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Autore: Mire    05/07/2012    14 recensioni
Dopo la morte è troppo tardi per pentirsi di ciò che si è fatto in vita. Dopo la sconfitta di Kid Bu, per Bulma la vita è cambiata, convinta che l'unica persona che le è rimasta sia suo figlio Trunks.
L' eternità è davvero lunga, ma l' idea di passarla sola è spaventosa. Nel dolore della morte, nella confusione della sofferenza, è difficile trovare quel po' di serenità necessaria per pensare lucidamente.
Bulma non riesce a dimenticare ciò che ha fatto Vegeta.
Perdonare è difficile, fa male e non tutti sono in grado di farlo. Però, ci si può provare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goku, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Heaven and Hell: Bulma and Vegeta
 

Yamcha mi implorava di calmarmi ma le sue parole a stento raggiungevano le mie orecchie.                                       
No... no... mi ripetevo tremante ed incredula, mentre le mani di colui che era un tempo stato il mio ragazzo, cercavano di trattenermi dal dimenarmi come una cerbiatta in trappola. Sentivo crescere dentro il petto una disperazione prepotente, soffocante, che rigandomi le guance in un pianto incontrollato, assumeva sempre più i contorni di un irrazionale desiderio di morte. Sapevo bene che solo in quel modo avrei potuto rivedere Vegeta. Sapevo bene di averlo perso per sempre.

Ma quando quel pensiero insensato mi aveva attraversato la testa, automaticamente un altro, più violento, si era fatto spazio con irruenza tra quel groviglio che era diventata la mia mente. Non potevo fare dell’egoismo la matrice delle mie azioni, non potevo e non volevo abbandonare Trunks, che era la mia vita.
Stringerlo tra le mie braccia era tutto ciò che più ardentemente desideravo. Il fatto, poi, che Babidy e Majin Bu stessero cercando lui, Goten e Junior, mi fece desiderare ancora di più di proteggerlo e avvolgerlo in un abbraccio infinito visto che Trunks era ancora, in fin dei conti, solo un bambino.
 
-E’ stato Majin Bu ad ucciderli-. Non avevo compreso immediatamente le parole di Goku ma il suo sguardo, il panico negli occhi di Crilin, e l’espressione assente rivolta al cielo di Junior, avevano fatto sì che uno strano ed inspiegabile sospetto si convertisse in un’orribile realtà. Avevo sentito i miei occhi riempirsi di lacrime mentre con lo sguardo rivolto verso il basso cercavo inutilmente di trattenerle, poi le mie gambe avevano ceduto e mi ero ritrovata a terra, in ginocchio. ChiChi era svenuta per la morte di Gohan, suo padre la aveva sostenuta prima che Goku si chinasse su di lei per prenderla fra le braccia. Videl piangeva affranta. A quel punto mi ero sentita soffocare e avevo urlato di nuovo per buttare fuori la paura, l’incredulità, il dolore e la rabbia, afferrando un po’ d’ aria e buttandola a forza nei polmoni.

Avevo buttavo via ogni briciola di autocontrollo, troppo persa nella sofferenza sconfinata che mi aveva risucchiata.
 
Quando smisi di dimenarmi mi accasciai a terra con il petto tremante per i singhiozzi, chiusi gli occhi e cercai di ricordare mio marito. La mia mente venne assalita dai ricordi della nostra vita insieme, tra liti, sofferenze, provocazioni, sguardi e silenzi che avevano significato più di mille parole, che ora mi pungevano l’animo e gli occhi.
Piangevo senza ritegno, costringendomi a cercare dentro me stessa il coraggio per dire a Trunks che suo padre era morto, soffrendo ancora di più per il dolore che sapevo quella notizia avrebbe fatto nascere in lui.

Sentivo la lucidità abbandonarsi sempre più alla stretta del dolore.
Quando Vegeta aveva puntato il proprio palmo aperto verso gli spalti gremiti di spettatori al torneo, il fascio di energia che ne era scaturito aveva fatto strage seminando morte e aprendosi un varco di distruzione che aveva trapassato le mura dello stadio ed era giunto fino in citta, dilaniandola. Lasciando solo la polvere delle macerie a fluttuare nell’aria.
Comprendere quel gesto così illogico, mi riusciva ancora più difficile ora che un’ulteriore parte del mio cuore si era frantumata e temevo la possibilità che la mia razionalità potesse perdersi, forse irrecuperabilmente.

La mano di Yamcha mi accarezzò la schiena e i miei singhiozzi si trasformarono lentamente in profondi sussulti, provenienti dai luoghi più profondi e sofferenti della mia anima spezzata. Quando finalmente dopo interminabili istanti riuscii a riacquistare un po’ di fragile e precario autocontrollo, Yamcha mi aiutò ad alzarmi e mi accompagnò dentro al palazzo, pensando giustamente che volessi restare sola. Lui tornò da Dende e gli altri, che avevano assistito alla scena in completo silenzio, forse per rispetto, forse perché assorti nei propri pensieri mentre cercavano di convincersi che Vegeta e Gohan erano morti.

Andai a nascondermi accanto al trono del Supremo e piansi ancora, senza sapere come trattenermi.
Stinsi le ginocchia al petto nascondendoci il viso come una bambina spaventata. Perché era così che mi sentivo in quel momento: spaventata, intimorita dal pensiero di una vita senza l’orgoglioso, irascibile e solitario Saiyan che un giorno di molti anni prima avevo accolto in casa mia e che era dapprima stato un segreto amante, e poi un compagno accettato da tutti nonostante i modi bruschi, spesso gelidi.

