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Autore: M e g a m i    08/07/2012    13 recensioni
The Black Order of the Soul Society, meglio conosciuta come The BOSS.
Era una sorta di social network in cui si era trovata coinvolta senza neanche rendersene conto. The BOSS ti attirava a se e ti risucchiava nel suo mondo “oscuro”come il colore del suo layout, e tu ti trovavi a sentire il bisogno di accedere ogni santo giorno, ogni santo momento libero. Era come una droga.
La cosa migliore di tutta quella “organizzazione”, era l’assoluto anonimato che garantiva. Perfino password e indirizzo di posta elettronica che servivano per la registrazione erano forniti dal social network stesso. Non era richiesta nessuna informazione personale, non la data di nascita, non un’immagine del profilo, neanche il nome, solo un nickname modificabile in qualsiasi momento.
Non era facebook.
Era semplicemente l’unico luogo in cui Tatsuki Arisawa riusciva a tirare fuori la vera se stessa, quella sotterrata sotto strati e strati di fogli A4 e retini, e sommersa dall’inchiostro per la G pen.
TheGrimReaper era entrato in chat giusto in quel momento, lesse con un sorriso appena accennato.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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NDA: QUESTO. CAPITOLO. È. LUNGHISSSSSSSSIMO.
E niente, ricominciamo col girin girello, ma anche con l’introduzione di due nuovi personaggi, Tyki e Lust! [OH MY GAWD, (S)VENGO...!] Purtroppo è proprio solo un’introduzione, più avanti avrò modo di trattare meglio la loro storia, approfondendo di più. Oh, se approfondirò... /si perde nei suoi deliri da fangirl zozzona/
Che altro... Grimmino e Tatsuki a quanto pare son due metallari. :°D
È che mi piace il significato che si collega ai nomi di questi gruppi, di cui son pure patita. A pensarci avrei potuto anche usare Pantera come nick per il nostro micio dai capelli turchini, ma insomma... 8°D
Vediamo invece se indovinate chi è Bluerikka. Non è difficile, su, su...
Okay, basta con le cavolate!
In questo capitolo ho usato molto la terminologia delle categorie manga, di cui penso però siate tutti al corrente, quindi non mi dilungherò oltre.

Un’ultima cosa: guardando dorama e leggendo manga in cui compaiono degli host, mi sono resa conto che un loro “vizio” è chiamare le loro clienti koneko-chan, ovvero “gattine”... È stato più forte di me, chiedo scusa. 8D
Per concludere, spero di essere riuscita ad incuriosirvi con certe allusioni, e anche ad aver creato un bel malinteso, non solo per il nostro povero micio. x°D
Spero inoltre di essere riuscita a farvi intravvedere cosa realmente si nasconde dietro il carattere un po’ distorto e OOC di entrambi. Ovvero, quello che sono realmente e che nonostante tutto, rimangono anche dopo quello che hanno passato.
 
P.S.: Imploro perdono per gli eventuali spoileroni apocalittici su Phantom: Requiem for the Phantom – che tra l’altro è uno dei miei anime preferiti. Se lo volete vedere, o peggio, se lo state guardando, non vi conviene leggere questo capitolo. x°D
Stessa cosa per quanto riguarda Death Note!
 
 
 
-
 
 
 
CAPITOLO 6 – Fantasmi del passato.
 



 
 
Tatsuki Arisawa passò per l’ennesima volta davanti alla porta del suo appartamento, lanciandole un’occhiata di fuoco. Ma non era quella povera porta, quella da biasimare. Era solo lei stessa.
Come si era cacciata in una situazione del genere?
Si portò una mano ai capelli ancora umidi di doccia, per poi lasciarla cadere sulla felpa enorme della tuta che indossava, stringendosela all’altezza del petto. Anche così, poteva sentire il suo cuore battere freneticamente. Era sul punto di avere un infarto dall’agitazione.
Ripercorse mentalmente le giornate prima, chiedendosi quale dio avesse mai offeso per meritarsi una punizione del genere. Ma ancora, non era colpa di nessun dio. Era lei che aveva fatto tutto da sola, partendo con l’accettare quell’assurdo incarico offertole con una flemma incredibile dal suo editore.
Perché quando finalmente – o a quel punto era meglio dire sfortunatamente – aveva trovato il coraggio di fargli quella telefonata, aveva sentito la terra crollarle sotto i piedi. In fondo, doveva aspettarselo. Fin dal primo numero era stata questione di tempo, eppure...
   « Mi dispiace, sensei. Ho cercato di trattare con i miei superiori, ma purtroppo non hanno voluto sentire ragioni. I guadagni sono inferiori alle spese di pubblicazione, e la casa editrice non considera più il suo manga come un investimento. »
Era la fine di Fly it. Non era durata neanche due anni.
Tatsuki aveva sentito il bisogno di sedersi. Ah, no, era già seduta. In realtà non si era neanche alzata dal letto se non per andare in bagno e poi prendere una confezione di biscotti con un cartone di latte. La sera prima si era addormentata con il portatile sulle gambe dopo aver passato l’intera notte fino alle quattro del mattino su The BOSS a chattare con Bluerikka, come ogni sera, d’altronde. Quella ragazza – se di una ragazza si trattava, perché su The BOSS non era necessario neanche specificare il proprio sesso – era quanto di più vicino a una migliore amica avesse mai avuto. Certo, non sapeva niente di lei, neanche quanti anni avesse, neanche di dove fosse. Non sapeva neanche il suo vero nome. Eppure le bastava leggere le sue parole sullo sfondo nero di quella chat per sentirsi in qualche modo più... capita.
Questo a prova di quanto misera fosse la sua vita.
Sta di fatto che la mattina, quando si era svegliata come sempre alle sette, si era girata dall’altra parte con un grugnito, cercando di riaddormentarsi senza successo. Il suo orologio biologico era impostato sul fuso orario di una persona attiva. Non importava quanto tardi andasse a letto, o quanto poco dormisse. I suoi occhi si aprivano immancabilmente alle sette, procurandole due occhiaie sempre più profonde ogni giorno che passava. Coi suoi lunghi capelli neri e spettinati, la carnagione pallida dovuta al praticamente insignificante contatto con il sole, e per finire con quelle occhiaie, avrebbe potuto benissimo passare per un personaggio di un qualche film dell’orrore.
Fortunatamente, non aveva nessuno da spaventare, in quanto nessuno veniva mai a trovarla. Il suo editore evitava ogni contatto diretto con lei su sua specifica richiesta, ma anche se lo fosse trovato davanti nel suo momento più impresentabile, aveva il sospetto che il suo sguardo dietro agli occhiali rettangolari che aveva il vizio di sistemarsi sul naso, sarebbe rimasto imperturbabile come sempre.
Anche Ichigo non ci badava a queste cose. Andava a controllare che fosse ancora viva sì e no una, due volte al mese, più per senso del dovere che per vera preoccupazione, probabilmente. Ogni tanto le portava anche qualcosa da mangiare, e si fermava a cena. Ma le loro conversazioni erano limitate a un mutuo silenzio, ognuno si faceva i fatti suoi, perso nei propri pensieri che non avrebbe esternato neanche sotto tortura. Su questo erano stati molto simili, fin da bambini. Se qualcuno poi li avesse visti così, in quei momenti, seduti a mangiare insieme, con gli stessi capelli lunghi e neri tagliati involontariamente in un modo così simile e gli stessi occhi castani, con la stessa espressione apatica e la bocca sigillata in un silenzio ostinato, avrebbe sicuramente pensato che fossero gemelli, mentre in realtà il loro grado di parentela era molto meno stretto.
Tatsuki Arisawa e Ichigo Kurosaki erano cugini di primo grado, eppure nei loro diciannove e ventuno anni di vita avevano condiviso più cose di due fratelli di sangue, la maggior parte delle quali incredibilmente dolorose. Rimanendo in silenzio.
Ma non era Ichigo che stava aspettando in quel momento, camminando avanti e indietro davanti alla porta con le braccia incrociate, fissandola in cagnesco. Era qualcuno che non aveva mai visto prima, il che le stava facendo venire un attacco di panico non da poco.
La voce impassibile del suo editore le risuonò nella testa, mentre alzava per circa la ventesima volta lo sguardo verso l’orologio che segnava le 21:56.
Dannazione.
 
   « Capisco come si senta in questo momento. Mi creda, sono davvero desolato », chissà perché dal suo tono sembrava non fregargliene niente, invece. « Però ho una buona notizia. »
Cosa ci poteva essere di buono in tutta quella faccenda? Tatsuki aveva perso anche quei pochi soldi sicuri che le permettevano di pagare l’affitto. Non aveva osato immaginare come avrebbe fatto a cercarsi un nuovo lavoro. Il solo pensiero di uscire dal suo appartamento le metteva i brividi.
   « Ho fatto visionare alcuni dei disegni che mi aveva presentato nel nostro primo colloquio, e gli editori della sezione josei li hanno trovati interessanti. Pensano che il suo stile, con qualche opportuna modifica, potrebbe adattarsi a un progetto che hanno intenzione di sviluppare a partire dal mese prossimo. Mi hanno chiesto di proporle l’incarico. »
   « E in cosa... in cosa consisterebbe questo progetto? »
   « Una raccolta di dōjinshi josei di vari autori, pubblicate in un nuovo mensile. »
   « Aspetti un secondo. Con josei intende... »
   « Sì, a carattere erotico ma non yaoi, e dedicate a un pubblico femminile. In redazione abbiamo ricevuto delle lamentele da parte delle lettrici riguardo alla prevalenza di dōjinshi seinen, così è nato questo progetto... »
Tatsuki aveva sentito il sangue salirle alle guance, mentre pian piano la voce del suo editore si era fatta più confusa alle sue orecchie. Conosceva bene il genere josei. Cioè, non perché lo seguisse, assolutamente, lei non... Sarebbe stato troppo imbarazzante. E poi i manga sulle storie d’amore non le piacevano, non erano proprio il suo genere. Soprattutto, non i manga josei, che trattavano l’amore da un punto di vista più maturo, anche troppo per i suoi gusti, in alcune scene. Era insomma... uno shōjo un po’ più spinto, e già lo shōjo... no, proprio no.
Sta di fatto che la richiesta era ben chiara. Si trattava di realizzare un capitolo autoconclusivo di quaranta pagine, riguardante una serie shōnen che in quel periodo stava riscuotendo parecchio successo sia tra il pubblico maschile che quello femminile. Bastava digitarne il nome su internet accompagnato dalla dicitura dōjinshi che apparivano pagine su pagine piene zeppe di link. Ma come aveva detto l’editore, erano tutte prevalentemente indirizzate a lettori di sesso maschile. In generale, comunque, il mercato di dōjinshi josei non dedicate allo yaoi non aveva lo stesso seguito di quello seinen, probabilmente anche perché come genere era nato successivamente e riscontrava ancora parecchie rimostranze dovute al pudore di un sesso femminile giapponese emancipato solo idealmente. La mossa della casa editrice era stata furba, non c’è che dire. E avrebbe sicuramente favorito introiti significativi in quel periodo di crisi economica, anche se le dōjinshi sono pubblicate mediamente a basso prezzo e a tiratura minima.
Ma lei, lei, Tatsuki... come diavolo avrebbe fatto a disegnare qualcosa del genere?
  « Sensei, mi sta ascoltando? »
   « Mi scusi... può ripetere? »
   « Dicevo, i risultati di un sondaggio e le varie lettere delle abbonate ci hanno permesso di stilare una lista di quello che vorrebbero vedere. Più del 40% si è dimostrato propenso verso una trasposizione AU, alternative universe, quindi... »
Tatsuki si era lasciata cadere sul letto, tornando ad appoggiare la testa contro il cuscino e chiudendo gli occhi mentre la voce maschile all’altro capo del ricevitore si era fatta nuovamente confusa.
Inutile dire che... non avesse la benché minima esperienza in quel campo del disegno, e nemmeno... della vita. Come avrebbe potuto? I suoi contatti umani si limitavano davvero al suo editore e a Ichigo. Non sapeva neanche da che parte avrebbe potuto cominciare, e chiedere a uno dei due era fuori discussione. Soprattutto al cugino. Non osava immaginare che faccia avrebbe fatto, se... gli avesse chiesto qualche delucidazione a proposito del sesso.
   « ... Sensei? »
   « S-Sì? », era scattata nuovamente sull’attenti, come una molla.
   « Personalmente infine, mi sento di consigliarle una storia riguardante il mondo degli host. Tempo fa pubblicavamo una serie di questo genere che ha avuto un discreto successo. Quindi... se la sentirebbe? »
Perché il suo tono noncurante sembrava quasi canzonatorio, con quel “se la sentirebbe”? Tatsuki lo sapeva bene. Il suo editore non stava mettendo in dubbio il suo talento artistico di cui era più che a conoscenza, ma... il fatto che avesse ben poca scelta.
Cosa altro poteva fare se non accettare?
   « Sì... Sì, va bene. »
   « Perfetto. Ci sentiamo tra un mese, al termine della scadenza. A seconda del successo o meno di questo progetto, la ricontatterò nel caso ci fosse ancora bisogno della sua collaborazione. »
 
