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Autore: Shichan    05/07/2012    2 recensioni
Kuroko inizialmente parve non capire, ma poi gli scappò quello che Taiga aveva imparato a riconoscere come uno sbuffo divertito, sebbene sempre meno evidente di quanto fosse per le altre persone: «Non ci si può fare nulla.» se ne uscì «Perché pensano che Kagami-kun sia un papà single, quindi vogliono uhm… catturarti, penso.» disse con tutto il candore del mondo, quasi fosse assolutamente normale e legittimo.
Kagami lo fissò basito, nonché inquietato. Ma come un
padre single?!
[Post-serie, KagamiKuroko]
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi non sono miei, ma quanto mi ci diverto manco Fujimaki Tadatoshi lo sa.
Info utili: questa pazzia è tutta colpa delle recenti illustrazioni del character book, dove sono stati illustrati i membri della Generazione dei Miracoli + Kagami nei loro probabili lavoro. Kuroko è stato messo insegnante di asilo, e la mia mente ha fatto il resto.
Sempre nelle stesse illustrazioni, Kagami è raffigurato come un pompiere: in questo caso me ne sono discostata, perché mentre scrivevo ci vedevo meglio l’opzione utilizzata.
Note inutili: un giorno il mondo mi spiegherà perché vorrei scrivere AoKise e finisco a fare KagamiKuroko, e perché inizio per fare una flashfic scarsa e mi ritrovo 2000 parole di oneshot o giù di lì XD
Spero sia abbastanza demente da essere di vostro gradimento *muore*

 

 

 