Sciolsi il fazzoletto giallo che avevo annodato attorno al collo, per respirare cercando inutilmente di ridurre quel peso opprimente ed inesistente che mi toglieva il respiro. Sentivo gli occhi bruciare per le lacrime che implacabili mi erano scese sul viso, segnandolo invisibilmente. La testa mi scoppiava per il turbolento susseguirsi di terribili avvenimenti che avevano preso una piega tragica e, allora mi pareva, irrisolvibile.
 
L’ultima volta che avevamo litigato sarebbe stata l’ ultima… l’ ultima volta che avevo scorto nei suoi occhi la scintilla del desiderio, maldestramente nascosta dietro l’orgoglio, sarebbe stata l’ ultima, mentre la mia pelle si scioglieva a contatto con la sua, le sue mani mi stringevano a sé come timorose che potessi sfuggirgli  e le sue labbra assaporavano le mie in un rabbioso, bramato, illogico bacio.
Non vi era mai stato niente di logico nel nostro amore, perché si sfamava di una legge segreta a cui anche la ragione si sottometteva, dimenticando ciò che di più razionale poteva generare, buttando via formule, regole logiche o calcoli.                                                       

Pensai al mio adorato Trunks, che ancora dormiva, ignaro di tutto ciò che era accaduto, che quel mostro rosa gli aveva portato via il padre e strappato un amico. Il pensiero di non potergli impedire di soffrire per quella terribile realtà mi riempì il cuore di un irrimediabile sconforto.
 

-Bulma? ... Bulma?- sentii una voce conosciuta, mi parve di percepire una mano appoggiata sulla spalla e questo mi spinse a riaprire gli occhi sbattendoli un paio di volte. Li strofinai velocemente passandoci sopra una mano. -Goku…- dissi scorgendolo nonostante mi sentissi un po’ confusa.

-Ti sei addormentata- mi fece notare con un lieve sorriso.
Mi tirai su a sedere contro la parete. Goku si sistemò accanto a me e appoggiai la testa al suo braccio forte e muscoloso. -Come ti senti?- mi chiese con tono greve e sincero.

-Non lo so… sto cercando di capirlo- dissi, involontariamente inespressiva. Lui mi guardò, stranito.

-Come farai a guardare tuo figlio negli occhi mente gli dici che suo fratello, il suo adorato fratello, non c’è più? Come farai a sostenere il suo sguardo mentre i suo occhi si riempiono di lacrime? ... mentre sai di non poter fare nulla per impedirgli di soffrire?- dissi con una profonda nota di amarezza.

Non rispose. Alzai lo sguardo verso di lui e lo vidi appoggiare il capo alla parete. Sospirò e in quel sospirò trovai la sofferenza profonda che silenziosamente si portava dentro. Per la prima volta da quando lo conoscevo, colsi negli occhi di Goku la stanchezza, la difficoltà nel mostrarsi forte.

Si stropicciò gli occhi con il pollice e l’indice. Il suo sguardo si posò sulla porta al di là di cui ChiChi stava riposando in un letto, qualche metro difronte a noi. Scorsi nei suoi occhi lo sguardo di un marito preoccupato e di un padre sconfitto. Mi fece male vederlo così. Consapevole dell’immane sforzo che stava facendo per non cedere al dolore che stava provando e che faceva di tutto per avanzare, gli accarezzai il braccio.

-Mi dispiace tanto, Goku- dissi sinceramente, dal profondo del cuore.

-Anche a me, Bulma... mi dispiace immensamente-. Non capii bene se si dispiacesse per la morte di Vegeta o se per qualche altra cosa che comunque lo riguardava, ma inquisire su quella risposta mi sembrò oltremodo inopportuno e soprattutto, in quel momento, inutile. Ci fu un momento di silenzio, pregno di significato. Cercavo ancora di capire come fossimo arrivati a quel punto, cercavo ancora di capire cosa dentro Vegeta avesse fatto in modo che la vita che avevamo costruito insieme e che lui aveva accettato nel momento in cui aveva acconsentito a crescere Trunks insieme a me sulla Terra, non fosse più improvvisamente accettabile per lui. Più mi sforzavo e meno capivo.

-Popo dice che tra poco più di mezzora i bambini dovrebbero svegliarsi- disse improvvisamente Goku. Tornai a guardarlo e trovai un’espressione appena più serena di quella che gli aveva coperto il viso qualche silenzioso istante prima.

-Bene- risposi sollevata.

-Lo so cosa ti stai chiedendo, Bulma... perché Vegeta ha agito così- abbassò lo sguardo su di me, per guardarmi in viso.

-Per quanto ci pensi sforzandomi di capire, non riesco a trovare una spiegazione accettabile- proferii quelle parole con una strana, insolita calma, seppur la tristezza mi avesse formato in gola un grumo di saliva. -Forse... forse per se stesso?- azzardai quasi timidamente.

-Non solo per se stesso...- sospirò nuovamente, ma diversamente da come aveva fatto prima: questa volta colsi il dispiacere legato alla perdita di colui che nonostante tutto Goku aveva sempre considerato un amico, persino un fratello. Sapevo bene dentro di me che in fin dei conti anche per Vegeta, Goku era stato un amico... solamente lui non aveva mai conosciuto quel sentimento, l’amicizia, tanto diffuso tra i terrestri e cercando di dare un nome al rapporto tra lui e Goku, era finito per considerarlo come nient’altro che un rivale oltre che un esponente della propria razza, appartenente ad un ceto sociale più basso.