E così aveva iniziato a documentarsi.
Tatsuki si era rifiutata di comprare quella serie di cui le aveva parlato l’editore, non poteva rischiare di lasciarsi influenzare dall’opera di qualcun altro. Ne andava del suo orgoglio – anche se misero – di mangaka, come del successo di quel lavoro. Doveva trovare qualcosa di originale.
Il punto era che non sapeva che pesci prendere.
Era stato in quel momento che, come un fulmine a ciel sereno – che poi così sereno non era affatto –, aveva letto per la prima volta il suo nome.
Come al solito stava passando la serata su The BOSS. Dopo un pomeriggio di estenuanti ricerche per la sua povera innocenza, ricerche che in fin dei conti non avevano neanche fruttato granché perché Tatsuki non sapeva minimamente dove cercare, si era arresa all’evidenza che quel lavoro stava diventando sempre più impossibile per lei. Si era vergognata talmente tanto ad aprire certe immagini, che più di una volta si era trovata a chiudere il portatile e ad allontanarlo, frustrata. Forse avrebbe semplicemente dovuto chiamare il suo editore e campare per aria qualche scusa, del tipo che si era rotta un braccio e non avrebbe potuto portare a termine l’incarico che si era presa. Ma si rendeva conto da sola che era qualcosa di stupido, nonché infantile. Com’era possibile che una ragazza di diciannove anni non riuscisse a disegnare una... una scena di sesso senza rischiare un aneurisma per il troppo afflusso di sangue al cervello? Per non parlare del problema soldi. Non avrebbe saputo come arrivare a fine mese, se avesse rifiutato quell’incarico e quindi rotto il contratto con la casa editrice.
Alla fine aveva deciso di rimandare il problema al giorno dopo. Chissà che la notte non le avrebbe portato consiglio. Così aveva chiuso tutte le schede contenenti foto, video, e spiegazioni di ogni sorta con un sospiro di sollievo, per poi riavviare il computer, come per purificarlo. Si era sentita davvero una stupida.
E a quel punto, quando era entrata su The BOSS si era sentita rinascere. Dei suoi “conoscenti”, però, in chat non c’era nessuno. In particolare, Bluerikka le aveva detto che quella sera non si sarebbe collegata, e TheGrimReaper non era mai online mai se non dopo le tre, quattro di mattino. Un po’ le dispiaceva, perché i momenti in cui poteva parlare con lui erano davvero pochi, cioè quando lui finiva prima quello che evidentemente era un turno di notte, oppure quando la stanchezza era clemente e permetteva a lei di tirare fino all’alba.
 Era stata lei stessa ad avvicinarlo la prima volta, incuriosita dal suo nickname. Tatsuki si era chiesta se fosse dovuto al nome del gruppo, e infatti era stato così. Si era trovata a parlare di musica, di film, di manga, di sport, e di molte altre cose con una persona che non conosceva minimamente, in un modo del tutto naturale. E ogni volta che chattavano, scopriva di avere in comune con lui sempre più cose. Se fosse stato collegato, probabilmente avrebbe chiesto a lui un consiglio su quella situazione. O forse no. In fondo non era il caso di dare troppi dettagli sulla propria vita privata, lì. The BOSS serviva proprio a questo.
Era quindi stata sul punto di chiudere anche quella scheda, quando una conversazione pubblica denominata “host” aveva catturato la sua attenzione. Possibile che fosse proprio riguardo all’argomento che doveva illustrare lei? No, doveva trattarsi di qualche cosa sull’informatica. O magari del libro di quella scrittrice americana, o dell’album dei Paradise Lost, perché no.
Eppure non le sarebbe costato niente controllare.

   -DragonForce si è aggiunto alla conversazione. 

Aveva scorso rapidamente i precedenti messaggi dei partecipanti, e in breve si era resa conto di aver fatto bingo.
Le altre tre souls, membri della conversazione, da come scrivevano sembravano donne. Due parevano conoscersi, l’altra era un’estranea, probabilmente aggiuntasi incuriosita da quel titolo, come lei del resto. Leggendo le parole di quelle che – dalla spropositata quantità di faccine e dalla profondità dell’argomento trattato – aveva concluso fossero ragazze, probabilmente della sua età pure, e vedendo la leggerezza con cui si esprimevano riguardo certi argomenti, aveva sentito il viso tornarle rosso come prima durante la sua ben poco istruttiva ricerca. Forse era lei quella troppo “suscettibile”. Però, insomma, quella era una conversazione pubblica, chiunque avrebbe potuto leggere quello che scrivevano... Chiunque, come lei, che non era riuscita a staccare gli occhi dallo schermo.
 
   -
Hakimitsu:
Personalmente trovo che il Jūichiban sia il migliore. È anche economico.
   -Nobushin:
Non ci sono mai stata.
   -Hakimitsu:
Non sai che ti perdi. (=//ー//=)
   -MadHole:
Io di solito vado al Gion Kobu. o (・ω・) o
   -Hakimitsu:
Tu non fai testo perché di solito sei lesbica, Maddie. Gion è un locale solo di hostess! (≧▽≦)
   -MadHole:
Ahahah! Ma sono meravigliose, tutte vestite da geishe!
(bisex, io sono BISEX!)
   -Hakimitsu:
Svestite vorrai dire!
(≧▽≦)
   -Nobushin:
Allora... cosa mi dici di questo Jūichiban, Hakimitsu-san?
(σ・∀・)σ
   -Hakimitsu:
Ti dico che ci devi andare. E chiedi di Grimmjow Jaegerjaques. Lo so che sembra un nome strano, ma fidati che non te ne pentirai. (=//▽//=)
   -MadHole:
Grimmjow è quello di cui mi hai parlato, che fa anche i... “servizi a domicilio”? (- O -) +
   -Hakimitsu:
Proprio lui! ノ(=////▽////=)ノ♥
   -Nobushin:
Intendi dire che...? (・//_//・;)
   -Hakimitsu:
Su, non fare la timida! Anche noi donne abbiamo il diritto di divertirci senza impegno, ogni tanto! (^o-)☆
   -Nobushin:
...
   -
MadHole:
Mi sa che l’hai scandalizzata!  ┐(´ー `)┌
   -Hakimitsu:
Nobushiiiin?
   -Nobushin:
... Non è che per caso hai un recapito, o qualcosa con cui posso contattarlo? (#^o^#)
   -MadHole:
Wooh, altro che scandalizzata! (* O *)9
   -Hakimitsu:
Certo che ce l’ho! Brava ragazza! (*▽*)9
Fatti un giro qui, è il suo blog, c’è il suo numero di cellulare e ci sono anche certe foto in costume che... AAARG!
 
... Cosa diavolo stava facendo?
La mano di Tatsuki, quasi stupidamente perché in fondo si trovava di fronte a un computer, aveva cercato all’istante una penna e un pezzo di carta che non aveva trovato, così aveva preso a scrivere velocemente sul suo avambraccio quel breve link comparso sullo sfondo nero della chat, come se avesse avuto paura che sarebbe potuto sparire da un momento all’altro. Non aveva avuto il coraggio di cliccarlo, per quel giorno ne aveva già viste troppe.
Poi era rimasta a fissare le lettere sulla sua pelle, sconcertata da se stessa. E aveva chiuso per l’ennesima volta il portatile, nascondendo il viso sotto il cuscino, la mente che non ne voleva sapere di smetterla di lavorare freneticamente.
Era un’idea assurda quella che le era venuta.
 
   -DragonForce ha abbandonato la conversazione.
   -MadHole:
Lei mi sa che l’hai scandalizzata davvero, Hakicchan. (*^o^)乂(^ε^*)
 
Assurda, Tatsuki. Davvero assurda.
 