Kagami Taiga nella sua vita aveva temuto poche cose, affrontando ogni sfida che gli si poneva di fronte a testa alta e con coraggio: non gli era mai importato chi fosse a mettersi sulla sua strada – la Generazione dei Miracoli o un batuffolo di cane erano, ai suoi occhi, nemici da temere, rispettare e affrontare allo stesso modo – non si era mai arreso senza combattere.
Tuttavia, doveva ammettere che c’era una cosa che non aveva mai considerato, un nemico che si era malignamente insinuato nel suo territorio, che aveva raccolto informazioni tramite una rete più fitta e invisibile di quella di un ragno; si era mantenuto indifeso ai suoi occhi, un personaggio marginale e di contorno, una categoria quasi indifesa.
Aveva fatto il grave errore di cadere in quella trappola ed ora si ritrovava ad affrontare quello che, forse, poteva considerare il nemico più pericoloso di cui avesse mai incrociato la strada.
Le madri single.
Sì, perché le donne avevano capacità che gli uomini non potevano nemmeno vagamente sospettare o intuire, figurarsi renderle inefficaci: tra queste, la più pericolosa, ossia il potere di – in pochi secondi netti – creare nella propria testa un film mentale la cui unica base concreta non è che ciò che i loro occhi vedono.
E se questo si riduce a niente più della figura di un povero, giovane uomo ignaro che varca la soglia di un edificio, ciò diventa ancora più preoccupante.
Kagami Taiga non era pronto.
Affatto.
Non erano situazioni della vita che ti insegnavano ad affrontare.
«Ah, Kagami-kun.» una voce piatta lo raggiunse e si sentì immensamente sollevato mentre, con espressione burbera, portava una mano a grattarsi appena la nuca avanzando verso l’ex compagno di squadra, cercando di ignorare gli sguardi famelici e assetati di notizie che si puntavano su di lui.
Mai sentire la voce di Kuroko fu cosa più apprezzata.
«Ohi.» borbottò una volta che gli fu di fronte, osservandolo; il ragazzo indossava dei semplici jeans e una maglietta comoda, entrambi parzialmente coperti da un grembiule verde scuro con il disegno di un girasole all’altezza del torace.
Solitamente lui non andava a prendere Kuroko al lavoro, più che altro per un problema di incompatibilità di orari. Contrariamente a quanto ogni persona che lo avesse conosciuto al liceo avrebbe potuto credere, Kagami aveva continuato gli studi, andando addirittura all’università: tuttavia, altrettante persone conoscevano fin troppo bene quanto il suo cervello potesse essere limitato – il Bakagami del liceo non lo aveva mai abbandonato, ancora oggi – per cui era ovvio che non si fosse certo dato alla matematica, tanto per dire. Kagami Taiga era un onorato studente vicino alla laurea in Scienze Sportive.
Insomma, quello che lo avrebbe portato probabilmente ad insegnare basket, un giorno: giusto nel dubbio che praticarlo ai livelli a cui lo aveva fatto non avesse dimostrato abbastanza la sua ossessione nei confronti dello sport.
Ne conseguivano orari terribili che quasi mai combaciavano con quelli dell’altro giovane, motivo per cui avevano presto capito che fosse il caso di vedersi direttamente a casa.
Ma non quel giorno, no. Quel giorno lui aveva avuto la brillante idea di andare.
Ora, la prima volta che entravi in una scuola materna e le mamme che incrociavi in cortile, dirette a casa con i loro pargoli, si giravano a guardarti, potevi pensare che fosse perché trovarsi una pertica di uomo di un metro e novanta, per di più mai visto prima, potesse suscitare almeno curiosità.
Se succedeva una seconda volta, con un principio di inquietudine addosso, magari ti dicevi che non erano le stesse mamme della prima e che quindi si trattasse ancora di una mera questione di reazione ad una novità.
Ma la terza volta, quando qualche viso lo avevi almeno presente e te lo ritrovavi di nuovo a fissarti beh, qualche dubbio te lo ponevi.
Alla quarta iniziavi a temere irrazionalmente la vivisezione – ed era il caso attuale, per l’appunto.
«Ti manca tanto?» domandò, il tono un po’ brusco dato dal non sentirsi esattamente a suo agio. Kuroko scosse appena la testa, pur non riuscendo a mascherare una sfumatura di sottile divertimento nell’espressione: «Le mamme ci sono tutte, i bambini sono quasi pronti.» assicurò, conscio della collega che – nell’altra stanza – si occupava di recuperare cartelle e oggetti vari dei più casinisti, per assicurarsi che non dimenticassero nulla.
«Kuroko-sensei!» si sentì pronunciare, la vocetta infantile che portò entrambi ad abbassare lo sguardo, inquadrando una bambina che, in quel momento, stava tirando un lembo della maglia del suddetto ‘maestro’.
Kuroko le sorrise con un incurvarsi di labbra leggero e gentile, piegandosi sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza: «Cosa c’è, Kasumi-chan?» domandò.
«Takeru mi prende in giro!» si lamentò, mentre il compagno chiamato in causa si fiondava per difendersi da tali, offensive calunnie con un faccino tra l’indignato e il tacito ‘buuuh, sto per mettermi a piangere’.