-Per causa mia- proferì lui, con estrema serietà. In poche occasioni avevo sentito la voce di Goku essere modulata in quel modo, attraverso un tono tanto grave ed ogni volta la situazione era precipitata.

-Ti prego, non dire così, Goku... la colpa è mia, non tua: se io avessi davvero compreso Vegeta, forse tutto questo non sarebbe accaduto, se non mi fossi illusa che amandolo con tutta me stessa avrei potuto salvarlo da sé stesso...- affermai stringendo i pugni. D’improvviso mi sentii travolta da un’ondata di sconforto, che misto a quella strana sensazione di colpa si tramutò in rimorso.

-Non lo avevo mai visto così, nemmeno al nostro primo incontro, non avevo mai visto tanta rabbia, io... io non pensavo che per lui una battaglia messa da parte per tutti questi anni fosse ancora tanto importante per lui, persino io avevo finito per dimenticarmene!- disse stringendo un pungo. Goku aveva ragione: anche a me durante quegli anni era sembrato che quel desiderio si fosse scolorito, che avesse perso importanza. Ma qualcosa evidentemente era rimasto sotto la polvere. I rimasugli di un’esistenza avvelenata dalla guerra e da un imperituro, ossessivo bisogno di competizione lasciato ad alimentarsi in segreto e a bruciare come una fiamma silenziosa, a consumargli le carni. Per anni avevo curato le ferite del suo corpo con amore e dedizione, in silenzio, ma forse avevo a malapena lenito quelle della sua anima tormentata.

-Ci siamo illusi entrambi, per tutti questi anni...- dissi stringendo appena gli occhi, per contrastare il bruciore -dopo la tua morte, Vegeta aveva deciso di non combattere mai più, ma probabilmente vedendo crescere Trunks ha cambiato idea. Ero contenta che avesse ripreso ad allenarsi... insomma, che avesse ritrovato se stesso- un’immensa nostalgia mi pervase il petto ed un infinito dolore mi riempì il cuore mentre ricordavo la profonda crisi che Vegeta aveva attraversato dopo il Cell Game -Ma che importanza ha ormai?- chiesi più a me stessa che a qualcuno in particolare.

Goku mi osservò sorpreso dopo essere venuto a conoscenza di quei fatti a lui fino a quel momento ignoti. -Ti chiedo scusa, Bulma... ho abbassato la guardia un istante e Vegeta ne ha approfittato, se non fossi stato così sprovveduto forse almeno lui sarebbe ancora vivo… avremmo affrontato Majin Bu insieme e magari sarebbe andata in un altro modo- disse tristemente.

-Se lui non si fosse lasciato possedere, Majin Bu non si sarebbe mai risvegliato…- alzai lo sguardo verso di lui, assorto. Lo guardai per qualche istante, lui probabilmente nemmeno se ne accorse, immerso come era in chissà quali riflessioni, tanto che mi parve di scorgere un’ombra nei suoi occhi, un’ombra che mai vi avevo visto.

Nelle mie orecchie risuonavano ancora le grida delle persone accorse per l’evento più atteso degli ultimi cinque anni. Qualcosa si era spezzato dentro di me. Un prepotente ed irragionevole bisogno di corrergli incontro si era fatto largo nella mia mente confusa, mentre parte dello stadio bruciava intorno a noi. Poi tutto era divenuto oscuro.

Ero sicura che la disparità con Goku non fosse stata l’unica motivazione, eppure non riuscivo a capire cos’ altro lo avesse spinto ad agire così. Più pensavo e più mi rendevo conto di non poter arrivare ad una conclusione. Pur essendo una scienziata, una delle migliori menti della Terra, non riuscivo a capire. Rinchiusa in una gabbia di ragionevolezza in cui per la prima volta nella mia vita non trovavo il senso di quanto mi stava attorno, torturavo il cervello senza concludere nulla. Avrei voluto seguire Goku nel Regno dell’Aldilà per cercarlo, per capire, ma sapevo bene che nel luogo in cui Goku avrebbe fatto ritorno non avrei potuto trovare Vegeta.

-Tu e Vegeta non vi rincontrerete, vero?- domandai senza nemmeno rendermene conto.

-Temo di no- rispose Goku in un amaro sospiro. Soffrii ancora di più quando ne ebbi la conferma, perché Vegeta sarebbe bruciato tra le fiamme dell’Inferno per l’eternità. Quella era la punizione per una vita di orrori e malvagità, perché Vegeta era stato troppo crudele nel stroncare vite, troppo cinico nell’osservare la morte, compiacendosi delle proprie mani sporche e grondanti di sangue. Non vi sarebbe mai potuto essere posto tra gli angeli del Paradiso per lui, così che avrebbe trascorso l’eternità tra i demoni dell’Inferno in un posto che forse sarebbe stato troppo persino per lui.

Ricominciai a piangere silenziosamente, Goku se ne accorse e circondò le mie spalle con il proprio possente braccio. Il calore del suo petto ampio mi avvolse. Mi lasciai andare tra le braccia di colui che da sempre era il mio migliore amico, aggrappandomi alla sua inseparabile tuta arancione.
 
Conoscevo Goku da tutta una vita, avevamo girato il mondo insieme alla ricerca delle Sfere del Drago arrivando a formare quel gruppo di matti che erano diventati i miei più cari amici. Mi ero presa cura di lui in ogni occasione, ero stata un po’ come la madre che non aveva mai avuto: lo avevo curato quando si era ferito, avevo pianto per lui quando credevo che Pilaf lo avesse ucciso dopo che Goku gli aveva distrutto il palazzo… e in un certo senso lo avevo anche protetto. Ma ora le parti sembravano essersi invertite, perché era lui a consolarmi. L’ ennesima dimostrazione della sua sconfinata bontà. Il bambino rimasto solo a poco più di dieci anni si era trasformato in un ragazzo e il ragazzo si era trasformato in un uomo. Marito e padre, che aveva conservato dentro di sé l’anima di un bambino innocente e un po’ ingenuo.