 
 
Grimmjow Jaegerjaques riagganciò per l’ennesima volta il cellulare, trattenendosi a fatica dal tirarlo in faccia a qualcuno, imprecando mentalmente in tutte le lingue possibili e immaginabili.
Era già la quarta telefonata, quella sera. La quarta, dannazione.
E per la quarta volta, dall’altra parte del ricevitore il nulla. Non un rumore, neanche un respiro. Non importa quante volte avesse detto “pronto” o chiesto “chi è” con un tono sempre più spazientito, non aveva ricevuto nessuna risposta. Per di più il bastardo chiamava con un numero privato, quindi non si poteva neanche rintracciarlo. Ah, ma se avesse chiamato ancora non si sarebbe certo risparmiato, quello era poco ma-...
   « Ti vedo nervoso stasera, ragazzo. »
Grimmjow si girò sull’alta sedia da bar al suono di quella voce dal velato tono canzonatorio, inarcando un sopracciglio e sollevando lo sguardo verso l’altrettanto l’alto barista dalla carnagione e dai capelli scuri che stava asciugando un bicchiere con noncuranza, mentre gli rivolgeva un sorriso appena accennato. Appoggiando un gomito sul bancone e riprendendo in mano il drink che vi aveva appoggiato sopra, Grimmjow rispose al suo sorriso, contenendo a stento l’irritazione.
   « Allora ti consiglio di andare a fare un salto dall’oculista, Mikk. Io sto benissimo. »
Ecco un altro personaggio singolare che come molti altri lavorava in quel girone dell’inferno, il Jūichiban Tai. Da quello che aveva capito, si era trasferito dal Portogallo appena due anni prima, eppure parlava il giapponese con una fluenza che avrebbe fatto pensare fosse nato e cresciuto proprio lì, a Tōkyō. Sarebbe stato meglio se invece fosse stato muto del tutto, si era trovato a pensare più di una volta Grimmjow, che per un motivo o per l’altro finiva sempre oggetto delle sue frecciatine pungenti. A quanto pareva si divertiva, lo stronzo.
Non aveva idea di quanti anni avesse, a occhio e croce sembrava sulla trentina. Ancora “giovane e prestante”, insomma. Aveva perso molte delle sue clienti abituali in adorazione davanti al bancone in quel bar. Un altro motivo per cui non lo sopportava.
Ma la cosa peggiore di Tyki Mikk, erano quegli occhi di un singolare castano dorato, che sembravano sempre sorridere con malizia, come se conoscessero di te molto più di quello che volevi far sapere. Anche in quel momento, il suo sguardo gli trasmetteva la stessa sgradevole sensazione.
   « Qualche signorina che non ti lascia in pace? »
   Quello che non mi lascia in pace adesso sei tu, bastardo che non sei altro, pensò Grimmjow con un altro sorriso tirato.
   « Sono i lati negativi del lavoro, che vuoi farci. »
E probabilmente Tyki Mikk avrebbe continuato a punzecchiarlo come al solito col suo ghigno odioso, se non fosse stato distratto dall’arrivo di una donna, un’altra delle tante clienti abituali del Jūichiban che evidentemente, da come si era posta, incrociando le braccia sul bancone e tendendosi lentamente su di esso, lasciando il tempo sia al barista che all’host di intravvedere l’abbondante scollatura, voleva attirare l’attenzione e ordinare da bere.
Grimmjow distolse appena lo sguardo, nascondendo una smorfia, mentre invece il ghigno divertito di Tyki, che aveva abbandonato all’istante la pulizia del bicchiere, si trasformò in qualcosa di completamente diverso. Sempre malizioso, ma non solo. Seducente. E in un certo senso, famelico.
   « Buonasera. Cosa le porto? »
   « Un Tyki senza ghiaccio, grazie. », rispose lei, alzando una mano e portandosela alla bocca altrettanto schiusa in un sorriso, sfiorandosi le labbra con le lunghe unghie laccate di nero, mentre una ciocca di capelli mossi e corvini le scivolava su una spalla.
Ecco, queste cose Grimmjow proprio non le poteva sopportare. Vedere quei due flirtare gli dava sui nervi allo stesso modo di quando gli capitava di beccare Linalee Lee e Ichigo Kurosaki in atteggiamenti piuttosto “intimi”, ergo, ad esplorarsi con insistenza le rispettive cavità orali con la lingua. Semplicemente, non riusciva a capire il perché le persone fossero talmente idiote da innamorarsi, o almeno, provare un’attrazione duratura per qualcun altro. Soprattutto, lui, come uomo, non riusciva assolutamente a comprendere cosa ci potesse essere di tanto attraente in una donna da spingerlo a cercarla spontaneamente per più di una notte e via. Le donne sono meschine, egoiste, capricciose, no, rompicoglioni è un termine più adatto. Pensano di essere migliori di te, di essere più intelligenti, quando invece sono solo delle esibizioniste che hanno pure il coraggio di lamentarsi se vengono considerate come mero oggetto sessuale. Proprio non ci trovava nulla di attraente, se non dal punto di vista fisico.
Allora perché fare quel lavoro, vendere il proprio corpo esattamente a chi odiava?
Perché è divertente.
Grimmjow si divertiva letteralmente da morire, a prendere per il culo il sesso femminile. Gli bastava un nonnulla, un sorriso, qualche parolina dolce, il resto lo facevano la sua voce naturalmente roca e il suo sex appeal. E tutte, immancabilmente, cadevano ai suoi piedi. Che stupide. Ce ne erano state alcune, tra le sue clienti, che si erano innamorate veramente di lui, credendo quella farsa reale. Altre invece, le più mature, fin dall’inizio in lui non avevano cercato altro che un modo per sentirsi nuovamente giovani, ma alla fine erano arrivate a sviluppare un senso di possessione quasi maniacale nei suoi confronti, aggrappandosi a quella sensazione che lui gli faceva provare e che non avrebbero mai potuto trovare nella loro noiosa vita di tutti i giorni. Il che era anche peggio.
Grimmjow ne aveva viste di tutti i tipi, a partire da quella donna che gli faceva schifo chiamare madre. E mai una volta ne aveva incontrata una in grado di farlo ricredere, mentre invece ogni volta aveva finito per sorridere ancora, trasformando quelle paroline dolci in frasi taglienti e cariche di insensibilità, capaci di recidere ogni parvenza di amore.
E intanto si intascava i suoi 5'000 yen all’ora. Meglio di così?
No, ecco, c’era qualcosa che avrebbe potuto rendere il tutto ancora migliore in quel momento, si trovò a pensare abbassando nuovamente lo sguardo verso il cellulare che aveva ripreso a vibrare indicando un numero privato per la quinta e... decisamente, l’ultima volta.
Facendo del suo meglio per farsi strada tra la calca di gente che affollava il locale senza tirare gomitate per la frustrazione, si rifugiò nel bagno degli uomini riservato allo staff, dove poteva finalmente prendere fiato, ed essere sé stesso per cinque secondi, il tempo di riempire quel chiunque fosse di insulti senza rischiare di lasciare a bocca aperta per lo stupore le clienti che lo credevano un aitante giovane a modo, perennemente affabile e sorridente.
   « Grimmjow Jaegerjaques. », si trattenne a stento dal ringhiare.
E ancora silenzio, mentre un sopracciglio gli cominciava a tremare.
   « Senti un po’, brutto-... », iniziò, digrignando i denti, ma fu interrotto prima che se potesse uscire con qualsiasi cosa di compromettente.
Era una voce di donna, senza dubbio. A sentirla così, al telefono, non seppe dire quanti anni potesse avere. L’unica cosa di cui si rese conto fu che, nonostante il tono piuttosto insicuro, risultava comunque in un certo senso risoluta, graffiante. Gli piaceva immaginare chi si sarebbe trovato di fronte semplicemente dalla sua voce, e di solito ci azzeccava sempre. Ventenne, quarantenne, single, sposata... Questa volta, però, non riuscì a classificare quella voce di donna in nessun modo. Cosa che lo incuriosì ancora di più.
   « Sei... libero domani alle 22? », aveva chiesto semplicemente, saltando tutti i convenevoli.
Grimmjow scorse mentalmente i suoi appuntamenti, trovando che a quell’ora effettivamente non era occupato. Raramente qualcuno lo richiedeva così presto, e lui tendeva a tenersi libero il giovedì, perché... merda. Si sarebbe perso la replica di Requiem for the Phantom.
   « Sì. Ho tempo fino all’una, poi ho un altro appuntamento. », celò uno sbuffo, appoggiandosi al ripiano del lavandino. Avrebbe cercato l’episodio in streaming, visto che proprio gli toccava. E poi era seriamente curioso di vedere in faccia chi lo aveva chiamato per ben cinque volte prima di trovare il coraggio di chiedergli un incontro. E se fosse stata una povera racchia sfigata che non lo vedeva neanche in sogno da anni? Non ridere, Grimmjow, son sempre soldi...
Si era poi schiarito la voce e aveva appena iniziato a snocciolare il solito, la tariffa, i servizi che era disposto e non disposto a dare – il bondage e, più in generale, il sadomaso, se li poteva proprio scordare –, quando la voce dall’altro capo del telefono lo interruppe di nuovo.
   « N-No, non voglio fare niente del genere, hai frainteso. »
   « Perfetto, allora. Ci capiamo fin da subito. » rispose con un falso sorriso complice, che trasparì dal suo tono. Era importante stabilire fin da subito un certo feeling, credeva. « Beh, ho bisogno del tuo indirizzo e del numero di cellulare », quello vero, grazie, pensò ancora con una punta di risentimento, « nel caso avessi bisogno di contattarti per qualche contrattempo. »
 
 
 
E finalmente, il campanello suonò, facendola sobbalzare.
Tatsuki si girò per l’ennesima volta verso la porta, mordendosi il labbro a sangue, nervosa come non mai. Per un secondo accarezzò l’idea di fare finta di niente e di non aprire, fregandosene. Ma il post-it che aveva attaccato sulla maniglia con scritto “sei una fifona!”, come previsto fece affiorare quel briciolo di orgoglio che ancora le rimaneva, facendole decidere di prendersi la responsabilità delle sue azioni, delle quali però si era già pentita. Perché diavolo le era venuta un’idea del genere...
Strappò con rabbia il foglietto giallo incriminato, ficcandoselo in tasca, poi prese un grosso respiro e posò la mano sulla maniglia. No, a ripensarci forse era davvero il caso di fare finta di nien-...
Il campanello suonò ancora, facendola trasalire di nuovo. E che diavolo, un po’ di pazienza!
Così, lentamente, aprì la porta tenendo il catenaccio per controllare che fosse davvero chi si aspettava.
La prima cosa che notò, fu che era alto, parecchio alto in confronto a lei, probabilmente era vicino al metro e novanta. E che aveva davvero i capelli azzurri, come aveva visto in foto.
Cioè, i capelli azzurri. Non aveva del tutto metabolizzato che si sarebbe trovata davanti una copia un po’ stinta di Kamina. E diamine, sorrideva pure allo stesso modo, pensò scoprendosi già indispettita dalla sua aria così sicura.
Grimmjow sorrideva, sì, per nascondere il colpo che gli era venuto a veder sbucare da quella porta semiaperta un occhio scuro contornato da capelli altrettanto scuri. Cazzo, aveva perso dieci anni di vita, e per un attimo la sua capacità di rimanere imperturbabile aveva vacillato. A Resident Evil gli piaceva giocarci solo con la play.
Prese un grande respiro quando Tatsuki chiuse la porta per togliere il catenaccio, preparandosi al peggio. Brufoli? Rotoli di ciccia? Fondi di bottiglia al posto degli occhiali almeno li poteva escludere. L’apparecchio però no.
Di solito Grimmjow accettava come clienti solo quelle che già lo richiedevano abitualmente come host, giusto per coronare il tutto con la ciliegina sulla torta. E poi così almeno sapeva chi si sarebbe trovato di fronte. Certo, ogni tanto era divertente andare così, “all’avventura“, quando gli capitavano quelle telefonate praticamente anonime, di donne che avevano chissà come scovato il numero che usava per il “lavoro”, magari entrando in possesso grazie a un’amica dei bigliettini da visita bianchi che lasciava cadere con nonchalance nelle scollature o nelle tasche posteriori delle frequentatrici del Jūichiban, oppure magari ancora, copiandolo dal suo blog privato – su cui per scherzo aveva anche inserito un sistema di feedback, che si rivelavano immancabilmente positivi.

