,
però, era tanto facile quanto
doloroso, essendo lui il motivo di tutto quel malessere.
Era stato di sicuro la cosa più bella che gli fosse
mai capitata, la migliore in assoluto, ma era anche quella che gli era
sfuggita,
così, da un momento all’altro, era quella che
desiderava con tutto sé stesso,
ma che non poteva avere.
Ma alla fine è sempre così, ciò che si
desidera con tutto il cuore è ciò che di
più inarrivabile possa esistere.
Mandò giù un groppo di quelle che sembravano
essere lacrime pronte ad uscire e,
dopo essere barcollato malamente fuori da quel locale, si accese una
sigaretta.
Il fumo, in quell’ultimo periodo, sembrava essere diventato
la sua unica ragione
di vita, un qualcosa a cui attaccarsi per non cadere giù.
Don’t leave me high, don’t leave me
dry.
«Mi stai innervosendo, smettila.»
brontolò Chris, seduto affianco a Dom nei
posti dietro, sulla macchina che avrebbe dovuto accompagnarli
all’hotel.
«Di fare che?» rispose il biondo, continuando
imperterrito a tamburellare sul vetro del finestrino, alternando in
sequenza
ritmica mignolo, anulare, medio, medio, indice, indice, medio, medio,
anulare,
mignolo.
Il bassista, dopo aver emesso un ringhio di rabbia, si
allungò e lo fermò lui
stesso.
«Di fare questo.» disse. «Di fare
l’isterico. Stai
fermo, cazzo.»
Dom incrociò le braccia al petto, mettendo il
muso. «Non mi fate più fumare, ho il nervoso
addosso e non so come scaricarlo.»
«Ultimamente sei sempre nervoso.»
constatò Chris.
«Appunto. Quindi datemi le mie dannate sigarette e
vedrete che mi calmo.»
Una risatina si fece strada dai posti anteriori.
Matt estrasse dalla tasca del giubbotto il pacchetto di Marlboro del
batterista
e lo lanciò all’indietro. «Tieni,
drogati.» disse, divertito.
Il biondo sbuffò indispettito, ma, finalmente,
dopo giorni di agonia, si accese la sua prima sigaretta, trattenne il
fumo
all’interno della gola per un attimo – per
assaporarlo – e poi lo buttò fuori.
Chris subito si lamentò, iniziando a tossicchiare in modo
spasmodico.
«Io ho smesso e dovresti farlo anche tu. E se per
piacere mi facessi il favore di aprire quel cazzo di finestrino e
buttarlo
fuori, il fumo, invece che in faccia a me, lo gradirei…
Ecco.» Sibilò il
bassista.
Dom sospirò – sopportare il suo amico e collega,
quel giorno, gli veniva quasi impossibile - e abbassò il
finestrino: una folata
di vento lo colpì in pieno viso come un schiaffo.
Adorava la sensazione del vento contro il corpo,
gli dava l’impressione di essere libero, di non dover essere
legato a nulla, a nessuno.
Appena finita la sigaretta e buttato il mozzicone,
tornò a guardare davanti a sé. La nuca di Matt si
intravedeva dal sedile, i
capelli neri e scompigliati – quei capelli che gli piaceva
tanto stringere,
annusare e accarezzare, ma soprattutto stringere tra le dita, quando si
coccolavano, quando si baciavano, quando facevano l’amore -,
il collo lungo e
bianco. Strinse forte i pugni, ma poi distolse lo sguardo e
abbandonò la testa
all’indietro, per far credere che da lì a poco si
sarebbe addormentato, intanto
che i due amici avevano iniziato una conversazione piuttosto animata su
chissà
quale argomento: non aveva voglia di parlare, preferiva farsi gli
affari suoi;
in fondo, lui aveva sempre odiato il caos; ma da quando conosceva Matt,
quel
piccolo idiota con manie di protagonismo, la sua mente e la sua vita
erano il
caos totale, un dolore continuo, i colori più brillanti e
poi il buio, il
silenzio e poi le urla. Forse lui che gli gridava di smetterla di
mentire, di fingere
che ogni cosa andasse bene, che non era giusto che Kate vivesse
all’oscuro di
tutto, all’oscuro del loro amore. Poi i sussurri, di quando,
dopo aver passato
la notte insieme, si dicevano d’amarsi, tra un bacio e una
carezza, tra le
lenzuola che sapevano di sesso e di loro. Tra quei pensieri, di sicuro,
avrebbe
trovato anche la prima volta che aveva osato posare le labbra sulle
sue, quel
loro primo bacio, così strano e così vero. Lui,
cazzo, era arrivato prima di Kate,
era arrivato prima di tutti e di tutto, lui era stato tutto e non si
meritava
di venir messo da parte, di essere stato messo da parte.