Poi nella mia vita era arrivato un Saiyan altezzoso, scorbutico e orgoglioso. Dal giorno in cui avevo deciso di ospitare Vegeta alla Capsule Corporation, lui mi aveva incasinato la vita stravolgendola totalmente. Una volta, in un impeto di rabbia mi aveva quasi soffocata perché gli avevo accarezzato un braccio mentre dormiva, dopo aver fatto l’amore, al tempo in cui il nostro rapporto ancora si componeva unicamente di segreti amplessi e il letto rappresentava l’unico posto in cui riuscivamo a sopportare una la presenza dell’altro. Tra una lite e l’altra era scoccata la scintilla di una reciproca attrazione fisica. La prima volta mi aveva presa sul tavolo della cucina: ero appena uscita dalla doccia avvolgendomi in un asciugamano ed ero scesa in cucina per prendere un bicchiere d’acqua e me lo ero trovato davanti. Quello era stata l’inizio di un circolo vizioso senza fine, ne vergogna o timore.

Dopo notti passate insieme in me qualcosa era cambiato, avevo cominciato a guardare Vegeta con occhi diversi, a scorgerlo sotto un’altra luce.

Avevo dato la colpa al troppo lavoro, in cui mi ero gettata a capofitto nel tentativo di distrarmi dalla sua assenza, ma quando dopo qualche tempo avevo scoperto di essere incinta, Vegeta già mancava da due mesi. La gravidanza non era stata semplice, Trunks era molo forte, ma quando poi era nato il suo pianto vigoroso mi aveva ripagata dei difficili mesi di solitudine e aveva alleviato la sofferenza che mi portavo dentro.

Vegeta ci aveva impiegato molto più tempo ad arrivare alla conclusione che il sesso non fosse più l’unica cosa a tenerci insieme e anche se non lo aveva mai detto, io sapevo che era stato così, lo avvertivo. Lo vedevo dal modo in cui mi guardava, in cui si arrabbiava. Solo noi conoscevamo i segreti che si celavano tra le lenzuola del nostro letto: prove nostre, silenziose e complici di una relazione strana, difficile, e molto spesso perversa… ma reale.
 
Il dolore provato in quegli anni e che ero riuscita a superare mi si era rovesciato addosso unendosi alla disperazione della morte. Ero intimorita dall’ idea del futuro: con che coraggio avrei potuto spostare i suoi vestiti abbandonati caoticamente sulla poltrona in camera nostra sapendo che non li avrebbe usati mai più? Come avrei fatto a passare davanti alla Gravity Room sapendo di non trovarlo dall’ altra parte della porta di metallo? Sarei stata sola in camera nostra, inghiottita dalle lenzuola che ancora avrebbero saputo di lui. Lo avrei rivisto ogni giorno negli occhi blu di nostro figlio… e come avrei potuto non amarlo per questo?

Perché nonostante la rabbia nei confronti di Vegeta ardesse come la più vivida fiamma, lo amavo con tutta me stessa e mi mancava infinitamente. Aveva cercato di redimersi sacrificandosi per Trunks e me ed io lo avevo perdonato, ma mettere da parte la rabbia e l’amarezza mi riusciva ancora difficile. Aveva riscritto con un solo gesto una vita di crudeltà, indifferenza, freddezza ed egoismo.

La disparità con Goku aveva potuto essere lavata via solo con il sangue. Con gli anni, la pazienza e a volte il coraggio, avevo scavato dentro di lui fino a scoprire i demoni che lo tormentavano e che si aggrappavano al suo orgoglio con i denti, arrivando a costruire un’impenetrabile corazza di odio, di silenzioso gelo.

-Cerca di calmarti, Bulma... cosa credi che direbbe Vegeta se ti vedesse piangere così?- mi chiese per tranquillizzarmi.

-Non mi importa… lui non c’è e non tornerà mai più- dissi piangendo.

-Sicuramente si arrabbierebbe- mi ricordo Goku, affettuosamente. Probabilmente, notando che le sue parole non sortivano alcun effetto, tentò un approccio differente per cercare di tirarmi su -… con tutte queste lacrime i miei vestiti finiranno per restringersi e sarò costretto a rimanere in mutande… cosa direbbe ChiChi se mi vedesse senza pantaloni?- disse con il tono di voce caratteristico di quando sorrideva, per tirarmi su. Risi amaramente. Mi calmai lentamente, prendendomi del tempo per tranquillizzarmi. Alzai lo sguardo verso di lui e vidi un sorriso un po’ stanco che la diceva lunga su come si sentiva.

-Come fai?- gli chiesi.

-A fare cosa?- rispose lui, non capendo a cosa mi riferissi.

-Ad essere sempre te stesso… sarebbe tutto più facile se ti lasciassi andare come me - dissi vergognandomi non poco di me stessa per il modo in cui mi ero lasciata andare.

-Sono sicuro che Gohan non vorrebbe che mi buttassi giù- disse guardando il cielo. Lo osservai per un breve istante e poi, spinta dalle sue parole mi alzai strofinandomi gli occhi, per sgranchirmi le gambe ormai indolenzite e doloranti, e Goku mi imitò.