Ma gli era anche capitato che questo gli si ritorcesse contro, come quella volta che lo aveva chiamato una ragazza che proprio, con tutta la buona volontà e l’amore per i soldi... Insomma, si era visto costretto a fingersi colto da un improvviso dolore lancinante allo stomaco. E anche questa volta era stato un po’ incauto ad accettare così, doveva ammetterlo. La curiosità probabilmente gli aveva giocato un brutto tiro, stava pensando, grattandosi il collo, mentre sentiva finalmente il catenaccio scattare e la porta aprirsi.
... O forse no.
La prima impressione che ebbe, fu quella di averla già vista da qualche parte. Come se la conoscesse da una vita, anche se era sicuro al mille per cento di non averla mai incontrata. Ma fu un'impressione passeggera, che scacciò in fretta dalla testa.
Era bassina, no, nella norma per una ragazza, è che la trentina di centimetri di differenza tra le loro altezze la facevano sembrare ancora più piccola di quanto in realtà fosse. Gli arrivava sì e no al petto.
Non poteva dire nulla del suo fisico, se fosse magra o “in carne”, perché indossava una tuta grigia di svariate taglie più grandi, però dalla larghezza delle spalle intuì, o forse è meglio dire sperò, che fosse la prima opzione. Di solito, anzi, sempre, tutte le donne che fino a quel momento l’avevano richiesto, quando si erano presentate avevano dato il meglio di sé. Vestiti attillati, se non addirittura praticamente inesistenti, trucco pesante, capelli pettinati alla  perfezione. Già, capelli.
I capelli di quella ragazza sembravano avere vita propria. Erano neri, piuttosto lunghi, le arrivavano alla vita, parecchio spettinati poi, e da lontano parevano anche un po’ unti, ma in realtà si rese conto che erano bagnati perché Tatsuki non si era presa neanche il disturbo di asciugarli, dopo la doccia. Entrando e passandole accanto, Grimmjow poté sentire bene il profumo del suo balsamo.
Beh... insomma, non era poi così male. Anzi. Con un po’ di trucco a coprirle le occhiaie e a darle colore alle guance innaturalmente pallide, il suo sarebbe stato davvero un bel viso, anche sensuale, in un certo senso. Gli piaceva il contrasto che le sottili sopracciglia nere aggrottate davano con le labbra piene, che nervosa continuava a mordicchiarsi. Doveva avere la sua età, forse qualche anno in meno, anche se quell’atteggiamento la faceva sembrare una bambina un po’ timida e imbronciata. Sarebbe stata una dolce sfida vincere le sue difese e farla cadere ai suoi piedi come tutte le altre. Già si pregustava la sua espressione e la sua voce nel momento in cui l’avrebbe resa la donna più felice della pianeta.
Tatsuki si sentiva il suo sguardo addosso, si sentiva studiata. E la cosa, oltre ad innervosirla ancora di più, la irritava a dismisura. Ma non aveva nemmeno il coraggio di alzare gli occhi verso di lui per dirgli di darci un taglio, si sentiva troppo in soggezione dalla presenza di un estraneo.
I contatti umani erano esattamente il suo punto debole.
Non era la sua stazza ad intimorirla, sapeva che con qualche colpo nei punti giusti, sarebbe stata in grado di farlo cadere per terra in ginocchio a invocare l’aiuto della propria madre. Ne aveva messi al tappeto anche di più piazzati, avrebbe solo dovuto provarci, ad alzare un dito su di lei contro il suo volere. Quindi il problema, fin dall’inizio, quello che l’aveva bloccata dallo spiccicare anche solo una sillaba ogni volta che aveva composto il suo numero, non era stata la paura di trovarsi in casa da sola con un uomo. Bensì il dover parlare con qualcuno che non fosse lei stessa. Il dover guardare qualcosa che non fosse il volto dei suoi personaggi disegnati. Il dover anche solo respirare la stessa aria di una persona che, maledizione, perché non la smetteva di fissarla?
Doveva restare calma. Fare un respiro profondo e stare calma, mentre si faceva da parte per permettergli di entrare.
Grimmjow si infilò le mani nelle tasche dei jeans scuri e diede una veloce occhiata intorno a sé, curioso. Soggiorno e cucina erano costituiti da una piccola stanza unica, praticamente non arredata se non per un largo kotatsu e un mobile a muro che ricopriva tutto un lato della stanza. E il divano era in realtà un materasso ricoperto da una fodera bordeaux e una montagna di cuscini.
L’unica cosa che spiccava in quella stanza, era un enorme, ma proprio enorme, televisore a schermo piatto da cinquanta o forse addirittura sessanta pollici. Grimmjow rimase a fissarlo incantato per qualche secondo, provando l’impulso di stordire con un colpo quella ragazza e scappare, portandosi via quella meraviglia. Ma doveva trattenersi, quella sera non poteva permettersi di lasciar divagare le fantasie su nient’altro a parte i mille modi che conosceva per far capitolare una donna. Anche se guardare la trilogia di Matrix su quello schermo... E chissà se aveva pure la funzione 3D...
   « Immagino tu lo sappia già, ma beh... Grimmjow Jaegerjaques. », si costrinse a distogliere l’attenzione da quei benedetti sessanta pollici e a porgerle la mano in un gesto molto occidentale, come metà delle sue origini del resto, origini che gli piaceva esasperare mentre lavorava. « Chiamami pure solo Grimmjow, lo so che il mio cognome è difficile. », per gli imbecilli, sorrise candidamente.
Respira, Tatsuki, respira e per l’amor di dio non prenderlo a pugni sui denti per levargli quel ghigno odioso dalla faccia, si impose lei a sua volta, mentre allungava la mano a prendere la sua.
   « Il mio invece non lo è, quindi chiamami Arisawa e basta. », ricambiò la sua stretta, in un modo che Grimmjow avrebbe definito inaspettatamente secco e deciso. Così come la sua voce, che l’aveva tanto incuriosito, e che dal vivo sembrava ancora più graffiante.
Non vedeva l’ora di sentirla ansimare il suo nome.
E da un lato, era quasi contento che l’altro appuntamento di quella sera fosse saltato.
   « Allora. Come ti ho detto al telefono, io prendo cinquemila yen all’ora. Per questa volta, visto che è la prima, per tutta la notte posso farti uno sconto, diciamo... quarantamila yen in tutto. Ma non di più. »
La osservò tentennare, come se ci stesse pensando su.
   « Due... due ore dovrebbero bastare. »
Pazienza. Quella notte non sarebbe stata tra le più fruttuose in termini di guadagno materiale.
   « Come preferisci. Sono diecimila. E puoi darmeli anche adesso, tranquilla che con me non vale il “soddisfatti o rimborsati”. Perché sarai sicuramente soddisfatta. »
Il guadagno fisico però non era minimamente da mettere in dubbio.
 