«Kasumi è una bugiarda! Ho solo detto che sembra una carota! Non è vero, Kuroko-sensei?!» chiese, aspettandosi che gli desse man forte. Il ragazzo sospirò appena di fronte ad una scena che si era ormai già ripetuta chissà quante volte: Takeru era il classico bambino che prendeva in giro le femmine per partito preso, e Kasumi – che di giapponese aveva solo origini da parte paterna e il nome – aveva quei capelli rossi solitamente indicati scherzosamente come “pel di carota”. Il che era stata, evidentemente, una tentazione troppo forte per il bambino.
«Cosa ti ho già detto, Takeru-kun?» iniziò Kuroko, con un tono appena più severo «Kasumi-chan ha dei bei capelli. E poi se devi prenderla in giro perché sembrano troppo rossi per te, anche Kagami-kun dovrebbe essere preso in giro.» se ne uscì.
E figurati se non mi mette in mezzo!, sbottò mentalmente Kagami, lanciandogli un’occhiataccia che fu intercettata da un Takeru che lo fissava.
Kagami lo fissò di rimando. Il moccioso insistette. Kagami non distolse lo sguardo.
Poi, la tragedia: quando gli occhi di un moccioso cominciano a brillare non è mai un buon segno.
«Che figo!» se ne uscì e Kagami non seppe se sentirsi onorato o temere molto la cosa, ma ormai il bambino sembrava partito per la tangente. Non gli era mai capitato di avere tanto a che fare con i mocciosi le altre volte che era capitato da quelle parti, forse perché negli altri casi era arrivato giusto in tempo per incrociare Kuroko e i suoi colleghi in procinto di andarsene.
Solo in un altro caso aveva incrociato un bambino il cui genitore era in ritardo, ed era stato già abbastanza traumatico una volta sentirsi chiamare—
«Taiga-nii
...Ora sento anche le voci?, si chiese stupidamente l’attimo prima che qualcosa arpionasse selvaggiamente la sua gamba. Così, senza ritegno.
Abbassò lo sguardo, riuscendo a riconoscervi una figura umana in formato mignon e dalla capigliatura mora e scombinata, mentre un faccino anonimo – ma che presto avrebbe riconosciuto – gli si strusciava contro la coscia, più o meno. Quando il bambino alzò la testa per osservarlo pieno di mistica ammirazione, Kagami lo riconobbe come quell’unico caso isolato con cui aveva avuto a che fare.
Manabu era un moccioso già infoiato dalla più tenera età nel basket, almeno a giudicare da quando, al loro primo “incontro”, lo aveva indicato come se Kagami fosse appena sbucato fuori dal camino la notte della Vigilia vestito da Babbo Natale gridando “Kagami Taiga woooaaah!”.
Il che non aveva lasciato molto spazio ai dubbi.
Allungò una mano a scompigliargli i capelli in maniera goffa, con un mezzo sorriso, mentre Takeru ripartiva all’attacco: «Ma Kuroko-sensei, è un rosso diverso quello. Mica è il colore delle carote!» esclamò, dando a Taiga la profonda soddisfazione di essere stato tirato fuori dal discorso, oltre che del fatto che Kuroko fosse stato appena zittito da un ragazzino di sì e no cinque anni, potenzialmente con il moccio al naso.
«Se sei cattivo Kuroko-sensei non ti vorrà più bene!» lo minacciò la bambina – lo sapeva, le femmine erano cattivissime fin da piccole! – zittendo il ragazzino per una manciata di secondi nei quali, probabilmente, metabolizzò il duro colpo.
«Tanto Kuroko-sensei sposerà me perché tu sei racchia!» rimbrottò, e Taiga si chiese perché un bambino di cinque anni vuole sposare il suo maestro d’asilo. Ed era così allucinato che non ebbe nemmeno la forza di sentirsi geloso – insomma, non che un moccioso fosse una gran minaccia, comunque.
«I maschi non si possono sposare, stupido!» ribatté Kasumi «E tanto Kuroko-sensei sposerà me!» se ne uscì.
Kagami Taiga era certo che non avrebbe mai avuto figli, il che presupponeva che non dovesse affatto preoccuparsi di poter o meno avere a che fare con i bambini a tal punto. Sarebbe bastato insegnare, se proprio fosse finito a farlo a dei ragazzini, ma non avrebbe mai richiesto il rapporto che si aveva con un genitore.
Kagami Taiga era cresciuto, maturato, ma cretino era nato e – probabilmente – cretino sarebbe morto: mettersi a bisticciare con dei bambini della scuola materna, probabilmente era compreso nel pacchetto.
«Ohi.» richiamò l’attenzione dei due litiganti, nonché dello stesso Kuroko che stava evidentemente cercando di fare da paciere nel frattempo: «Kuroko-sensei è impegnato.» se ne uscì, avendo almeno il buon senso di non specificare con chi «E comunque non gli piacciono i bambini che litigano.» aggiunse, tanto per stare sicuri.
Occhieggiò quindi Takeru – visto che Kasumi si era appena nascosta dietro le spalle di Kuroko: «Non è figo che un maschio dica racchia a una femmina.» concluse, mettendola su un piano diverso.
Tanto parve bastare visto che, seppure imbronciato, Takeru sbuffò facendo la linguaccia alla bambina e seguì la maestra venuta a recuperarlo con tanto di cartella da consegnare (insieme al moccioso, sperò) alla mamma. La bambina ebbe il buon senso di andare dal suo genitore, chiunque egli o ella fosse, da sola.