-Sarà meglio che vada a vedere se ChiChi si sente meglio - disse prima che io mi avviassi verso il punto in cui si trovavano anche gli altri, per lasciarlo solo con la moglie.
 
 
 
Majin Bu era finalmente stato sconfitto, dopo mille difficoltà e imprevisti era tutto finito. Di quel mostro rosa non rimaneva altro che un brutto ricordo.
Quando Goten e Trunks si erano svegliati, Goku ed io li avevamo presi da parte e avevamo dato loro la notizia della morte di Gohan e Vegeta. Entrambi erano scoppiati a piangere, ma Goku per una delle poche volte in vita sua, si era fatto veramente serio e li aveva fatti calmare per insegnare loro la fusione.

Ora era tutto finito ed ero felice perché mio marito e mio figlio avevano contribuito a salvare la Terra, ma ero addolorata perché Vegeta era stato ritrascinato nel Regno degli Inferi. Dopo un primo momento di euforia e felicità sconfinata, mi ero un po’ rabbuiata.
-Mamma?-. La voce di Trunks si infilò tra i miei pensieri quando lui mi prese la mano con le proprie.

-Tesoro…- dissi con estrema fierezza.

-Mamma, hai pianto?- mi chiese lui aggrottando appena le sopracciglia, con una nota di preoccupazione nella voce.

-Sono solo stanca- risposi accarezzandogli i capelli con la mano libera e abbozzando un sorriso.

-Sai, papà mi ha abbracciato… mi ha abbracciato, mamma, mi ha abbracciato e mi ha detto che mi voleva bene e che gli dispiaceva di essere stato duro con me… mi ha detto anche che devo proteggerti, che devo prendermi cura di te per fare in modo che tu sia felice…- Trunks alzò lo sguardo verso di me e vidi che i suoi splendidi occhi blu come l’ oceano erano pieni di lacrime -ma adesso che lui non c’è più come farai ad essere felice?-. Il cuore mi si strinse mentre le lacrime scendevano violentemente sulle guance di mio figlio e in quel preciso momento ebbi la conferma di non poter fare niente per impedirgli di soffrire. Mi inginocchiai difronte a lui e lo abbracciai. Presi ad accarezzargli la schiena mentre piangeva. Se avessi potuto risucchiare tutto il suo dolore e riversarlo su di me, giuro su Dio, lo avrei fatto. Era brutta l’impotenza.

Trunks aveva solo otto anni, anche nel dolore aveva ancora una volta avuto il timore di deludere suo padre. Sbagliava enormemente nel non ritenersi degno di Vegeta. Le parole di Trunks avevano fatto crollare la rabbia che provavo. Era sempre stato intransigente con Trunks, lo aveva sgridato duramente ed allenato fino a sfinirlo, una volta lo aveva anche riportato a casa con un braccio quasi rotto… otto anni senza rivolgere al proprio figlio un gesto d’affetto, una parola di apprezzamento, un sorriso. Trunks si accontentava di poco. Gli ci era voluta la certezza della morte per aprirsi, ma così aveva reso tutto più difficile per Trunks, che proprio quando suo padre lo aveva avvicinato a lui, lo aveva perso pochi minuti dopo.

Avevo avuto la prova di quello che avevo sempre saputo: nonostante facesse di tutto per non darlo a vedere e ci riuscisse con grandissima maestria, Vegeta voleva bene a suo figlio, lo amava sinceramente. Non si può rimanere indifferenti al proprio figlio, per quanto si voglia non si può rimanere indifferenti al sangue. E un reale come lui lo sapeva bene… lo aveva sempre saputo.

Lo lasciai andare e gli accarezzai una guancia, dopo aver rimosso con un dito le ultime lacrime dai suoi occhi -Anche se papà se ne è andato, anche se non c’è più, ora sai che ti voleva bene, ora sai che anche se ti ha fatto piangere molte volte tu sei sempre stato il suo principino- dissi usando tutta la mia forza interiore per rivolgere a mio figlio un sorriso almeno minimamente confortante. Lui si avvicinò a me e lo accolsi nuovamente tra le mie braccia.

Negli occhi di mio figlio avevo visto Vegeta, e lui mi mancava così tanto… in quegli occhi carichi di dolore avevo trovato una sofferenza che non ero riuscita ad evitare a mio figlio. Avrei tanto voluto che almeno Trunks potesse vivere nella propria immaginazione per fuggire dalla realtà della vita vera, per andare a rifugiarsi in un mondo tutto suo in cui suo padre c’era ancora, lo allenava e lo sgridava.

La cosa che mi spaventava più di tutto era il ritorno a casa. Avevo il terrore di essere inghiottita dallo sconforto appena varcata la soglia, di sentire insinuarsi lungo la schiena quell’orribile sensazione di freddo dovuta alla sua assenza, dove ogni cosa mi avrebbe ricordato lui. Mi faceva paura l’eternità senza Vegeta… temevo per Trunks senza in realtà rendermi conto che fosse di gran lunga più forte di me. Sapevo già che le mie notti sarebbero state plasmate dalla solitudine mentre lo cercavo accanto a me e percepivo le lenzuola fredde.

Sentii che Trunks aveva smesso di piangere, gli accarezzai la schiena e gli baciai la testa: si era addormentato. Non avrei potuto essere più fiera si lui: aveva combattuto fino allo stremo per salvare la Terra e la fusione con Goten lo aveva sfinito. Mi rialzai con Trunks fra le braccia, sapevo che se fosse stato sveglio avrebbe protestato perché lo lasciassi andare, visto che ‘a otto anni era grande per quel genere di cose’, come diceva lui, ma volevo stringere mio figlio perché il battito tranquillo del suo cuore mi faceva sentire meglio.