I minuti che seguirono, e in cui Tatsuki lo invitò ad accomodarsi dove meglio credeva, Grimmjow li passò a cercare di decifrare dal suo modo di fare che tipo fosse, e di conseguenza, come avrebbe dovuto condurre il gioco.
   « Vuoi... qualcosa da bere? Non ho molto, però. »
Oh, allora era una di quelle che cercavano di far sembrare la situazione più normale possibile. E da come si comportava, evitando così ostinatamente il suo sguardo, sembrava pure imbarazzata. Perfetto. Quel tipo di clienti erano proprio quelle che sopportava meno, perché bisognava fingere di più per metterle a loro agio.
   « Perché invece non vieni qua e ti siedi? », accennò a un sorriso, tamburellando le dita sul posto accanto al suo sul “divano”.
Tatsuki lasciò cadere la mano che aveva teso per aprire il frigorifero – frigorifero che avrebbe preso volentieri a testate tanto si sentiva a isterica in quel momento – e si voltò verso di lui, ripetendosi mentalmente il suo mantra di restare calma.
   « Sì... sì. Forse è il caso di iniziare subito. »
In fondo due ore non erano poi molte, e se non voleva buttare per niente diecimila yen, era meglio non perdere tempo. Così con passo deciso si diresse verso Grimmjow, che non aveva smesso di ammiccare un secondo, già pregustandosi la sua vicinanza, e si sedette in ginocchio di fronte a lui. Poi prese un profondo respiro, stringendo impercettibilmente la stoffa dei propri pantaloni tra le dita.
   « ... Per favore, spogliati. »
Grimmjow aggrottò le sopracciglia, rimanendo per un secondo interdetto da quella richiesta così esplicita. Forse aveva giudicato male, ora più che imbarazzata e restia a lasciarsi andare, sembrava determinata. Fin troppo, il suo sguardo, che finalmente aveva deciso di rivolgergli, quasi metteva soggezione. A lui, Grimmjow Jaegerjaques, e questo era tutto un dire. E se invece fosse stata una di quelle tipe dominatrici, che godono a sottomettere l’uomo...? Ah, no. No, no, no. Se era quello il caso, si erano capiti proprio male.
   « Senti un attimo, pensavo di essere stato chiaro. Niente richieste strane. », decise di sottolineare ancora una volta rilassando il viso nell’ennesimo sorriso, mentre si tirava appena su per avvicinarsi a lei.
Tatsuki si ritrasse istintivamente di qualche centimetro. « Non mi sembra una richiesta così strana. »
Beh, sì, in effetti non aveva tutti i torti. Non aveva ancora tirato fuori frustini e manette, per lo meno. Forse voleva solo... sì, guardarlo. A Grimmjow invece piaceva spogliare e farsi spogliare, ma quello che contava per guadagnare soldi non era quello che preferiva lui. Almeno, nei limiti del possibile, come per i frustini sopraccitati. Ma era il fatto di non riuscire a capire cosa diavolo le passasse per la testa, che lo faceva sentire... come dire, insicuro. Sensazione più unica che rara per lui, convinto, convintissimo di sapere il fatto suo per quanto riguardava il lavoro. Per questo, non avrebbe fatto minimamente trapelare i suoi dubbi, e anzi, avrebbe sfruttato quella richiesta sì un po’ inaspettata per riprendere il controllo della situazione.
Aveva notato che si era tirata subito indietro non appena lui le si era avvicinato. Davvero non riusciva a capirla. Ennesimo forse, il suo modo di fare risoluto era appunto un modo per mascherare l’imbarazzo. In questo caso...
Ghignare in quel modo insopportabile sembrava essere quello che sapeva fare meglio. Tatsuki avvertì nuovamente il suo radar interno impazzire quando lo sentì avvicinarsi ancora, troppo per i suoi asociali gusti. Però si costrinse a rimanere ferma dov’era perché in qualche modo, gli occhi chiari e dal taglio felino di quel Kamina stinto, sembravano lanciarle una muta sfida.
Vediamo per quanto riuscirai a resistere, sembravano dire.
Così Grimmjow cominciò a sfilarsi la maglietta nera, in modo lento, esasperante, per poi abbandonarla al suo fianco sui cuscini, mentre scuoteva appena la testa per scostarsi le ciocche di capelli dal viso.
Poi si tirò su, facendo peso sulle ginocchia, mentre con le dita sfiorava la fibbia della sua cintura di pelle, che iniziò a slacciare insieme al bottone e alla cerniera dei jeans. Sempre lentamente, dando modo a Tatsuki di assaporare ogni suo gesto.
Tatsuki che era letteralmente sul punto di implodere. Solo la sua espressione era in grado di farla vergognare fino alla punta dei capelli, senza tenere conto di quello che stava facendo e di come lo stesse facendo.
E per di più... aveva un corpo bellissimo.
Talmente bello che per un secondo, un brevissimo secondo, provò l’impulso di allungare una mano e accarezzargli il petto.
Invece si costrinse a distogliere lo sguardo quando notò che con il pollice aveva preso ad abbassarsi l’orlo dei boxer aderenti.
   « ... Quelli puoi anche tenerteli su. »
Ah ah, Grimmjow si sentì come se avesse appena vinto un miliardo di yen alla lotteria. Il vederla girarsi così, arrossire, perché oh, se era arrossita, gli aveva dato una soddisfazione immane. Quella sfida si stava facendo a ogni minuto che passava più interessante.
Ma ad essere sinceri, lui stesso stava cominciando ad essere impaziente, e più di altre volte, anche se non riusciva a capire perché. Non che gliene importasse dei perché e dei per come, in quel momento.
   « Che c’è? Sei timida, gattina...? », mormorò azzerando la distanza tra loro, portando la bocca al suo orecchio e sfoggiando il tono suadente di quando voleva vincere le eventuali ultime resistenze dovute al pudore delle sue clienti. Così vicino, poteva sentire ancora di più il profumo dei suoi capelli appena lavati.
E a quel punto fece qualcosa che non avrebbe mai dovuto fare.
Posando le labbra sul suo collo, alzò una mano e gliela infilò sotto l’enorme felpa. E prese ad accarezzarle un seno. Seno che piacevolmente si rivelò non così piccolo come avrebbe detto a prima vista, nascosto dai vestiti.
Tatsuki rimase immobile, pietrificata, mentre sentiva le sue dita e i suoi baci sulla sua pelle farsi sempre più decisi e intraprendenti. Ma fu solo un attimo.
Il tempo di realizzare cosa diavolo quel tizio dai capelli azzurri stesse facendo, che lo spalmò letteralmente al suolo, e gli bloccò il braccio della mano incriminata dietro la schiena, mettendosi a cavalcioni su di lui e premendo un ginocchio contro le sue costole, mentre lo fissava come se avesse voluto smembrarlo da un momento all’altro.
Grimmjow non ebbe nemmeno il tempo di reagire, e dire che ne sarebbe stato capace, un paio di cosette sul combattimento corpo a corpo le sapeva anche lui. Ma la reazione di quella ragazza che fino a un secondo prima aveva guardato con occhi sconcertati il suo corpo nudo, evidentemente in imbarazzo, lo aveva colto completamente alla sprovvista.
Non riusciva minimamente a capirla, né a prevedere le sue mosse. Un secondo prima sembrava una timida vergine timorata di dio, quello dopo una specie di... di violenta psicopatica. Non gli era mai capitato di trovarsi di fronte a una donna del genere. Per la prima volta nella sua lunga e fruttuosa carriera da simil escort, non sapeva da che parte iniziare per tentare un approccio.
E anche se così piccola in confronto a lui, sembrava parecchio forte. E il modo in cui l’aveva bloccato, la sua presa, sembravano quelli di una che aveva fatto delle arti marziali il proprio stile di vita. Peccato che i muscoli scolpiti di Grimmjow non fossero solo di bellezza, se avesse voluto, avrebbe potuto liberarsi piuttosto facilmente e ribaltare le posizioni. A quel punto non ci avrebbe messo molto a farle capire chi comandava, con la forza.
Ma nonostante la parvenza di orgoglio che gli rimaneva, orgoglio che si trovava ferito ad essere immobilizzato a terra da una... una ragazzina, non avrebbe mai alzato un dito su una donna. E non avrebbe neanche perso la pazienza, no. Non avrebbe sicuramente permesso a nessuna ragazzina di far cadere la facciata imperturbabile che aveva speso anni a costruire. Così si limitò a piegare come poteva la testa per guardarla, facendole un altro dei suoi sorrisi.
   « Ehi, avevamo detto niente cose strane, ricor-...? », ma si zittì subito, rendendosi conto del suo sguardo assassino.
Tatsuki dovette ripetersi almeno un centinaio di volte di stare calma per impedirsi di ridurlo in poltiglia. Ogni punto della sua pelle che aveva toccato bruciava ancora, come il suo viso rosso di rabbia e vergogna. Chiuse gli occhi, serrando forte le dita attorno al suo polso che teneva ancora chiuso in una tenace stretta. Ma non era solo lui che voleva tenere fermo, anche sé stessa, perché sentiva che se l’avesse mollato, avrebbe finito per riempirlo di pugni.
   « Mettiamo subito in chiaro tre regole, mh? Tu non mi tocchi, tu non parli a sproposito, e soprattutto non mi chiami “gattina”, ed io ti ridò i tuoi... », si fermò per allungarsi ed estrarre dalla tasca dei suoi jeans abbandonati sul divano, i diecimila yen che gli aveva appena dato. Diecimila a cui ne sottrasse due, infilandoseli nella sua, di tasca.  « ... ottomila yen. Chiaro? », e premette ancora di più il ginocchio contro la sua schiena.
Grimmjow rimase a fissarla talmente allibito che per qualche secondo non trovò la forza di parlare. In un attimo però si scosse, quando la vide intascarsi i suoi duemila yen. Va bene l’essere carini e gentili, però... eh, no, i soldi no. Adesso gli stava veramente facendo perdere la pazienza che non aveva mai avuto.
   « Come diavolo facciamo a fare sesso se non ti posso neanche toccare, me lo spieghi?! », sbottò ricambiando il suo sguardo di fuoco, lasciando che il sorriso a cui teneva tanto si trasformasse in una smorfia arrabbiata, mentre con uno strattone cercò di liberarsi.
   « Ma cosa...?! » Tatsuki in risposta rafforzò la presa, alzando a sua volta la voce. « Io non farei sesso con te neanche se fossi tu a pagarmi! »
   « Si può sapere per quale cazzo di motivo mi hai fatto venire qua, allora?! »
   « Se stessi fermo cinque secondi, non chiedo tanto, cinque secondi, forse lo capiresti da solo! »
E rimasero ancora a fissarsi, entrambi furiosi, lui totalmente disorientato, lei offesa a morte. Poi fu ancora Tatsuki a distogliere lo sguardo, lasciandogli lentamente andare il braccio e scostando il ginocchio che ancora premeva contro le sue costole. Grimmjow si tirò a sedere, stirandosi la schiena massaggiandosi il polso. Forse, se avesse voluto, non sarebbe poi stato così “piuttosto facile” liberarsi da solo.
   « Allora? », sbuffò spazientito inarcando un sopracciglio.
Tatsuki lo fulminò con gli occhi, puntandogli un dito contro, mentre faceva come per alzarsi.
   « Stai... fermo. »
   « Non ti tocco. », promise esasperato, alzando le mani in segno di resa.
E in silenzio, la osservò dargli le spalle e dirigersi verso il quadro di regolazione del riscaldamento sul muro accanto alla porta, mentre con un gesto goffo e ancora imbarazzato, si abbassava appena la cerniera della felpa per sistemarsi il reggiseno che Grimmjow le aveva spostato.
Alzò di qualche grado la temperatura che di solito teneva il più basso possibile per risparmiare, perché di certo non poteva lasciarlo morire di freddo così, solo in boxer, anche se l’idea era parecchio allettante.
Distrattamente gli lanciò un’altra occhiata per tenerlo sotto controllo, e così si accorse che nel frattempo, con l’ennesimo sbuffo, si era sdraiato con nonchalance sul divano, appoggiando la testa a un pugno.
   « ... Fermo. »
   « Hai ancora intenzione di dirlo ancora quante volte? »
   « Intendevo-... aspetta, non muoverti. Davvero. »
Quella ragazza doveva avere qualche rotella che girava nel verso sbagliato, pensò Grimmjow, seguendola ancora con gli occhi mentre in fretta e furia si avvicinava al grande mobile a muro e ne apriva un’anta, tirandone fuori un libro di anatomia e un quaderno. Aggrottò le sopracciglia, affinando lo sguardo. Erano manga quelli che aveva appena fatto in tempo ad intravvedere prima che lei richiudesse l’anta? ... Un’infinità di manga.
Ma non ebbe il tempo si soffermarsi a pensarci sopra, perché il gesto seguente che lei fece lo sconcertò ancora di più. La vide frugare in un cassetto, sempre di quel grande mobile, e prendere un astuccio nel quale risuonarono un mucchio di... cosa, matite? Lo erano, le distinse chiaramente quando lei le sparpagliò sul piano di legno del kotatsu.
Tatsuki ne prese in mano qualcuna, strizzando gli occhi per leggere il tipo di grafite, poi aprì il blocco da disegno sfogliando le prime pagine già occupate da schizzi, finché non ne trovò una bianca. E a quel punto tornò a guardarlo, portandosi distrattamente la matita che aveva scelto di usare alle labbra, immersa nei suoi pensieri.
Quindi iniziò a disegnare.
 