«Sei bravo, Kagami-sensei.» lo vezzeggiò ironicamente Kuroko, mentre percorrevano la via che li avrebbe portati all’appartamento in cui convivevano.
Kagami alzò gli occhi al cielo prima di dargli uno scappellotto leggero: «E piantala, mi stavano snervando.» si giustificò soltanto, mentre Kuroko lo fissava esibendosi in un piatto e per questo più irritante «Ah, Kagami-sensei mi ha picchiato.»
Per il suo bene Taiga decise di lasciar perdere: «Piuttosto, senti un po’» riprese «non si può fare qualcosa per quelle lì? Mi fissavano come delle pazze!» se ne uscì.
Kuroko inizialmente parve non capire, ma poi gli scappò quello che Taiga aveva imparato a riconoscere come uno sbuffo divertito, sebbene sempre meno evidente di quanto fosse per le altre persone: «Non ci si può fare nulla.» se ne uscì «Perché pensano che Kagami-kun sia un papà single, quindi vogliono uhm… catturarti, penso.» disse con tutto il candore del mondo, quasi fosse assolutamente normale e legittimo.
Kagami lo fissò basito, nonché inquietato. Ma come un padre single?!
«…Parola mia, sono terrificanti.» commentò solo, schiaffandosi una mano in faccia e concedendosi una manciata di secondi per prendere coscienza del fatto che sarebbe stato molto più saggio non presentarsi mai più lì, almeno non quando rischiava di incrociarne qualcuna. Magari si mimetizzava con il cancello e aspettava Kuroko lì. O dentro una caffetteria nei paraggi – meglio passare da stalker che un agguato da parte delle signore con pargoli annessi, si disse.
«Ah, c’è un’altra cosa.» sbottò con il suo solito fare privo di delicatezza; ormai nei pressi dell’appartamento, occhieggiando velocemente i paraggi, si chinò appena su Kuroko, abbastanza perché i visi non fossero molto distanti. Avvicinò una mano al suo volto, tirandogli appena una guancia: «Che è ‘sta storia del “Kagami-kun”?» se ne uscì.
Kuroko non poté non sorridere, nonostante la guancia presa in ostaggio: era così da Kagami prendersela per una cosa simile.
«Ma Kagami-kun è neutrale.» bofonchiò a sua discolpa come se fosse ovvio, la voce appena meno comprensibile a causa della guancia ancora tirata – seppur piano – dall’altro.
«Ma chi se ne frega!» sbottò lasciandogliela «Non è che si capisca niente se usi il nome.» aggiunse spiccio, senza girarci troppo intorno.
«O sarà che non vuoi che i tuoi pretendenti sospettino nulla, Tetsuya-sensei?» aggiunse come provocazione, riferendosi ai due mocciosi che si litigavano la sua mano – ok, erano solo bambini, ma tanto per essere chiari col cavolo che glielo lasciava. Solo per dire, ecco.
«…Sei geloso di due bambini?» se ne uscì Kuroko, sorpreso persino considerando che nulla sembrava mai far venire meno la sua aria placida. Ci furono diversi istanti di silenzio in cui Kagami si limitò a guardarlo, per poi mollargli un altro scappellotto.
«Geloso un corno!» sbottò, avviandosi verso la porta, la mano che andava ad affondare nella tasca della tuta per recuperare le chiavi. Kuroko sorrise, riconoscendovi un atteggiamento familiare: in questo Taiga non era mai cambiato.
Sarebbe sempre stato fin troppo trasparente per certe cose.


«Taiga.» lo chiamò mentre un rumore leggero di piatti e stoviglie le une contro le altre riempiva la cucina, il getto d’acqua aperto a sciacquarne il sapone; Kagami, seduto sul divano a guardare la tv, le braccia sopra la spalliera del divano nella sua classica posizione svaccata, inclinò appena la testa indietro per guardarlo e rispondergli un: «Mh?»
«Stavo pensando» riprese Kuroko «forse dovrei dire alle mamme che non sei un papà single e che sei impegnato?» domandò, lasciando intendere che non aveva ancora smentito quell’idea che le signore si erano fatte, cosa che era forse alla base di molti sguardi che si sarebbe altrimenti risparmiato.
Lo fissò, l’espressione tra l’ebete e il basito, come se non volesse nemmeno credere che l’altro non lo aveva fatto: e lui che lo aveva rivendicato senza nemmeno pensarci un attimo!
Era tradimento, questo!
«Diamine, certo che sì!» gli sbraitò contro.

   
 
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