Diventare mamma era stata la gioia della mia vita e Trunks il dono più grande, sebbene accidentale, che l’universo avesse potuto farmi… che Vegeta avesse potuto farmi. Lui mi aveva sempre rimproverata perché ero troppo buona con Trunks, perché lo viziavo… e forse era vero che lo viziavo, ma a me non importava, anche se qualche sculaccione ogni tanto glielo rifilavo. Non avevo mai accettato il suo metodo di educazione, se così si poteva chiamare, proveniente da una razza di assassini rozzi e dalla mentalità barbara e incivile secondo cui il carattere si forgia sulla sofferenza, sulle botte, sul sangue e con l’ausilio del freddo.

Tutti chiacchieravano, scherzavano perché finalmente Majin Bu era stato sconfitto. Vidi ChiChi con in braccio Goten, anche lui addormentato. -Come sta Trunks?- mi chiese lei.
-Ora meglio… è crollato- sorrisi scostandogli un ciuffo dagli occhi. Gohan e Videl si erano appartati per starsene un po’ soli. Ci fu un breve silenzio.

-Forse è ora di tornare a casa- disse improvvisamente Crili, con in braccio Marron, anche lei addormentata.

-Sarà meglio metterla a dormire- disse C-18. Ci salutammo tutti quanti ed ognuno, stanco e malconcio, tornò a casa propria. Dopo la tempesta sembrava essere tornata la pace. Prima di andarsene, Goku mi lanciò uno sguardo un po’ strano, che non compresi bene… sembrava che dietro a quel sorriso ci celasse una felicità riacquistata, ma che qualcosa per quanto ne sapeva lui doveva ancora succedere. Se ne erano andati tutti.

Presi dalla tasca del mio vestito rosso la capsula contenente il mini-jet e la feci esplodere a qualche metro di distanza, salutai Dende e Popo ringraziandoli. Feci per risalire uno dopo l’altro i pochi gradini del portellone, quando avvertii un insolito rumore, come di qualcosa che compariva improvvisamente tagliando l’aria, prima che un alito di vento mi smuovesse i capelli passandomi appena sopra il collo. Avvertii dei passi leggeri ed aggraziati avvicinarsi. Conoscevo bene quell’andatura. Il mio cuore si fermò.

-Mamma... dove siamo?- chiese Trunks ridestandosi dal sonno. Lo lasciai scendere e lui si guardò intorno -Siamo ancora al Palazzo di Dende…- osservò intontito, poi il suo sguardo si fermò in un punto preciso alle mie spalle. I suoi occhi si sgranarono -Papà!-.

Mi voltai e mi sentii invasa da una mare di emozioni contrastanti. Osservai la sua reazione in silenzio: la mano fasciata dal guanto bianco appoggiata sui capelli del figlio e un lato della bocca sollevato in un lieve sorriso mentre Trunks gli stringeva il braccio. Solo dopo quel contatto con il figlio, lo sguardo di Vegeta si posò su di me e mi rivolse un’espressione a metà tra lo stanco e il divertito. Lo osservai in silenzio per qualche secondo.

Feci un primo passo in sua direzione senza rendermene conto, seguito da un secondo, da un terzo e da un quarto mentre sentivo gli occhi bruciare, imponendomi di controllarmi. Quando gli fui vicina lo fissai incerta per qualche istante, poi mi decisi ad avvicinarmi ulteriormente e cinsi il suo torace marmoreo avvinghiandomici e nascondendo il viso contro il suo petto ampio, caldo e rassicurante. Lui inaspettatamente mi lasciò fare, mantenendosi composto e fiero come sempre, come in ogni occasione era solito essere.

Non mi importava più di ciò che aveva fatto, perché riaverlo accanto aveva cancellato ogni traccia della rabbia, anche la più piccola. Non mi aspettavo che lui mi stringesse, perché lo conoscevo e a me andava bene così. Incredibilmente, mi sorprese posandomi una mano sul fianco mentre ancora mi stringevo a lui. Era un gesto in sé insignificante, ma in quella mano posata sulla vita, silenziosamente, trovai un muto assenso e una solida, ulteriore conferma di ciò che dentro di me avevo sempre saputo.

Alzai lo sguardo per scorgere il suo viso, voltato dalla parte opposta, intento ad osservare il cielo davanti a sé. Lo guardai ancora e mi resi conto di quanto veramente mi fosse mancato.
 

Il viaggio di ritorno verso casa nel mini-jet era stato piacevolmente tranquillo. Durante quella mezzora di volo ognuno di noi tre aveva avuto tempo per riflettere o più semplicemente per riposare. Il silenzio sceso su di noi aveva contribuito, almeno per me, a sciogliere i ricordi e ad alleviare la stanchezza. Le uniche parole proferite durante il ritorno erano provenute dalla mia bocca, quando avevo detto a Trunks, stravaccato sulla poltrona accanto alla mia e in procinto di abbandonarsi al sonno che la sera stava portando con sé, che se lo desiderava per tutta la settimana sarebbe potuto rimanere a casa da scuola. Lui aveva annuito con la testa e poi si era addormentato. Vegeta invece era rimasto seduto per tutto il tempo, immobile, in uno dei posti infondo al jet, con gli occhi chiusi, le sopracciglia aggrottate dai pensieri, le braccia incrociate al petto e una gamba accavallata all’altra. Silenzioso tanto da sembrare di non essere nemmeno lì con me.
A cosa pensi, amore mio...
 