Che... che cazzo era quella squallida scena da Titanic?
E soprattutto, perché era lui quello nudo a fare  la parte di Rose? Beh, almeno alla fine non sarebbe stato lui a crepare conge-... Okay, sul serio, era ora di darci un taglio a quella situazione assurda.
   « Senti, aspetta un secondo. », iniziò a dire, ma lei lo bloccò con l’ennesima occhiataccia.
   « Fermo. »
In tutta risposta Grimmjow si tirò su a sedere, puntandole un dito contro. « No, tu ferma. Cosa dovrebbe significare questa... cosa? Cioè... », si portò una mano alla testa, passandosela tra i capelli e facendo un sospiro profondo per calmare l’irritazione. « Si può sapere cosa diavolo stai facendo? »
   « Secondo te? »
   « Mi stai... disegnando. », sottolineò quella parola come se fosse la più strana del vocabolario.
   « Ma come siamo perspicaci... », mormorò lei tornando con lo sguardo al suo foglio.
   « Ehi, prendi poco per il culo. E ti ho detto di smetterla. »
   « Mi spieghi qual è il problema? »
   « No, qual è il tuo, di problema! Io non mi faccio pagare per essere disegnato. Non sono un modello. »
   « Lo so. Sei un host. »
   « ... Non in questo momento. »
Tatsuki evitò il suo sguardo, intuendo subito a cosa si riferiva. « Te l’avevo detto al telefono che non volevo fare nulla... », fece una piccola pausa, per poi indicarsi il corpo con la matita. « ... nulla del genere. »
   « Allora si può sapere perché hai chiamato me? »
   « Perché sei un host. E perché costi meno di un modello. »
   « Ancora? Lo so che sono un ho-... davvero i modelli si fanno pagare di più? »
La ragazza sospirò un po’ esasperata, per poi appoggiare sul kotatsu la matita e tornare a rivolgere il suo sguardo su di lui. Grimmjow si sentì di nuovo zittito senza bisogno di troppe parole, cosa che non gli andava esattamente a genio. Però non poté fare diversamente che darle ascolto.
   « Senti, ti spiego... tutto dopo. Ora mi lasci finire questo disegno? Per favore. »
Era impossibile rifiutarsi a quegli occhi.
 
I primi dieci minuti passarono senza che una mosca volasse. C’è da dire, a suo merito, che Grimmjow si impegnò davvero per rimanere immobile nonostante si sentisse prudere da ogni parte a stare fermo così. Voleva muoversi, ma al tempo stesso non voleva neanche farsi guardare come un moccioso che ha combinato qualche marachella e ha fatto arrabbiare la propria madre. Perché era così che lo sguardo di lei lo faceva sentire.
In breve, la considerazione che Grimmjow si era fatto di quella ragazza, era quella di una psicopatica con dei seri problemi di socializzazione, partendo dal contatto fisico. E poi insomma, non era stata neanche chiara su cosa voleva e non, al telefono. Se avesse saputo che sarebbe finita così, Grimmjow non si sarebbe neanche preso il disturbo di venire. Diecimila, anzi, ottomila yen non valevano l’irritazione e la noia che stava provando in quel momento.
Avrebbe potuto essere a casa sua a godersi Phantom, in quel momento.
Ecco, sì, così andava meglio. Bastava non pensarci. Distrarsi, e il prurito si attenuava. Così prese a guardarsi di nuovo in giro, ma decisamente in quell’appartamento spoglio c’era ben poco di interessante da osservare. Quindi il suo sguardo cadde inevitabilmente su Tatsuki.
Era seduta a gambe incrociate, il viso chino e concentrato sul foglio di fronte a lei, nella mano destra una matita, nella sinistra quella che doveva essere una specie di gomma molle, che quando non usava, tormentava in continuazione con le dita, come se fosse un antistress. Ogni tanto alzava lo sguardo su di lui, ma non si soffermava molto. Stava ancora facendo lo schizzo di imbastitura per la posizione.
Grimmjow osservò la sua mano andare avanti e indietro sul foglio, la stessa mano che gli aveva stretto il polso con forza e che adesso impugnava con delicatezza una matita. Non poteva negare di essere curioso, ma lei aveva già messo in chiaro che non doveva neanche provarci, a sbirciare.
Così lasciò che il suo sguardo salisse verso il suo viso, trovandosi a pensare che quella serata era davvero uno spreco. E quel pensiero si rafforzò ancora di più nella sua testa, quando, evidentemente sentendosi accaldata per aver alzato la temperatura, la vide togliersi la felpa e rimanere semplicemente in una canottiera, aderente a differenza del resto dei suoi vestiti, che sottolineava quello che prima aveva avuto solo il piacere di toccare di sfuggita.
Ma non fu semplicemente quel pensiero superficiale, ciò che gli passò per la testa.
Perché potendo osservare i suoi lineamenti così, rilassati, senza che lei sapesse che la stava fissando con tanta attenzione, si rese conto di una cosa importante.
Ecco cos’era, quella strana sensazione che aveva provato guardando il suo viso per la prima volta.
Perché quel viso, quei capelli spettinati e neri, avevano avuto il potere di risvegliare nella sua memoria un altro viso, altri capelli ugualmente spettinati e neri. La somiglianza era impressionante. L’unica differenza era nei suoi occhi, troppo scuri per essere scambiati per azzurri.
 
Dal canto suo, Tatsuki era ignara di essere oggetto di uno studio così approfondito, tanto misure e proporzioni la assorbivano. Aveva sempre avuto problemi a disegnare l’anatomia maschile, e la sua mancanza di un qualsiasi genere di studio specifico nel campo del disegno, era il suo più grande handicap. Aveva imparato tutto quello che c’era da imparare da sola, seguendo manuali, osservando i lavori di altri. Molte volte, per disegnare una figura sentiva il bisogno di immagini di riferimento, per cui spesso e volentieri usava sé stessa come modella. Eppure dentro di lei sentiva ancora un vago senso di insicurezza quando si trovava davanti a un foglio bianco, solo con una matita e tanta immaginazione come strumenti. In un certo senso, quasi inadatta, intrappolata, come le mille idee che aveva nella testa e che non sempre riusciva a rendere su carta. Ed era una sensazione che purtroppo non si sarebbe mai scrollata di dosso, che l’avrebbe bloccata per tutta la vita, tenendola ancorata coi piedi per terra senza alcuna speranza di poter iniziare a camminare da sola, correre con le sue gambe.
Per questo per Fly it aveva scelto uno stile che nel campo veniva definito “parodia”, uno stile che semplificava al massimo i tratti del corpo e che si concentrava più che altro sulle espressioni facciali, esasperandole fino alla comicità. Guardando quel suo manga, chiunque non le avrebbe dato un centesimo come disegnatrice josei. Eppure. Accidenti a lei che nel primo e penultimo colloquio che aveva avuto col suo editore gli aveva fatto visionare anche dei lavori più... seri e impegnativi, sotto un certo profilo. Per cui aveva utilizzato uno stile più realistico e orientato verso il seinen, e che sapeva solo lei quanto tempo e impegno le erano costati. Certo, il tipo di soddisfazione che le avevano dato era del tutto diversa, ma che fatica. E ora quello che doveva fare era un intero capitolo di quaranta pagine in quel modo, anzi, adoperandosi pure per rendere quello stesso stile più... femminile. Senza parlare di tutta... l’ ”anatomia” che avrebbe dovuto disegnare poi. Ce n’era abbastanza per prendere a testate non solo il frigorifero, ma anche il tavolino del kotatsu.
Per lo meno, il problema “host” lo aveva risolto. Beh... a grandi linee. Distrattamente, alzò per l’ennesima volta gli occhi verso Grimmjow, chiedendosi se alla fine avrebbe accettato di darle una mano e rispondere alle domande che aveva da porgli. E inaspettatamente incontrò il suo sguardo, che ancora più inaspettatamente trovò serio, quasi assorto nei suoi pensieri mentre la fissava. Con un brivido, provò il desiderio di disegnare quell’espressione.
E ben presto, oltre che al suo viso, Tatsuki si trovò a seguire e ad accarezzare con lo sguardo ogni curva di ogni suo muscolo, riproducendo pian piano con il suo tocco delicato, la sua figura praticamente perfetta sul foglio bianco di fronte a lei.
Ma i suoi occhi non erano avidi se non di arte, e presto l’imbarazzo iniziale venne sostituito dalla freddezza della sua mente, e si trovò sì a seguire le sue curve, sì ad apprezzarne la bellezza praticamente perfetta, ma sarebbe stato lo stesso se davanti a lei ci fosse stato un cesto di frutta di cui doveva fare la copia dal vero. Solo quando saliva fino a sfiorare il suo viso, ed incontravano lo sguardo di lui, che seguiva ogni movimento della sua mano quasi come un gatto curioso, sentiva riaffiorare il rossore alle guance, e  per un attimo si distraeva a pensare a in che diavolo di situazione si fosse cacciata. Ma in men che non si dica, la sua forza di volontà nonché la forza di attrazione di quel corpo nudo e bellissimo, che non riusciva a non guardare con velata ammirazione, la spingevano a continuare a disegnare.
Grimmjow invece, ad essere del tutto sinceri, non si sentiva esattamente a suo agio, ora che quella ragazza psico e sociopatica si era fatta più attenta a lui che al foglio di carta. Non perché fosse nudo di fronte a una sconosciuta, che nonostante fosse così simile a un ricordo, rimaneva sconosciuta. Figuriamoci, a quello ci era più che abituato. Il punto era che lo sguardo di quella particolare sconosciuta, non era come quelli che era solito sentire su di sé. Non desideroso, non pieno di aspettative di un piacere puramente carnale. In un certo senso, lei sembrava star guardando oltre, o anzi, non starlo guardando affatto. Parte del suo ego si sentiva ferito di fronte a quella piccola ragazza, che non solo l’aveva bloccato a terra come niente più di un sacco di patate, ma che oltre tutto sembrava veramente risoluta a non volere niente di più che poterlo guardare e disegnare.
Grimmjow era nudo, ma non era questo a farlo sentire a disagio. Era il fatto che, per la prima volta da quando aveva iniziato quella vita meramente dedita a piaceri superficiali quali erano il sesso e i soldi, si sentisse... veramente messo a nudo. Come se la mano di lei, oltre al profilo marcato delle sue braccia e dei suoi addominali, potesse disegnare qualcosa di molto più profondo. E Grimmjow non era sicuro di volere che qualcuno vedesse al di là di quel corpo perfetto che inconsciamente o meno aveva imparato ad “indossare” e a sfoggiare come un’armatura luccicante, capace di proteggerlo e tenerlo lontano da tutto e tutti.
E oltre alla noia, dopo un quarto d’ora il dover stare immobile senza poter cambiare posizione, lo faceva sentire in gabbia. Non era decisamente quella la serata che si era immaginato entrando in quel piccolo appartamento. Perché quella ragazza non poteva semplicemente essere come tutte le altre, e lasciarsi toccare come tutte le altre?
Ancora una volta, incrociò il suo sguardo, sorprendendola a fissare le sue labbra. Stava disegnando quelle...?, si chiese, non riuscendo a fare a meno di tendere appena il collo, spinto dalla curiosità. Ma gli occhi di lei gli intimarono ancora una volta di stare fermo. Come ci riusciva?
Grimmjow si sentiva veramente in gabbia, oppure meglio ancora, incatenato da quei suoi occhi scuri e magnetici. E quella sensazione non gli piaceva, non gli piaceva affatto. Perché le stava lasciando dettare le regole del gioco, lui che era abituato a giocare solo secondo le proprie, di regole?
Ma in fondo, anche lei sotto quella tuta enorme era una donna, lo aveva sentito più che bene.
E le donne sono tutte uguali.
Grimmjow vide il suo sguardo cadere nuovamente sulle sue labbra, attento, sì, ma mai neanche per un secondo malizioso. La vide anche mordersi distrattamente le sue, di labbra, nella concentrazione. Quelle labbra che in quel momento sarebbero dovuto essere incollate alle sue, dannazione, così come il suo seno alle sue mani, e così come tutto il resto del suo corpo ostinatamente nascosto dalla tuta.
Grimmjow avrebbe voluto strappargliela via per la frustrazione e per il desiderio che si sorprese a provare quando la vide passarsi la lingua sulle labbra secche. Frustrazione e desiderio che lo portarono a comportarsi proprio come un moccioso, a provocarla. Così anche lui prese a leccarsi e poi mordersi le labbra, lentamente, in un modo totalmente differente da come l’aveva fatto lei, sovrappensiero. Lui invece voleva trasmetterle ogni singolo e poco casto pensiero gli stava passando per la testa in quel momento. Possibile che non la toccasse minimamente? Possibile che non provasse nessuna dannatissima pulsione sessuale nei suoi nudi e sensualissimi confronti?
Tatsuki sgranò per un secondo gli occhi, fissandoli sulla sua bocca con un’attenzione diversa rispetto a prima. Ma subito si scosse. Ormai la sua mente era catturata dal disegno, e nemmeno quel gesto così seducente ebbe il potere di distrarla.
   « Fallo... fallo ancora. »
Grimmjow rimase interdetto vedendo che invece che saltargli addosso, aveva girato pagina e impugnato più saldamente la matita, tracciando linee con più foga e più velocemente rispetto a prima. Quindi lo intimò con lo sguardo a leccarsi nuovamente le labbra, cosa che lui fece, ubbidiente. Ma perché poi le dava retta?!
   « Rifallo ancora. E adesso stai fermo. », lo bloccò con la lingua sul labbro superiore. « Oppure per ogni movimento che fai, ti tolgo altri mille yen. »
Perfetto. Si era tirato la zappa sui piedi da solo.
 