Presto, giusto un attimo prima di essere
inghiottito in buco nero di pensieri autodistruttivi, sentì
la macchina
arrestarsi e Chris ululargli nell’orecchio: «Siamo
arrivati, bella addormentata
mestruata.»
Dom aprì gli occhi quando ormai gli altri erano
già scesi e, piano, lo fece anche a lui. Chiuse la portiera
e trovò l’autista
che gli porgeva il suo trolley. Lo afferrò,
ringraziò e gli lasciò anche
qualche sterlina di mancia.
Sicuramente Chris e Matt erano già nelle loro
camere, così si prese un attimo per fumarsi
un’altra sigaretta. Londra, cara
vecchia Londra, si ritrovò
a pensare, guardandosi in giro.
Una volta finito salì in camera, ma proprio davanti alla sua
porta vide il moro
che lo attendeva.
«Ehi.» Fece quello, accennando un sorriso.
Non se l’aspettava di trovarlo lì, e tutto quello
che fece fu alzare una mano
in cenno di saluto, mentre inseriva la tesserina per aprire la porta.
«Che dici, mi fai entrare?» Chiese Matt, mostrando
ancora il suo dente storto.
Il batterista diede un’alzata di spalle e gli fece
segno di seguirlo. Una volta dentro e chiusa la porta,
sistemò il trolley e si
mise comodo: via la giacca, via le scarpe e gli skinny.
«Tutto bene?» Domandò Matthew, intanto
che Dom si
infilava un paio di pantaloncini corti – sopra teneva ancora
la camicia.
«Sì e tu? Sei contento di essere
tornato?» Evitò
di aggiungere “da Kate”, lo diceva già
con lo sguardo e con il tono di voce.
Matt fece spallucce, non dandogli così troppa
soddisfazione.
«Per qualche giorno sarà ancora a Los Angeles da
Goldie.» Rispose il moro. «Tu non avrai molto da
fare, vero?» Aggiunse.
«Immagino di no.» Disse Dom, sedendosi sul bordo
del letto.
«Capisco.» Matt non stava dicendo tutto quello per
cui era voluto venire nella sua camera, glielo si leggeva negli occhi.
«Si può sapere cosa diavolo vuoi, Matt?»
Sbottò
innervosito il biondo, d’un tratto.
Il cantante si avvicinò leggermente a lui.«Voglio
stare
con te per un po’, per una notte, forse due. Come una
volta.» Ammise, sentendo
una stretta allo stomaco, la stessa che sentì Dominic.
Il batterista vacillò. Erano mesi che non gli
chiedeva una cosa del genere, mesi che lui viveva come se non fosse mai
successo nulla, e proprio adesso che sembrava star imparando ad
accettare
quella situazione, veniva a chiedergli di passare una notte tra le sue
braccia.
Non sapeva cosa pensare, se esserne felice o se essere semplicemente
incazzato
nero.
Tutto quello che gli mancava per essere completo era lì,
davanti a lui, che gli
chiedeva di poter essere suo.
Decise di mettere le mani avanti.
«E Kate?» Domandò.
«Le ho parlato l’altra sera, per telefono, siamo
un po’ in crisi.» Chiarì il moro,
sostenendo lo sguardo indagatore di Dom.
«E cosa vuoi da me?»
«Voglio te. Voglio sapere se sei disposto a
passare sopra a tutto quello che ti ho fatto, a quello che hai
sofferto, se sei
disposto a perdonarmi, voglio sapere ne vale davvero la pena di
rinunciare a
tutto per te.»
«Sì.» Sussurrò Dominic.
Sì, era disposto a perdonarlo, a farsi leccare via
le ferite, e sì, ne valeva la pena. Per riaverlo con
sé e per sé era disposto a
tutto, anche a soffrire di nuovo.
Matt sorrise. «Come fai?»
«A fare cosa?»
«A dire di sì.»
«Semplicemente perché sei l’unico che
dopo avermi
mandato a fondo può farmi riemergere e riprendere a
camminare. Ho aspettato
mesi, come potrei dire di no? Tu sei dentro di me, Matt.»
Mormorò Dominic,
tendendo una mano verso quella del moro, che ci si aggrappò
tirandolo verso di
sé per stringerlo in un abbraccio disperato, un abbraccio
che era mancato ad
entrambi.
Era tornato.
Erano tornati, i colori vividi e i sussurri.
Dopo mesi e mesi ho finalmente ripubblicato una piccola BellDom.
A qualcuno farà piacere, spero, ad altri magari no.
Comunque, tutta questa cosetta qui è ambientata prima della nascita di quel cicciotto di Bing e finisce bene, perlomeno sembra, ma è un finale un po' aperto, si sa che Matt tornerà da Kate.
Bon, vi ho rubato abbastanza tempo, se vi va di lasciarvene rubare ancora un po' ditemi cosa ne pensate, fa sempre piacere, che siano critiche o meno.
Grazie di aver letto, baci e abbracci.