Giunti a casa avevo costretto Trunks a svegliarsi ed ad infilarsi sotto la doccia nel bagno della sua camera prima di andare a letto. Lui mi aveva augurato la buona notte e si era diretto verso la propria stanza. Vegeta come al solito si era dileguato, ma per quella sera andava bene così.

Quando giunsi in camera nostra dopo essermi trascinata a fatica per le scale, una piacevole sensazione di familiarità ritrovata mi avvolse le membra e la quiete mi sfiorò la pelle come una brezza fresca. Gettai i vestiti sulla poltrona in un angolo della stanza e sparii in bagno. L’acqua calda della doccia mi disciolse i nervi scivolandomi addosso, trascinando con sé la tensione accumulata. Quando ne ebbi abbastanza mi avvolsi in un asciugamano e rientrando in camera notai sul comodino il pacchetto delle sigarette e l’accendino. Nonostante stessi cercando di smettere, senza grossi risultati, decisi che concedermi a quel vizio ereditato da mio padre per una sera non sarebbe poi stata una rovina. Appoggiai una sigaretta tra le labbra e uscii sul balcone della camera. La accesi e quando il fumo scivolò giù per la gola giungendo nei polmoni, mi lasciai scappare un sospiro di piacere per poi espellere la nicotina verso l’alto, chiudendo gli occhi. La piacevolezza di quell’azione tanto semplice mi fece sentire incredibilmente bene.

-Spegnila- mi giunse alle orecchie improvvisamente una voce, costringendomi a riaprire gli occhi e a voltarmi nella direzione da cui era provenuta. Vegeta.

-Mi hai spaventata- dissi con una nota di disappunto. Se ne stava seduto sul parapetto in equilibrio come un gatto, appoggiato con la schiena al muro. La sera aveva pian piano preso a tramutarsi in notte e la luna, dapprima timida, si faceva ora scorgere come orgogliosa nella sua prima, nuova fase. Il candore della sua luce si adagiava sul profilo prestante e muscoloso del corpo di Vegeta, avvolgendolo. Quella visione mi fece sentire un po’ più accondiscendente e mi spinse a spegnere la sigaretta nel posacenere.

-Come vuoi tu- dissi con un sospiro di rassegnazione. Vegeta saltò giù dal parapetto inudibilmente e passandomi accanto rientrò in camera. Sentii la porta del bagno aprirsi e poi richiudersi. Un amaro sapore di delusione mi rimase in bocca dopo averlo visto andarsene, ma la cosa che più mi turbò era che, razionalmente, non sapevo a cosa fosse dovuto.

Rimasi lì a guardare il cielo per lunghi minuti, forse anche ore, non me ne resi conto. Pensai a cosa stava succedendo tra le nebulose, le comete, i buchi neri e i lontani, infiniti pianeti dal nome impronunciabile. Dopo un po’ la mia pelle cominciò ad essere stuzzicata da una leggera ma percettibile sensazione di freddo poiché addosso non avevo ancora nient’altro che l’asciugamano in cui mi ero avvolta dopo la doccia. Rientrai. Era buio in camera, ma la tenue luce lunare che entrava dalle vetrate mi premetteva comunque di intravedere le sagome dei mobili e quindi di muovermi senza urtare niente. Mi diressi all’armadio con l’intenzione di indossare qualcosa per la notte, quando mi sentii afferrare un polso. Un brivido mi corse lungo la schiena, che fremendo si inarcò involontariamente. Conoscevo bene la mano che mi aveva trattenuta, perché infinite volte aveva toccato
rudemente il mio corpo.

-Vegeta...- ansimai in un sussurro.


La afferrò più saldamente strappandole un gemito di assenso, mentre con veemenza la stringeva a sé da dietro. Il bacino solido di lui cozzò contro le natiche rotonde e sode di lei in un sordo rumore. La aveva desiderata a lungo durante la loro lontananza, tanto da starne male, e averla lì, in quel modo quasi indecente, gli faceva avvertire sotto la pelle un’indomabile sensazione di impazienza, di ansia persino.
La mano le liberò il polso spostandosi sul profilo sinuoso del suo fianco dove questo si allargava alla testa della gamba, sfiorandolo appena, per andare ad insinuarsi sotto quel misero pezzo di tessuto in cui si era avvolta. Gli era mancata indicibilmente in quell’intero anno di lontananza in cui aveva letteralmente distrutto il proprio corpo e masturbato la propria mente con il suo ricordo. Alla fine era riuscito a diventare super Saiyan, ma un altro irrefrenabile e smanioso desiderio gli infiammava adesso le carni. La voleva, la voleva terribilmente. Vederla impaziente tra le proprie mani lo spinse però ad essere più lento, più egoista nel godere di come il corpo di lei reagiva al suo tocco, come scoprendola per la prima volta.
Era stato stupido a farla soffrire, lo sapeva, perché nonostante fosse testarda, irrispettosa e spesso rompipalle, da lei aveva sempre ricevuto l’incoraggiamento di una moglie devota e quel sentimento che così spesso lei aveva racchiuso in quelle due semplici parole, ti amo... e a cui lui non aveva mai riservato una risposta preferendo tenerla per sé, forse nel tentativo di celarla anche a se stesso.
Le sue dita ruvide salirono poco a poco lungo il suo ventre piatto solleticandole la pelle in una piacevole tortura, giungendo quasi fino a sfiorarle il seno. Con l’altra mano, posata quasi sulla sua intimità, la teneva stretta trattenendola là dove l’inguine formava una piega, mentre il suo respiro fresco le stuzzicava il collo piacevolmente, facendole indurire i capezzoli.
Quando l’asciugamano cadde a terra, Vegeta strinse ulteriormente la presa su di lei, che gemette ancora di piacere. Lei avvertì il suo petto nudo contro la pelle, mentre la sua virilità premeva possente contro il suo fondoschiena. Una sensazione di calore cominciò ad infiammarle la carne, a bagnarla di eccitazione, e quando lui se ne accorse, compiaciuto, se ne impadronì con l’intenzione di marchiarla, ancora e ancora.