E altri minuti passarono.
Grimmjow le provò tutte, persino a cambiare posizione e ad abbassarsi nuovamente il bordo dei boxer, ma ogni cosa che faceva, aveva esattamente l’effetto contrario di ciò che sperava, anzi, sembrava alimentare la fantasia di una Tatsuki sempre più entusiasta e soddisfatta del lavoro che stava facendo. “Kamina” era davvero, davvero un ottimo modello, quasi una musa ispiratrice. Avrebbe sicuramente usato una di quelle pose per la copertina della dōjinshi, il punto adesso era scegliere quale, perché tra tutti gli schizzi fatti aveva l’imbarazzo della scelta. E ancora, aveva una voglia matta di continuare. Le sue espressioni erano perfette. Provocanti al punto giusto, senza però scadere nel volgare. Soprattutto gli piaceva il suo sguardo – che purtroppo Tatsuki era talmente presa a tracciar linee che non si era resa conto era rivolto a lei e a lei sola, con l’intento di sedurla – che trovava molto profondo. Forse era il caso di dedicarsi ai primi piani.
Quindi mettendosi la matita in bocca, prese il blocco da disegno e gli altri strumenti che era convinta potessero servirle così che non sarebbe stata costretta ad alzarsi di nuovo, e poi si sedette a gambe incrociate di fronte a lui, di nuovo, senza temere minimamente che avrebbe potuto allungare ancora le mani. I soldi erano stati un ottimo ricatto, era diventato incredibilmente ubbidiente da quando lo aveva minacciato di ridurgli lo “stipendio”.
Per un attimo Grimmjow ebbe un fremito vedendola avvicinarsi, ma le cose che teneva in mano non promettevano niente di quello che lui sperava. Così si lasciò cadere sul materasso, affondando la faccia in un cuscino.
   « Mi annoio. », sbuffò come un bambino capriccioso, voltando appena il viso per sbirciarla. E preferì non averlo fatto, perché Tatsuki, noncurante come al solito, si era sfilata l’elastico che portava al polso coi denti, e aveva preso a legarsi i lunghi capelli in una coda alta, inarcando la schiena. Quella ragazza riusciva ad essere sexy senza volerlo affatto, al contrario di lui che si era sforzato tanto, e invano. O forse semplicemente era che aveva davvero una voglia assurda di fare sesso con lei. Ma non poteva permettersi di pensarci troppo, oppure sarebbe stato un bel problema, visto che era rimasto solo con addosso i boxer.
   « Vuoi che ti accenda la televisione? »
Ecco. Ecco sì, adesso cominciava a parlare nella sua lingua. Lanciò un’occhiata veloce all’orologio appeso al muro della cucina, che indicava che da quando era arrivato doveva essere passata un’ora. Phantom doveva essere iniziato già da qualche minuto, non gli piaceva guardare qualcosa non dal principio, ma insomma... quella televisione sembrava chiederglielo per favore.
Cercò di darsi un contegno. Non poteva permettersi di implorarla di farlo, ci avrebbe rimesso la faccia e la sua facciata imperturbabile che già era un po’ andata a quel paese. Così si limitò ad alzare le spalle con indifferenza e a tirarsi un po’ su, sistemandosi meglio sul divano.
Tatsuki lo prese come un cenno d’assenso, così si allungò verso il ripiano del mobile a muro per prendere il telecomando – e non piegarti così, dannazione! – per poi accendere la televisione che fece un amichevole trillo di saluto, a parere di Grimmjow. Ora restava solo da trovare un modo per farla arrivare fino a TV Tokyo e a convincerla a lasciar sintonizzato su quel canale senza farci la figura dell’otaku incallito quale effettivamente era. Ma inaspettatamente, quando sullo schermo apparvero i colori, la prima cosa che vide fu il fondoschiena di una biondissima Cal Devens, alias Drei, accovacciata in una posa di combattimento mentre impugnava una pistola, con lo sfondo di quella che sembravano le vetrate di una chiesa illuminate dalla luce della luna. Grimmjow rizzò all’istante le orecchie e affinò lo sguardo, mentre la voce di Miyuki Sawashiro risuonava nella risata sadica che gli aveva fatto perdere la testa per Cal. Anche l’audio era qualcosa di spettacolare. Impianto stereo Dolby Surround. Grimmjow avrebbe voluto incollare il sedere a quel materasso scomodo e passare il resto della sua vita ad amare quella televisione e le casse posizionate sul soffitto – come aveva fatto a non notarle prima, come?
   « Lascia... lascia pure qui. », cercò di dire con nonchalance, ma il gesto sbrigativo che fece con la mano, tradì tutta la sua impazienza.
   « Come vuoi. », replicò Tatsuki, appoggiando il telecomando a terra e ritornando a dedicarsi al suo blocco per i disegni posizionato sulle gambe incrociate.
Iniziò a tracciare le linee per il volto, decidendo che l’avrebbe raffigurato in un mezzo profilo. Che espressione gli avrebbe regalato questa volta?, si chiese, mentre terminava di rifinire la croce per decidere la posizione degli occhi, del naso e delle labbra, e alzava lo sguardo sul suo viso rivolto alla televisione.
E rimase sconcertata. I suoi occhi a tratti brillavano di emozione come quelli di un bambino a Natale, per poi incupirsi quando una scena prendeva una piega che non gli piaceva. Per di più non stava fermo un secondo, piegava la testa, apriva la bocca come per dire qualcosa, sbuffava spazientito, si passava nervosamente una mano tra i capelli.
La ragazza rimase ad osservarlo per un minuto buono, poi inarcò un sopracciglio e con un gesto secco, schiacciò il pulsante di spegnimento sul telecomando.
   « Oh, ma che cazzo fai?! », scattò lui all’improvviso, voltandosi sbigottito. Appena incrociò il suo sguardo però, si pentì subito di quell’uscita infelice, ai suoi occhi doveva aver sicuramente esagerato. Ma che diavolo, gli aveva spento la televisione in una scena cruciale!
   « Ti agitavi troppo. », rispose semplicemente Tatsuki, mentre con la matita lo spingeva a girare nuovamente il viso di profilo e ad alzare il mento. Quando vide che stava per replicare, lo zittì prima che avesse il tempo di dire qualsiasi cosa. « ... E poi tanto tra qualche secondo Cal sarebbe stata uccisa da Reiji. »
   « Che-...? Ma brutta-...! Questo è un fottutissimo spoiler! », sbottò quindi Grimmjow che per un attimo l’aveva lasciata fare, togliendole la matita dalle mani e additando quasi istericamente lo schermo ormai nero, bruciando all’istante ogni parvenza di classe che avrebbe potuto ancora mantenere.
Ma Tatsuki non ne rimase sconcertata, anzi. Fin dall’inizio si era resa conto che il suo sorriso da Kamina era fin troppo tirato ed esasperato per essere vero. Forse gli era sembrato più sé stesso, più vero in un certo senso, proprio mentre tutto emozionato seguiva l’episodio di Phantom. Quindi si limitò ad incrociare le braccia.
   « Questo è per la palpata gratis. », e fece un cenno verso il proprio seno, rivolgendogli un sorrisino malefico che a Grimmjow ricordò esattamente quello di Cal. Se l’era proprio legata al dito, eh... però era ancora più sexy quando sorrideva così. Merda.
   « E poi scusa tanto, ma Phantom l’hanno mandato in onda nel 2009, se tu te lo sei perso e ti metti a guardarlo quattro anni più tardi, non è colpa mia. », aggiunse lei.
Già, nel 2009. Era stato un po’ impegnato, quattro anni prima a causa di una certa persona con gli occhi azzurri, ma questo quella “gattina” dagli artigli fin troppo affilati, non poteva saperlo affatto.
   « Non ci posso credere. Cal... », Grimmjow si lasciò andare nuovamente contro divano, sprofondando tra i cuscini.
   « Già. È dispiaciuto anche a me. Apri la bocca come prima. »
   « Aah, era una figa assurda. Reiji, brutto pezzo di merda... »
   « La testa. Tanto nell’ultima puntata muore anche lui. »
   « Ma... Ma la pianti?! Che cazzo me lo guardo a fare io, adesso, se so già come finisce?! »
In tutta risposta, lei si indicò il collo con la matita che si era ripresa, come a dire che doveva pagare anche per quei baci. Grimmjow sbuffò spazientito e ritornò a mostrarle il profilo.
   « ... Davvero muore anche Reiji? »
   « Sì. Sinceramente, la fine mi ha un po’ delusa. Cioè, mi è anche piaciuta in un certo senso. Ma quando muore uno dei protagonisti, ti lascia sempre l’amaro in bocca. »
   « Ah, non me ne parlare. Death Note è stato uno schifo. », se ne uscì prima di riuscire a trattenersi. Ma Tatsuki annuì, comprensiva.
   « Death Note è l’esempio classico, già. »
Per un istante regnò il silenzio, mentre lei staccava la matita dal foglio alzando la testa, e lui la girava per guardarla.
   « ... L. », dissero all’unisono, per poi lasciarsi andare a un sorriso che stupì entrambi.
   « Light era un bastardo con delle manie di grandezza esagerate. Si è meritato di crepare così. »
   « Beh, dai, come personaggio aveva anche lui il suo perché, ma... L era davvero un genio. »
   « Facciamo un minuto di silenzio per la sua squallida fine. »
   « Finalmente, così magari stai zitto e fermo? »
Grimmjow accennò ad un altro sorriso, mentre scuoteva la testa e voltava di nuovo il viso. Ed ecco che la sua facciata da host si era completamente sgretolata. Oh, beh. Da quello che aveva capito, la sua “gattina” era messa anche peggio di lui, pensò, ricordandosi di tutti i manga che aveva intravvisto nell’armadio. Quindi, tanto valeva...
In un certo senso, si sentì come sollevato. Raramente gli capitava di parlare così liberamente con qualcuno, men che meno con una donna, neanche con Linalee che per lui era quanto di più vicino a un’amica. Ma se non ci pensava troppo, se non si soffermava sulla sua scollatura o sui fianchi asciutti che la canottiera le lasciava scoperti quando si muoveva – ed era proprio il caso di non soffermarcisi – il fatto che Tatsuki fosse una donna passava in secondo piano. Forse, ma forse, quella sensazione di sollievo non gli dispiaceva poi così tanto. Insomma, era più o meno accettabile. Non ci allarghiamo, adesso.
