05/07/2012
2 recensioniTRAPPOLA
Continuava a dormire con un occhio aperto, ascoltando i rumori della casa e sobbalzando quando qualcuno gli passava affianco.
Evitava di andare in centro perché, abituato com’era alle lande sconfinate, gli alti grattacieli quasi lo soffocavano.
Si sentiva in trappola.
Esistono molti tipi di trappole, di prigionie. E Ryou si sarebbe presto imbattuto in una delle trappole più infide.
Aveva preso l’abitudine di andare a trovare gli altri Tamers almeno una volta al mese, da quando il D-Reaper era stato sconfitto due anni prima. Il parco di Shinjuku sembrava sempre l’ambiente più familiare a tutti loro. Ciò che c’era di più vicino a Digiworld ed ai loro ricordi.
Era lì che era avvenuto il loro ritorno da Digiworld, lì Takato aveva capito che Juri era prigioniera, lì si era svolto lo scontro finale contro il nemico.
Ed era anche il posto in cui avevano perso i loro Digimon. Certo, poi loro erano tornati, ma erano dovuti andare via di nuovo. Ed i ragazzi erano rimasti nel loro mondo con le loro responsabilità, a leccarsi le ferite.
Almeno i suoi amici erano insieme, si ripeteva talvolta Ryou. Sapeva che si erano sorretti a vicenda, ed avevano sorretto anche lui. Ma Ryou aveva un suo modo per affrontare le cose; in silenzio, a testa alta.
Abituato com’era a cavarsela da solo.
Quando scendeva dal treno tirava un sospiro di sollievo, felice di non essere più stipato in un piccolo vagoncino con altre persone. Una o mezza dozzina erano sempre troppe.
Evitava la folla, se poteva.
Attraversava Shinjuku a passo svelto, dritto verso il parco, e lì si sentiva un po’ più a casa.
Takato si illuminava, nel vederlo, fiero nel mostrargli le nuove mosse che aveva imparato dall’ultima volta che si erano incontrati.
Jianliang era sempre il più cauto. Erano amici, certo, ma non così tanto da abbracciarsi con impeto ogni volta che si vedevano.
Hirokazu e Kenta erano i primi a corrergli incontro. Gioviali, talvolta quasi soffocanti. Il loro calore era anche troppo.
A volte le loro occhiate di ammirazione gli davano addirittura fastidio; quasi potessero essere un onere in più sulle sue spalle, che mostrarsi all’altezza potesse sommarsi agli impegni dello studio, del suo futuro.
A Ryou non piaceva fare progetti a lungo termine; a lui piaceva vivere alla giornata.
Digiworld era stata la soluzione perfetta, fino a che era durato. La sopravvivenza era l’unico problema, e seppur complicato, per lui era stato più semplice di questo.
E quel mondo gli sembrava una trappola, che gli impediva di vivere le sue avventure, di viaggiare, di scoprire nuovi luoghi.
Fino a ché un giorno Ryou non si accorse che c’era anche una trappola più infida.
La vide negli occhi di Ruki, d’un tratto. E la rivide ancora ogni volta che la guardava.
Non gli era mai capitato di sentirsi così attratto da una persona, che qualcuno riuscisse a fargli desiderare di raggiungere un posto specifico, in un dato giorno.
Ma Ruki aveva questo potere, a quanto pare, e Ryou sapeva che non poteva concederglielo. Non sarebbe caduto nella sua trappola, non lo avrebbe permesso.
Ryou Akiyama non era fatto per legarsi a cose o a persone. Aveva solo sedici anni.
Per un solo istante pensò che se, più in là, Ruki avesse scavato una buca nel terreno, sulla sua strada, e l’avesse ricoperta di foglie, avrebbe anche potuto pensare di buttarcisi a pesce.