 

Mi svegliai nella completa oscurità della mia stanza, a letto. Era notte fonda. Mi voltai per guardarmi intorno e vidi Vegeta addormentato accanto a me, sdraiato sul ventre.
Mi chinai a baciargli la spalla per acclarare che fosse reale e non solo uno scherzo della mia mente. Si mosse appena, prima di aprire gli occhi. Mi guardò confuso, probabilmente non capendo perché fossi sveglia. Lo osservai in silenzio, scrutandolo incuriosita. Si girò sulla schiena portando un braccio sotto la testa. Io mi adagiai su di lui, sul suo corpo marmoreo per poterlo vedere in viso, incrociando le mani sotto il mento, poggiate sul suo petto. Chiuse gli occhi.
-Come sono finita a letto?- dissi, fingendo di non ricordare- ... mi hai forse fatto qualcosa?-.

Il suo braccio si posò sulle mie spalle -Personalmente non mi è sembrato che ti dispiacesse... tutt’altro, visto che mi hai implorato di non fermarmi- mi rispose lui, composto. Rimasi in silenzio. Quante cose erano successe quel giorno. Talmente tante che a pensarci mi faceva male la testa. No. Non volevo più pensarci perché in questo modo quel momento ne sarebbe stato rovinato irrimediabilmente. Il giorno seguente, forse.

Vi era stato un tempo in cui avevo temuto il freddo Principe dei Saiyan, che sottomettendomi nel mio stesso letto si era rigirato la mia vita tra le dita senza pensarvi, come in procinto di spezzarla solo per capriccio, per punirmi. Vi era stato un tempo in cui non ero stata altro che colei con la quale quel mercenario sanguinario aveva placato le proprie pulsioni fisiche, violentemente, contro la mia volontà, più volte al giorno, facendo a pezzi i miei vestiti e piegandomi al suo volere mentre con una mano piantata tra le mie scapole mi bloccava contro il letto e con l’altra mi stringeva il fianco in una stretta ferrea, prendendomi da dietro, facendomi male, mentre dalla mia bocca uscivano gemiti di amaro piacere soffocati dalle lenzuola.

Mi liberai di quel ricordo scuotendo la testa, per scacciarlo via. Vegeta se ne accorse e mi guardò incuriosito. -Una volta mi sarei venduto l’anima perché tu tacessi, cosa ti prende?- mi chiese, in tono pungente e provocatorio, mi parve persino quasi offeso.

Quelle parole, quel “mi sarei venduto l’anima”, mi punsero nel profondo. Per arrestare le lacrime che sentivo affiorare poco a poco mi sollevai appena a baciarlo. Lui ricambiò il bacio a quando mi allontanai posai la guancia contro il suo petto, perché non volevo che lui potesse scorgermi in viso.

-Non osare mai più lasciarci- dissi, presa dallo sconforto. Lui non rispose, ma reagì alle mie parole fisicamente. Velocemente, mi girò sulla schiena sovrastandomi, con un unico, brusco movimento. Il suo viso ad un centimetro dal mio, il suo respiro sulla pelle... i suoi occhi neri come la pece e profondi come l’universo mi studiarono con tale intensità che mi sentii stordita, deglutendo un grumo di saliva.

-Stupida...- le sussurrò contro le labbra -come puoi pensare che ti lasci sola su questo insulso pianeta...- Mi disse in un tono che sembrava un avvertimento, come per ammonirla. In quelle parole lui aveva racchiuso la certezza del futuro, con quelle parole lui mi aveva fatto un' indiretta promessa.
 

Era stato all’inferno due volte. Quest’ultima, però, più delle fiamme che avrebbero dovuto bruciargli le carni per l’eternità e l’umiliazione del venire privati del proprio corpo, a farlo stare male, a torturarlo nel profondo, visceralmente, a fargli provare quella schifosa sensazione di impotenza che mai aveva conosciuto, era stata la forzata lontananza da lei, quella terrestre sfacciata, insolente e bellissima, che gli aveva stretto il cuore in una morsa con la forza del proprio amore e il calore del proprio corpo e dal loro bellissimo figlio, che lui aveva sgridato e sfinito, ma che gli aveva dato tantissime soddisfazioni che avevano accresciuto il suo già smisurato orgoglio. Li aveva persi, perché anche a loro Majin Bu aveva strappato la vita distruggendo la Terra e saperli morti gli aveva fatto crescere dentro una rabbia terribilmente struggente, che trasformatasi in furia gli aveva dato la forza per obbligare ancora il suo corpo sfinito ad un’ultima, erculea fatica. Li aveva persi, la aveva ferita, ma aveva un’intera vita per fare ammenda, ovviamente senza permetterle di poterne approfittare, punendola se necessario.
 

In quella notte di luna nuova trovai il coraggio e la forza di perdonarlo. Lo amavo. -E comunque non intendo andarci morbido con te- mi disse prima di mordermi il collo. Chiusi gli occhi, lasciando che in quella notte quieta, nel nostro letto, facesse di me ciò che voleva. Ancora una volta.
  
 
                                                 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                    M
ire
  
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