Tatsuki continuò a disegnare, senza fermarsi un secondo. E ora era Grimmjow a non sapere quanto attentamente stesse guardando il suo viso, ancora più attentamente di prima. Perché ora non si limitava semplicemente a seguire i suoi lineamenti come fossero delle mere curve da rappresentare. Stava guardando lui, lui che aveva la testa leggermente chinata verso il basso, così come lo sguardo, perso nel vuoto. Le labbra invece, erano appena distese in un sorriso.
Quell’espressione era sicuramente la più bella e la più vera che gli avesse visto fare. E Tatsuki sentì il bisogno di disegnarla, in religioso silenzio, dedicandosi solo a quella finché le lancette dell’orologio non furono che a pochi centimetri dalla mezzanotte.
   « Posso... farti qualche domanda sul tuo lavoro? », gli chiese quindi, posando la matita a terra e intrecciandosi le mani in grembo, sul blocco da disegno.
   « Uh? Mica dovevo starmene “zitto e fermo”? »
   « Tempo scaduto. », rispose, accennando all’ora. « Adesso puoi muoverti, i tuoi soldi non sono più in pericolo. »
   « Ah. »
Grimmjow non si era minimamente accorto di quanto veloce fossero passati gli ultimi venti minuti. Era stato talmente assorto nei suoi pensieri che il tempo era volato. Un po’ gli dispiaceva, forse. Cioè, per la storia del modello. Stava cominciando ad abituarcisi, a trovarlo rilassante, pensò, mentre allungava una mano ad afferrare i suoi jeans per rivestirsi.
Quante volte aveva fatto quello stesso gesto, seduto su un letto nella casa di qualche sua cliente, l’una addormentata e ignara che la mattina dopo si sarebbe ritrovata sola, l’altra che lo pregava di restare ancora qualche minuto, l’altra ancora che già gli chiedeva quando avrebbero potuto rivedersi. La realtà era che quei pensieri che gli erano passati per la testa, quella sensazione che aveva provato nel parlare, solo parlare con quella che si era presentata come una delle tante altre sue clienti ma che alla fine non lo era stata, lo avevano scombussolato un po’.
   « Chiedi quel che ti pare. »
Tatsuki gli lanciò la maglietta nera che lui afferrò al volo.
   « Quanto prendi come stipendio? Quando lavori come host, dico. E... la cerniera. », il suo sguardo aveva involontariamente seguito i suoi movimenti, al che Grimmjow sorrise divertito dalla punta di imbarazzo che vide ancora sulle sue guance. Che diavolo, aveva appena passato due ore a disegnarlo solo in boxer.
   « Beh... tieni conto che il locale dove lavoro io non è un host club vero e proprio. Altrimenti prenderei molto di più. Ho sentito di host “d’alta classe” che prendono anche una decina di milioni yen al mese. Io sto sui venti, trentamila yen. A volte anche di più. Dipende da come gira ogni singola serata. E da come girano al capo, anche. E al capo girano sempre male. »
Tatsuki aggrottò le sopracciglia. « Perché fai anche questo... “lavoro”, allora? Trentamila yen al mese mi sembrano più che sufficienti. »
   « Ma quanto siamo impiccione... »
   « Hai detto tu che potevo chiedere quello che mi pare. »
   « Però non ho mai detto che avrei risposto a tutto. », le sorrise ancora, con fare furbo, al che Tatsuki sbuffò.
   « Che età hanno di solito le tue clienti? »
   « Tutte le età. Mi capitano pure delle cinquantenni. E devi vedere come si mettono in tiro, si credono delle ragazzine... »
   « Mh... quindi anche delle... delle ragazze come me, della mia età? », chiese incuriosita. Molti dei personaggi femminili dello shōnen su cui doveva lavorare, erano adolescenti.
Grimmjow accennò a una risata di scherno, alludendo al suo aspetto piuttosto trasandato. « A te, non ti farebbero mai entrare, al Jūichiban. »
   « E io non ho intenzione di entrarci. Per questo ho portato il “Jūichiban”, o come si chiama, da me. », rispose lei, indispettita e allo stesso tempo risoluta, facendo un cenno verso di lui, che scosse la testa, ridendo.
   « Adesso tocca a me fare le domande. Come mai ti serve sapere tutte ‘ste cose sugli host? »
La ragazza sospirò. « Perché devo fare una dōjinshi, e ho poco tempo e zero idee. »
Grimmjow aveva fatto in tempo a sbirciare di sfuggita qualcuno degli schizzi che aveva fatto, e per quello che ne poteva capire lui, l’aveva trovata piuttosto brava. Aveva uno stile... maturo?, realistico, un po’ spigoloso forse, ma era anche quello che conferiva particolarità al disegno.
   « Amatoriale o retribuita? La dōjinshi, dico. Insomma, per andare in stampa sborsi tu o sborsa qualcun altro? »
   « No, no, sono sotto contratto. La mia casa editrice ha intenzione di fare un mensile dedicato a delle nuove serie josei, e inseriranno anche qualche dōjinshi, quindi mi hanno incaricata di fare un capitolo autoconclusivo di quaranta pagine. »
Grimmjow si lasciò andare a un fischio di stupore. Quindi doveva essere brava sul serio, se sarebbe addirittura finita su una rivista.
   « È la prima volta che pubblichi? »
   « No, in realtà... lasciamo perdere. È una storia noiosa e complicata. », distolse lo sguardo, scuotendo appena la testa mentre si tirava su da terra spazzolandosi i pantaloni, per posare sul kotatsu il blocco. E Grimmjow preferì non insistere oltre, mentre a sua volta, si alzava.
   « Piuttosto... sei disposto a tornare tra una settimana? Ho ancora delle domande. E mi... servirebbe qualche consiglio da qualcuno del settore. »
Ed eccola ancora, quella prepotente sensazione di sollievo. Per un attimo, rivestendosi, aveva avuto l’impressione che sarebbe finita lì, come tante altre volte, anche se diversamente da tante altre volte, lei non aveva chiesto mai il suo corpo se non per poterlo guardare. Anche quella, era stata una sensazione strana, che l’aveva trovato combattuto. Prima si era sentito come in gabbia e costretto a fare qualcosa in cui non aveva voce in capitolo, che lo faceva sentire sottomesso e impotente, poi improvvisamente più, come dire... libero, di pensare, e allo stesso tempo di staccare la testa dal resto. Prendersi una pausa dalla sua vita fatta di sorrisi, carezze e parole finte. Ma il cambiamento non lo aveva apportato Tatsuki, semplicemente era stato Grimmjow a mutare modo di porsi. Perché finendo per comportarsi in un modo più vicino al vero sé stesso, si era reso conto che stare fermo con un’espressione che non tirava da tutte le parti perché troppo falsa, non era poi così tanto difficile.
 Si appoggiò contro lo stipite della porta che lei aveva aperto, infilandosi le mani in tasca. Però era decisamente meglio di non pensarci troppo. Perché altrimenti quello “staccare da tutto il resto”, avrebbe finito per confonderlo e basta, come prima. Sta di fatto che lei gli aveva chiesto di tornare, e beh... per dare una risposta a quello non c’era bisogno di rifletterci troppo su. Era la televisione che glielo chiedeva per favore.
   « ... Solo se mi fai vedere quei disegni. », fece il prezioso, anche se il sorriso furbo che le rivolse era un chiaro sì.
   « Perché dovrei? »
   « E perché io dovrei venire qui, e perdermi ore di lavoro? »
   « Io ti pago comunque. », replicò Tatsuki, premendogli contro il petto tutti e dieci i mila yen, stupendolo piacevolmente.
   « Ma io non mi diverto. », anzi, rischiava di diventare pazzo per il divieto di poterla anche solo sfiorare quando lei lo provocava così spudoratamente. No, beh... involontariamente. Però lo provocava, e tanto anche, e questo era un bel problema soprattutto perché la vedeva dura, la possibilità di poterci combinare qualcosa con lei. Ma era una frustrazione che in qualche modo andava sfogata, o avrebbe finito per-...
   « ... Sei capace di giocare a Tekken? »
Tekken. Tekken sommato a quella televisione. Grimmjow si sentì baciato alla francese dalla luce divina, e il sesso improvvisamente divenne l’ultimo dei suoi problemi.
   « Se sono capace? Stai parlando con il re indiscusso, gattina. »
  « Ah sì? Allora ti sfido. », Tatsuki gli regalò un altro sorrisino perfido, mentre gli sfilava dalla mano che si era stretta attorno ai soldi, un biglietto da mille yen. Okay, se l’era andata a cercare, chiamandola in quel modo.
   « Perderai miseramente. »
   « Tra una settimana. Alla stessa ora. »
   « Ci scommetto quei mille yen che perderai. »
 
 
 
Tatsuki tirò un sospiro di sollievo mentre appoggiava la fronte contro il legno freddo della porta che aveva appena chiuso.
Era andato tutto sorprendentemente bene, a parte un fraintendimento iniziale che poi avevano più o meno chiarito. Lei stessa era andata sorprendentemente bene. Era riuscita a comportarsi quasi come faceva quattro anni prima, quando ancora aveva quella che poteva essere chiamata una parvenza di vita sociale.
Quattro anni prima, nel 2009, anno in cui anche lei non aveva avuto affatto il tempo di guardare in prima visione Phantom.
 



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NDA n.2: Lasciamelo dire, Tatsuki... ARE YOU FUNCKING KIDDING ME?
Vi giuro. Questa ragazza ha una forza di volontà incredibile a non essere saltata addosso al nostro bel panterone azzurro, infoiato e incredibilmente seCSi. Checcazzo, IO volevo saltare addosso al portatile mentre scrivevo. MA TANTO CEDERAI, NON TI CREDERE. /inserire risata malvagia qui/
 
NDA n.3: ... Pace all’anima di Cal e L. ç3ç
  
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